CHICAGO BLOG » evasione http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Contro i demagoghi delle “liste fiscali”: viva la Svizzera e il Liechtenstein /2010/08/11/contro-i-demagoghi-delle-liste-fiscali-viva-la-svizzera-e-il-liechtenstein/ /2010/08/11/contro-i-demagoghi-delle-liste-fiscali-viva-la-svizzera-e-il-liechtenstein/#comments Wed, 11 Aug 2010 09:50:04 +0000 Oscar Giannino /?p=6755 Questo post farà girare le scatole a molti. A tutti coloro che invocano le manette agli evasori, cioè alla nettissima maggioranza, tra gli italiani. So di essere assolutamente minoritario io, a sdegnarmi tutti i giorni della propaganda messa in atto abilmente dall’Agenzia delle Entrate per creare consenso di massa alle pretese rapinatrici del fisco statale. Propaganda alla quale tutti i media – tutti, di qualunque orientamento – cedono volentieri, perché è ovvio che aumentano i lettori e gli ascoltatori, se li si pettina per il verso più facile, quello di presentare ogni giorno scandalosi dati e casi di evasori fiscali. Così è più facile ottenere l’obiettivo di far dimenticare a tutti il vero enorme e intollerabile scandalo: quanto e come lo Stato distrugga ricchezza, attraverso l’astronomico 48% di Pil a cui ammonta il totale delle sue entrate a vario e diverso titolo. per questo vi faccio una domanda fuori dai denti. Ma a voi stanno simpatici, Heinrich Kieber ed Hervé Falciani, i presunti erori che hanno girato ai grandi paesi europei le liste di presunti evasori annidati in banche di Paesi come Svizzera e Liechtenstein? A me, per niente. Per quanto mi riguarda,  il loro posto è la galera. Non la bella vita che stanno conducendo protetti da servizi segreti e polizia  in amene località marine e montane. Il loro merito, agli occhi dei grandi Stati europei che gli hanno anche allungato quasi 5 milioni di euro a testa? E’ semplice. Hanno volgarmente tradito le aziende per cui lavoravano, e la fiducia di migliaia di clienti che a quelle aziende si affidavano. Ma lo hanno fatto per una scelta cinica che si è rivelata giusta: hanno capito che, nella crisi, economica e finanziaria, gli Stati si sarebbero comportati come dei lupi famelici. E ora Kieber, Falciani e almeno un altro paio di colleghi i cui nomi non sono ancora noti, se la godono contenti. Mntre migliaia  di cittadini e imprenditori incolpevoli subiscono grazie a loro brutali linciaggi mediatici, pur essendo in piena regola con le leggi tributarie. Come è appena capitato in Italia alla famiglia Aleotti, industriali farmaceutici proprietari della Menarini. Gettati tra le fauci avide del giustizialismo tributario italiano con titoloni sparati sui 475 milioni di euro all’estero. Aggiungendo sono in piccolo all’ultima riga, per i pochi che se ne sono ricordati, che i denari in questione sono perfettamente in regola e sono puntualmente rientrati con lo scudo-Tremonti.

Quale abietto rivolgimento della legge e dell’ordine è avvenuto, se dei criminali godono oggi della riconoscenza statale, mentre le vittime dei loro reati se la devono vedere con Procure e roghi mediatici? Purtroppo, la storia dimostra che gli Stati sono sempre affamati di entrate fiscali. Nella crisi, la loro fame è cresciuta a livelli record.  L’evasione fiscale era una tiritera di solito riservata alla politica e al dibattito pubblico italiano e greco. Ma da due anni a questa parte, si scopre una verità scomoda e che in Italia molti tentano ancora di negare, e cioè che l’evasione fiscale – io preferisco parlare di autoprotezione dalle esose pretese statali, quando avviene  attraverso tutte le armi previste dalla concorrenza degli ordinamenti fiscali internazionali – non è affatto una prerogativa italiana, ma è diffusissima ovunque. E’ allora che sono entrati in campo i colleghi in mezzo mondo di Attilio Befera, il brillantissimo capo dell’Agenzia delle Entrate italiane, che dall’inizio della crisi sta battendo tutti i record di accertamenti fiscali e di individuazione di redditi sottratti al fisco, e ci riesce malgrado il maxi scudo di rientro dei capitali varato nell’autunno 2009 e protratto fino all’aprile scorso, grazie al quale sono stati regolarizzati oltre 100 dei circa 550 miliardi di capitali italiani stimati in “Paesi sospetti”.

