CHICAGO BLOG » Fini http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Il Sud, il federalismo e le cattive abitudini PdL /2010/08/18/il-sud-il-federalismo-e-le-cattive-abitudini-pdl/ /2010/08/18/il-sud-il-federalismo-e-le-cattive-abitudini-pdl/#comments Wed, 18 Aug 2010 11:45:08 +0000 Oscar Giannino /?p=6825 L’attacco ferragostano dell’onorevole Bossi ha avuto il merito di puntare il dito su una verità che finora raccontavano solo i giornali. La verità è che, nella frattura tra Berlusconi e PdL da una parte e Fini e la neonata Futuro e Libertà dall’altra, il Mezzogiorno è il tema decisivo e centrale. Più della giustizia, più delle tasse, più di tutto il resto. Ad alcuni poteva sembrare che fosse suggestione, che si trattasse di esagerazione. Al contrario l’accusa di Bossi – “Fini e si suoi vogliono un po’ di soldi da sprecare al Sud” – conferma che, quando si tratta di indicare alla propria base il problema numero uno della frattura nel centrodestra , è proprio al Sud che ci si riferisce. Tanto che è anche già cominciata la rituale serie di pensosi editoriali di grandi testate d’informazione, che da una parte riconoscono il problema e dall’altro invocano sia i colonnelli di Berlusconi sia quelli di Fini ad evitare una deriva pericolosa: quella, cioè, di una gara improvvisa tra chi più si posiziona davanti all’elettorato del Mezzogiorno invocando la propria primazia, nell’impedire che l’agenda del governo finisca per svantaggiare ulteriormente il Sud. E’ un rischio concreto? Sì che lo è, almeno a mio avviso. Ma, per come si son messe le cose tra PdL e Fini, non credo affatto che si possa risolvere con qualche generico e moralistico appello a moderare i toni. Partiamo da tre dati di fatto. Il primo è che tutti i sondaggi mostrano che la stragrande maggioranza di elettori del Sud hanno la convinzione che in questi anni il Nord abbia avuto la meglio, nelle attenzioni concrete del governo e nelle risorse. E’ vero, non è vero? Non è vero, visto che finora le cose sono ontinuate più o meno esattamente come in passato, Tremonti ha  stretto i cordoni della borsa ma non aveva titolo per cambiare criterio di alocazione delle riorse. Ha dato dei “cialtroni” agli amminitratori del Sud , spreconi e recriminanti, questo sì. Cosa che ha confermato a moltisimi elettori del Sud la falsa mpressione di essere spodestati. E’ purtroppo secondario che di fatto non si cambiato pressoché nulla, quel che conta per delle forze politiche desiderose di contarsi e pesare è che l’elettorato che mirano a rappresentare la pensi così.

Secondo. Da 16 anni la Lega ha saputo vendere al Nord con crescente successo e consenso la convinzione che solo con il federalismo spinto – pur senza mai entrare in particolari e numeri, ciò che solo in realtà fa la differenza – aupicato da Bossi e dai suoi, il Nord riequilibra a proprio vantaggio l’eccesso di risorse che dà allo Stato rispetto a quelle che si vede tornare indietro, pur spendendo in media meno e meglio. Rispetto a questo, in 16 anni nel Sud il consenso elettorale, alle politiche come per le Autonomie, ha visto le diverse componenti tanto della sinistra quanto della destra ripetere in realtà – al di là del colore delle bandiere – esattamente la stessa cosa. E cioè che, appunto, quello a sé era il miglior voto per equilibrare quello dato al Nord alla Lega. Gli elettori del Sud pensano la Lega sia debordante nel centrodestra non tanto perché neghino gli aiuti finanziari straordinari che in realtà Tremonti ha autorizzato solo in casi eccezionali nel Mezzogiorno, ma perché se lo son sentiti ripetere da anni in primis dai candidati alle elezioni dello stesso PdL

E’ da questi due dati di fatto, che deriva il terzo. Se rottura finale dovesse essere tra Berlusconi e Fini, come i toni sembrano sin qui continuare a indicare, allora è ovvio che a essere in condizione di avvantaggiarsi della cosa alle elezioni, presto o tardi che siano, sono proprio Bossi da una parte al Nord, e al Sud Fini e i suoi, seguaci e futuri alleati.

Sono Berlusconi e il PdL, nelle condizioni attuali, a rimetterci di più. Bossi al Nord avrebbe buon gioco a dire agli elettori di centrodestra che è meglio votare direttamente Lega, visto che in caso contrario il federalismo vien promesso vien promesso, ma poi di fatto ancora una volta come sempre non arriva mai. Al Sud. a Fini a quel punto converrebbe far AntiLega con Lombardo e Micciché e, aggiungo, con tutte le Poli Bortone inascoltate dai colonnelli PdL, e che se sinora sembrano più vicine a Berlusconi è sol perché da quella posizione – sulla carta, la più forte – si è poi in migliori condizioni, per trattare poi al momento buono gli sviluppi più convenienti. Un PdL che non portasse a casa i premi di maggioranza in Sicilia e anche solo poco più che in Sicilia, nel resto del Mezzogiorno, con la Lega in crescita ulteriore al Nord comunque al Senato non avrebbe la maggioranza, con l’attuale legge elettorale.

