CHICAGO BLOG » deficit http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Il punto sulla Spagna – Instabilità e manovra finanziaria 2011 /2010/10/19/il-punto-sulla-spagna-%e2%80%93-instabilita-e-manovra-finanziaria-2011/ /2010/10/19/il-punto-sulla-spagna-%e2%80%93-instabilita-e-manovra-finanziaria-2011/#comments Tue, 19 Oct 2010 16:53:14 +0000 Andrea Giuricin /?p=7338 La Spagna è in ebollizione dopo che il partito di Governo di Jose Luis Zapatero ha raggiunto un accordo con due dei partiti nazionalisti per “far passare” la manovra finanziaria 2011. Qualche insegnamento per l’Italia?

È di ieri la conferenza stampa del leader di Coalizione Canaria, Paulino Rivero, nella quale ha annunciato il sostegno al Governo in cambio di maggiore indipendenza economica e di “modifiche di facciata”; infatti, uno dei punti chiave voluti e ottenuti dal leader della CC è il cambio di denominazione delle acque internazionali di fronte alle Isole Canarie, pur essendo queste sottoposte a legislazione internazionale. Vi sono altre contropartite ottenute dalla CC in cambio dell’appoggio alla manovra finanziaria, quale ad esempio un maggiore investimento nel sistema aeroportuale canario.

Questo accordo è necessario al Governo di Zapatero per cercare di avere i voti necessari in Parlamento e chiudere un anno particolarmente difficile. Tuttavia, se si crea una certa stabilità nel Governo centrale, si apre una crisi di governo alle Canarie, poiché la Coalizione Canaria era alla guida dell’arcipelago con il Partito Popolare.

Il patto è stato duramente criticato dal PP perché arriva a distanza di pochi giorni da quello concluso tra il Governo e il Partito Nazionale Basco. I Paesi Baschi sono sempre stati fonte di attrito tra PP e PSOE e la maggiore indipendenza economica ottenuta con l’accordo di pochi giorni fa, ha alzato i toni della polemica. In particolare è stato dato potere al Governo Regionale di gestire le risorse per la formazione dei lavoratori disoccupati. Queste risorse non sono di poco conto, poiché la disoccupazione è superiore al 20 per cento e lo Stato Spagnolo investe grandi somme di denaro (inefficientemente) nella formazione dei disoccupati.

Il patto siglato tra PSOE, PNV e CC permette a Zapatero di passare un altro scoglio importante della legislatura.

Arrivare alle elezioni del 2012 sembra ormai abbastanza naturale, anche se non sono da escludere colpi di scena.

Questo accordo registra e consolida un cambiamento nella politica di Zapatero. Il leader ha dimostrato di voler abbandonare gli accordi con la sinistra, siglando alleanze con i partiti nazionalisti. Solo in questo modo può sperare di fare alcune delle riforme necessarie.

Il prossimo obiettivo del Governo è di alzare l’età pensionabile da 65 a 67 anni, ma la riforma rischia di essere “monca” senza una modifica dei parametri che definiscono il valore della pensione.

Molte delle riforme attuate dal PSOE con i partiti nazionalisti non hanno avuto la forza necessaria per attuare quei cambiamenti obbligatori per un Paese con un deficit nel 2009 superiore all’11 per cento del PIL.

Tutto questo mentre il consenso di Zapatero cade ai minimi e i sondaggi danno un distacco del PSOE di oltre 10 punti percentuali rispetto al Partito Popolare guidato da Mariano Rajoy.

Perché Zapatero continua a perdere consenso? I dati macroeconomici sono la fonte di tutti i problemi del Governo Spagnolo. La disoccupazione è salita oltre il 20 per cento e difficilmente prima delle elezioni potrá scendere sotto il 15 per cento. La Spagna è inoltre l’unico dei grandi Paesi dell’Unione Europea che chiuderà il 2010 con una contrazione del prodotto interno lordo.

Le riforme fatte dal Governo sono sembrate troppo timide e ormai la gente ha perso la fiducia nei confronti delle promesse di Zapatero. Un dato interessante è quello che il leader dell’opposizione, sconfitto dal leader del PSOE nel 2004, ha un indice di gradimento inferiore a quello del capo del Governo. Questo dato indica che Mariano Rajoy non è visto come la soluzione, ma che gli spagnoli hanno voglia di cambiare di Governo.

In Spagna non è la prima volta che i partiti di maggioranza quali il PSOE e il PP devono trovare alleati per restare al Governo, dato che la legge elettorale del 1985 rende difficile avere maggioranze assolute.

Questa volta, tuttavia, gli accordi che Zapatero trova di volta in volta, sono visti come una sorta di galleggiamento. E i galleggiamenti non piacciono ai votanti. Qualche insegnamento per il caso italiano?