Ma naturalmente, i Paesi che fino al 2008 quasi non esistevano sui media internazionali se digitavate “evasione fiscale”, hanno deciso che se guerra all’evasione doveva essere per tagliare meno spesa pubblica, allora doveva trattarsi di guerra vera. Non la faticosissima trafila del redditometro italiano, milioni di dati presuntivi sugli indicatori di reddito disponibile da processare per arrivare poi a migliaia di ispezioni in uffici di professionisti, lavoratori autonomi e aziende. O gli inollerabili studi di settore, che aspettano ancora di essere aggiornati ai dati della crisi e alle curve di costo territoriali – lo Stato è rapido a promettere, lentissimo a mantenere, solo le tasse le vuole tutte e subito quando dice lui – col risukltato che quest’anno oltre il 50% dei soggetti sottoposti risuklteranno “non congrui”.

No, Germania e Francia hanno scelto una via diversa. La guerra moderna nasce dai testi di Clausewitz e dalle vittorie di Napoleone. Entrambi predicano velocità e fini anteposti ai mezzi. E’ per questo, che tedeschi e francesi hanno deciso di non andare per il sottile. Hanno fatto scendere in campo i loro servizi segreti, i meglio indicati per individuare in poche settimane i traditori al miglior offerente delle banche per cui lavorano. Kieber e Falciani rappresentano un classico, sotto questo profilo. Quarantadue anni il primo e trentotto il secondo, avevano puntualmente tentato di vendere a banche  concorrenti il database che avevano illegalmente trafugato relativo a migliaia di clienti degli istituti per cui lavoravano, addetti a delicate procedure informatiche. Succede regolarmente: non è che le funzioni di security tecnologica dei database “sensibili” portino a brutte tentazioni solo nelle società telefoniche italiane, come avvenne col caso Tavaroli. Polizie e servizi occidentali hanno le liste di tutti coloro che sono addetti a tali funzioni, e quando iniziano a fare strani viaggi all’estero per incontrare emissari della concorrenza e provare a vendere i dati per la cui riservatezza sono pagati,  è un giochetto intervenire, minacciare di sbatterli in galera per uno dei tanti articoli del codice che stanno violando, e convincerli a dare ai servizi stessi ciò che avevano trafugato. E’ esattamente quel che i tedeschi del BND hanno fatto con Kieber, assicurandosi una lista di oltre 15 mila clienti che detenevano oltre 130 miliardi di euro presso veicoli finanziari creati e amministrati dalla LGT in Lichtenstein, e quel che i servizi francesi hanno fatto con Falciani, che se la spassa in Costa Azzurra avendo girato loro dati e consistenze di decine di migliaia di clienti della sede centrale di Ginevra  del colosso HSBC, l’ottava banca mondiale britannica di nome e mezza cinese ormai di fatto. Oltre quattro milioni a testa, questo il prezzo del loro tradimento di Stato. Che vale a Falciani anche l’aggiunta di quanto ricava per sospiratissime interviste sui migliori giornali continentali, colloqui in cui si spaccia per benefattore dell’umanità e non risponde sul perché e il percome i servizi francesi lo avessero messo nel mirino dopo un abboccamento a vuoto a Beirut a nome di istituti di credito concorrenti al suo, proprio per metterne alla prova la determinazione alla frode.

