CHICAGO BLOG » FDP http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Il declino (annunciato) dei liberali tedeschi /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/ /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/#comments Fri, 01 Oct 2010 23:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=7188 Quando, esattamente due mesi fa, abbiamo pubblicato questo post sul futuro dei democristiani tedeschi, la bolla in casa FDP non era ancora esplosa. E sì perché, nel partito liberale, dopo il grandioso risultato di un anno fa, tira oggi una brutta aria. In meno di dodici mesi i Freidemokraten hanno letteralmente polverizzato il consenso, che aveva permesso loro di tornare sui banchi dell’esecutivo dopo 11 anni di opposizione: dal 14,6% giù in picchiata fino al 4-5%, ormai quasi fuori dal Bundestag. Non passa giorno senza che la leadership di Westerwelle venga criticata o messa in discussione, tanto che egli stesso pare abbia già pensato alle dimissioni da presidente dell’FDP. Ma anche la carica di Ministro degli Esteri e Vice-Cancelliere gli sta molto stretta. A differenza del suo predecessore, il socialdemocratico Steinmeier, Westerwelle non ha infatti tratto alcun giovamento dal ricoprire una posizione di alto profilo. Nella mente dei tedeschi c’è sempre il Guido delle campagne elettorali un po’ esuberanti e patetiche o il Guido che strilla contro i sindacati. Le elezioni del settembre 2009 non sono state altro che un’illusione ottica per chi- come noi- credeva che Westerwelle si sarebbe finalmente scrollato di dosso  gli strascichi di una carriera fino ad allora magra e deludente.

D’altra parte i tedeschi che si recarono a votare per l’FDP lo scorso anno volevano meno tasse subito. Steuersenkungen. Questo era il motto semplice e trasparente dei liberali. Fin dalla distribuzione dei Ministeri tra le varie forze politiche, è parso tuttavia chiaro che il motto non avrebbe avuto seguito alcuno. Quando si seppe che al Ministero delle Finanze si sarebbe accasata l’eminenza grigia Wolfgang Schäuble (CDU) e non il Principe Hermann Otto Solms (FDP), molti elettori si resero conto che il Governo era giallo-nero, ma solo sulla carta. Al timone c’era sempre e solo una persona: Angela Dorothea Merkel.

In un anno di legislatura è difficile fare un bilancio delle cose fatte. Non una manovra è stata condivisa dall’opposizione: il pacchetto fiscale per “l’accelerazione della crescita” (!) dello scorso anno fu anzi l’inizio della fine. Come può un partito come l’FDP, che programma la rivoluzione fiscale, che urla “fate l’amore e non la dichiarazione dei redditi”, pensare che il cambiamento possa passare dall’aliquota IVA agevolata per ristoranti ed alberghi? Per carità, ogni riduzione fiscale, tanto più se l’imposta grava sul consumo, è sempre da accogliere con favore. Ma l’elettorato liberalconservatore, quello che non aveva gradito il quadriennio interventista della signora Merkel, si aspettava ben altro. A Westerwelle è mancato il coraggio. Ha sistemato i suoi in Ministeri di dubbia rilevanza, ad esempio quello per gli “aiuti allo sviluppo del Terzo Mondo”, la cui abolizione l’FDP aveva propagandato fino al giorno prima delle elezioni. Per non parlare degli aiuti alla Grecia e del cd. fondo di stabilizzazione; una figuraccia per un partito che si era opposto alle enormi iniezioni di denaro pubblico per le banche soltanto un anno prima. Guido è stato capace di fare la voce grossa solo con i giornalisti inglesi che parlano inglese in Germania, non con Angie. L’attacco ai costumi da “decadenza tardoromana” che regnano nell’era dello Stato sociale non è stato che un lampo retorico in un buio programmatico. Dopodiché Guido si è inabissato definitivamente, perdendo quel poco appeal che ancora gli restava. Neanche il fatto di essere omosessuale, leader di una “destra moderna” (come piace dire oggigiorno), lo ha aiutato. In Germania, a differenza che in Italia, delle sue tendenze sessuali si parla il meno possibile e queste non rappresentano né un’arma contro né un’arma a favore.

In questo declino che sa molto di tragedia greca, si inserisce il Liberaler Aufbruch (Risveglio liberale), un’iniziativa di un gruppuscolo di parlamentari, insoddisfatti da una FDP fiacca e arrendevole, che non trova “il coraggio di essere liberale”. Il manifesto della corrente, guidata dall’ormai noto esponente libertario Frank Schäffler, lo si è potuto leggere nelle scorse settimane sulle principali testate tedesche. Tra i riferimenti principali F.A. Von Hayek. E scusate se è poco. “In questi anni abbiamo fatto troppe concessioni al collettivismo”, si legge nel testo dei deputati. La reazione di molti liberali all’interno del partito e dello stesso Westerwelle è stata a dir poco scomposta. “Un collettivo di frustrati”, dice un membro del consiglio di presidenza del partito. “E’ solo un ritrovo di euroscettici, negazionisti del global warming e liberisti radicali. Dubito che ciò sia liberalismo”, soggiunge un altro. L’unico che invece potrebbe accogliere con favore un movimento del genere è Nigel Farage, leader dell’UKIP, il quale proprio l’altro giorno tornava a spronare i tedeschi a fondare un partito critico verso l’attuale costruzione europea.

