CHICAGO BLOG » Commissione Europea http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Ogm: in nome di una legge che non c’è /2010/10/19/ogm-in-nome-di-una-legge-che-non-ce/ /2010/10/19/ogm-in-nome-di-una-legge-che-non-ce/#comments Tue, 19 Oct 2010 08:56:36 +0000 Giordano Masini /?p=7327 La proposta della Commissione Europea di lasciare agli stati membri la libertà di decidere ognun per sé se ammettere o meno le coltivazioni Ogm sembra trovarsi di fronte a una strada sempre più in salita. Dopo i pareri negativi espressi un po’ da tutti in giro per l’Europa  ora arrivano le prime prese di posizione ufficiali: i ministri dell’ambiente dell’UE si sono riuniti la scorsa settimana a Bruxelles e hanno votato a larghissima maggioranza (solo l’Olanda era a favore) contro la proposta, Italia compresa. Particolarmente dura è stata la posizione di Francia e Germania.

Il lato buffo della vicenda è che la nostra Conferenza delle Regioni, con il documento approvato il 7 ottobre, si rifà paradossalmente a una legislazione che non c’è, e che forse non ci sarà mai, ignorando quella in vigore:

Vista la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sullalibertà per gli Stati membri di decidere in merito alla coltivazione di colturegeneticamente modificate (COM (2010) 380 def.);
vista la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio (COM (2010)375 def.);
(…)
preso atto che l’Unione Europea intende ammettere la possibilità per i Paesi membri di vietare la coltivazione di OGM e che una tale opzione sussiste per il nostro Paese;
(…)
La coltivazione di OGM va valutata, oggi, alla luce di un nuovo quadro di riferimento, costituito dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla libertà per gli Stati membri di decidere in merito alla coltivazione dicolture geneticamente modificate; dalla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne lapossibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loroterritorio;

Può essere utile ricordare che l’approvazione delle linee guida per la coesistenza tra colture Ogm, convenzionali e biologiche, che la Conferenza delle Regioni continua a trascurare, è un passaggio necessario anche per sbloccare i test in campo aperto sugli Ogm, senza i quali la nostra ricerca biotech, anni fa all’avanguardia, è costretta a stare alla finestra.

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Più forte Scaroni /2010/03/02/piu-forte-scaroni/ /2010/03/02/piu-forte-scaroni/#comments Tue, 02 Mar 2010 09:38:03 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5291 La prima scossa si è avvertita sabato in Via Solferino, a Milano. Sul Corriere della sera un breve articolo di Gabriele Dossena spiegava che “sembrano stringersi i tempi per una progressiva uscita dell’Eni dal controllo di Snam Rete Gas“. Ieri una nuova scossa, dalle colonne romane della Staffetta Quotidiana, che ha confermato le indiscrezioni parlando di un obiettivo di riduzione del pacchetto azionario detenuto direttamente da Piazzale Mattei al di sotto del 20-30 per cento. Inoltre, Corriere e Staffetta alimentano la voce sull’intenzione di Snam di dismettere alcuni campi di stoccaggio – probabilmente quelli più prossimi alla scadenza delle concessioni – anche se quest’ultima notizia è stata smentita da una nota dell’azienda. Che sta succedendo?

Sta succedendo che Eni si trova, oggi, a pagare il conto di una troppo lunga resistenza contro la corrente della storia e del mercato. Sicché, in questo inizio di 2010, nel mezzo della recessione, grandina sul gruppo italiano e grandina sul valore del titolo, sceso dai circa 18,5 euro di inizio anno ai 16,50 di lunedì, e risalito a 17 proprio sulla scorta delle indiscrezioni su Snam. Lo stesso titolo di Snam si è impennato al diffondersi della notizia, salendo da 3,45 euro – valore attorno al quale oscillava da un po’ – fino ai 3,5 di adesso.

