CHICAGO BLOG » contratti http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Fiat: Marchionne accetterà lunghe contrattazioni al tavolo del Ministero? /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/ /2010/10/06/fiat-marchionne-accettera-lunghe-contrattazioni-al-tavolo-del-ministero/#comments Wed, 06 Oct 2010 07:26:27 +0000 Andrea Giuricin /?p=7226 Il paradosso italiano, illustrato ieri, relativo agli sviluppi positivi delle relazioni sociali italiane in mancanza del Ministro dello sviluppo Economico è stato una provocazione. È comunque indubbio che negli ultimi cinque mesi si siano avuti dei progressi quasi inimmaginabili fino a pochi mesi fa ed il merito è certamente dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. La stessa casa automobilistica si è ritrovata ieri con le parti sociali per discutere del progetto “Fabbrica Italia”. Come ricordava il manager Fiat, è un piano in divenire e dunque non ha senso di parlare d’investimenti precisi, impianto per impianto.

E su questo punto era nata la polemica con il Partito Democratico, che con il responsabile Economia e Lavoro, Stefano Fassina, aveva affermato che “abbiamo scoperto dalle parole del Dott. Marchionne che la Fiat in realtà è un’associazione di beneficenza, e rimane in Italia per gratitudine”. Il dirigente del partito d’opposizione si era poi lamentato della mancanza della specificazione degli investimenti di 20 miliardi di euro in Italia, per rilanciare la produzione. Questa posizione ha superato a sinistra perfino la Fiom, che invece ha deciso di sedersi al tavolo delle trattative, lasciando inoltre fare le dichiarazioni alla parte più moderata del sindacato.

Questo cambiamento della posizione del sindacato deriva certamente dalla quasi certezza di elezione di Susanna Camusso alla successione di Guglielmo Epifani nella CGIL e dalla fine dello scontro elettorale interno alla Fiom.

Certo passare dalle parole ai fatti sarà ben più difficile per il sindacato che per un semestre si è chiuso in un veicolo cieco, andando al muro contro muro contro Fiat.

E senza dubbio l’amministratore delegato del gruppo Fiat è uscito vincente dallo scontro, tanto che la Federmeccanica ha imposto la sua linea di una contrattazione di secondo livello, eliminando il contratto nazionale.

Il contratto “Pomigliano” flessibile è necessario per portare gli investimenti Fiat in Italia. Senza una maggiore produttività non si capisce perché l’azienda torinese dovrebbe continuare a fare i propri veicoli nel nostro paese.

L’efficienza è essenziale alla sopravvivenza nel mondo automotive che diventa sempre più competitivo e globale.

Le difficoltà di Fiat non si fermano alle trattative sindacali e al Piano “Fabbrica Italia”. Le maggiori insidie arrivano dal mercato, dove la casa automobilistica registra forti difficoltà.

Il Piano industriale che prevedeva un raddoppio delle vendite da qui al 2014 è messo in discussione dalla crisi del settore auto europeo. In Italia le immatricolazioni sono calate del 18,9 per cento nel mese di settembre, una contrazione a doppia cifra come quella spagnola, -27,3 per cento, e tedesca, -27 per cento. Il mercato italiano rimane molto importante per Fiat e dunque la contrazione ormai in atto da alcuni mesi ha alzato il livello di guardia del gruppo torinese. Le vendite sono scese del 4,4 per cento da inizio anno e l’ultimo trimestre sarà certamente uno dei più difficili degli ultimi anni. E Fiat sta performando peggio del mercato con una contrazione del 12,1 per cento nei primi nove mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009.

Negli Usa, invece, Chrysler sta conquistando lentamente quote di mercato, dopo il pessimo 2009, anno nel quale aveva portato i libri in tribunale.

Per rilanciare il marchio di Detroit, che diventerà centrale nei piani di sviluppo Fiat, l’azienda torinese ha bisogno di risorse fresche. Per salire dal 20 per cento attuale al 51 per cento delle azioni di Chrysler sono necessari alcuni miliardi di dollari. Anche per questo motivo, valorizzando al massimo il gruppo, Sergio Marchionne ha proceduto allo spin-off.