In conclusione due previsioni sul futuro. Se è vero che un movimento liberista spinto in Germania rischia di avere il fiato corto, esattamente come un partito liberale senza nè arte nè parte come quello attuale, si può dire che l’unica speranza liberalconservatrice che non emani polvere e muffa nel centrodestra, al di là del giovane segretario generale dell’FDP Christian Lindner (molto svelto con la parola ma ancora troppo legato all’attuale dirigenza), si chiama Karl-Theodor Zu Guttenberg, un cristiano-sociale bavarese di ampie vedute, che vuole chiudere con la coscrizione obbligatoria in un partito tendenzialmente contrario, sensibile alle ragioni del mercato e abile stratega in politica estera, riuscito a cavarsi d’impaccio con maestria dall’imbroglio del raid di Kunduz e attualmente politico tra i più amati dagli elettori. Wait and see.

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Germania, per qualche atomo in più… /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/ /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/#comments Mon, 06 Sep 2010 10:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=6958 A quasi un anno dalla storica vittoria elettorale del 27 settembre, CDU/CSU ed FDP sono finalmente giunte ad un accordo per prolungare la vita dei diciassette reattori nucleari della Repubblica federale. Basterà il voto del Bundestag; il Bundesrat, in cui l’esecutivo non ha più la maggioranza, verrà comodamente aggirato.* In una lunga riunione, tenutasi ieri in una Cancelleria assediata dai manifestanti ecologisti, gli esponenti del governo hanno stilato le linee guida di questo “phase-out dal phase-out”, come è stato ribattezzato in questi mesi dalla stampa.

Complici i dubbi del Ministro dell’Ambiente Norbert Röttgen (CDU), tradizionalmente vicino alle istanze ecologiste, l’inversione di rotta sarà solamente parziale e non certo, come la stampa italiana probabilmente titolerà, epocale. E questo perché la decisione voluta dal gabinetto rosso-verde nel 2001 di chiudere con l’esperienza nucleare non è stata affatto ribaltata. L’atomo è una “tecnologia-ponte”, hanno ripetuto in questi mesi gli esponenti democristiani e liberali. Liberarcene intorno al 2020 sarebbe prematuro, rinviamo dunque la fuoriuscita. Questo il succo del ragionamento. E così, mentre gli impianti più vecchi, quelli costruiti prima del 1980 potranno rimanere attivi per ancora otto anni, quelli più nuovi godranno di un posticipo di circa quattordici anni. Ciò significa che l’ultimo reattore chiuderà i battenti intorno al 2040. Come giustamente metteva a fuoco Henning Klodt su Wirtschaftliche Freiheit, quello che vi è stato di errato in questa stucchevole guerra di cifre sugli anni (e poi perché quattordici e non quindici o ventitré?) è che lo Stato gioca la partita sia in  qualità di regolatore, sia in qualità di attore. Non volendo limitarsi a fissare le regole del gioco (in particolare in tema di sicurezza), pretende di potersi occupare dei reattori come se fossero ancora di sua proprietà. E così il rischio continuerà ad essere quello di reattori chiusi quando ancora potevano funzionare o impianti tenuti in vita oltre ogni tempo ragionevole. In questo senso ha forse ragione – anche se la predica viene dal pulpito sbagliato – il presidente dell’SPD Sigmar Gabriel, che nell’annunciare un autunno caldo di proteste, ha accusato l’esecutivo di aver barattato la sicurezza con un po’ di denaro. E sì, perché la signora Merkel, per cercare di trovare la quadra e mettere d’accordo tutti, ha pensato di chiedere alle compagnie energetiche di pagare per circa sei anni una tassa aggiuntiva su uranio e plutonio (Brennelementesteuer) per risanare il bilancio, nonché di utilizzare i profitti per migliorare la sicurezza dei reattori e versare fondi per lo sviluppo (dopo vent’anni ancora a “sviluppà” stiamo?) delle energie rinnovabili, quasi che fosse pentita del passo intrapreso. Insomma, come al solito, la Cancelliera si dibatte vorticosamente tra le due C: confusione e compromessi. In buona sostanza, infatti, si annulla la recente decisione di tagliare i sussidi al solare. Ciò che è uscito dalla porta, pare  rientrare dalla finestra.

Al di là di quanto detto, il cambio di fronte rispetto al decennio passato è comunque da giudicare positivamente. Il rischio di un phase-out immediato avrebbe potuto condannare la Repubblica federale a bollette sempre più care e a pericolosi black-out.

*La Corte Costituzionale di Karslruhe è già stata attivata dall’opposizione.

