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Posts Tagged ‘economist’

Intergovernmental Panel on Climate Lies

8 febbraio 2010

Da qualche tempo ho fatto voto di non occuparmi delle beghe sulla scienza del clima. L’ho fatto perchĂ© credo che la soluzione “kyotista” (o, se preferite, la linea Maginot che unisce l’Ipcc ad Al Gore) sia sbagliata anche se fossero vere tutte le previsioni piĂą catastrofiste. Per questo, mi appassiona di piĂą la discussione sugli aspetti economici e politici del riscaldamento globale, che quella sul rapporto tra CO2 e gradi centigradi. Quello che sta accadendo, però, è talmente grande, esteso e grave da richiedere attenzione esplicita.

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Carlo Stagnaro energia , , , ,

Il vento del cambiamento soffia sul clima

27 novembre 2009

Spettacolare aggiustamento di rotta da parte dell’Economist:

This newspaper believes that global warming is a serious threat, and that the world needs to take steps to try to avert it. That is the job of the politicians. But we do not believe that climate change is a certainty. There are no certainties in science. Prevailing theories must be constantly tested against evidence, and refined, and more evidence collected, and the theories tested again. That is the job of the scientists. When they stop questioning orthodoxy, mankind will have given up the search for truth. The sceptics should not be silenced.

Avranno anche loro letto le email dei climatologi?

Carlo Stagnaro energia , ,

Unfit

20 settembre 2009

I giornalisti italiani si dividono in quelli che ritengono l’Economist il settimanale piĂą autorevole ed interessante del mondo – quando parla male di Berlusconi – e in quelli che lo ritengono un fogliaccio filodiretto da una ganga di soliti noti – perchĂ© parla male di Berlusconi. Agli uni e agli altri farebbe bene leggere questo  editoriale del settimanale britannico, che mette in fila spietatamente gli errori di un personaggio che sembra sempre piĂą “unfit” a guidare un grande Paese occidentale. Nel caso specifico, non si tratta di Silvio Berlusconi.

Alberto Mingardi mercato ,

Mercati efficienti: contro Lucas

13 agosto 2009

Oscar Giannino ha segnalato su queste pagine un magnifico articolo di Robert Lucas apparso sull’Economist della settimana scorsa. E’ un articolo molto interessante, sia per l’autore (un grande economista dei nostri tempi, ma anche “the a-historical problem solver”, per usare un’espressione un po’ abrasiva di McCloskey, se non ricordo male), sia per la tesi. Lucas propone una visione “laica” dell’ipotesi dei mercati efficienti, che si basa sulla superiore capacita’ dei mercati di incorporare tutte le informazioni disponibili nei prezzi. Di qui viene piu’ facile difendere la tesi di Eugene Fama, ma anche accendere i lumi sulla presunta “eta’ oscura” della macroeconomia in cui ci troveremmo. L’autore risponde un po’ allo speciale dell’Economist sul tema, e un po’ alle tesi di autori come Nassim Taleb sulla hybris di certa teoria economica. Prosegui la lettura…

