CHICAGO BLOG » elezioni http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Voteremo Nord vs Sud (finalmente) – di Mario Unnia /2010/11/06/voteremo-nord-vs-sud-finalmente-%e2%80%93-di-mario-unnia/ /2010/11/06/voteremo-nord-vs-sud-finalmente-%e2%80%93-di-mario-unnia/#comments Sat, 06 Nov 2010 16:57:40 +0000 Guest /?p=7481 Se le cose andranno come sembrano andare, il traballante bipolarismo politico si scioglierà nell’acido del multipolarismo, con effetti sulla governabilità che ci faranno rimpiangere la bassa performance degli ultimi governi. Ma per un bipolarisno che se ne va, un altro si consoliderà e occuperà l’intera scena politica: il bipolarismo socio-territoriale, chiamiamolo così, con un Nord dalle Alpi a Siena e un Sud dall’Alto Lazio in giù, isole comprese.

Alcuni partiti si schiereranno senza equivoci nei campi avversi: Lega, Idv, Sel. Tutto il Sud ha gettato la maschera, fa discorsi di tono autonomista, in Sicilia addirittura separatista, ma in realtà vuole annettere la capitale nel polo meridionalista. I cantori della nazione barricati a Roma avranno un unico ruolo possibile, essere la punta di lancia delle rivendicazioni del Sud che coincidono con le loro, dal momento che la capitale è già  risucchiata nel gorgo meridionale e la sua funzione nazionale convince solo il presidente della Repubblica e parte della sinistra.

Il Terzo Polo, se ci sarà, si attribuirà il ruolo salvifico dell’unità d’Italia, rimediando consensi tra illusi e transumanti. Se non ci sarà, Fini e Casini, emiliani ma romani di elezione, si candideranno separatamente al ruolo di salvatori della patria, riecheggiando appelli ecumenici oltreteverini. I grandi partiti, Pdl e Pd, non si pronunceranno nella contesa Nord vs Sud, la negheranno a metà strizzando però l’occhio ai vecchi elettori per farsi perdonare. Ma il bipolarismo socio-territoriale si manifesterà nelle liste e nell’esito del voto, perché al Nord e al Sud dovranno imbarcare candidati sintonici ai sentimenti polarizzati dei territori.

Insomma, fatte le elezioni potremmo trovarci in parlamento un nuovo bipolarismo, quello Nord Sud trasversale al multipolarismo espresso dalle etichette dei partiti. Vien da dire ‘speriamo che succeda’. Sarebbe un buon funerale della Seconda Repubblica, e la premessa di interessanti evoluzioni.

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Come leggere il voto Usa. Senza paraocchi. di Alessandro Tapparini /2010/11/03/come-leggere-il-voto-usa-senza-paraocchi-di-alessandro-tapparini/ /2010/11/03/come-leggere-il-voto-usa-senza-paraocchi-di-alessandro-tapparini/#comments Wed, 03 Nov 2010 22:02:23 +0000 Guest /?p=7458 Proponiamo questa approfondita analisi del voto Usa di Alessandro Tapparini, originariamente pubblicata sul suo blog “Jefferson”.

Lo Tsunami repubblicano, o forse più propriamente il mega-collasso democratico, è arrivato eccome – altro che “clamoroso pareggio” (ma per favore).

Per capire la portata dell’esito di queste midterm, va tenuto ben presente che in gioco erano non solo tutti i seggi della Camera ed un terzo di quelli del Senato (che negli USA si rinnova “a scaglioni”), ma anche ben 39 dei 50 governatori, più moltissime altre importanti elezioni “locali”, a cominciare dai parlamenti degli Stati, più i sindaci di città grandi e piccole, i giudici (che in molto Stati sono eletti dal popolo), e così via.

Quella che fino a ieri chiamavamo opposizione repubblicana era tale anche a questi livelli: i Dem oltre a detenere una vasta maggioranza in entrambi i rami del Congresso erano anche al comando nella maggioranza assoluta degli Stati, sia quanto a governatori che – ancor più – quanto a maggioranze parlamentari locali (le quali a loro volta determinano lo spazio di manovra del governatore).

Inoltre va anche considerato – e non mi pare che i commentatori in queste ore lo stiano facendo – che questa ormai ex opposizione non è certo in forma smagliante (come lo era, ad esempio, nel 1994 quando Clinton subì la rimonta della Republican Revolution); al contrario, è divisa, disordinata e drammaticamente sprovvista di leadership.

Eppure, è andata come è andata.