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Draghi reloaded: bene Tremonti, però… /2010/05/31/draghi-reloaded-bene-tremonti-pero/ /2010/05/31/draghi-reloaded-bene-tremonti-pero/#comments Mon, 31 May 2010 10:15:54 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6099 In un paese sempre uguale a se stesso, è forse inevitabile che anche le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia - che Mario Draghi ha finito poco fa di leggere – abbiano il sapore acre del “già detto“. Non è, chiaramente, una critica a Draghi: il suo ripetersi è una risposta inevitabile all’essere sistematicamente “non ascoltato”. Lo si intuisce fin da quando il gov. chiarisce che le vendite di titoli di Stato colpiscono soprattutto paesi

titoli di Stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto, quelli di paesi dove queste due caratteristiche si combinano con una bassa crescita economica. Per questi paesi non c’è alternativa al fissare rapidamente un itinerario di riequilibrio del bilancio, con una ricomposizione della spesa corrente e con riforme strutturali che favoriscano l’innalzamento del potenziale produttivo e la competitività.

E’ evidente che il principale interlocutore di Draghi è il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

Draghi, naturalmente, promuove la manovra da 25 miliardi di euro messa in campo dall’inquilino di Via XX Settembre. Lo fa dopo aver brevemente ricordato le caratteristiche ancora critiche del contesto internazionale, e dopo aver rimarcato che nel 2010 i paesi emergenti avranno tassi di crescita decisamente buoni, mentre tra quelli industrializzati, a fronte di una crescita “significativa” negli Usa e in Giappone, i segnali in Europa sono “deboli”. Draghi coglie l’occasione anche per difendere (con un tono un po’ da avvocato d’ufficio, onestamente) la riforma della finanza globale e, di striscio, i cambiamenti introdotti negli Stati Uniti dall’amministrazione Obama; e dà una pagella dignitosa al sistema bancario italiano.

L’operazione di avvicinamento alle questioni italiani procede attraverso una riflessione critica sull’Europa. Per Draghi, era inevitabile che la reazione alla crisi comportasse l’aumento vertiginoso del debito e del deficit pubblico quasi ovunque nel Vecchio Continente (rispetto al quale l’Italia segna una performance di relativo rigore). Per questo, la “exit strategy” rende

urgente un rafforzamento del Patto di stabilità e crescita: l’impegno a raggiungere un saldo di bilancio strutturale in pareggio o in avanzo va reso cogente, introducendo sanzioni, anche politiche, in caso di inadempienze; va assicurata l’integrità delle informazioni statistiche, in particolare quelle di finanza pubblica va assicurata l’integrità delle informazioni statistiche, in particolare quelle di finanza pubblica.

Per il Gov., insomma, l’Ue ha senso nella misura in cui riesce a essere guardiano efficace della solidità delle finanze pubbliche. E questo perché senza credibilità delle regole e dei bilanci degli Stati, difficilmente si creano le condizioni per avere investimenti e crescita. E’ in questo snodo che si innesta la riflessione sull’Italia – di cui Draghi ha ricordato l’imbarazzante deficit di crescita nel periodo pre-crisi: nel decennio scorso, l’Italia è cresciuta del 15 per cento contro il 25 per cento medio dell’Ue, il tasso di occupazione è inferiore di 7 punti (che diventano 12 per le donne), la produttività per ora lavorata è salita appena del 3 per cento contro il 14 per cento dell’eurozona.

In breve, la crisi italiana non coincide con la crisi europea e globale. Quella è transitoria; la nostra è strutturale. Per questo, gli interventi anticrisi non possono aver natura di eri provvedimenti d’urgenza. Draghi condisce la sua invettiva (oddio, non era proprio un’invettiva) con parole di fuoco per l’evasione fiscale (“macelleria sociale è una espressione rozza ma efficace: io credo che gli evasori fiscali siano i primi responsabili della macelleria sociale“, dice discostandosi dal testo scritto) e la corruzione. Ma il fulcro delle sue valutazioni sta qui:

La gestione del turnover nel pubblico impiego e i tagli alle spese discrezionali dei ministeri recentemente decisi dal Governo devono fornire l’occasione per ripensare il perimetro e l’articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l’allocazione delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni tra enti e livelli di governo. Occorre un disegno esteso all’intero comparto pubblico, che accompagni le iniziative già avviate per aumentare la produttività della pubblica amministrazione attraverso la valutazione dell’operato dei dirigenti e dei risultati delle strutture.