Grandina sulle partecipazioni ai gasdotti internazionali, messi nel mirino dalla Commissione europea a causa dei presunti comportamenti anticompetitivi. La soluzione individuata – la cessione al mercato dei gasdotti dal Nordeuropa, la vendita a un ente “amico” come la Cassa depositi e prestiti del Tag, il mantenimento degli attuali diritti di transito – non è del tutto soddisfacente, ma di certo innesca un movimento centrifugo che porta, fatalmente, il core business dell’azienda più lontano dalla gestione delle infrastrutture (a chi, contro questo argomento, cala la carta South Stream rivolgo una domanda: dal punto di vista dell’Eni, il business di South Stream sta nell’esercizio del gasdotto, o nella sua realizzazione? Cioè, il protagonista dell’eventuale operazione sarà Eni nel senso della oil company, Eni nel senso della utility, Eni nel senso del gestore di infrastrutture, o Eni nel senso di Saipem?). Grandina, analogamente e con insistenza maggiore, sul fronte regolatorio italiano, dove l’Autorità per l’energia non perde occasione per ricordare la propria posizione a favore dell’unbundling proprietario.

Grandina, infine, dagli azionisti, insoddisfatti dalla performance finanziaria del gruppo. Su tutti, il fondo attivista Knight-Vinke, che con le sue lettere ha sollevato un vespaio di polemiche e ha spinto il management dell’Eni a prendere posizione difensiva, salvo poi aggiustare progressivamente la posizione. Dal niet iniziale, senza se e senza ma, Paolo Scaroni è passato a riconoscere che l’integrazione verticale “non è un dogma” (qui la risposta soddisfatta di Eric Knight) fino, appunto, alle indiscrezioni odierne.

Se il piano illustrato da Corriere e Staffetta sarà confermato, di fatto si tratterà di un significativo passo verso le richieste del fondo americano. Mentre, infatti, sulla stampa si alternavano letture più o meno complottiste dell’operazione Knight, presentato ora come uno speculatore fesso (che avrebbe deliberatamente agito per distruggere il valore della sua partecipazione in Eni), ora come un agente dello Stato Imperialista delle Multinazionali, Scaroni e i suoi facevano i propri conti. Conti molto semplici che, secondo la maggior parte degli analisti, rispecchiano grosso modo l’analisi di Knight Vinke: la struttura anomala dell’Eni nasconde un valore che potrebbe emergere con una più razionale distinzione delle attività e allocazione del debito (che andrebbe messo sulle spalle della GasCo., cioè la parte utility dell’Eni, e della NetCo., cioè il gestore delle reti, e tolto dai piedi della OilCo., la compagnia petrolifera tradizionale che è il cuore pulsante dell’azienda). In questo modo, secondo Knight, potrebbero emergere fino a 50 miliardi di valore, con soddisfazione di tutti.

Con soddisfazione, in primis, di Knight, che ha in mano direttamente l’1 per cento dell’Eni, parla esplicitamente a nome di un altro 1 per cento in pancia al fondo Calpers, e dice di rappresentare una fetta di azionisti che complessivamente possiede un quarto del capitale sociale del gruppo. Facciamogli pure la tara e diciamo che, in realtà, solo la metà, ossia il 12,5 per cento, è d’accordo: questo ne farebbe comunque il secondo azionista, subito dopo il Tesoro che controlla direttamente il 20 per cento dell’Eni, e attraverso la Cdp un altro 10 per cento. Insomma: quella di Knight è una voce che non si può ignorare e alla quale i fatti e le decisioni di Scaroni sembrano, contro ogni aspettativa, dare ragione.

L’ho scritto e lo ripeto: l’anno prossimo scade il mandato di Scaroni. La sua poltrona appare solida ma, forse, non lo è così tanto, e forse lui stesso mira a un cambiamento. In ogni caso, sia che l’amministratore delegato dell’Eni voglia restare, sia che voglia andarsene, chiudere la gestione con un colpo di teatro gli darà fiche migliori che non passare per l’uomo della conservazione. Lasciare il controllo di Snam, se la cessione andrà a favore del mercato e non degli amici di amici, potrebbe essere la mossa con cui Scaroni rimescola le carte e crea valore. Per gli azionisti dell’Eni e per il suo stesso futuro.