Per evitare questo rischio, meglio sarebbe stato se Berlusconi e la Pdl negli anni scorsi avessero parlato al Mezzogiorno una lingua chiara e univoca. Capace cioè di ammettere che nel Mezzogiorno in media c’è un eccesso di spesa pubblica discrezionale, e cioè acquisti stipendi e sussidi dove il rapporto tra Sud e Nord è di 125 a 100, perché la politica ha preferito moltiplicare i redditi indotti dal settore pubblico, alla ricerca di voti. Ma altresì aggiugendo che in ogni caso c’è Sud e Sud, visto che sommando tutte le componenti Puglia e Campania figurano più tra tre le creditrici che le debitrici rispetto a Calabria, Basilicata e Sicilia dove il riequilibrio è inevitabile e deve essere pure molto energico. E, infine, ribadendo come garanzia agli elettori che l’orizzonte temporale della convergenza verso la virtù sarebbe stato adeguato: diciamo da 5 ma anche fino 10 anni, per chi vi è più distante come Calabria e Sicilia.

Difficile immaginare che, essendo mancata questa chiarezza per 16 anni, venga proprio ora e sia scritta nel punto “Mezzogiorno” che Berlusconi ha ormai pronto, da sottoporre a Fini prima che, a inizio settembre, l’annuncio ormai scontato di un partito nuovo diventi anche la tomba della maggioranza. Per questo continuo a pensare che se Berlusconi non ha già deciso comunque di provare la via elettorale, allora non solo sul Sud dovrà indicare impegni il più possibile precisi – il punto non sono gli 80 miliardi fondi FAS e di coesione europea di cui si occupa Fitto e che bisogna sperare vengano sbloccati su poche priorità vere condivise dalle Regioni che hanno potre di veto, invece che su mille progettoi inutili, il punto sono i numeri del federalismo che sin qui mancano nei decreti attuativi della delega -  ma soprattutto dovrà anche essere disposto a concedere che sia un esponente finiano, a rappresentare quegli impegni nell’agenda, nella composizione e nelle attribuzioni del governo stesso.

Per me, sbaglierò ma resta del tutto improbabile. In quel caso, comunque la pensiate su Fini rispetto al patto elettorale sottoscxritto due anni fa con gli elettori, il PdL può però prendersela solo con se stesso.

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Crescere di più, non frottole politiche /2010/08/09/crescere-di-piu-non-frottole-politiche/ /2010/08/09/crescere-di-piu-non-frottole-politiche/#comments Mon, 09 Aug 2010 09:05:54 +0000 Oscar Giannino /?p=6732 Le prossime settimane di agosto saranno decisive, per capire se il governo riuscirà  davvero stringere un patto di legislatura con la neonata componente guidata dall’onorevole Fini. In queste settimane, bisogna augurarsi che gli organi d’informazione e la maggioranza degli osservatori economici del nostro Paese sappiano levare una voce decisa, una voce che richiami la politica alla responsabilità.  C’è una priorità, che non è né  l’incomprensione personale tra Fini e Berlusconi.  Né la volontà del  premier  di un’intesa che non faccia sconti, e che comprenda innanzitutto la sempiterna giustizia: dove tanto per cambiare l’errore è stato di non occuparsi della riforma dell’ordinamento ma di ciò che serviva nei processi. E’ l’economia, la grande dimenticata. L’attenzione va richiamata sulla necessità di consolidare la ripresa. Spero che media e osservartori lo capiscano. E’ la priorità delle priorità. Mentre la politica sembra come persuasa che ormai gli andamenti economici siano del tutto indipendenti da quel che essa può fare, dopo che si è comunque evitato – ed è un merito, comunque la si pensi per il resto sul governo – che spesa pubblica e deficit finissero fuori controllo, trascinando anche l’Italia nella crisi dell’eurodebito. Al contrario, non è affatto così. Basta richiamare un dato di fatto, per comprendere come proprio ora la politica dovrebbe pensare a uno sforzo straordinario.