Alla Camera, per riprendersi la maggioranza ai Rep bastava rimontare di 39 seggi. Nel 1994 ne avevano strappati 54. Oggi se ne sono assicurati almeno 60, almeno il doppio di quanto Larry Sabato vaticinava quest’estate.

Si tratta della più grande vittoria elettorale parlamentare repubblicana dell’ultimo secolo: bisogna risalire al 1894, ai tempi della seconda elezione di Grover Cleveland, per trovare un record superiore. Trombati anche alcuni “inossidabili”, come Ike Skelton, presidente della commissione forze armate della Camera e deputato di un collegio del Missouri dal 1976, quando Obama era un liceale di Honolulu.

Adesso cambierà tutto. Tanto per fare un esempio: sarà ora il “Young Gun” Paul Ryan a presiedere il cruciale House Budget Committee, poltrona che fino ad ora era occupata dal Dem John Spratt così come il seggio del South Carolina dal quale questi è stato detronizzato dopo quasi trent’anni (significa che aveva vinto 14 elezioni consecutive).

Al Senato, dove una opposizione di 41 senatori su 100 ha di fatto un potere di veto su tutte le questioni importanti, i Rep a scrutinio ancora in corso se ne vedono già accreditare non meno di 46. I Dem non hanno perso la maggioranza assoluta ma sono passati dalla “supermaggioranza” (che avevano già perso all’inizio dell’anno con l’elezione di Scott Brown in Massachusetts) ad una risicata maggioranza di cinque o sei senatori (di cui uno è quello col fucile).

A Chicago, sweet home di Obama e roccaforte democratica da decenni, i Dem hanno perso anche il seggio senatoriale che dal 2004 al 2008 fu di Barack Obama (quello, per intenderci, che il famigerato Blago aveva cercato di rivendersi), il quale Obama aveva fortemente appoggiato il candidato Dem cui aveva riservato il suo comizio finale di sabato scorso. Non solo: hanno perso anche il seggio di Springfield, la capitale dell’Illinois, città-simbolo dalla quale Obama lanciò la sua candidatura alle primarie, dove il deputato uscente è stato scalzato da un esordiente “uomo qualunque” sostenuto dai Tea Party, papà di 10 figli e proprietario nientemeno che della pizzeria St. Giuseppe’s Heavenly.

Per quanto riguarda i governatori i Dem, che fino a ieri ne detenevano la maggioranza assoluta (26 su 50), hanno perso circa una dozzina di Stati. Sono tanti. Vuol dire che da oggi tre quarti degli Stati USA saranno governati dai repubblicani. Tra questi alcuni decisivi per vincere le presidenziali, come l’Iowa, lo swing-state per antonomasia Ohio (il neogov. repubblicano è l’ex conduttore Fox News John Kasich) e la Pennsylvania.
Il MidWest da oggi è interamente governato da quei repubblicani che appena due anni fa venivano dati come ridotti a partito regionale del profondo Sud.
Ma il picco più impressionante si è registrato nelle elezioni dei parlamenti “locali”, che non vanno sottovalutate.

Una valanga rossa di queste proporzioni nei parlamenti statali non si ebbe nemmeno ai tempi di Reagan. In una dozzina di casi i Rep. hanno conquistato la maggioranza in parlamenti dove sino a ieri erano all’opposizione da un’eternità.

In Texas, il secondo stato dopo la California per dimensioni demografiche (ed il più promettente di tutti per vitalità economica), dopo le elezioni del 2008 concomitanti con l’elezione di Obama alla Casa Bianca, i 150 seggi della locale Camera dei Deputati erano perfettamente ripartiti 75 Rep. e 75 Dem.; oggi sono diventati 99 Rep. e 51 Dem.
Spostandosi a nord, uno stato “operaio” come il Minnesota, dove il giovane governatore repubblicano Tim Pawlenty (segnatevi questo nome: ne sentirete parlare parecchio l’anno prossimo, quando si approssimeranno le primarie repubblicane) si destreggiava con un parlamento locale da decenni saldamente in mano ai Dem, stamattina si e’ svegliato con una maggioranza repubblicana addirittura di 87 a 47.

Quanto ai “candidati dei Tea Party”, molto banalmente, sono andati bene quando erano dei buoni candidati, e male quando più o meno “impresentabili”: emblematiche, rispettivamente, la vittoria di Marco Rubio in Florida, e la sconfitta della O’Donnell in Delaware e di Paladino a New York.