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Raschiando il barile tedesco… /2010/05/25/raschiando-il-barile-tedesco/ /2010/05/25/raschiando-il-barile-tedesco/#comments Tue, 25 May 2010 12:23:47 +0000 Giovanni Boggero /?p=6044 Nel marasma finanziario che, per la seconda volta in pochi anni, sta mandando sottosopra gli ambiziosi piani riformatori dell’esecutivo tedesco, c’è, a dire il vero, ancora spazio per l’approvazione di qualche provvedimento – in versione liofilizzata, ma pur sempre- condivisibile. Mi riferisco al taglio delle sovvenzioni alle lobby del solare (-16%) e all’accorciamento del servizio militare/civile da nove a sei mesi. Entrambe le misure, previste dal patto di coalizione siglato nell’ottobre scorso, sono un compromesso tra liberali e democristiani. Nonostante l’annacquamento rimangono però una buona cosa. Ecco perché.

1)       Come ricordammo già in questo articolo per AGI-Energia dell’ottobre scorso, i sussidi al solare sono ormai unanimemente considerati inefficienti (non dai Verdi, vabbé..) rispetto a quanto erogato per altre fonti di energia rinnovabile. Anche gli investimenti nel settore sono assai stagnanti e quasi tutti di fonte pubblica, mentre questo non è il caso dell’eolico, relativamente più concorrenziale e con una quota di investimenti privati molto più elevata, come ricordano anche dall’IW di Colonia. Manca ancora il voto del Bundesrat, ma siamo in dirittura d’arrivo. Bene.

2)      L’FDP avrebbe voluto un’abolizione totale, sul modello di molti altri stati europei. Come accaduto altrove, ha dovuto piegarsi e accettare soltanto una ulteriore riduzione del periodo di coscrizione obbligatoria. Vena militarista dei democristiani? Niente affatto; o meglio, non solo. Eliminando il servizio militare, si sarebbero tagliate le ali anche ai nove mesi (già ridotti nel 2004 dai tredici precedenti!) di servizio civile, potente mezzo di ammortizzazione sociale. Con 10 euro al giorno- alla faccia del precariato!- decine di migliaia di studenti svolgono servizi di prima necessità in case di riposo, ospedali, enti pubblici e privati. Un esercito di parastipendiati pubblici che non si esaurisce mai. Privarsene non sarebbe affatto popolare. Ed Angie bada alla sostanza.

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Well done, Herr Schäffler! /2010/05/18/well-done-herr-schaffler/ /2010/05/18/well-done-herr-schaffler/#comments Tue, 18 May 2010 11:20:00 +0000 Giovanni Boggero /?p=5998 Quando abbiamo conosciuto Frank Schäffler nel febbraio scorso per questa intervista, ci è stato chiaro fin da subito che la permanenza di un libertario così ingombrante in un partito come l’FDP, tendente ad essere risucchiato dalla signora Merkel e dalla “social-democratizzazione” del suo partito, non sarebbe stata facile. Oggi, dopo essere stato l’unico parlamentare liberale a non aver votato gli aiuti alla Grecia, arrivano le dimissioni da Obmann della Commissione finanze del Bundestag. Il motivo? L’approvazione da parte del gruppo parlamentare FDP della proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie, da lui avversata in un magnifico intervento del dicembre scorso, nel quale i nomi di Hayek e Mises sono rimbombati per la prima volta nell’emiciclo del Reichstag. Chapeau Herr Schäffler e buona fortuna!

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La iattura dello stile Merkel /2010/05/08/la-iattura-dello-stile-merkel/ /2010/05/08/la-iattura-dello-stile-merkel/#comments Sat, 08 May 2010 10:21:17 +0000 Giovanni Boggero /?p=5938 Il grido di allarme della signora Merkel contro gli speculatori malvagi che vogliono affondare l’Eurozona rientra precisamente in quello che, con ogni probabilità, i posteri definiranno  “Merkel-pensiero”, un misto di attendismo associato a goffo opportunismo, nell’intento di risolvere i problemi del paese (leggasi: guadagnarsi la rielezione).

La signora Merkel è così: quando si presenta un fatto scomodo, prima tace, poi borbotta frasi ovvie, lasciandosi pur sempre aperta ogni possibilità di intervento e infine, incalzata dagli eventi, prende una decisione, spesso e volentieri al ribasso, spesso e volentieri rimangiandosi quanto detto nelle settimane precedenti. Il tutto, con il piglio da statista che fa del pragmatismo la sua bandiera. A tale indecoroso spettacolo abbiamo assistito lo scorso anno in occasione del grottesco tira e molla per Opel, ci è nuovamente toccato in sorte in questi ultimi mesi in concomitanza con l’Odissea greca e ne prenderemo ulteriore contezza nei prossimi giorni, quando l’FDP tornerà alla carica per chiedere che la Germania abbassi il carico fiscale sulle persone fisiche.