I valori e i delitti cambiano, al mutare delle circostanze. Capita così che Padre Dante riservasse ai traditori di chi si fida il nono cerchio dell’Inferno e il gelo eterno del Cocito, cioè la parte più profonda a simboleggiarne una nefandezza ben più grave di quella di incontinenti e ladri, simoniaci e barattieri. Ai tempi nostri, lo Stato si fa volentieri Dio e manda i traditori in Paradiso. Con l’imbarazzo di dover ammettere di avere nel corso di una medesima vicenda cambiato drasticamente idea. È quello che avviene per esempio in queste settimane in Germania. Dove il Land dello Schleswig Holstein ha deciso di aggiungere anche la propria iniziativa a quella dei servizi federali, e si è offerto di comprare una nuova lista di evasori presunti da un funzionario infedele della LLB, un’altra banca sempre del Liechtenstein. Il piccolo particolare è che la banca del principato aveva denunciato il furto tre anni fa, e allora le autorità federali germaniche avevano pienamente cooperato al recupero dei dati, costato 9 milioni di euro alla banca per il riscatto, nonché alla successiva condanna presso un tribunale tedesco del traditore medesimo, per la bellezza di 5 anni e 3 mesi. Si capisce bene che risulta un po’ difficile giustificare come 3 soli anni fa si finisse per anni in carcere, per lo stesso delitto che viene oggi indotto, strapagato e glorificato dai servizi segreti del medesimo Paese.

Non solo in Italia, i media hanno potentemente contribuito coi loro titoloni alla campagna propagandistica su queste liste che il fisco nazionale tedesco e francese, italiano e britannico hanno alimentato, al fine di assicurare dovunque consenso alle pressioni fiscali in aumento. Con risultati in realtà abbastanza diversi. Il Regno Unito si è attenuto alla regola che il Revenue and Custom Service dovesse istruire regolari istruttorie, senza poter contare sulla valenza probatoria dei dati giunti da liste che Francia e Germania hanno condiviso con gli altri Paesi OCSE.  Francia e Germania hanno usato il pugno di ferro, tagliando la testa a capi di grandi aziende come le Poste germaniche. In Italia, la parte nazionale della lista Kieber  è stata distribuita all’inizio tra ben 23 Procure: ma le eventuali ipotesi di reato erano comunque pressoché sempre prescritte, e in ogni caso la provenienza illecita dei dati ha portato ad archiviazioni di massa. Ci hanno pensato Befera e i suoi, a integrare coi nomi delle liste i 170 Paperoni italiani sconosciuti e nel mirino dal 2009 di accertamenti straordinari, e i circa 30 mila sospettati di attività finanziaria non in regole nei paradisi societari.

Il vero risultato è ciò che gli Stati si proponevano sin dall’inizio, oltre al consenso mediatico delle opinioni pubbliche: indurre il principato del Liechtenstein a smontare circa 15 mila tra Anstatlt e Stiftung, i veicoli fiduciari inventati ai tempi di Weimar da due geni benemeriti della finanza europea antistatalista,  Wilhelm Beck ed Heinrich Kuntze; indurre la svizzera UBS a consegnare agli americani – che non hanno pagato nulla – migliaia di nomi di clienti statunitensi, mentre Credit Suisse e altri grandi istituti sono stati costretti a un giro di vite dopo il caso HSBC. In piccolo, l’Italia ha mostrato e mostra i denti a San Marino. Era la concorrenza di piccoli Paesi che assicurano la riservatezza dei dati e hanno poche pretese fiscali, a dare davvero fastidio ai grandi dissipatori di denari dei contribuenti.   E questo obiettivo, dopo 80 anni di acquiescienza,  è stato raggiunto dai grandi Paesi europei con maggior efficacia  del falò d’immagine riservato ai presunti evasori. Riflettete su questo, voi tanti scandalizzati permanenti che credete davvero alla favola che le tasse si possano abbassare solo quando l’ultimo evasore sarà stanato: è una frottola gigantesca, perché ogni euro recuperato fa solo aumentare la pressione fiscale complessiva e non fa scendere la pressione su di me e tanti di voi che le imposte le pagate regolarmente.