Il Governo ha introdotto misure di contrasto all’evasione fiscale. L’obiettivo immediato è il contenimento del disavanzo, ma in una prospettiva di medio termine la riduzione dell’evasione deve essere una leva di sviluppo, deve consentire quella delle aliquote; il nesso fra le due azioni va reso visibile ai contribuenti.

In breve,

In molte altre occasioni abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende più urgenti.

In sostanza, Draghi invita il governo a essere più coraggioso, a guardare al lungo termine e trasformare le necessità imposte dalla crisi nell’occasione virtuosa per completare riforme a lungo attese, dall’aumento dell’età pensionabile al taglio strutturale della spesa pubblica, dalle liberalizzazioni alla razionalizzazione della spesa locale, dalla trasparenza nell’informazione statistica alla riduzione delle tasse. Solo così il paese potrà tornare a crescere. E solo crescendo potrà convergere verso i tassi di crescita della parte più dinamica dell’eurozona. L’esortazione di Draghi, dunque, suona come una promozione solo parziale della manovra di Tremonti, giudicata necessaria ma non sufficiente, coraggiosa ma non ambiziosa.

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Le regioni in rosso dovranno aumentare le tasse. E chiudere, finalmente, gli ospedali inutili /2010/05/14/le-regioni-in-rosso-dovranno-aumentare-le-tasse-e-chiudere-finalmente-gli-ospedali-inutili/ /2010/05/14/le-regioni-in-rosso-dovranno-aumentare-le-tasse-e-chiudere-finalmente-gli-ospedali-inutili/#comments Fri, 14 May 2010 17:05:17 +0000 Giordano Masini /?p=5991 La notizia che quattro regioni (Lazio, Campania, Calabria e Molise) non riceveranno più i fondi del FAS per ripianare i conti in rosso del proprio sistema sanitario è una buona notizia. Anche se questo significherà necessariamente più tasse (anche per il sottoscritto, ahimé, che risiede nel Lazio nonostante pochi chilometri lo separino da due regioni “virtuose” come Umbria e Toscana).

E’ prevedibile il coro di proteste che si leverà, e si può star certi che in qualche caso si troveranno delle formule per aggirare il niet del ministero. D’altronde il fatto che le amministrazioni in questione si siano appena insediate non può costituire un alibi. I nuovi governatori hanno avuto successo proprio promettendo di mettere fine agli sprechi e risanare i bilanci della sanità. Cominciando quest’opera senza seguire le orme dei predecessori potranno dimostrare la bontà delle loro intenzioni. Quindi, se non vorranno inaugurare il loro mandato mettendo mano al portafogli dei loro elettori, o se vorranno farlo per il tempo più breve possibile, dovranno mettere mano alle forbici, e cominciare a usarle.

Dovranno cominciare a chiudere le strutture inutili come i piccoli ospedali. Come il mio beneamato ospedale di Acquapendente, in provincia di Viterbo, recentemente salvato dall’amministrazione regionale uscente grazie a un provvedimento ad hoc che lo ha trasformato in ospedale montano (“Hanno portato l’ospedale in montagna”, scherzavano in paese).

I piccoli ospedali fanno lievitare i costi del servizio “sanità”, ne peggiorano decisamente la qualità, ma nonostante questo rendono per altre ragioni. In un paese come Acquapendente, infatti, l’ospedale ha creato un indotto di servizi collegati, come mense, catering, fornitori e badanti, oltre ad offrire posti di lavoro stabili per una gran quantità di persone. Per questa ragione, quando si cominciò a ventilare l’ipotesi della sua chiusura, tutte le forze politiche locali, da destra a sinistra, fecero muro.

Eppure i cittadini già evitano, se possono, di servirsene: per arrivare a Orvieto ci vuole meno di mezz’ora di macchina, per le cose serie c’è Viterbo o Siena, e anche prima di andare al pronto soccorso è meglio sapere chi è il medico di turno. Per non parlare del fatto che si viene ricoverati anche per una stupidaggine, probabilmente per poter dimostrare, alla resa dei conti, un numero di degenze sufficiente a giustificare l’esistenza in vita dell’ospedale. In qualche caso, poi, l’aver sostato del tempo al pronto soccorso di Acquapendente, magari in attesa del radiologo reperibile, prima di essere trasferiti in una struttura più adeguata, ha messo a repentaglio la vita dei pazienti.

Il problema è che Orvieto e Siena sono fuori regione, e se le persone si servono di quelle strutture diventano automaticamente un costo per la Regione Lazio. Ma, ovviamente, ai cittadini importa poco dove si curano, ciò che importa loro è di usufruire di un servizio decente, come dimostra il caso calabrese, dove chi se lo può permettere vola a curarsi addirittura a Milano.

