CHICAGO BLOG » delocalizzazione http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Globalizzazione e civiltà: una lezione italo-polacca /2010/06/20/globalizzazione-e-civilta-una-lezione-italo-polacca/ /2010/06/20/globalizzazione-e-civilta-una-lezione-italo-polacca/#comments Sun, 20 Jun 2010 10:37:53 +0000 Carlo Lottieri /?p=6313 In queste ore i polacchi sono chiamate alle urne per eleggere il presidente che succederà a Lech Kaczynski, morto in occasione della sciagura aerea di Smolensk. Sono stato a Varsavia nei giorni scorsi ed è stato facile avvertire la tensione che accompagna tale decisione. Non è però di questo che intendo parlare, ma invece di un qualcosa che ho scoperto nella mia breve permanenza in Polonia e che ai miei occhi è assai più interessante di un semplice voto messo entro un’urna.

Due giorni possono essere pochi o molti. Ma confesso che le 48 ore trascorse a Varsavia tra mercoledì e venerdì, su invito di IC&Partners Warsaw, mi sono apparse un tempo importante, poiché mi hanno dato l’opportunità di accostare quel pezzo del nostro Paese che con più coraggio e intraprendenza sa guardare al mondo come al proprio orizzonte naturale; e quel pezzo di Polonia che ha saputo cogliere questa opportunità per crescere e progredire, valorizzando al meglio la propria antica tempra e il nuovo entusiasmo di chi finalmente – dopo l’89 – è uscito da un lungo incubo.

L’occasione è venuta da un convegno intitolato “Crisi economica: casualità o necessità?” con cui la IC&Partners di Varsavia ha inteso festeggiare i suoi primi dieci di attività. E se le relazioni e le discussioni sono state certamente interessanti (mi riferisco in particolare agli interventi di Mateusz Machaj e Robert Gwiazdowski del locale Mises Institute), ancor più sono rimasto colpito dalla qualità delle persone – imprenditori, professionisti, dirigenti, ecc. – incontrate in tale circostanza.

La IC&Partners è una struttura di professionisti e consulenti (presieduta da Roberto Corciulo, con sede a Udine) che è specializzata nell’assistere imprese, principalmente italiane, che vogliano sviluppare progetti di internazionalizzazione nei Paesi dell’Europa centro-orientale: Croazia, Serbia, Ungheria, Romania, Moldavia, Russia, Estonia, Cechia, Slovacchia e, certamente, Polonia. Il presidente della struttura polacca è Jacek Juszkiewicz, che ha alle proprie spalle studi di teologia morale e giurisprudenza, ha un’ottima conoscenza dell’italiano e molti amici, colleghi e clienti provenienti dal nostro Nord-est con i quali da tempo condivide molto più che le relazioni di lavoro.

Questo è un po’ il punto che vorrei enfatizzare. A Varsavia ho incontrato responsabili di aziende manifatturiere, costruttori edili, imprenditori attivi nel commercio e nella distribuzione, e altri ancora nei settori più diversi, e mi è parso subito chiaro come alla base della loro cooperazione vi fosse uno spessore umano che deriva certo dalle loro qualità personali, ma è egualmente espressione del miglior spirito capitalistico.

In un mercato davvero libero, l’esigenza di acquisire credibilità induce a comportamenti corretti e, nel corso del tempo, tutto questo diventa un qualcosa di naturale. Come già nella Venezia che nei secoli scorsi ha reinventato il commercio internazionale, l’imprenditoria e la civiltà procedono assieme, poiché non ci può essere sviluppo se taluni principi non sono saldi e se talune virtù non vengono custodite e valorizzate.

Mentre ascoltavo tali formidabili imprenditori (per lo più piccoli e medi) sempre pronti a lanciarsi in nuove iniziative – che si tratti della Bosnia come di Dubai, della Cina come dell’India, e così via – non potevo non pensare però a quegli universi politico-burocratici che le risorse non le costruiscono, ma invece le distruggono; a quegli apparati che non aprono le distinte società alla cooperazione e alla reciproca comprensione, ma invece alzano barriere; a quei poteri che costantemente progettano banche, imprese e infrastrutture non rischiando un solo euro di tasca loro, ma quasi sempre dilapidando la ricchezza prodotta da altri.