Ora sono ben chiari i valori della parte auto e della parte industrial e giá si parla di cessione di alcuni marchi. In particolare gli ultimi rumors indicano Alfa Romeo alla Volkswagen e Iveco a Daimler. Difficilmente entrambi i marchi saranno ceduti ai concorrenti, ma altrettanto difficilmente Fiat manterrà tutti i marchi attuali nel suo portafoglio. Sergio Marchionne continua a dire che Alfa Romeo è al centro del piano di sviluppo americano e sembra avere qualche possibilità in più di essere ceduta Iveco. Certo è che l’amministratore delegato di Fiat è bravo a non svelare le proprie carte e anche le dichiarazione su Alfa Romeo potrebbero essere strategiche.

Alfa Romeo è uno dei marchi più internazionali del gruppo Fiat e, come affermato dal presidente di Volkswagen, Ferdinand Piech, potrebbe essere valorizzato maggiormente. Dietro queste parole del presidente del colosso tedesco molti analisti hanno visto l’interessamento di Volkswagen per il marchio del ”Biscione”. Probabilmente è così e probabilmente sarà una questione di prezzo.

Fiat dovrà dunque vendere qualche marchio per investire in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti.

Le parti sociali e il Governo Italiano devono comprendere che ormai Fiat è un’impresa globale e il Piano Fabbrica Italia è una parte di un piano più ampio.

L’azienda ha bisogno di flessibilità nell’investimento e gli ultimi cinque mesi hanno dimostrato che Sergio Marchionne non perderà tempo in lunghe contrattazioni infruttuose (al Ministero dello Sviluppo economico?)

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Corte europea dei diritti umani: Libertà contrattuale (e religiosa) a rischio /2009/12/12/corte-europea-dei-diritti-umani-liberta-contrattuale-e-religiosa-a-rischio/ /2009/12/12/corte-europea-dei-diritti-umani-liberta-contrattuale-e-religiosa-a-rischio/#comments Sat, 12 Dec 2009 09:14:57 +0000 Serena Sileoni /?p=4279 Rispetto alle reazioni che la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul crocifisso ha provocato, verrebbe da dire che il problema dell’esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche non si porrebbe se le scuole non fossero pubbliche. Ma non vado oltre, dato che, in poche righe, non è possibile dare conto di tutte le buone ragioni che inducono a pensare che il diritto sostanziale (dunque per tutti, non solo per i benestanti) all’istruzione potrebbe essere meglio garantito da un sistema scolastico basato sulla libera concorrenza piuttosto che da quella complessa burocrazia chiamato scuola pubblica. Ne riparleremo, magari, in un prossimo articolo, riprendendo i saggi di Einaudi e Valitutti che hanno sostenuto, con molta più autorevolezza di chi scrive, la libertà della scuola dallo Stato.