Stiamo imparando in questi giorni, su scala maggiore, cosa significa curare il debito con altro debito, e dove si va a finire. Spostare il deficit dal bilancio regionale a quello nazionale attraverso fondi che servono semplicemente da salvagente per chi non ha voluto imparare a nuotare cronicizza il problema, ed è molto più costoso per i contribuenti di una addizionale regionale.

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Tremonti al FMI e la ‘virtù’ improvvisa dell’Italia /2010/04/25/tremonti-al-fmi-e-la-virtu-improvvisa-dellitalia/ /2010/04/25/tremonti-al-fmi-e-la-virtu-improvvisa-dellitalia/#comments Sun, 25 Apr 2010 21:37:55 +0000 Ugo Arrigo /?p=5758 “Al pari della Germania sui conti” titola il Sole 24 Ore on line, riprendendo le trionfali dichiarazioni del Ministro dell’Economia Tremonti ai margini della riunione del Fondo Monetario Internazionale:

Secondo il ministro dell’economia Giulio Tremonti a dar conto della posizione relativamente buona dell’Italia nel campo della fiscal sustainability e del fatto che, in confronto a molti altri, da noi si dovranno fare meno sacrifici, sono proprio i dati comparativi del Fmi sull’aggiustamento fiscale che si richiede oggi a ciascun paese per tornare, dopo l’espansione anomala imposta dalla crisi finanziaria internazionale, verso una dimensione di bilancio fisiologica, nel giro di dieci anni.

«Oggi il Fondo monetario ha dato le sue tabelle – ha spiegato ieri il ministro -. Ce n’è una sulla finanza pubblica che riguarda anche l’Italia che ci vede messi sullo stesso piano della Germania». All’Italia secondo le stime Fmi servirebbe una correzione strutturale (dunque, permanente) del saldo primario di bilancio pari a quattro punti di Pil tra il 2010 e il 2020, poco più della Germania (che nella tabella si colloca appena al di sotto dei quattro). Niente a che vedere, peraltro né con la Grecia che guida la classifica negativa con circa 15 punti, né con il Giappone o con gli Stati Uniti, per i quali la correzione strutturale necessaria è pari a 12 punti di Pil.
Un fatto certamente lusinghiero e soprattutto tranquillizzante, in questi giorni di mercati inquieti, che Tremonti non ha mancato di sottolineare: «Per tanto tempo siamo stati la pecora nera. Vedere oggi l’Italia vicina alla Germania e molto meglio di tanti altri grandi paesi – ha detto Tremonti – è una cosa che, come governo Berlusconi, ci riempie di orgoglio.

Davvero l’Italia è al pari della Germania per solidità dei conti pubblici? Virtuosi come i tedeschi? Difficile crederlo: il debito pubblico tedesco sarà pure più alto di quello italiano in valore assoluto (in realtà solo di 1 miliardo di euro nel 2009: 1762 per la Germania contro 1761 per l’Italia) ma in rapporto al Pil quello italiano, al 116%,  rimane ancora un pò più alto di quello tedesco, che è solo al 73% …; anche il bilancio annuale tedesco, che si è chiuso in attivo nel 2007, in pareggio nel 2008 e in disavanzo del 3,3% del Pil (solo 3 decimi sopra Maastricht) nel difficile  2009 non è propriamente quello italiano. Cosa giustifica in conseguenza il trionfalismo di Tremonti? Da dove sorgono le virtù improvvise e inaspettate della finanza pubblica italiana?

Si tratta in realtà di virtù solo relative e transitorie mentre i vizi storici, permanenti e assoluti, rimangono tutti, come dirò tra poco. E’ semplicemente successo che l’eredità dei vizi passati della nostra finanza pubblica non lasciava spazio a ulteriori peggioramenti di rilievo, nonostante la gravità della crisi. Di questo Tremonti era pienamente consapevole, a differenza dei suoi colleghi greci, e ha in conseguenza lasciato peggiorare il disavanzo ‘solo’ sino al 5,3% del Pil.  Pur trattandosi di un valore tutt’altro che trascurabile, dato che per trovarne uno peggiore bisogna ritornare al lontano 1996, ultimo anno prima dell’avvio dell’adesione all’euro, esso è comunque molto più vicino al 3,3% tedesco che ai  valori, superiori al 10% di Regno Unito, Irlanda, Spagna e Grecia.