Alberto Mingardi mercato , , , , , ,

La fesseria dell’Economist di oggi

17 luglio 2009

Sono d’accordo con quanto piĂą volte scritto da Alberto Mingardi: l’Economist è una lettura che vale sempre la pena di fare. Ma quando parla dell’Italia di Berlusconi,  spesso siamo a fesserie sesquipedali. L’intervento odierno spiega il successo di Silvio al G8 e la delusione dei gossippari, rimasti sinora con un pugno di mosche in mano mentre si attendevano di matare il toro, con la bombastica tesi per la quale in realtĂ  Silvio regna con il consenso perchĂ© gli italiani sono evasori fiscali incalliti, dunque si fidano di lui perchĂ© sanno che così avranno piĂą possibilitĂ  di farla franca. La tesi si fonda su due paper elaborati da Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra. Peccato che si nasconda al lettore che si tratti notoriamente di  due studiose che innervavano con le loro puntute consulenze il viceministero retto da Vincenzo Visco, nella passata legislatura. E questo passi. Ma il punto è che quei papers si sono rivelati fallaci nella tesi. Sostenevano che il calo dell’Iva nel 2008 era superiore al calo dei consumi, e che dunque andava letto come piĂą evasione. Le revisioni al ribasso del Pil e dei consumi relativi al 2008, avvenuto solo due mesi fa, hanno confermato che il calo dell’Iva al contrario correttamente “leggeva” il dato dell’economia reale, che le due studiose sottostimavano. Basta dare un’occhiata alle serie storiche Bankitalia sui coefficienti di elasticitĂ  tra calo del gettito delle diverse imposte e deteriorarsi della congiuntura, per fare giustizia di sciocchezze di questo genere, che derivano dalla lettura “politica” dei dati. Che l’Economist si riduca a questo è un segno che anche i migliori giornali non riescono a evitare di diventare prigionieri delle porprie tesi, rispetto alla realtà quando essa si mostra oggettivamente diversa.

Oscar Giannino Senza categoria , ,

Sangue sudore e lacrime

13 luglio 2009

Il 4 Luglio l’Economist ha scritto (p 26) che l’ottimismo di Berlusconi rischia di rendere ancora piĂą improbabili le riforme di cui l’Italia ha bisogno, e che questo Governo (tanto quanto il precedente) non sembra neanche in grado di concepire. Certamente, del resto, non ci si può aspettare nulla di buono da un Ministro dell’Economia colbertista e da conti pubblici che stanno esplodendo, con un deficit salito al 9%, ma il tempo corre.

Eppure, ricorda l’Economist, se l’Italia fosse governata da un leader in grado di spiegare la gravitĂ  della crisi agli italiani, forse qualcuno lo seguirebbe, come quando si rese necessario sacrificarsi per entrare nell’euro. Se la crisi non esiste, d’altra canto, come giustificare profonde e dolorose riforme? Continuiamo ad illuderci di vivere nel paese dei balocchi.

A furia di dire che la crisi è un fenomeno puramente psicologico (e fare pressioni dissuasive su chi afferma il contrario), prima o poi il Governo proverĂ  a curarla facendo incetta di Prozac. Bisognerebbe invece piantarla con questa recita e mostrare almeno per una volta un po’ di fegato. Ma, si sa, “il coraggio uno non se lo può dare”.

Pietro Monsurrò Senza categoria , ,

Poche banche sono meglio di molte?

16 maggio 2009

Chi scrive fa parte del non ristretto club che pensa che, alla fin della fiera, l’Economist sia l’unico giornale al mondo che vale veramente la pena di leggere. La qualitĂ  del settimanale britannico è impressionante – sempre costante nel tempo, così come pure il “marchio di fabbrica” è inevitabilmente impresso negli articoli i piĂą diversi. Lettura domenicale dell’uomo d’affari, l’Economist non delude mai. Neppure questa settimana: vi si trovano, fra le altre cose, una lettura del viaggio del Papa in Israele un po’ eccentrica rispetto al quadro fattone dai giornali italiani; un pezzo molto intelligente (sia pure non del tutto condivisibile) sul futuro del partito repubblicano e la sua scarsa capacitĂ  di fare autocritica; un pezzo su Intel molto bilanciato; un articolo veramente interessante, su come la corporate social responsibility stia “sopravvivendo” alla crisi. Un palinsesto di tutto rispetto, visto quello che va in onda, tutti gli altri giorni della settimana.