La stessa carriera della signora Merkel, d’altra parte, è interamente segnata da un simile approccio nei confronti del potere. Ne abbiamo già discusso qualche mese fa qui, contestando vibratamente chi ancora nel nostro paese ama dipingere l’operato di Angie usando toni a dir poco celebrativi. Ebbene, nel caso concreto il riferimento ad una guerra tra gli “Stati e i mercati”, ripresa ossequiosamente da tutti i principali organi di stampa (tedeschi e non) è funzionale a rimestare nel vivo delle angosce dei risparmiatori, a poche ore dall’apertura delle urne nel Land di Düsseldorf, oltre che ad allontanare l’attenzione degli elettori da una soluzione di salvataggio che aggiunge debito a debito. Il che, per una Germania impegnata in una difficile opera di risanamento, non si tratterà proprio di bruscolini…

E pazienza se, in realtà, ad aver dato segnali tutto fuorché inequivocabili sia stato lo stesso esecutivo tedesco, come ben ricorda Mario Seminerio sul suo blog. Perdere il Nordreno-Westfalia, regione più popolosa dell’intera Repubblica federale e tradizionalmente schierata a sinistra, significherebbe avere ulteriori problemi al Bundesrat, dove la coalizione giallo-nera ha ad oggi una risicatissima maggioranza. Pur di non cedere il passo all’SPD come primo partito, la signora Merkel sta tentando nelle ultime ore di “sorpassare a sinistra” i socialdemocratici. Con lo stile e la nonchalance (che alcuni definirebbero “faccia tosta”), che ricordano in tutto e per tutto il quadriennio di Große Koalition. Dall’inizio del suo secondo mandato poco o nulla è stato combinato, a parte l’incaponirsi per mesi sull’aliquota IVA agevolata per gli albergatori. Tutto il programma, già di per sé vago, è stato spostato in avanti, in attesa di questo cruciale appuntamento. CDU e soprattutto FDP domani ne pagheranno le conseguenze. I nostri pronostici di settembre ed ottobre si confermano tragicamente realistici.

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Grazie Guido /2010/02/13/grazie-guido/ /2010/02/13/grazie-guido/#comments Sat, 13 Feb 2010 10:30:09 +0000 Giovanni Boggero /?p=5162

“Those who work must earn more than those who do not. I must be allowed to say that in Germany. Everything else is socialism” Guido Westerwelle German Vice-Chancellor.

Neanche a farlo apposta avevamo lambito i confini dell’argomento proprio la scorsa settimana. Nel frattempo un ottimo reportage della Wirtschaftswoche ha contribuito a far luce sull’iniquità del sussidio Hartz IV. Chi non lavora riceve più di chi lavora. Questa la sintesi. I sindacati e l’SPD sostengono che il problema risieda altrove, ovvero proprio in quei lavori scarsamente qualificati, a loro giudizio “sottopagati”. La soluzione a loro avviso è molto semplice: basta alzarli. E il “gioco economico” è fatto. Il sospetto che non sia la produttività ad essere determinata dai salari, ma i salari dalla produttività, che il sommerso possa aumentare, tornando o anche superando il 17% del Pil (livello più alto raggiunto nel 2003) e le aziende fuggire nei paesi vicini non li sfiora minimamente. La battuta del leader dell’FDP (sulla falsariga dello slogan scelto per la campagna elettorale: “Lavorare deve di nuovo valer la pena”) si lega alla recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che ha giudicato incompatibile con la Legge fondamentale il metodo contabile di fissazione del sussidio sociale Hartz IV. Benché non vi sia stato alcun accenno all’opportunità di aumentare il contributo, la percezione che l’opinione pubblica ha avuto della decisione è che le aliquote Hartz IV vadano generosamente corrette verso l’alto. La discussione nella già traballante coalizione giallo-nera si è così infiammata. Staremo a vedere. In un paese in cui molti bambini, interrogati sul proprio futuro lavorativo, rispondono: “Ich will hartzen” (ovvero, “voglio hartzeggiare”), l’uscita di Westerwelle, dalla quale la Merkel ha prontamente preso le distanze, ci è parsa persino troppo morbida.

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Se rubare i dati diventa morale… /2010/01/31/se-rubare-i-dati-diventa-morale/ /2010/01/31/se-rubare-i-dati-diventa-morale/#comments Sun, 31 Jan 2010 10:15:38 +0000 Giovanni Boggero /?p=4991 Ci risiamo. Proprio come due anni fa, la Germania si trova di fronte all’ennesimo dilemma: comprare o non comprare dati di presunti evasori fiscali in Svizzera da un informatore segreto ? Nel 2008 la spy story ordita dai servizi segreti tedeschi (BND) e partita con il benestare dell’allora Ministro delle Finanze Peer Steinbrück (SPD), si concluse con l’arresto di centinaia di contribuenti tra cui anche Klaus Zumwinkel, capo di Deutsche Post (che poi patteggiò un anno più tardi la pena, senza che vi fossero imponenti manifestazioni di piazza organizzate da questurini alla Travaglio). Di allora riproponiamo questa nostra intervista ad Alberto Mingardi per la rivista Ideazione.