Questo fa sì che in tabelle e grafici di finanza pubblica l’Italia appaia virtuosamente contigua alla Germania mentre gli altri paesi citati, ai quali vanno aggiunti extra Europa anche Stati Uniti e  Giappone, risultano viziosamente distanti da entrambe. Se ne ha un esempio nel quarto grafico (dal titolo ‘Actual and Debt-Stabilizing Primary Balances’) della Fig. 1.7 riportata a pag. 12 dell’Outlook del FMI, appena pubblicato. Sull’asse orizzontale, che riporta il saldo primario 2009 (in % del Pil) corretto per l’effetto del ciclo, Italia e Germania condividono l’area  sulla destra a valori positivi nella quale sono presenti solo altri due paesi (Danimarca e Nuova Zelanda, non identificate da etichetta), mentre tutti i rimanenti si collocano nell’area a valori negativi. Sin qui le virtù 2009 della finanza pubblica italiana. Tuttavia poichè noi economisti abbiamo l’abitudine di non osservare solo un asse nei diagrammi cartesiani ma entrambi, ci sentiamo in dovere di dare un’occhiata anche a quello verticale: l’avanzo primario (in % del Pil) necessario per stabilizzare il rapporto debito/Pil (cioè per impedire che cresca ulteriormente).

In questo caso le virtù dell’Italia non ci sono più dato che il nostro è il paese, tra tutti quelli considerati dal FMI, che necessità del più alto avanzo primario per fermare la crescita del rapporto debito/Pil, ben il 2,7% (a causa sia dell’alto stock di debito, sia della bassa crescita economica). Lo seguono il Giappone col 2,6% e il Belgio col 2,3%. Se invece non ci si accontenta di stabilizzare il rapporto debito/Pil ma si desidera riavviarne la convergenza verso l’obiettivo di Maastricht del 60%, allora il FMI, come Tremonti ha ricordato ai giornalisti, stima la necessità di una manovra strutturale sul saldo primario per l’Italia pari al 4% del Pil, che è inferiore a quella richiesta agli altri paesi dato che essi partono da valori attuali assai peggiori dei nostri. Ma questa non è una buona ragione per gioire: il 4%  sul Pil di manovra complessiva corrisponde infatti a 61 miliardi di euro.

Sintesi: la pecora italiana sarà pur diventata bianca da nera che era, come Tremonti e il Sole sostengono, ma questo non la esenterà dall’essere ulteriormente e consistentemente tosata nei prossimi anni.

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Una ricetta rapida per ridurre tasse e spesa pubblica /2010/01/17/una-ricetta-rapida-per-ridurre-tasse-e-spesa-pubblica/ /2010/01/17/una-ricetta-rapida-per-ridurre-tasse-e-spesa-pubblica/#comments Sun, 17 Jan 2010 17:01:27 +0000 Ugo Arrigo /?p=4800 Dopo il post sulla “tassonomia dei governi” ritorno sul tema tasse/spesa pubblica, sollecitato dai commenti ricevuti. Perchè i governi non riescono a ridurre le tasse? Parlo ovviamente dei governi che reputano positivo farlo e non di quelli per i quali ‘tassare è bellissimo’(*). Il post precedente, nella sua sinteticità, intendeva dare la colpa della mancata riduzione (e apparente mancata riducibilità) delle tasse alla spesa pubblica che non è solo un vincolo, un ostacolo, ma anche un beneficio per i governi e la classe politica, per di più indistinto tra i governi a cui le tasse piacciono e quelli ai quali non piacciono.

La spesa pubblica per i governi è un pò come  il canto melodioso delle sirene per Ulisse, senza tuttavia che vi siano pali (costituzionali?) ai quali legarlo e marinai-elettori in grado di farlo. O se si preferisce una metafora differente, una sorta di sostanza stupefacente verso la quale i governi acquisiscono dipendenza, compresi quelli formati dalle forze politiche che prima di divenire di governo, e di provarla, manifestavano assoluta contrarietà nei suoi confronti.

Un buon argomento per i governi che non vogliono ridurre la tasse è sostenere che non lo si può fare aumentando il deficit e accrescendo più rapidamente il debito e che non lo si può fare riducendo in maniera equivalente la spesa, dato il ciclo economico negativo. Hanno ragione? A mio avviso si sul primo argomento e no sul secondo. Sin sul primo argomento perchè abbassare le tasse in deficit significa togliere tasse oggi per averne di più domani e farle pagare a generazioni future che non avranno goduto della spesa pubblica di oggi e avranno (se si estrapola dalle tendenze in corso) meno reddito reale pro capite per farlo.

Sono pienamente d’accordo con Pietro Monsurrò: le tasse sono sempre preferibili al deficit e mi piacerebbe che vi fosse  un vincolo costituzionale al bilancio in pareggio che permettesse di usare negli anni di recessione solo gli avanzi  di bilancio accumulati in precedenza. Dato che la spesa è al 50% del Pil, se anche la pressione fiscale fosse al 50% per vincolo costituzionale, i cittadini si ribellerebbero alla spesa mentre al contrario, con la spesa al 50% e la pressione fiscale al 43% l’abnorme spesa pubblica  (e con essa l’abnorme peso dello Stato) viene tranquillamente accettata.

