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Posts Tagged ‘corriere’

Brooking Ferruccio

13 ottobre 2009

Da un po’ di tempo a questa parte le idee di David Brooks (oggi direttore dell’ AEI) circolano sulle pagine del Corriere della Sera.

Le recenti battaglie intraprese da Via Solferino  hanno fatto forse distrarre la redazione che non ha offerto ai lettori uno degli ultimi interventi dell’opinionista del New York Times.

Sostiene Brooks che mentre le elitè americane discutevano di preghiera nelle scuole pubbliche e di morale sessuale i reali problemi del paese non venivano affrontati.

Over the past few years, however, there clearly has been an erosion in the country’s financial values. This erosion has happened at a time when the country’s cultural monitors were busy with other things. They were off fighting a culture war about prayer in schools, “Piss Christ” and the theory of evolution. They were arguing about sex and the separation of church and state, oblivious to the large erosion of economic values happening under their feet…

Non finisce qui. Sostiene giustamente Brooks che il dibattito politico americano è strutturato attorno a categorie obsolete (lo stesso  ragionamento potrebbe applicarsi al contesto italiano).

Our current cultural politics are organized by the obsolete culture war, which has put secular liberals on one side and religious conservatives on the other. But the slide in economic morality afflicted Red and Blue America equally.

In realtà, ci dice Brooks, la prossima Guerra culturale sarà fra quelli che vogliono più Stato e quelli che difendono la primazia dell’homo faber. Di quelli che producono su quelli che consumano.

Forse il Corriere potrebbe ripensarci ed offrire ai suoi lettori questo contributo. Editori permettendo.

Pasquale Annicchino liberismo, mercato , ,

L’azionista di riferimento di Poste Italiane

6 ottobre 2009

In un’intervista a Sergio Rizzo sul Corriere del 2 ottobre il leader della Cisl Bonanni ha sostenuto che “… non c’è che una soluzione per riaprire i rubinetti del credito alle imprese: le Poste. … Basterebbe fare come la Francia, che attraverso le poste ha creato La Banque postale. Funziona benissimo. Le Poste italiane raccolgono molti soldi e hanno 14 mila sportelli: nessuno ha una rete così capillare. Ma per fare mutui o servizi bancari devono ricorrere alle altre banche, come la Deutsche bank». Che cosa propone? – gli chiede Rizzo «Che le Poste diventino una banca a tutti gli effetti, perché sono in grado di far costare meno i servizi. Che prestino direttamente loro i soldi alle imprese…».
Naturalmente chiunque ha il diritto di formulare proposte economiche, a maggior ragione il segretario di un grande sindacato; tuttavia fa una certa impressione associare questa intervista all’influenza consistente che la Cisl ha sempre avuto e conserva inalterata sulla gestione di Poste Italiane (o forse addirittura accresciuta se si considera che nella primavera 2008 il governo appena costituito ha nominato alla presidenza dell’azienda, e si tratta della prima volta dalla riforma del 1994, un ex sindacalista Cisl).
Circa una quindicina d’anni e una dozzina di governi fa il compianto senatore Beneamino Andreatta si riferiva alla Cisl come all’ “azionista di riferimento” delle Poste. Molto buste sono transitate da allora nelle cassette delle lettere: le Poste, che ai tempi della frase di Andreatta erano una delle direzioni del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e registravano deficit paurosi, sono divenute ente pubblico economico nel 1994 e società per azioni nel 2008. I partiti di allora sono tutti scomparsi; la prima repubblica ha ceduto il passo alla seconda; il sistema multipartitico proporzionale è stato sostituito da quello bipolare e maggioritario; il centrodestra ha vinto nel 1994, perso nel 1996, rivinto nel 2001, riperso nel 2006 e ririvinto nel 2008. Ma l’azionista di riferimento delle Poste non è mai cambiato.

Ugo Arrigo Senza categoria , , , ,

Leggere l’Economist a via Solferino

10 maggio 2009

L’Economist di questa settimana si conquista una citazione nell’editoriale domenicale del Corriere, entusiasta del “sovvertimento causato dalla crisi nella gerarchia tra i sistemi economico-sociali in Europa” che il giornale diretto da John Micklethwait racconta con una cover accattivante. Se l’illuminato editorialista avesse letto anche l’editoriale dell’Economist, e non si fosse limitato a guardare la copertina, avrebbe “scoperto” che la posizione del settimanale britannico e’ un po’ piu’ complessa (e diversa da quella di chi e’ pronto a invocare la “colbertizzazione” dell’Europa, col paradossale argomento che si tratta dell’unico modo possibile per salvare il mercato unico!). Rispetto a quel “sovvertimento”, l’Economist scrive infatti:

But will it last? The strengths that have made parts of continental Europe relatively resilient in recession could quickly emerge as weaknesses in a recovery. For there is a price to pay for more security and greater job protection: a slowness to adjust and innovate that means, in the long run, less growth. The rules against firing that stave off sharp rises in unemployment may mean that fewer jobs are created in new industries. Those generous welfare states that preserve people’s incomes tend to blunt incentives to take new work. That large state, which helps to sustain demand in hard times, becomes a drag on dynamic new firms when growth resumes. The latest forecasts are that the United States and Britain could rebound from recession faster than most of continental Europe.

Individual countries have specific failings of their own. (…) It may not be long before the fickle Mr Sarkozy is re-reading his Adam Smith.

Al di la’ delle letture da consigliare a Sarkozy, o ai suoi epigoni “corrieristi”, l’Economist di questa settimana contiene un articolo molto interessante ed equilibrato sull’eredita’ della signora Thatcher, oggetto di dibattito sul Financial Times ed altrove. Lo trovate qui. Le tesi di rilievo sono due. La prima e’ che, a dispetto del breve termine, proprio gli interventi emergenziali degli ultimi mesi pongono le basi del successo di una prospettiva thatcheriana, basata su una “stringente disciplina economica”, nel medio e lungo termine. L’altra e’ che se ora vi e’ un “ritorno dello Stato” in alcuni ambiti,  nondimeno l’apertura a soluzioni privatistiche in altri ambiti, nemmeno sfiorati dall’opera della Lady di Ferro (i servizi alla persona, per esempio), e’ ormai parte a pieno titolo del dibattito politico e non se ne puo’ indovinare a breve la scomparsa. Anche perche’ i nuovi pesi che gravano sulle finanze pubbliche potrebbero costringere ad altre, per ora imprevedibili, esternalizzazioni e privatizzazioni.

Alberto Mingardi liberismo , , , ,