Come detto, oggi la situazione si ripresenta. Ministro è il democristiano Wolfgang Schäuble. L’altro giorno la Frankfurter Allgemeine dà infatti notizia che un uomo sarebbe in possesso di dati di circa 1500 presunti evasori fiscali e che sarebbe pronto  a venderli alla Repubblica federale per il modico prezzo di 2,5 milioni di euro. Come dire: “Io vi dico dove sono i soldi, poi ci spartiamo il bottino.”  Per ora Schäuble si è trincerato dietro ad un no comment. Per lui hanno parlato deputati di maggioranza ed opposizione. Tra chi si dichiara favorevole a partecipare alla violazione della sovranità di un altro Stato, come accadde nel 2008 con il Liechtenstein, pur di accaparrarsi i dati di chi ha trovato rifugio altrove per il proprio denaro, vi sono deputati dell’SPD e persino dell’FDP, il partito liberale.

Che si possa condurre la lotta all’evasione fiscale con ogni mezzo, in spregio alle regole che vigono negli altri Stati pare ormai una norma di comportamento assodata. Il fine supremo è gonfiare quanto più è possibile il fisco. Come ciò avvenga non sembra impensierire, tanto più in momenti di crisi e di calo delle entrate. Il paragone di Adamo ed Eva, della mela e del Giardino dell’Eden usato stamane sempre dalla FAZ è tanto amaro, quanto veritiero.

A suo tempo Steinbrück arrivò addirittura a minacciare la cavalleria (sic) contro la Svizzera, se non avesse deciso di collaborare con le autorità tedesche. L’attuale Ministro della Difesa ed ex titolare all’Economia Zu Guttenberg (CSU)  è al momento l’unica voce nel governo ad essersi levata contro l’acquisto di dati rubati. Come ha giustamente sottolineato l’esecutivo di Berna, il mestiere di “ladro di dati personali” non risulta sia mai esistito. Notevole per una coalizione come quella giallo-nera, salita al potere con la promessa di tutelare la privacy dei cittadini, evitando tra le altre cose il salvataggio dei dati informatici e la censura del web.

Update: L’FDP pare essere tornata sui suoi passi. A correggere il tiro ci pensa il solito Frank Schaeffler. Nelle ultime ore la stampa ha modificato i titoli: CDU ed FDP contro l’acquisto, SPD a favore.

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Addio a Lambsdorff, liberale vero in tempi difficili /2009/12/08/addio-a-lambsdorff-liberale-vero-in-tempi-difficili/ /2009/12/08/addio-a-lambsdorff-liberale-vero-in-tempi-difficili/#comments Tue, 08 Dec 2009 16:32:17 +0000 Oscar Giannino /?p=4191 È morto Otto Friedrich Wilhelm von der Wenge Graf Lambsdorff, “Otto il conte” come tra la fine degli anni 70 e i primi 80 lo chiamavamo amichevolmente ai seminari IFLRY, la federazione internazionale dei giovani liberaldemocratico-radicali, seminari che venivano spessissimo ospitati e finanziati dalla Friedrich Naumann Stiftung della FDP. E ai quali interveniva molto frequentemente lui stesso, curiosissimo di capire che cosa masticassero le giovani leve liberali, europee e del mondo OCSE. Devo ammettere che mi è scappata una lacrima, quando ho letto della sua scomparsa. Perché è stato tra le personalità che più hanno spinto in avanti il mio pensiero, quando da giovanissimo ero convinto che Keynes avesse ragione, e che da noi in Italia l’accordo col Pci ricercato da Ugo La Malfa e Aldo Moro fosse necessario, per portare i comunisti alla piena occidentalizzazione e usare la loro energia per impostare riforme energiche senza delle quali l’Italia appariva destinata a un gramo futuro, sotto il duplice attacco della stagflazione e del terrorismo. Lambsdorff ci di dava torto, e aveva ragione lui. Per almeno tre ragioni.

Lui stesso in quegli anni divenne ministro dell’Economia nei governi di coalizione tra SPD e liberali, guidati da Helmut Schmidt. Ma sempre tenendo la barra ben ferma su politiche liberali e liberiste, continuando cioè ogni anno ad accettare le durissime polemiche che suscitavano i suoi discorsi e le sue proposte, di abbassamento delle spese federali e delle tasse, e di deregolazione dell’economia. Alla fine perdeva quasi sempre ma comunque non si tirava indietro mai. Se non ci fosse stato lui, gli anni di governo socialista sarebbero continuati e lo statalismo germanico sarebbe diventato ancor più pesante e invasivo. Al contrario, grazie alla ostinata e coerente tenacia liberale di Lambsdorff i tedeschi capirono che era il caso di voltare  pagina. E vennero gli anni di Kohl, sempre con “Otto il conte” all’Economia, e finalmente più spazio a politiche liberali. La prima lezione di Lambsdorff era che i liberali possono essere partner minoritari in una coalizione dominata da forze di massa, cattoliche o socialiste, ma che il loro compito consiste sempre nel tenere alta la bandiera e nel rompere le scatole, non nel rassegnarsi a farsene caudatari. Come per troppi anni fecero invece liberali e repubblicani italiani, verso Dc e Psi alleati.