Tuttavia anche la riduzione della spesa attraverso le consuete manovre di finanza pubblica ha le sue controindicazioni, che non dipendono dal ciclo economico. Se si esclude la spesa per interessi che, dato lo stock del debito è decisa dal mercato e non dalle leggi finanziarie, la rimanente spesa corrente si articola in due maxi aggregati, sostanzialmente equivalenti nelle dimensioni: a) la spesa per trasferimenti (a famiglie e imprese); (b) la spesa per la produzione di servizi non destinati al mercato. In relazione alla componente b) il bilancio dello stato stanzia valori di spesa per le distinte categorie e finalità senza tuttavia essere in grado di porre paletti su quantità e qualità  dei servizi che con quei fondi saranni prodotti

Un esempio: uno stanziamento di 100 euro per produrre il servizio X può dar luogo a 20 unità prodotte a un costo unitario di 5, a 10 unità a un costo unitario di 10, a 5 unità a un costo unitario di 20 (solo per semplificare il ragionamento ipotizzo qualità costante). Nelle tre ipotesi il costo totale di produzione, che coincide con la spesa pubblica per quel servizio dato che esso non è allocato tramite il mercato, sarà sempre 100 ma il benessere del cittadino è evidentemente molto differente. Cosa succede se (trovandoci in Italia) vengono prodotte 1o unità a un costo unitario di 10 quando ne potrebbero essere prodotte 20 a un costo di 5 e Tremonti taglia con la finanziaria il 20% dello stanziamento, abbassandolo a 80 euro? Saranno ancora prodotte 10 unità ma a un costo unitario di 8 oppure ne saranno prodotte solo 8 a un costo unitario di 10? Lascio al lettore la risposta ma io propendo per la seconda. Se ho ragione, il cittadino che usa quel servizio starà peggio dopo il taglio se il risparmiodi spesa non verrà trasferito a lui sotto forma di minori imposte e se non troverà sul mercato quelle 2 unità che lo stato non gli garantisce più. E’ quindi probabile che dopo la riduzione di spesa stia persino peggio di prima.

Cosa si può fare dunque se le tasse non si possono abbassare in deficit e neppure la spesa si può abbassare con metodo ordinario per poter ridurre le tasse? Bisognerebbe abbassare entrambe contemporaneamente con metodo non ordinario. Illustro al riguardo una semplice e rapida ricetta che avrebbe il vantaggio non solo di abbassare la spesa e le tasse ma anche di aumentare la qualità, di ridurre i costi dei servizi pubblici e di accrescere le libertà dei cittadini. Ben cinque piccioni con una sola fava.

Di che si tratta? Mentre una quota rilevante dei servizi pubblici prodotti nell’area b) precedente, non destinati al mercato, rappresenta servizi a domanda collettiva per i quali è inevitabile che quantità e caratteristiche siano definite attraverso processi di scelta collettiva (cioè dalla politica) una quota ancora maggiore rappresenta servizi a domanda individuale. Per essi noi cittadini siamo benissimo in grado di scegliere da soli (a condizione che la tassazione ci lasci il potere d’acquisto per farlo) e non vi è nessuna necessità di delegare le nostre scelte alla politica.

La produzione di servizi pubblici a domanda individuale potrebbe pertanto essere spostata dall’attuale recinto della pubblica amministrazione verso organizzazioni esterne, non necessariamente di tipo privatistico (quali società, fondazioni, cooperative…). Potrebbero essere senza problemi enti pubblicistici (quali enti pubblici economici) purchè esterni alla P.A., da essa autonomi, e purchè finanziati non più dallo stato attraverso imposte bensì dai cittadini attraverso tariffe. Un esempio: se un anno di frequenza alla elementari ha un costo di produzione di 4 mila euro e uno di frequenza universitaria 6 mila, non vi è nessuna necessità che lo stato mi tassi per questi servizi per poi erogarmeli ‘gratuitamente’. E’ sufficiente che la tassazione mi lasci il reddito aggiuntivo per poterli pagare. In tal modo se sono benestante me li pagherò io e lo stato mi permetterà di dedurli dal reddito imponibile, permettendomi così di recuperarne una quota; se invece non sono benestante mi permetterà di detrarli per intero dalle tasse; se, infine, sono povero e il mio debito d’imposta sui redditi è inferiore a tale importo riceverò un trasferimento monetario equivalente o un buono.