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Un patto contro lo sviluppo /2009/12/19/un-patto-contro-lo-sviluppo/ /2009/12/19/un-patto-contro-lo-sviluppo/#comments Sat, 19 Dec 2009 08:58:48 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4358 Intendiamoci: da Copenhagen non è uscito nulla, e contemporaneamente è uscito qualcosa. Non è uscito nulla, nel senso che il mini-accordo non contiene alcun obiettivo specifico, alcuna indicazione sugli strumenti di policy, neppure il più vago accenno di una roadmap operativa. E questo è bene. Però contiene anche il germe di uno scenario che, nell’improbabile caso in cui abbia conseguenze, lascerebbe completamente fuori il Sud del mondo, che infatti non ha mancato di comunicare il proprio disappunto. Non senza ragioni.

In verità, le richieste dei paesi meno sviluppati vanno prese con le pinze: in fondo, il clima è – per molti – solo un taxi per arrivare a destinazione, cioè a percepire altri aiuti che consolideranno i regimi al potere e non avranno alcun effetto positivo per chi davvero soffre. Ma, al netto di questo, i paesi africani hanno fottutamente ragione: se il cambiamento climatico è davvero un problema potenzialmente catastrofico, causato dalle emissioni del mondo industrializzato, e amplificato da quelle delle economie emergenti, e se è vero che gli impatti più devastanti saranno riguarderanno proprio il continente africano, e se è vero che il global warming è una minaccia in sé (e non semplicemente un fenomeno che aggrava problemi esistenti, come invece pensiamo noi dell’IBL), allora è vero che gli africani pagheranno un costo a fronte del quale non hanno incassato alcun beneficio (mentre noi, teoricamente, paghiamo un costo ambientale in cambio di un beneficio economico, che sta bene).

Quindi, hanno perfettamente ragione – in questa prospettiva – i paesi meno sviluppati a chiedere aiuti e compensazioni. Se il Nord del mondo non può o non vuole mettere mano al portafoglio, allora bisogna dedurne che o i nostri leader politici non sono così generosamente disinteressati come amano dire, oppure che loro stessi non credono che le cose stiano come raccontano. O forse entrambe le cose.

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La pace dei browser /2009/12/16/la-pace-dei-browser/ /2009/12/16/la-pace-dei-browser/#comments Wed, 16 Dec 2009 18:14:08 +0000 Alberto Mingardi /?p=4318 E’ finita la guerra dei browser? Giornali e siti “generalisti” sostengono che si sia finalmente chiusa la “battaglia” fra Microsoft e Commissione europea. La mega-multa del 2004 riguardava pero’ l’inserimento di Windows Media Player in Windows. Il tormentone sui browser e’ assieme piu’ antico (si tratta dell’originario problema fra Microsoft e Antitrust USA) e piu’ recente, per noi europei. Nondimeno, il prossimamente ex Commissario alla Concorrenza Neelie Kroes ci teneva a chiudere il file, prima di cedere il testimone a Joaquin Almunia. “Milioni di consumatori europei potranno beneficiare della libertà di scelta sul tipo di browser da utilizzare”, ha detto. Va bene, continuiamo a prenderci in giro.

Che cos’e’ questa liberta’ di scelta? Cito da Repubblica.it:

Il meccanismo della “schermata di scelta” sarà semplice: una volta entrati in Windows, si aprirà una finestrella col titolo “Seleziona il tuo browser”, senza i tratti caratteristici di Internet Explorer, dove l’utente trovera in ordine casuale tutte le icone dei 12 browser più utilizzati in Europa, come Opera, Firefox, Safari o Chrome e altri. L’utente potrà cliccare sulle icone per ottenere maggiori informazioni e basterà poi un altro clic per installare il browser scelto come impostazione di default per navigare su internet. Questa finestra, che si chiamerà “Choice Screen” comparirà su tutti i pc che utilizzano i sistemi operativi Windows XP, Vista o Windows 7, grazie agli aggiornamenti automatici previsti dai sistemi. Il tutto a partire da marzo 2010.