La seconda lezione di Lambsdorff riguardava il mercato. Non amava affatto il capitalismo “renano”, e voleva per la sua Germania più capitalismo anglosassone. Ha scritto decine e decine di articoli contro l’eccessiva compenetrazione tra grandi gruppi bancari e grande imprese germaniche, condita di Mitbestimmung coi sindacati che oggi alcuni vogliono importare fuori tempo in Italia. “La coesione sociale serve alla Germania per renderla meno debole, ma per renderla più forte serve più crescita nel mercato e con più mercato, non con più vincoli orizzontali con le banche e verticali col sindacato”, ripeteva sempre. Le stesse cose diceva quando grandi imprese come Bosch o VW lo chiamarono nei consigli di gestione e sorveglianza.

La terza lezione vale ancor più per l’Italia di ieri e di oggi: ha a che fare con il giustizialismo. Dal 1981 al 1984 quando fu costretto dimettersi da ministro, Lambsdorff fu esposto agli attacchi martellanti della stampa di sinistra, per i contributi ai partiti del grande gruppo Flick. Resistette in maniera esemplare. Tutti i partiti li avevano ricevuti tranne i Verdi, e per quanto lo riguarda fu suo punto d’onore dimostrare che nemmeno un marco si era fermato alle sue tasche. Restando al suo posto, al governo. Alla fine, le imputazioni furono derubricate in sanzioni amministrative per irregolarità fiscali. Kohl lo sacrificò comunque, per ragioni elettorali, e sbagliò. La credibilità di “Otto il conte” era intatta. Al Bundestag, fu infatti rieletto fino al termine degli anni anni 90. E tanto era autorevole, che a 15 anni dalle sue dimissioni da ministro dopo il governo Schroeder a Lambsdorff si rivolse, per condurre in porto il difficile negoziato internazionale per il rimborso tedesco agli ex schiavi di guerra asserviti dal Terzo Reich, deportando e assassinando sul fronte orientale. Non meno di 5 miliardi, disse Lambsdorff quando Schroeder gli chiese di stabilire un tetto minimo al rimborso. E così fu, puntualmente. “Lo dobbiamo per lavare almeno parzialmente un onta che non sarà lavata mai, quella dei crimini di Stato che abbiamo compiuto”. Antistatalista anche in questo, e perciò ancor più fieramente antinazista, lui che negli ultimi mesi di guerra, giovanissimo, ci aveva rimesso mezza gamba sinistra. E per questo girava sostenendosi, fino  a pochi anni orsono, ad elegantissimi bastoni.

Auf Wiedersehen, Otto. Sono sicuro che migliaia di oggi non più giovani, ai quali decenni fa hai aperto la testa, sono impegnati a fare da oggi in avanti ancor meglio, memori delle tue lezioni.