Qual è il vantaggio di questa proposta, dato che nel preciso momento in cui venisse attuata noi pagheremmo una tariffa di 10 euro per ognuna delle quantità di servizio del mio esempio al posto di una somma equivalente attraverso le imposte? Che ora avremmo il coltello della scelta dalla parte del manico e incominceremmo a far pesare agli enti che ci forniscono servizi insoddisfacenti  che il costo è troppo alto e la qualità è troppo bassa, a usare gli strumenti della voce (la lamentela) e dell’uscita (l’abbandono del fornitore in favore di un concorrente più valido), ben descritti da Albert Hirschman in ‘Exit, voice and loyalty’. Gli enti produttori avrebbero tutto il vantaggio a soddisfare le nostre preferenze dato che dalle nostre scelte, e non dalla benevolenza di Tremonti, dipenderebbero i loro ricavi, i redditi dei loro dipendenti e la sopravvivenza delle organizzazioni nel tempo.

Certo si tratta di una grande riforma  (anche se semplice) con grandi ‘controindicazioni’ dal punto di vista del primato delle scelte collettive e della politica sulle scelte individuali. Ad esempio dopo una riforma di questi tipo gli Atenei dovrebbero finalmente usare le cattedre per produrre laureati validi anzichè usare gli studenti iscritti per produrre cattedre mentre non sarebbero più gli assessori regionali alla sanità a scegliere i fornitori di protesi ortopediche per gli ospedali.

(*) In realtà l’infelice affermazione di Padoa Schioppa sosteneva che ‘pagare le tasse è bellissimo’ e detta dal ministro responsabile del fisco è un pò come se il principe Dracula sostenesse quanto sia bello donare il sangue.

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Germania, Final Destination /2009/11/03/germania-final-destination/ /2009/11/03/germania-final-destination/#comments Tue, 03 Nov 2009 11:15:43 +0000 Giovanni Boggero /?p=3595 Su Noise from Amerika si intona l’inno funebre per il nostro paese, prendendo come pietra di paragone la Germania. I dati sono del World Economic Outlook del FMI e risalgono al mese di ottobre. Come la Germania ridurrà l’indebitamento netto nei prossimi anni è  però ancora oggetto di discussione in questi giorni. E tutto fa pensare che il buco di bilancio si allargherà ancora un bel po’. Verrebbe da dire: “equilibrio” un accidenti! Che cosa induca infatti gli economisti dell’FMI (e l’autore di NfA) a credere che la Germania non sprofondi nel baratro dei debiti non è affatto chiaro. Basterebbe dare un’occhiata al dibattito politico tedesco delle ultime ore. Di tagli alla spesa non si discute più. La Frankfurter Allgemeine di ieri parla di un governo che “a tutto gas si dirige nella nebbia politico-economica”. E così sarà.

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Destra e sinistra: trova le differenze /2009/08/26/destra-e-sinistra-trova-le-differenze/ /2009/08/26/destra-e-sinistra-trova-le-differenze/#comments Wed, 26 Aug 2009 21:44:45 +0000 Carlo Lottieri /?p=2357 La conferma per altri quattro anni (largamente in anticipo rispetto alla scadenza di dicembre) di Ben Bernanke alla guida della Fed dice molto della politica contemporanea e, in particolare, della forte continuità – su tante questioni – tra l’amministrazione repubblicana e quella democratica. Per Mark A. Calabria, da pochi mesi al Cato Institute e direttore degli studi sulla regolazione finanziaria per l’istituto libertario, questa decisione di Barack Obama ribadisce come Obanomics e Bushonomics siano spesso indistinguibili: e così possiamo dire, con le parole di Calabria, che Embracing Bushonomics, Obama Re-appoints Bernanke.

Salvataggi, espansione monetaria, deficit pubblico, progetti di nazionalizzazione e ulteriore regolamentazione: su troppi temi i democratici paiono confermare precedenti scelte compiute dall’amministrazione Bush e dagli uomini posti alla testa di importanti agenzie. Insomma, Washington e Roma non sono poi del tutto diverse.

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Ancora su Germania e tasse /2009/06/30/ancora-su-germania-e-tasse/ /2009/06/30/ancora-su-germania-e-tasse/#comments Mon, 29 Jun 2009 22:12:46 +0000 Giovanni Boggero /?p=1246 L’interessante discussione sviluppatasi a seguito del mio post sulle manovre economiche in Germania mi ha fornito lo spunto per risistemare il quadro concettuale; questo anche a seguito della sponda odierna di Oscar Giannino. La conclusione la trovate qui e non è dissimile da quella sostenuta su queste colonne nella giornata di ieri.