Per quanto mi riguarda, se il governo come sembra andrà a carte quarantotto tra accuse reciproche a chi è più puttaniere e raggiratore – un dibattito che a me ispira complessivamente ormai puro ribrezzo, e che descrive l’orizzonte etico-culturale di questi leader e dei loro accoliti – bisognerà che qualcuno ricordi con tutta la durezza del caso che non è più degno di alcuna fiducia, chi da tanti anni ha preso i voti con la promessa di abbassare le tasse, per poi far regolarmente aumentare la pressione fiscale. non c’è chiacchiera contro gli evas

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Draghi reloaded: bene Tremonti, però… /2010/05/31/draghi-reloaded-bene-tremonti-pero/ /2010/05/31/draghi-reloaded-bene-tremonti-pero/#comments Mon, 31 May 2010 10:15:54 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6099 In un paese sempre uguale a se stesso, è forse inevitabile che anche le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia - che Mario Draghi ha finito poco fa di leggere – abbiano il sapore acre del “già detto“. Non è, chiaramente, una critica a Draghi: il suo ripetersi è una risposta inevitabile all’essere sistematicamente “non ascoltato”. Lo si intuisce fin da quando il gov. chiarisce che le vendite di titoli di Stato colpiscono soprattutto paesi

titoli di Stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto, quelli di paesi dove queste due caratteristiche si combinano con una bassa crescita economica. Per questi paesi non c’è alternativa al fissare rapidamente un itinerario di riequilibrio del bilancio, con una ricomposizione della spesa corrente e con riforme strutturali che favoriscano l’innalzamento del potenziale produttivo e la competitività.

E’ evidente che il principale interlocutore di Draghi è il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Draghi, naturalmente, promuove la manovra da 25 miliardi di euro messa in campo dall’inquilino di Via XX Settembre. Lo fa dopo aver brevemente ricordato le caratteristiche ancora critiche del contesto internazionale, e dopo aver rimarcato che nel 2010 i paesi emergenti avranno tassi di crescita decisamente buoni, mentre tra quelli industrializzati, a fronte di una crescita “significativa” negli Usa e in Giappone, i segnali in Europa sono “deboli”. Draghi coglie l’occasione anche per difendere (con un tono un po’ da avvocato d’ufficio, onestamente) la riforma della finanza globale e, di striscio, i cambiamenti introdotti negli Stati Uniti dall’amministrazione Obama; e dà una pagella dignitosa al sistema bancario italiano.

L’operazione di avvicinamento alle questioni italiani procede attraverso una riflessione critica sull’Europa. Per Draghi, era inevitabile che la reazione alla crisi comportasse l’aumento vertiginoso del debito e del deficit pubblico quasi ovunque nel Vecchio Continente (rispetto al quale l’Italia segna una performance di relativo rigore). Per questo, la “exit strategy” rende

urgente un rafforzamento del Patto di stabilità e crescita: l’impegno a raggiungere un saldo di bilancio strutturale in pareggio o in avanzo va reso cogente, introducendo sanzioni, anche politiche, in caso di inadempienze; va assicurata l’integrità delle informazioni statistiche, in particolare quelle di finanza pubblica va assicurata l’integrità delle informazioni statistiche, in particolare quelle di finanza pubblica.

Per il Gov., insomma, l’Ue ha senso nella misura in cui riesce a essere guardiano efficace della solidità delle finanze pubbliche. E questo perché senza credibilità delle regole e dei bilanci degli Stati, difficilmente si creano le condizioni per avere investimenti e crescita. E’ in questo snodo che si innesta la riflessione sull’Italia – di cui Draghi ha ricordato l’imbarazzante deficit di crescita nel periodo pre-crisi: nel decennio scorso, l’Italia è cresciuta del 15 per cento contro il 25 per cento medio dell’Ue, il tasso di occupazione è inferiore di 7 punti (che diventano 12 per le donne), la produttività per ora lavorata è salita appena del 3 per cento contro il 14 per cento dell’eurozona.

In breve, la crisi italiana non coincide con la crisi europea e globale. Quella è transitoria; la nostra è strutturale. Per questo, gli interventi anticrisi non possono aver natura di eri provvedimenti d’urgenza. Draghi condisce la sua invettiva (oddio, non era proprio un’invettiva) con parole di fuoco per l’evasione fiscale (“macelleria sociale è una espressione rozza ma efficace: io credo che gli evasori fiscali siano i primi responsabili della macelleria sociale“, dice discostandosi dal testo scritto) e la corruzione. Ma il fulcro delle sue valutazioni sta qui:

La gestione del turnover nel pubblico impiego e i tagli alle spese discrezionali dei ministeri recentemente decisi dal Governo devono fornire l’occasione per ripensare il perimetro e l’articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l’allocazione delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni tra enti e livelli di governo. Occorre un disegno esteso all’intero comparto pubblico, che accompagni le iniziative già avviate per aumentare la produttività della pubblica amministrazione attraverso la valutazione dell’operato dei dirigenti e dei risultati delle strutture.