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La paura tedesca e la retromarcia dell’FDP /2009/10/28/la-paura-tedesca-e-la-retromarcia-dellfdp/ /2009/10/28/la-paura-tedesca-e-la-retromarcia-dellfdp/#comments Wed, 28 Oct 2009 10:55:53 +0000 Giovanni Boggero /?p=3471 Paura della libertà. Ludwig von Mises parlò addirittura di odio. Il capitalismo alle pendici del Reno è, da che mondo e mondo, la cartina di tornasole del modo di pensare tedesco. Il mercato non è cosa per ruvidi sassoni. Più sicurezza, meno libertà. Questo è il fil rouge che corre- pur con qualche lodevole eccezione- da Otto von Bismarck ad Angela Merkel. Ecco perché il successo dell’FDP alle scorse elezioni del 27 settembre non deve illudere l’ignaro lettore italiano. E ciò è tanto più vero oggi, alla luce dell’accordo di coalizione raggiunto lo scorso fine settimana tra CDU/CSU e liberali. 24 miliardi di sgravi fiscali “possibilmente dal 2011”. Annuncio positivo. Che però rimane un mero annuncio. Sul filo di quelli collezionati sul tema dal nostro Presidente del Consiglio. Come le tasse verranno tagliate non è chiaro. Di certo, tutto si tratterà fuorché di una rivoluzione copernicana. Non foss’altro che una delle premesse è il mantenimento della tassa di successione, alla quale verranno apportati soltanto alcuni ritocchi. La ferma opposizione dei Länder, contrari anche all’ipotesi di ripiego che li porrebbe in concorrenza fra loro nell’imposizione del balzello, ha frustrato le pretese del partito di Westerwelle, che puntava alla sua abolizione. L’amara uscita di scena di Hermann Otto Solms, vera e propria mente del programma economico dei liberali, testimonia tutto sommato la sconfitta dell’FDP. Sconfitta- checché se ne dica- incassata anche su altri fronti: dall’abolizione dell’obbligo di leva (solo accorciato), alla tutela contro i licenziamenti (nulla di fatto), passando per la riforma della sanità. Ai fini della realizzazione di quest’ultima, FDP, CDU/CSU si sono accordate finora solamente su un punto: la nomina di una commissione ad hoc. Il che sa molto di rinvio all’italiana. Il leader della CSU Seehofer ha perfino tagliato corto: “Il fondo unico rimane e sulla sanità nulla cambia”. Riuscirà il giovane neo-Ministro della Salute Philipp Rösler (FDP) a dire la sua? Le casse mutue potranno tornare a farsi concorrenza o il mostro burocratico e pianificatore del Gesundheitsfonds le fagociterà? L’abilità della signora Merkel di liquidare i colleghi di governo, assumendo le decisioni che le garantiscono una maggiore popolarità, abbiamo imparato ad osservarla negli ultimi quattro anni di gabinetto rosso-nero. Perciò, non è affatto escluso che come si è mangiata i socialdemocratici, così riduca alla marginalità anche i liberali. Le premesse ci sono tutte. Basta dare uno sguardo veloce ai volti scelti per il suo nuovo gabinetto giallo-nero: da Ursula von der Leyen a Thomas De Maiziére, da Norbert Röttgen a Wolfgang Schäuble (e ai sottosegretari socialdemocratici  alle Finanze che rimarranno in carica). Tutti politici fidati, che sapranno farle da spalla, isolando i pochi ministri dell’FDP. E così la continuità con il passato esecutivo emergerà in tutta la sua nitidezza: “l’FDP sarà la CDU, e la CDU sarà l’SPD”, si potrebbe riassumere. I sussidi per i figli -Kindergeld- verranno ancora aumentati (nonostante gli scarsi risultati ottenuti fino ad oggi), le condizioni per ottenere il sussidio di disoccupazione Hartz IV migliorate e i fondi -a pioggia- destinati all’istruzione generosamente fatti lievitare. Certo, l’unica cosa di cui ci si può rallegrare è l’archiviazione dell’ipotesi di un salario minimo generalizzato e l’introduzione di un contributo a carico dei lavoratori per favorire il passaggio ad un’assicurazione privata di assistenza per invalidi ed anziani (cosiddetta Pflegeversicherung). Ma da un governo che sulla carta avrebbe dovuto segnare un netto cambiamento rispetto ad undici anni di governo socialdemocratico, ci si sarebbe aspettato più coraggio. Ma in Germania ha vinto, come al solito, la paura: the German Angst, la definì a suo tempo Rainer Hank, editorialista della Frankfurter Allgemeine, ritornato in questi giorni con accenti di forte criticità sul Koalitionsvertrag appena siglato. L’FDP ha negato sé stessa. Impegnata com’era a scrollarsi di dosso l’accusa di essere un pericoloso manipolo di neoliberisti, il partito di Westerwelle ha calato le braghe. Delle proposte di riduzione della spesa pubblica formulate in campagna elettorale non se ne rintraccia manco mezza nel patto di coalizione. La stessa signora Merkel ha detto che “pensare di ristabilire equilibrio nei conti pubblici risparmiando, non ha senso”. Peccato. Invertire il senso di marcia sarebbe stato importante, tanto più in un momento come questo. La spesa pubblica tedesca negli anni non è mai diminuita. Al contrario, è sempre aumentata, anche nella scorsa legislatura, quando i cordoni della borsa avrebbero potuto essere stretti. Ma questa diffidenza nei confronti del taglio alle tasse, come ben spiega anche Alberto Mingardi sul Riformista, è tanto più curioso, se si considera che allorquando vi sono da aumentare le prestazioni sociali o i sussidi le riserve di esperti e politici sono tre volte meno pronunciate di quando si discute di lasciare in tasca ai cittadini una fetta più ampia del proprio patrimonio. Per diminuire le tasse, in Germania come altrove, non è mai il momento. La congiuntura non lo permette. I tagli non avrebbero necessariamente l’effetto di aumentare i consumi e, in tempi di crisi economica acuta, con le entrate fiscali in discesa, la Germania sarebbe condannata a deficit sempre più alti. Il che, tenuto conto del famoso freno ai debiti (alzi la mano chi ci crede davvero!) inserito di recente nella Legge fondamentale, non sarebbe consigliabile. Nessuno, a parte poche voci nel deserto, sembra ricordare che la Germania non ha un problema di entrate, bensì un problema di uscite. Mai come negli scorsi anni lo Stato tedesco ha potuto giovarsi di così tante entrate fiscali (nel 2008, in confronto a quattro anni prima, la Germania poteva contare su qualcosa come 268 miliardi di euro in più!). Eppure chiudere il rubinetto non è realistico, molti osservatori l’hanno pragmaticamente fatto notare. La classe politica non riduce volentieri il proprio potere di controllo sulla società, nè taglia volentieri i rami del proprio consenso. Tanto più se il politico in questione si chiama Angela Merkel. Il freno ai debiti inserito in Costituzione è quindi un libretto delle buone intenzioni, che si presta ad eccezioni ed interpretazioni di varia natura. Sulla Frankfurter Rundschau, quotidiano progressista, se ne chiedeva qualche giorno fa addirittura l’eliminazione. Il bilancio dello Stato non può essere paragonato a quello del cittadino medio, si è scritto. Idea che ricorre anche in un libello molto discutibile di Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times, tutto sommato ben disposto nei confronti di una maggiore spesa pubblica con funzione anticiclica. E allora? E allora è forse meglio finanziare il taglio delle tasse in deficit, piuttosto che passare ad un girone più doloroso dell’inferno fiscale.