Il cuore del giornale è però l’inserto sul futuro del settore bancario. Ricco, interessantissimo. Ma nel quale stupisce un articolo sul Canada, Paese che è rimasto immune al contagio della crisi finanziaria americana. Stupisce perchĂ© la tesi è del tipo che non dispiacerebbe ai nostri banchieri (come ricordava Oscar Giannino scrivendo di alcune recenti “riflessioni” sulla crisi), e che sarebbe piaciuta, tantissimo, all’ex sommo sacerdote governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Cito:

Having a few banks that are clearly too big to fail has led to more stringent supervision, including imposing a maximum leverage ratio and a single regulatory regime for commercial and investment bankers. Laxer and more fragmented capital regimes allowed the balance-sheets of banks elsewhere to balloon

La questione del relativo successo del Canada vs gli Stati Uniti è piĂą complessa, come lo stesso Economist riconosce (esaminando ad esempio il diverso trattamento fiscale dei mutui). Tuttavia, quella per cui un settore bancario “ingessato”, con poche banche “too big to fail” dichiaratamente tali, funzionerebbe meglio perchĂ© esse “chiamano” evidentemente vigilanza e regolazione, è una tesi molto forte. Mi sembra non sbagliata l’osservazione di Sceptik, nei commenti all’articolo sul blog del giornale:

Has anyone considered that an oligopoly concentrates more risk? Assuming they have an equal share of the loan market, a failure of one of them knocks out 20% of the home loan market.

Alberto Mingardi mercato , , , , ,

Leggere l’Economist a via Solferino

10 maggio 2009

L’Economist di questa settimana si conquista una citazione nell’editoriale domenicale del Corriere, entusiasta del “sovvertimento causato dalla crisi nella gerarchia tra i sistemi economico-sociali in Europa” che il giornale diretto da John Micklethwait racconta con una cover accattivante. Se l’illuminato editorialista avesse letto anche l’editoriale dell’Economist, e non si fosse limitato a guardare la copertina, avrebbe “scoperto” che la posizione del settimanale britannico e’ un po’ piu’ complessa (e diversa da quella di chi e’ pronto a invocare la “colbertizzazione” dell’Europa, col paradossale argomento che si tratta dell’unico modo possibile per salvare il mercato unico!). Rispetto a quel “sovvertimento”, l’Economist scrive infatti:

But will it last? The strengths that have made parts of continental Europe relatively resilient in recession could quickly emerge as weaknesses in a recovery. For there is a price to pay for more security and greater job protection: a slowness to adjust and innovate that means, in the long run, less growth. The rules against firing that stave off sharp rises in unemployment may mean that fewer jobs are created in new industries. Those generous welfare states that preserve people’s incomes tend to blunt incentives to take new work. That large state, which helps to sustain demand in hard times, becomes a drag on dynamic new firms when growth resumes. The latest forecasts are that the United States and Britain could rebound from recession faster than most of continental Europe.

Individual countries have specific failings of their own. (…) It may not be long before the fickle Mr Sarkozy is re-reading his Adam Smith.

Al di la’ delle letture da consigliare a Sarkozy, o ai suoi epigoni “corrieristi”, l’Economist di questa settimana contiene un articolo molto interessante ed equilibrato sull’eredita’ della signora Thatcher, oggetto di dibattito sul Financial Times ed altrove. Lo trovate qui. Le tesi di rilievo sono due. La prima e’ che, a dispetto del breve termine, proprio gli interventi emergenziali degli ultimi mesi pongono le basi del successo di una prospettiva thatcheriana, basata su una “stringente disciplina economica”, nel medio e lungo termine. L’altra e’ che se ora vi e’ un “ritorno dello Stato” in alcuni ambiti,  nondimeno l’apertura a soluzioni privatistiche in altri ambiti, nemmeno sfiorati dall’opera della Lady di Ferro (i servizi alla persona, per esempio), e’ ormai parte a pieno titolo del dibattito politico e non se ne puo’ indovinare a breve la scomparsa. Anche perche’ i nuovi pesi che gravano sulle finanze pubbliche potrebbero costringere ad altre, per ora imprevedibili, esternalizzazioni e privatizzazioni.

Alberto Mingardi liberismo , , , ,