Il Governo ha introdotto misure di contrasto all’evasione fiscale. L’obiettivo immediato è il contenimento del disavanzo, ma in una prospettiva di medio termine la riduzione dell’evasione deve essere una leva di sviluppo, deve consentire quella delle aliquote; il nesso fra le due azioni va reso visibile ai contribuenti.

In breve,

In molte altre occasioni abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende più urgenti.

In sostanza, Draghi invita il governo a essere più coraggioso, a guardare al lungo termine e trasformare le necessità imposte dalla crisi nell’occasione virtuosa per completare riforme a lungo attese, dall’aumento dell’età pensionabile al taglio strutturale della spesa pubblica, dalle liberalizzazioni alla razionalizzazione della spesa locale, dalla trasparenza nell’informazione statistica alla riduzione delle tasse. Solo così il paese potrà tornare a crescere. E solo crescendo potrà convergere verso i tassi di crescita della parte più dinamica dell’eurozona. L’esortazione di Draghi, dunque, suona come una promozione solo parziale della manovra di Tremonti, giudicata necessaria ma non sufficiente, coraggiosa ma non ambiziosa.

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Il successo dello scudo fiscale e la trappola dell’odio /2009/12/19/il-successo-dello-scudo-fiscale-e-la-trappola-dellodio/ /2009/12/19/il-successo-dello-scudo-fiscale-e-la-trappola-dellodio/#comments Sat, 19 Dec 2009 16:06:07 +0000 Oscar Giannino /?p=4367 Lo scudo fiscale si avvia a essere un pieno successo. Ci sono almeno due modi di considerare questo indubbio successo. Il primo è di alimentare ulteriormente la divisione tra contribuenti. Il secondo, di interrogarsi su ragioni ed effetti di chi ha aderito.Oltre cinque punti di Pil di ricchezza saranno alla fine regolarizzati e rimpatriati, ha annunciato Tremonti. E si tratta della sola stima attuale, una stima cioè a partire da ritmo e ammontare delle regolarizzazioni avvenute fino a un mese prima della scadenza, inizialmente prevista al 15 dicembre. Con la sua protrazione a due nuove finestre, entro fine febbraio con l’aliquota che passa dal 5% al 6%, ed entro fine aprile con aliquota maggiorata al 7%, non è azzardato immaginare che alla fine il bilancio dell’operazione potrebbe concludersi sui 100 miliardi di euro, o addirittura più ancora.

Che cosa pensarne? La prima strada – mettere i contribuenti l’un contro l’altro fomentandone l’avversione reciproca – è una vecchia e ben rodata tecnica di comunicazione, puntualmente seguita dallo Stato e dai governi di qualunque colore politico in carica, per massimizzare il risultato di gettito e contemporaneamente non perdere il consenso tra chi percepisce solo e prioritariamente un reddito da lavoro dipendente, soggetto cioè a ritenuta d’imposta alla fonte. Ma non è solo lo Stato esattore, a ricorrervi. E neppure solo i sindacati, i quali tradizionalmente, visto il profilo dei propri iscritti tra lavoratori in attività e pensionati, tengono sempre le armi puntate contro lavoratori autonomi, professionisti e imprese. Ultimamente, vi hanno fatto ricorso anche nuove figure, abbastanza insospettabili. Per esempio i banchieri, che pure dalle operazioni di regolarizzazione dei capitali costituiti all’estero lucrano bei soldini cioè non meno di 200 mio di euro, come intermediari presso i quali avviene la pratica di emersione. Recentemente Alessandro Profumo ha per esempio criticato gli imprenditori, che tanto si lamentano della stretta del credito, ma poi tengono i propri capitali all’estero e ne tengono tanti, visto il successo dello scudo. Capisco la necessità di argomenti per chiedere al governo che nuovi sgravi fiscali vadano magari non alle imprese ma alle banche, per le perdite sui crediti. Ma è una polemica infondata, anche autolesionista. I contribuenti tentano di difendersi dalle eccessive pretese dell’ordinamento fiscale italiano costituendo capitali in Paesi a più basso prelievo e maggior tutela della riservatezza bancaria e del risparmio, esattamente come le banche per pagare meno tasse insediano molte attività in Paesi come Lussemburgo e Irlanda. Fanno bene entrambi. Ed è grazie alla concorrenza fiscale dei Paesi a minor prelievo che nell’Ocse negli ultimi 18 anni l’aliquota media sull’impresa è scesa di quasi 10 punti (naturalmente, non in Italia), senza che ciò determinasse affatto una caduta del gettito relativo, bensì il suo accrescimento.