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Germania: modello in crisi? /2009/06/28/germania-modello-in-crisi/ /2009/06/28/germania-modello-in-crisi/#comments Sun, 28 Jun 2009 11:15:56 +0000 Giovanni Boggero /?p=1204 Ormai da tempo si rimprovera alla Germania di essere stata troppo cauta e prudente nello slacciare i cordoni della borsa, senza aver approfittato della crisi per espandere il deficit a sostegno dei consumi. Critiche di questo tipo, rivolte non da ultimo anche dal premio Nobel Paul Krugman, si inseriscono nel più ampio dibattito sul cosiddetto Modell Deutschland. Da una decina d’anni la Repubblica federale sembra infatti aver trovato il proprio Sonderweg nell’export, mentre la sua domanda interna ha continuato inesorabilmente a stagnare. Molti economisti individuano nel meccanicismo della teoria dell’equivalenza ricardiana la spiegazione razionale a consumi tanto asfittici.

“I tedeschi non sono convinti che riduzioni di imposte o trasferimenti sociali più elevati aiutino più di tanto i consumi. È un fatto che i consumi privati si sono ridotti proprio quando la Germania aveva un deficit superiore al 3 per cento. Il fatto di trovarsi sotto procedura europea ha stimolato il risparmio cautelativo” (Antonio Pollio Salimbeni)

Può essere che ciò sia in parte vero. Nulla va apoditticamente escluso. In realtà non si deve dimenticare che corposi tagli di tasse in Germania non si vedono da decenni, che ad aver soffocato la pulsione all’acquisto ci ha pensato anche l’aumento dell’IVA dal 16 al 19% voluto dalla grande coalizione ad inizio legislatura e che il determinismo del moltiplicatore del reddito fa gola a chi vuole risposte semplici ed immediate da propinare agli elettori… In ultimo qualche dato. La Germania non rientrerà sotto quota 3% del rapporto deficit/Pil prima del 2014 (questo, secondo le stime più ottimistiche del Finanzministerium). Quella del pareggio di bilancio è insomma la più grande promessa mancata dell’esecutivo rosso-nero. Il Ministro delle Finanze Steinbrück, un Visco in salsa teutonica, si è prima reso responsabile di un considerevole aumento delle imposte e poi, messo alle strette, ha dovuto mollare gli ormeggi, sacrificando il mantra del “Pareggiamo i conti!” a pacchetti congiunturali da miliardi di euro. Senza dimenticare che in questi anni, la spesa pubblica tedesca non è mai calata. Si mettano a confronto i dati del 2005 con quelli del 2009. La Germania è stata il paese del tassa e spendi. E oggi può vantare anche un altro primato: il più alto debito pubblico dal dopoguerra. Che fare? La ricetta che alcuni economisti liberal sembrano proporre è: rilanciare la domanda interna a suon di stimoli evitando il “paradosso del risparmio”, prelevare i soldi dalle tasche dei ricchi e nel frattempo costringere ad abbandonare la via delle delocalizzazioni “selvagge e predatorie”. L’idea non è nuova. Sta nel programma di Die Linke.

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Bastiat e il deficit tedesco /2009/05/27/bastiat-e-il-deficit-tedesco/ /2009/05/27/bastiat-e-il-deficit-tedesco/#comments Wed, 27 May 2009 10:27:44 +0000 Giovanni Boggero /?p=728 Se c’è una persona che nella ormai imminente campagna elettorale per la Cancelleria dovrebbe farsi vedere il meno possibile, questo è proprio Peer Steinbrück. Nella mattinata di oggi, infatti, il gabinetto di Große Koalition, formatosi nell’ottobre del 2005, con lo scopo conclamato di risanare una volta per tutti i conti pubblici, ha annunciato un deficit record, da far rabbrividire persino Theo Waigel. L’esecutivo calcola che per il 2009 il deficit di bilancio si aggirerà intorno agli 80-90 miliardi, più del doppio rispetto al rosso fatto registrare nel lontano 1996. Il partito socialdemocratico non sembra affatto preoccupato da questa pericolosa spirale. Ancora questa mattina il Ministro delle Finanze ha promesso aiuti per Opel e Arcandor, colosso della grande distribuzione prossimo al fallimento. In realtà secondo la Süddeutsche Zeitung le società pronte ad attingere dal pozzo creato ad hoc dal governo tedesco nel febbraio scorso sarebbero circa un migliaio. Questa curiosa forma di clochardisme industriale mi fa tornare alla mente una celebre battuta dell’economista francese Frédéric Bastiat:

“Siccome ciascuno sfrutta la legge a proprio profitto, allora anche noi vogliamo sfruttarla. Per questo occorre che siamo elettori e legislatori, affinché organizziamo in grande l’Elemosina per la nostra classe, come voi avete organizzato in grande la Protezione per la vostra”.

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