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Germania: altri quattro anni di incertezza con un sistema in cambiamento /2009/09/28/germania-altri-quattro-anni-di-incertezza-con-un-sistema-in-cambiamento/ /2009/09/28/germania-altri-quattro-anni-di-incertezza-con-un-sistema-in-cambiamento/#comments Mon, 28 Sep 2009 13:36:18 +0000 Giovanni Boggero /?p=3005 Mi voglio ricollegare a quanto scritto da Oscar Giannino sulle elezioni in Germania per fare due ulteriori brevi considerazioni.

Come ha notato Gian Enrico Rusconi negli scorsi giorni su La Stampa e come ha ripetuto ieri sera al Goethe Institut di Torino, il tentativo di stabilire un nesso tra politica italiana e politica tedesca è destinato rovinosamente a fallire. E questo sotto più punti di vista: innanzitutto, dal punto di vista dell’importabilità di un modello elettorale, che se già in Germania è momentaneamente inceppato, figuratevi in Italia quale potrebbero esserne gli esiti. Da Prima Repubblica. E mi fermo qui. In secondo luogo, però, anche il tentativo di dipingere la frammentazione tedesca come un elemento di italianizzazione non è del tutto corretto. Ciascun paese ha la sua specificità e la sua evoluzione storica. La Germania ha già avuto a che fare in più occasioni con momenti di crisi del proprio sistema elettorale. In realtà la crisi si è rivelata poi solo una fase di cambiamento che è sfociata in un riequilibrio. La capacità di garantire l’alternanza e una rapida formazione di un esecutivo stabile ha sempre retto piuttosto bene. Con la prima grande coalizione tra il 1966-1969 si temeva per l’esito antidemocratico e potenzialmente distruttivo delle grandi intese. Stessa cosa nel 1983, quando i Verdi entrarono per la prima volta al Bundestag, spezzando il monopolio dell’FDP quale unico “partito di coalizione”. E poi ancora dopo il 1990 con l’estensione del sistema partitico all’Est. La PDS è rimasta a lungo confinata nei nuovi Länder e solo in un secondo tempo FDP e Verdi hanno incominciato a penetrarvi (questi ultimi sino ad oggi senza mai ottenere un grosso successo). Il sistema pentapartitico, quindi, è un portato del crollo del Muro e della capacità della PDS di resistere e radicarsi in quelle zone meglio di quanto siano riusciti a fare le altre formazioni politiche. Ora, grazie anche all’opera di saldatura di Lafontaine e della sua WASG, questa instabilità ha contagiato l’intero paese. Il sistema è inceppato, ha detto D’Alimonte. Alcuni studiosi, meno pessimisti, considerano che quando sarà venuto meno il periodo della conventio ad excludendum dei postcomunisti  (oggi Die Linke) un riequilibrio sia nella natura delle cose. Proprio come fu con i Verdi. Ma più partiti si aggiungono, più sarà difficile raggiungere intese elettorali e compromessi al momento di governare. Lo scenario da Repubblica di Weimar non è poi così remoto.
Proprio a tal proposito, permettetimi ancora due battute sull’alleanza FDP-CSU/CSU. Se fino ad oggi ha governato una “grande coalizione”, d’ora in poi ne avremo per così dire la bella copia.  La mediazione e il litigio continueranno ad essere all’ordine del giorno. I partiti di governo hanno obiettivi comuni in campo energetico, fiscale (ma attenzione a non illudervi, Giannino l’ha spiegato bene) e il no al salario minimo generalizzato (come ho già scritto altrove, quelli nei vari settori finora varati rimarranno). Sostanziale consonanza invece sulla politica estera e di difesa (a parte l’impiego dell’esercito all’interno dei confini tedeschi). Grosse difficoltà in tema di riforma sanitaria, obbligo di leva (che l’FDP vuole abolire) e alleggerimento delle regole sul licenziamento. Se si aggiunge che la CSU vorrà fare come al solito la prima donna e metterà i bastoni fra le ruote, stiamo pure certi che la Germania va incontro ad altri quattro anni in cui l’incertezza continuerà a regnare sovrana.

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