Riceviamo da Andrea Gilli e volentieri pubblichiamo:
Ho letto con interesse l’articolo del prof. Lottieri sull’ontologia degli oggetti sociali. L’analisi merita attenzione per due motivi. In primo luogo, in un periodo nel quale attaccare la finanza porta consensi, Lottieri va coraggiosamente contro corrente, e offre una difesa non convenzionale degli strumenti finanziari incriminati. In secondo luogo, in un dibattito politico e culturale – quello italiano – atrofizzato da schemi concettuali vecchi di settant’anni, Lottieri porta una ventata di novità discutendo di ontologia nelle scienze sociali.
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Guest finanza, liberismo, pensiero costruttivismo, cultura, cultura antimercato, derivati, epistemologia, finanza, oggetti sociali, positivismo, scienze sociali
Sia concessa un piccola divagazione, che forse a qualcuno apparirà astrusa, in merito a taluni presupposti teoretici, sociali e psicologici che stanno alla base del diffuso rigetto del capitalismo finanziario. Prosegui la lettura…
Carlo Lottieri credito, liberismo, mercato, pensiero cultura antimercato, derivati, finanza, oggetti sociali
È un consiglio programmatico: dopo un anno di chiacchiere e distintivo, preferisco non continuare a inseguire il proliferare astronomico di ricette e proposte che in teoria a Puittsburgh domani e dopodomani dovrebbero essere varate, delibate, indicate e sussunte. Quando capiremo qualcosa di concreto, se ci sarà qualcosa di concreto e non solo la recita di un quadro coordinato di princìpi generali che ognuno attua o meno come però vuole a casa sua, allora varrà la pena di commentare e analizzare. Per oggi, come viatico programmatico al tenersi bassi, mi limito a due indicazioni. La prima: ha ragione Taylor, l’exit strategy può cominciare subito dal NON PIU’ attribuire al FMI tutte le risorse che erano state deliberate, perché NON servono. La seconda: come al solito è la Banca dei Regolamenti Internazionali, a vincere la gara dei papers preparatori più seri e concreti e meno pindarici. Prosegui la lettura…
Oscar Giannino credito, finanza, mercato BRI, derivati, g20, supervisione finanziaria, taylor
Fino a che punto un ente locale può giocare d’azzardo? Il quotidiano di Genova, Il Secolo XIX, sta conducendo una meritoria inchiesta (qui e qui, il resto sul cartaceo di ieri e oggi) sull’enorme e incerto buco della Spim, la società controllata al 100 per cento dal comune, che ne possiede e gestisce il patrimonio immobiliare. Nel 2007, il gruppo – allora capitanato da Giorgio Alfieri – ha acceso un mutuo da 80 milioni di euro per comprare il Matitone, l’edificio che oggi ospita gran parte degli uffici comunali. Per coprirsi contro il tasso variabile, la Spim acquistò contemporaneamente, dalla banca Bnp Paribas, un prodotto che Alfieri definisce “assicurativo”. Nel primo anno il valore del fondo crebbe in effetti di 1,5 milioni, ma poi, con la crisi delle Borse, è precipitato a -24 milioni, per poi risalire e infine riprendere a calare. Attualmente siamo a -14 milioni. Non è detto che il prodotto, assicurazione o derivato che sia, alla scadenza (2016) non chiuda in attivo. Il problema è un altro: fino al 2016, sarà impossibile saperlo. Sarà quindi impossibile conoscere la reale situazione di Spim e, di riflesso, lo stato dei conti del comune.
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Carlo Stagnaro liberismo, mercato banche, derivati, genova, municipalizzate, spim
Il mascheramento dei dati macro ormai è la tendenza predominante in tutto il mondo, per “aiutare” le Borse nella tendenza rialzista. Per dire: in queste ore FT, WSJ e le testate americane si affannano a sottolineare come molto positiva la stima di disoccupazione aggiuntiva relativa al mercato USA a luglio oggi rilasciata da ADP: sarebbero 378 mila i posti di lavoro persi dopo gli oltre 460 mila di giugno. La release ufficiale delle autorità federali è attesa tra qualche giorno, ma il fatto è che la stima convergente degli analisti era intorno ai 320 mila se non inferiore. Eppure, vai con la grancassa. Detto questo, Goldman Sachs ha oggi rivelato al mercato che parecchi dei suoi manager sono sotto indagine da parte di “diverse” autorità di regolazione e e federali. Inutile chiedere di più, del resto Goldman ancor oggi resta l’unica grande banca USA a non aver nemmeno rivelato al mercato l’ammontare delle sue operazioni in derivati. Tutto quel che si sa, è che le indagini sono appunto relative ai bonus dei manager – nel primo semestre 2009 GS ha accumulato oltre 11 miliardi di dollari a questo fine e si avvia a superare i 20 miliardi per l’intero 2009, direi che non c’è male no? – e proprio alle operazioni e posizioni su derivati. In ogni caso, almeno negli USA i regolatori intervengono. Qui da noi in Italia, abbiamo dovuto aspettare come al solito le Procure della Repubblica, per i vari casi in Lombardia, Campania, Puglia e compagnia. Al MEF da fine anno scorso funziona una banca dati “obbligatoria” di deposito delle posizioni aperte dagli Enti Locali sui derivati. Il rischio concreto è che di qui a pochi mesi – se davvero bisogna credere all’uscita a breve dalla crisi- le curve dei tassi nell’euroarea cambino. A quel punto, il rischio di esposizioni inaspettate potrebbe salire di colpo. Perché nessuno allora ci informa con numeri precisi, relativi al rischio netto di chi si è impropriamente inderivato nelle Autonomie? Una crisi che procede nell’occultamento dei dati a fini precauzionali è l’opposto della total disclosure che per un anno tutti hanno predicato.
Oscar Giannino Senza categoria derivati, Enti Locali, Goldman Sachs, mef
Mentre noi qui chiacchieriamo coi nostri post intorno alle generalità della questione TBTF – gli intermediari finanziari che non possono essere lasciati fallire e che vanno salvati coi denari dei contribuenti, nonché come impedire che si arrivi a tale situazione – Fitch ha rilasciato ai suoi clienti uno spettacolare report in cui fa i conti in tasca all’intero mercato americano dei derivati, a data giugno 2009. È un’ottima base di partenza, per capire le dimensioni intatte del problema, a due anni esatti dall’inizio della crisi finanziaria. Il 99,7% dell’intero ammontare di attività e passività “derivatizzate” è interamente concentrato tra gli intermediari finanziari, ma solo cinque di loro ne totalizzano l’80%. Se ci chiediamo chi siano davvero i TBTF, a prescindere dalle grandi banche di deposito, è di loro che stiamo parlando. Le Big Five sembravano sparite, nella settimana dopo il 15 settembre 2008 che iniziò con il fallimento di Lehman Brothers, e che vide l’estinzione delle banche d’investimento, mangiate da banche di deposito o trasformate esse stesse in banche commerciali. Invece ci sono ancora. Eccome se ci sono! Cinque aziende, nei cui libri il valore nozionale dei derivati pesa per la bellezza di 280 mila miliardi di dollari! E’ una stima che fa apparire datata e troppo contenuta quella che a dicembre 2008 era stata fatta dalla BRI di Basilea, secondo la quale l’intero mercato dei derivato Over the Counter era intorno ai circa 600 mila miliardi di dollari, con un valore di mercato lordo (somma di assets e liabilities “derivatizzata” a valori di libro) intorno ai 34mila miliardi di dollari. Vale la pena di leggere in dettaglio.
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Oscar Giannino Senza categoria Big Five, BRI, cigno nero, derivati