Sempre in questa logica, mi ha fatto un certo effetto il contrasto (tanto evidente) tra il vero spirito europeo che questa compagnia di amici con radici variamente polacche e italiane sta costruendo quotidianamente grazie al proprio lavoro, e il carattere totalmente artificioso degli apparati burocratici che, a Bruxelles, sembrano costantemente in guerra con il buon senso e la libertà d’impresa.

Nelle prossime ore l’informazione, anche da noi, si soffermerà sul nuovo presidente polacco, sul candidato sconfitto e così via. È l’albero che crolla e che, certamente, fa molto rumore. A me sembrano infinitamente più interessanti gli imprenditori incontrati a Varsavia: uomini che, lontani dai riflettori, costruiscono sviluppo economico e relazioni personali, opportunità di lavoro e nuove condizioni di vita. Sono alberi che crescono lentamente, sono la gloria del migliore capitalismo e una buona ragione per continuare a battersi e a sperare.

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Due visioni sulla Cina, Banca Mondiale e Fmi /2009/09/30/due-visioni-sulla-cina-banca-mondiale-e-fmi/ /2009/09/30/due-visioni-sulla-cina-banca-mondiale-e-fmi/#comments Wed, 30 Sep 2009 00:24:56 +0000 Oscar Giannino /?p=3033 Ho visto che cresce la febbre cinese tra i lettori del nostro blog. Soprattutto tra diversi che grazie al Cielo hanno preso negli ultimi tempi a frequentarci, e magari non è affatto detto che la pensino come noi ma sono curiosi di vedere come argomentiamo le nostre tesi. Considero questo “annusamento tra diversi” assolutamente benefico, ed è la ragione di fondo per la quale abbiamo in definitiva deciso di aprire questo foro. I contributori che l’hanno originato hanno idee e formazione simili, ma non per questo si considerano “nati imparati” o depositari di verità assolute. Anzi, si sono posti il problema di uscire dalla conventicola “chiusa”, una trappola in cui spesso la nostra scuola finisce spesso, vedi a mio giudizio per esempio il pur ottimo blog del Mises Institute (a proposito, il 29 settembre era il compleanno di zio Ludwig…). Questa premessa per dire che capisco bene come ad alcuni sul blog – e a moltissimi fuori – la Cina coi suoi bassi costi e i suoi zero diritti politico-sociali appaia un’enorme trappola attivata dagli Usa per sostenere il proprio deficit estero, mentre erode soprattutto la nostra base produttiva. Tuttavia,  un’analisi che a mio giudizio ha pure dei fondati elementi storici – il processo d’ingresso “incondizionatlo” della Cina nel Wto ebbe ragioni in sostanza  vicine a quelle da sempre descritte  con una punta di acrimonia da Tremonti -  ma si fonda anche su una mispercezione  della Cina e del suo gigantismo in quanto tali.

È utile e istruttivo, da questo punto di vista, dare un’occhiata a come assai diversamente si guardi oggi al concreto apporto cinese alla crescita mondiale, ora che gli Usa stentano e stenteranno per anni a ricollocare la propria domanda interna ai livelli precrisi. Se leggete il post di Brian Hoyt sul blog della World Bank, vi renderete conto che nell’istituto guidato da Robert Zoellick tutti si danno un gran da fare a credere che la Cina stia facendo il meglio e ancor di più, per sostituire la domanda americana come locomotiva mondiale. Se leggete invece l’intervento di Markus Jaeger sulla Voxeu,  potete toccare con mano che a logica dei numeri che più piacciono al FMI  dice un’altra cosa. I Paesi BRICs contano oggi circa il 14% del Pil mondiale a fronte del 24% USA, e il prodotto cinse è circa la metà di quello americano. Continuando crescere del 6-7% annuo, anche se gli USA si riprendessero verso il 2% a fine 2010, i cinesi rappresenterebbero al 2014 l’85% del GDP USA. Ma di qui ad allora ciò significa che se i cinesi potrebbero arrivare ad assicurare fino a un 30% della crescita aggiuntiva planetaria nei prossimi anni, ciò non comporterà affatto la sostituzione della domanda USA ai fini della crescita dei Paesi avanzati, non solo di quelli asiatici, che si stanno tutti riorganizzando e aderendo all’invito cinese di esportare essi nel mercato domestico  con la stella rossa. Ma soprattutto europei. Insomma: la Cina approfitta della crisi Usa e ne guadagna in leadeship. Ma di qui a dire che essa prenderà il posto dell’America, ce ne passa di acqua sotto i ponti.

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