Per tornare al rapporto tra religione e istruzione, ritenevo che ogni preoccupazione delle due fazioni di questo conflitto culturale sarebbe venuta meno al cadere del presupposto di partenza, ovvero dell’appartenenza o meno dei muri scolastici su cui appendere il crocifisso al patrimonio pubblico, piuttosto che alla proprietà di soggetti privati. Poi, però, ho letto la sentenza Lombardi Vallauri c. Italia, emessa contemporaneamente alla ben più nota pronuncia della Corte di Strasburgo.
Il caso è noto, ma vale la pena ripercorrerlo nelle linee essenziali. Il prof. Lombardi Vallauri è docente di filosofia del diritto all’Università di Firenze. Dal 1976 insegna la stessa materia anche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in base a contratti annuali, rinnovati anno dopo anno, previa procedura di valutazione comparativa.
Nel 1998, prima di presentare la domanda di rinnovo del contratto per l’anno accademico 1998-1999, il docente ebbe un incontro informale con la Congregazione per l’Educazione Cattolica, organo della Santa Sede. Con lettera di pochi giorni successiva a quell’incontro, la Congregazione comunicava al rettore dell’Università S. Cuore che alcuni recenti orientamenti del professore erano da ritenersi in contrasto con la dottrina cattolica, tanto da costituire condizione di rigetto della domanda di nuovo contratto annuale. Il Consiglio di facoltà si adeguava alla lettera della Congregazione.
Esaurite le vie interne di ricorso per veder soddisfatte la sua pretese circa il riconoscimento della libertà di insegnamento e religiosa, il professor Lombardi Vallauri si rivolgeva così alla Corte europea dei diritti umani.
Buon senso comune, ovvero la saggezza di chi non è abituato al cavillo giuridico, porterebbe a pensare che la pretesa del docente non avrebbe trovato soddisfazione presso la Corte di Strasburgo. Negli ordinamenti occidentali, infatti, vige su tutti il principio di libertà. Libertà che è anche libertà contrattuale che si manifesta con la libertà di scelta della controparte, con la libertà di non concludere il contratto o di concluderlo alle condizioni volontariamente pattuite tra le parti.
Questo fondamentale principio vale per tutti i privati, persone fisiche, giuridiche, enti di fatto; regime diverso vale invece per gli enti pubblici. In virtù di questo principio sovrano di libertà trovano piena legittimazione la scelte determinate da motivazioni – razionali o meno – che si appellano all’intuitu personae, secondo cui ognuno è libero di determinare con chi concludere accordi e negozi giuridici, prima ancora che di decidere con quali modalità e a quali condizioni concluderli. Si noti peraltro che nel caso dedotto avanti la Corte Europea non si trattava di sciogliere un vincolo contrattuale, ma di farne nascere uno nuovo. È noto che l’università pubblica, per sua natura, è tenuta a selezionare i docenti sulla base di parametri preordinati e oggettivi di valutazione (quali la produzione scientifica), quindi con imparzialità e neutralità rispetto a criteri basati sulla personalità o sugli orientamenti dei candidati.
Al contrario, ero convinta, e con me credo tantissimi altri, che l’esistenza delle università private fosse giustificata in virtù di una precisa opzione culturale della loro attività pedagogica e che perciò esse erano naturalmente libere di selezionare il personale docente in base a criteri anche non strettamente inerenti il solo merito accademico, senza per questo contrastare con la libertà di insegnamento prevista dall’articolo 33 della Costituzione, ma anzi sostanziando la portata degli articoli 2 e 21 della stessa. Se non bastasse il senso comune, potremmo anche aggiungere che l’Accordo di revisione del Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana (che, giova ricordare, è un atto di diritto internazionale, e non interno) prevede che “le nomine dei professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore […] sono subordinate al gradimento sotto l’aspetto religioso dell’autorità ecclesiastica competente”.
Pertanto, agli occhi dell’uomo medio, come potrebbe essere quello di chi scrive, è un principio lapalissiano quello secondo cui gli enti scolastici e accademici privati siano liberi di educare gli iscritti secondo i loro principi, e dunque di decidere funzionalmente il personale incaricato dell’istruzione e della formazione. Evidentemente, la Corte europea è di altro avviso. All’esito del processo, infatti, la Corte ha riconosciuto la violazione della Convenzione europea dei diritti umani sulla base di un principio che, come ha già insegnato la giurisprudenza statunitense, rischia anche in Europa di diventare il passepartout per un attivismo giudiziario e un’ingerenza della “coscienza giurisdizionale”, nei casi in cui il giudice non ha una norma precisa a cui appigliarsi direttamente: il giusto procedimento. La Corte ha infatti concluso che il professor Vallauri è stato leso nel suo diritto a un contraddittorio equo con la Congregazione e l’Università, non essendogli stata data l’occasione di discutere con tali organi delle sue posizioni personali contrastanti con la dottrina cattolica e delle eventuali ricadute che queste posizioni avrebbero avuto sull’attività di docenza.
In mancanza di sostegni giuridici più solidi, non potendo fare riferimento evidentemente né al principio di uguaglianza né alla libertà di espressione né alla libertà di religione, giustizia è stata resa sulla base di una clausola estremamente aperta, quella appunto del giusto procedimento, che, come è avvenuto con il due process d’oltreoceano, ha giustificato pronunce giurisdizionali quantomeno creative, come la presente. Tanti sono gli insegnamenti che questa sentenza reca con sé. Il primo tra tutti è che la libertà contrattuale rischia di diventare meno libera…

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