C’è da sperare dunque che siano in pochi, a puntare il dito contro i regolarizzati come se fossero evasori fiscali pentiti e impauriti, da additare al pubblico ludibrio. Al contrario, se migliaia e migliaia di imprenditori e risparmiatori hanno deciso di approfittare dell’ottima offerta – per questo è stato saggio tenere un’aliquota bassa, senza dar retta a chi la invocava quattro o cinque volte più alta, e senza dar troppo retta neanche a Tremonti che continua a negare che il suo scudo sia assai più conveniente di quello di altri Paesi – ciò significa che scommettono con fiducia sulle possibilità aperte davanti all’Italia. Non è poco, perché quei 100 miliardi d’ora in poi garantiranno nuove risorse allo Stato entrando definitivamente a far parte della base imponibile da cui prima mancavano. Ma, soprattutto, genereranno nuovi investimenti, impresa e occupazione, tutte cose che servono assai più, prima e dopo di uno Stato famelico.

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Fate l’amore, non la dichiarazione dei redditi /2009/08/31/fate-lamore-non-la-dichiarazione-dei-redditi/ /2009/08/31/fate-lamore-non-la-dichiarazione-dei-redditi/#comments Mon, 31 Aug 2009 17:46:56 +0000 Giovanni Boggero /?p=2405 Postkarten- und T-Shirt-Motiv 'Make Love not Steuererklärung'

Che se l’avesse fatto Berlusconi un manifesto elettorale del genere, Scalfari ci avrebbe già regalato uno dei suoi ineguagliabili pippozzi. Per fortuna l’FDP, il partito liberale tedesco, è in Germania: panegirico domenicale risparmiato.

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Del perché servirebbe un’opposizione /2009/08/13/del-perche-servirebbe-unopposizione/ /2009/08/13/del-perche-servirebbe-unopposizione/#comments Thu, 13 Aug 2009 13:48:14 +0000 Alberto Mingardi /?p=2041 L’attuale governo è di tanto in tanto accusato di essere “il governo degli evasori”, sulla base di qualche facile allusione al passato perlomeno di due esponenti di primissimo piano dell’esecutivo. Ovvero il Presidente del Consiglio, che si immagina abbia con le banche svizzere la familiarità che hanno persone della stessa affluenza, e il Ministro dell’Economia, il cui nobile lavoro per anni si presume sia consistitito per anni (così come per tutti gli altri che fanno il mestiere suo) nell’aiutare contribuenti italiani a contribuire il meno possibile.
Sarà forse per falsa coscienza che “la guerra all’evasione non va in vacanza”, lo spiega il Sole 24 Ore di oggi, nel raccontarci come tornerà in gran voga il redditometro:

a settembre, dopo una gigantesca operazione necessaria a incrociare i dati raccolti sotto l’ombrellone, dal quartier generale delle Entrate partiranno per le sedi regionali gli elenchi con i presunti evasori. Nelle liste nere figureranno i soggetti che saranno risultati con un tenore di vita non in linea con i redditi dichiarati con i modelli 730 e Unico.
A quel punto scatterà una raffica di accertamenti. Spetta ai contribuenti dimostrare di essere in regola. Fari puntati, in particolare, sui liberi professionisti: avvocati, medici, ingegneri. Ma anche artigiani e piccoli imprenditori. Insomma, più o meno chiunque, grazie alla sua attività, può in qualche modo tenere nascosta una parte del fatturato. Gli elenchi vengono messi a punto sulla base di parametri ben definiti. Tra i più discussi c’è l’iscrizione dei figli alle scuole private. Anche se sul capitolo istruzione lo stesso Befera aveva limitato il peso delle verifiche.
L’obiettivo è recuperare 7,2 miliardi di euro a fine 2009. E in campo Tremonti ha schierato pure la Guardia di finanza. Chiamata a eseguire controlli e ispezioni sulle liste di clienti di negozi dove vengono acquistati beni o servizi di lusso. Pure la sottoscrizione di una polizza assicurativa può far venire il sospetto di aver scovato il proprietario di un veicolo di lusso.

Complimenti al governo su due fronti. Il primo, è aver accettato in pieno l’idea che “toccherà ai contribuenti dimostrare di essere in regola”, anziché il contrario. La stessa maggioranza parlamentare che sostiene questo esecutivo ha fatto il diavolo a quattro, quando più o meno le stesse parole venivano usate da “vampiro” Visco. Cito solo Tremonti, 23 agosto 2007: La politica fiscale di quest’ anno ha dato corpo a una figura politica ricorrente nella storia: lo Stato criminogeno. Lo Stato che fabbrica leggi destinate a essere violate. Sale la pressione fiscale, cui si somma l’ oppressione fiscale. Quando il fisco si rende odioso inventando adempimenti-trappola che non servono a niente se non ad aumentare i messaggi e i costi dell’ obbedienza, è il fisco stesso che spinge all’ evasione e insieme ne costituisce l’ alibi. Tornando indietro nel tempo, contro il “riccometro”, si accesero le varie “conf” forti del supporto dei pochi ma vocali opinion maker di destra. E ora, chi protesterà? Ve l’immaginate “Repubblica” raccomandare la lettura, per dire, dell’agile “Elogio dell’evasore fiscale” di Leonardo Facco? O allegare, come fece Libero, il “Contro le tasse” di Oscar Giannino?
Complimento numero due. Il governo pragmaticamente sbatte tranquillamente nel cesso (non dico “cestino” perché mi sembra proprio che lo sciacquone sia stato già tirato) quel poco di cultura politica di cui si presentava armato. Ricordate “Lo Stato criminogeno”, la “fine dello Stato giacobino”, lo Stato “fornitore di servizi” del contribuente e non occhiuto censore, le tasse che devono essere pagabili per essere pagate, il limite “naturale” del 33% del prelievo sui redditi e quelle cose lì? Tutto quell’armamentario magari un po’ approssimativo nella sua elaborazione, ma di un liberismo schietto e schiettamente incardinato sugli interessi di alcuni elettori di centrodestra (i fantomatici ceti produttivi del Nord), è stato allegramente rottamato.
Conosco le obiezioni. Obiezione numero uno, “la tasse si devono pur pagare e la lotta all’evasione è cosa buona e giusta”. Obiezione numero due, “governare non è chiacchierare”, Obiezione numero tre, “in realtà è tutto fumo negli occhi e il governo berlusconian-democristiano accetterà trucchi e trucchetti messi in atto da gente che poi puntualmente vota a desta”.
Se è fumo negli occhi, è la cosa peggiore. Perché non è neppure l’eclissi di una politica: è la fine di una retorica che, per quanto non abbia dato granché frutto, rappresentava un elemento di modernizzazione in Italia. La prima repubblica finisce quando le tasse smettono di essere uno strumento di cui la classe politica parla asetticamente, e diventano una “issue”, materia di negoziazione fra Stato e cittadini.
Fare i muscoli sull’evasione fa felice chi paga regolarmente e non può evadere un centesimo, ma serve retoricamente per fare passare in secondo piano la necessità di un abbattimento della pressione fiscale. E’ il trucco di Visco: dissociare le due cose, che dovrebbero andare assieme (si chiede di pagare meno, si rende “più costosa” l’evasione che la compliance, e allora, al limite, si stanga), per fare della lotta agli evasori l’unica battaglia “di giustizia”. Come se non ci fosse un tema “di giustizia” nel salasso fiscale che subiamo noi tutti!
Ciò che è paradossale è che gli italiani si beccano la stessa minestra, che sia al governo Visco o il suo arcinemico Tremonti. Con una sola differenza. Che con la sinistra al governo, almeno la destra protesta ma soprattutto legittima la protesta delle categorie sociali colpite, suo tradizionale bacino di voti. Con la destra al governo, le categorie ragionano in termini d’appartenenza, e stanno zitte, negoziano con l’esecutivo su altri fronti, non esercitano potere di veto. I giornali di centro-destra non disturbano i loro referenti politici. E la sinistra non ha né la cultura né le credenziali per essere autorevole innanzi al “popolo delle partite IVA”, ai commercianti, ai professionisti, eccetera eccetera. Col bel risultato che le “viscate” hanno vita difficile solo quando al governo c’è proprio lui, il vampiro Vincenzo.