Tanto rumore per… per risolvere con un meccanismo di questo tipo, che sostanzialmente fa risparmiare all’utente un clic rispetto all’aprirsi una finestra di Explorer e andare alla ricerca del nuovo browser che piu’ gli aggrada. L’impressione e’ che siano sprecate energie e parole per combattere e “vincere” una guerra che non ha piu’ ragion d’essere. Lo sviluppo di nuovi browser non e’ stato pregiudicato dal fatto che Explorer era offerto gratis a chi acquistasse un PC. Firefox, Opera e Safari hanno sgranocchiato quote di mercato riuscendo a convincere sempre piu’ utenti. Google con Chrome portera’ la competizione su un nuovo livello di integrazione, fra browser locale ed offerta di software “remoto”. La posizione dominante di Microsoft non si e’ ridimensionata (almeno in parte) perche’ abbiamo avuto un Antitrust attivista. Che per inciso se l’e’ presa con Media Player mentre iTunes cominciava a cavalcare la tigre, ed ha rispolverato la questione dei browser mentre andava cominciando ad assumere forma l’idea di “cloud computing”.

Microsoft oggi sembra meno pericolosa (se rifacessero il film “Antitrust”, per inciso una vera schifezza, e’ evidente che il “cattivo” oggi sarebbe Google) perche’ si e’ evoluta la tecnologia, e la concorrenza, quella vera non quella immaginata dai Mario Monti della situazione, ha fatto il suo corso. In questo “corso”, ci sta che grandi innovazioni tecnologiche o imprenditoriali garantiscano a un operatore una forte posizione dominante in alcuni momenti, quelli in cui avanza sull’abbrivio dell’innovazione da esso prodotta. Il problema e’ che questa posizione dominante sia “sfidabile” sul mercato, cioe’ non sia tutelata da protezioni legali.

Bruxelles ha accelerato, con le sue indagini e le sue multe, questo processo di distruzione creatrice? Ho i i miei buoni dubbi, perche’ gli interventi muscolari di Monti e della Kroes hanno penalizzato Microsoft senza “garantire” o “agevolare” una sfida di mercato a Microsoft. Il messaggio che hanno dato e’: quando diventi grande, entri nel mirino (e’ accaduto ad Intel, accadra’ a Google). Creare incertezza colpendo gli innovatori di ieri non aiuta quelli di oggi. E non incentiva altri a candidarsi ad essere gli innovatori di domani.

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Sarkozy contro la City, lo Stato dà alla testa /2009/12/02/sarkozy-contro-la-city-lo-stato-da-alla-testa/ /2009/12/02/sarkozy-contro-la-city-lo-stato-da-alla-testa/#comments Wed, 02 Dec 2009 21:43:54 +0000 Oscar Giannino /?p=4087 Nessuna eco in Italia per le incredibili parole pronunciate ieri dal capo dello Stato francese. A Londra, è insorto il governo, i banchieri, l’opinione pubblica. Ma non è affatto la rivincita di Waterloo. Riguarda tutti noi. Sarkozy pensa che la crisi significhi la vittoria dello Stato. Se l’Europa lo segue, si preparano tempi di ferro.

Che cosa ha detto il Capo dello Stato francese? “Non so se capite che cosa voglia dire per me vedere un francese per la prima volta in 50 anni come commissario europeo al mercato interno, responsabile anche dei servizi finanziari e della City londinese. Voglio che il mondo assista alla vittoria del modello europeo, che non ha niente a che fare con gli eccessi del capitalismo finanziario”. Qui la dura replica dei banchieri britannici, qui quella del Cancelliere dello Scacchiere, Alastair Darling.