Nel secondo trimestre l’Italia ha consolidato la sua ripresa, con un aumento dello 0,4% del PIL sul trimestre e un più 1,1% su base annuale. La disoccupazione ha invertito il suo segno, non aumenta più ed è scesa di qualche decimale, all’8,4%. In Europa c’è chi sta molto peggio, dalla Grecia alla Spagna. Ma l’Italia è il secondo Paese manifatturiero ed esportatore in Europa dopo la Germania, ed è alla Germania che noi dobbiamo guardare. Orbene la Germania ha preso a crescere nel secondo trimestre a un ritmo praticamente doppio del nostro. Significa che le imprese tedesche stanno riposizionandosi sui mercati che “tirano”, a cominciare dall’Asia e dalla Cina, più rapidamente di noi, e per questo fanno il pieno di ordini. Il governo tedesco è in crisi nei sondaggi popolari peggio di quello italiano, visto che l’83% dei tedeschi si è dichiarato ieri insoddisfatto della Merkel, ma in realtà tiene malgrado al Bundesrat abbia perso la maggioranza. Tiene perché ha fatto l’esatto contrario di ciò che quasi sempre preferiscono i governi, di fronte a una seria crisi economica. I tedeschi hanno sopravvalutato il loro deficit pubblico tendenziale, e sottostimato la crescita reale. Non sarà un sistema ortodosso, ma è più virtuoso del suo contrario.

Proprio per questo, il governo italiano non può considerare la politica economica come un tema secondario. Servirebbero scelte rapide e aggiuntive. Questa volta non sul versante della finanza pubblica: l’impegno su quel capitolo può limitarsi a un’intesa blindata perché la finanziaria del prossimo autunno consista solo di tre articoli e tre tabelle, senza ridiscutere saldi e tagli della manovra biennale appena approvata, ma semmai rendendoli ancora più stringenti. Quel che serve oggi, da parte della politica, è uno sforzo straordinario per consentire alle imprese di collocarsi più dinamicamente nella ripresa mondiale. Servono cioè iniziative rapide per rispondere a tre obiettivi: più capitale, più produttività, più occupati.

Per dare più equity alle imprese leader sull’export, si può e si deve rendere immediatamente operativo il Fondo per la capitalizzazione delle piccole e medie aziende che era stato convenuto tra imprese e governo ormai un anno fa, ma che non è decollato. Se ci sono problemi per l’autorizzazione necessaria da parte di Bankitalia, forse è perché il modello su cui hanno trattato  banche e Tesoro rischia di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche negano capitale, che un vero veicolo di mercato capace di scegliere i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere, per i prodotti e le tecnologie di cui dispongono. Ma è un nodo da sciogliere anche a ferragosto se necessario, perché dal primo settembre il Fondo sia finalmente operativo e il più rapido possibile nelle sue procedure e decisioni.

Quanto alla produttività, occorre un’operazione-verità. Dalle grandi crisi, escono prima e più forti le economie che consentono alle imprese la più rapida e decisa ristrutturazione, per rispondere meglio al mutare della domanda. Ristrutturare significa investire, ma anche rivedere le piane organiche dei dipendenti in eccesso. Invece, non solo in Italia ma persino negli Stati Uniti, la politica preferisce non affermare questa elementare verità e si fa mettere sotto da coloro che dicono che finché non si torna alla piena occupazione allora la ripresa è finta, e riguarda solo il capitale. Nell’Italia di oggi, dove a distanza di 20-22 mesi preferiamo tenere i cassintegrati in deroga nell’illusione che torneranno tutti a lavorare dove stavano, bisognerebbe autorizzare le imprese che non hanno prospettiva di riassorbirli a recedere. La parola d’ordine dovrebbe essere “una-dieci-cento Pomigliano”. Non “Pomigliano è solo un’eccezione”.

Dopodiché si potrebbe giustamente dire: ma che costo sociale comporterebbe, questa politica economica straordinaria fatta d capitale e produttività alla tedesca? E’ la stessa domanda alla quale ha risposto da par suo Edmund Phelps sul New York Times tre giorni fa. Si riferiva agli USA di Obama, dove la ripresa promessa dai keynesiani al potere stenta malgrado il deficit pubblico stellare. E faceva l’esempio di Singapore, la frontiera più avznaata del libero mercato.  Ma quel che ha proposto vale anche per l’Italia. Meglio, molto meglio, un piano governativo di detassazione aggiuntiva per chi assume in altre imprese i disoccupati strutturali vittime della crisi, piuttosto che tenerli in cassa integrazione impedendo alle imprese di ristrutturare.

Sono solo tre esempi, non ho alcuna pretesa – né alcuna voglia, a dire il vero, perché è buona regola che ciascuno risponda del suo, e il tempo mi sembra e spero voglia avvicinarsi – di sostituirmi al ministro Tremonti , a Berlusconi e all’intero governo. Ma se la politica oggi perde di vista che l’economia mondiale corre e punisce i distratti, non ci sarà raffinata alchimia personale capace di evitare che l’Italia cresca meno di quel che potrebbe e dovrebbe.

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