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L’Agenzia delle entrate “toppa” sulla scuola privata /2009/04/27/lagenzia-delle-entrate-toppa-sulla-scuola-privata/ /2009/04/27/lagenzia-delle-entrate-toppa-sulla-scuola-privata/#comments Mon, 27 Apr 2009 16:54:58 +0000 Oscar Giannino /index.php/2009/04/lagenzia-delle-entrate-toppa-sulla-scuola-privata/ Sono energicamente d’accordo con la dura protesta che nove associazioni – Agesc, Fidae, Agidae, Cnos-Fap, Ciofs-scuola, Fism, Foe-Cdo, Aninsei, Msc – hanno riservato all’incredibile circolare emessa dall’Agenzia delle Entrate. E’ dedicata a “Prevenzione e contrasto all’evasione fiscale”, e contempla tra i servizi di lusso indicatori di potenziale evasione da accertare anche l’iscrizione dei figli a scuole private. Compiere la scelta di far frequentare ai propri pargoli una scuola paritaria viene da oggi considerato un criterio analogo all’uso di porti turistici con barche da diporto, alla frequentazione di circoli esclusivi, wellness center e tour operator. E’ veramente singolare e a mio giudizio del tutto inaccettabile, che un simile principio venga affermato dal vertice amministrativo dell’amministrazione fiscale, per di più sotto un governo di centro destra. Potrei citare tonnellate di letteratura scientifica costituita da solide ricerche comparate sulla maggiore skillness di chi si forma in scuola private piuttosto che di Stato, nel nostro Paese. Ma è appena il caso di richiamarle. Quello che conta di più è la manifesta ignoranza dei fatto che le scuole paritarie fanno parte a pieno titolo del sistema dell’istruzione pubblica, ignoranza propalata dallo Stato stesso in una delle sue accezioni più sedicentemente “etiche” – la lotta alla famigerata “evasione”, naturalmente. Attualmente risulta ancora irrisolto il contenzioso sull’ultima rata dei contributi ordinari al sistema paritario che lo Stato ha tentato di trattenersi, a seguito delle rimodulazione triennale della spesa pubblica attuata con la finanziaria provvidenzialmente varata nel luglio 2008, appena il governo entrò in carica. In più, da oggi la libera scelta delle famiglie a proprie spese, per un capitale umano meglio formato e meno ostaggio del degrado della scuola di Stato, viene considerato a tutti gli effetti un “sospetto sociale”, fomite e scudo di mancato adempimento del dovere fiscale. Quando uno Stato si esprime in questi termini, mostra di disprezzare e infrangere le libertà naturali che dovrebbe considerare intangibili, quelle stesse libertà intangibili la cui difesa dovrebbe costituire prima – se non esclusiva – fonte di legittimità del prelievo fiscale stesso. Uno Stato insomma che diventa ladro e prevaricatore, ma che come al solito si ammanta di virtù. Che poi tutto ciò avvenga sotto l’egida del Popolo delle “libertà”, purtroppo la dice lunga. Se il ministro Tremonti ha appreso anch’egli della circolare dalle agenzie di stampa – come è perfettamente possibile e ordinariamente avviene – richiami per favore immediatamente il direttore dell’Agenzia delle Entrate a una visione meno robespierrista.

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