L’ultima grande roccaforte democratica resta la California, il più grande stato USA per popolazione ma anche quello che per burocrazia, pressione fiscale, strapotere dei sindacati, normative in materia ambientale, e soprattutto debito pubblico, assomiglia più di ogni altro ad uno della vecchia Europa. Lì i Rep. hanno perso sia la sfida per il seggio senatoriale, dove la ex supermanager della HP Carly Fiorina non è riuscita a scalzare la navigata “boss” democratica Barbara Boxer, che quella per la poltrona di governatore, che il repubblicano “anomalo” Schwarzenegger passerà nemmeno ad un volto nuovo, ma al 72enne democratico Jerry Brown che aveva già lungamente governato il Golden State subito dopo Ronald Reagan. La sfidante supermanager di EBay e Disney Meg Whitman, che complici le sue cospicue finanze personali ha speso per la propria campagna più soldi di rtasca propria di chiunque altro nella storia, ha perso di brutto. Ricordatevene la prossima volta che vi ripetereanno che in America le elezioni le vince il più ricco.

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La iattura dello stile Merkel /2010/05/08/la-iattura-dello-stile-merkel/ /2010/05/08/la-iattura-dello-stile-merkel/#comments Sat, 08 May 2010 10:21:17 +0000 Giovanni Boggero /?p=5938 Il grido di allarme della signora Merkel contro gli speculatori malvagi che vogliono affondare l’Eurozona rientra precisamente in quello che, con ogni probabilità, i posteri definiranno  “Merkel-pensiero”, un misto di attendismo associato a goffo opportunismo, nell’intento di risolvere i problemi del paese (leggasi: guadagnarsi la rielezione).

La signora Merkel è così: quando si presenta un fatto scomodo, prima tace, poi borbotta frasi ovvie, lasciandosi pur sempre aperta ogni possibilità di intervento e infine, incalzata dagli eventi, prende una decisione, spesso e volentieri al ribasso, spesso e volentieri rimangiandosi quanto detto nelle settimane precedenti. Il tutto, con il piglio da statista che fa del pragmatismo la sua bandiera. A tale indecoroso spettacolo abbiamo assistito lo scorso anno in occasione del grottesco tira e molla per Opel, ci è nuovamente toccato in sorte in questi ultimi mesi in concomitanza con l’Odissea greca e ne prenderemo ulteriore contezza nei prossimi giorni, quando l’FDP tornerà alla carica per chiedere che la Germania abbassi il carico fiscale sulle persone fisiche.

La stessa carriera della signora Merkel, d’altra parte, è interamente segnata da un simile approccio nei confronti del potere. Ne abbiamo già discusso qualche mese fa qui, contestando vibratamente chi ancora nel nostro paese ama dipingere l’operato di Angie usando toni a dir poco celebrativi. Ebbene, nel caso concreto il riferimento ad una guerra tra gli “Stati e i mercati”, ripresa ossequiosamente da tutti i principali organi di stampa (tedeschi e non) è funzionale a rimestare nel vivo delle angosce dei risparmiatori, a poche ore dall’apertura delle urne nel Land di Düsseldorf, oltre che ad allontanare l’attenzione degli elettori da una soluzione di salvataggio che aggiunge debito a debito. Il che, per una Germania impegnata in una difficile opera di risanamento, non si tratterà proprio di bruscolini…

E pazienza se, in realtà, ad aver dato segnali tutto fuorché inequivocabili sia stato lo stesso esecutivo tedesco, come ben ricorda Mario Seminerio sul suo blog. Perdere il Nordreno-Westfalia, regione più popolosa dell’intera Repubblica federale e tradizionalmente schierata a sinistra, significherebbe avere ulteriori problemi al Bundesrat, dove la coalizione giallo-nera ha ad oggi una risicatissima maggioranza. Pur di non cedere il passo all’SPD come primo partito, la signora Merkel sta tentando nelle ultime ore di “sorpassare a sinistra” i socialdemocratici. Con lo stile e la nonchalance (che alcuni definirebbero “faccia tosta”), che ricordano in tutto e per tutto il quadriennio di Große Koalition. Dall’inizio del suo secondo mandato poco o nulla è stato combinato, a parte l’incaponirsi per mesi sull’aliquota IVA agevolata per gli albergatori. Tutto il programma, già di per sé vago, è stato spostato in avanti, in attesa di questo cruciale appuntamento. CDU e soprattutto FDP domani ne pagheranno le conseguenze. I nostri pronostici di settembre ed ottobre si confermano tragicamente realistici.

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