Ma il problema non è quello di uno sciocco e antistorico revanscismo antibritannico. Se le banche britanniche insieme a quelle americane avevano la palma e la primazia della securitization a palate su cui si sono realizzati utili stellari credendo di cancellare i rischi con un tratto di penna e senza capitale di garanzia adeguato, anche Francia, BeNeLux e Germania hanno dovuto salvare le proprie, Deutsche Bank resta a tutt’oggi quella a più alta leva, tra le Landesbanken pubbliche germaniche abbondano ancor oggi vergogne che gridano vendetta, e tutte le grandi banche europee fanno utili da trading e carta carta carta, esattamente come prima della crisi e come quelle americane. Qual è mai, la superiorità del modello francese ed europeo? Quella della vergognosa vicenda Areva che si consuma in queste ore? Con lo Stato azionista dell’impresa leader nelle tecnologie nucleari che nega l’aumento di capitale necessario a rafforzarlo – ora che è sotto i colpi delle sue mancate promesse in Finlanda - e per questo lo obbliga per far cassa a cedere la divisione trasmissioni elettriche e  riduttori a due imprese private francesi, a trattativa privata ed escludendo quelle di tutto il mondo per non mettersi stranieri in casa? È la superiorità di chi non ha dato solo incentivi pubblici all’acquisto di auto come in mezzo contiene, ma ci ha aggiunto graziosamente anche 4 miliardi di euro pubblici ai due maggiori gruppi privati francesi? È la superiorità che ancora una volta ha visto i funzionari pubblici e non le imprese, decidere a tavolino a quali settori produttivi destinare i 15 miliardi di euro della Grand Emprunt?

Ci aspettano tempi duri. L’ubriacatura statalista francese è purtroppo più efficiente di quella media europea. Ma entrambe sono pazze, se credono di guadagnare insegnando ai cinesi a diffidare di mercato e finanza, preferendo Stato e partito. Che lo dica Sarkò mettendosi sotto i piedi autonomia e credibilità del neocommissario Michel Barnier, che per trattato NON rappresenta la Francia, oppure un ministro dell’Economia italiano alla scuola del PCC cinese a Pechino, la differenza non cambia: il nostro compito, utile a noi e alle generazioni a venire, è dimostrare tenacemente che sbagliano.

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Trasporto aereo: gli errori di Obama e della Commissione Europea /2009/10/14/trasporto-aereo-gli-errori-di-obama-e-della-commissione-europea/ /2009/10/14/trasporto-aereo-gli-errori-di-obama-e-della-commissione-europea/#comments Wed, 14 Oct 2009 16:01:08 +0000 Andrea Giuricin /?p=3266 La deregolamentazione nel trasporto aereo ha funzionato bene, come dimostra bene John Kay in una sua analisi sul Financial Times del 13 ottobre. Dalla fine degli anni Settanta, negli Stati Uniti sono scesi i prezzi dei biglietti aerei – grazie alla nascita e alla crescita delle compagnie low cost che hanno messo sotto pressione competitiva i grandi vettori nazionali. i nuovi operatori low cost, come Southwest o JetBlue hanno potuto espandere il proprio network solo grazie alla liberalizzazione avviata dall’amministrazione Carter. In Europa la liberalizzazione è arrivata con dieci anni di ritardo (1987) e il processo di apertura del mercato è stato più lento, tanto che il completamento è avvenuto solo il primo aprile del 1997. A partire da quell’anno anche in Europa sono cresciute diverse compagnie low cost.

Di questi vettori molti sono falliti, ma i più flessibili sono stati in grado di crescere, tanto da diventare i maggiori operatori nel mercato europeo. Quel che più impressiona di Ryanair ed Easyjet (le maggiori low cost europee), non è tanto il numero di passeggeri trasportati, 67 milioni la compagnia irlandese e 45 milioni il vettore inglese, quanto la capacità di essere diventati dei “vettori europei”. Tutti i vettori tradizionali per molti anni sono rimasti ancorati al concetto di mercato nazionale. Ad esempio AirFrance, grazie alla chiusura del mercato domestico voluta dai Governi francesi, ha sviluppato il proprio network internazionale, ma solo da e per la Francia. Invece sia Easyjet che Ryanair hanno compreso che si stava creando un mercato europeo e un consumatore europeo. Ora le due compagnie hanno grandi basi al di fuori del proprio paese d’origine e la loro crescita si sta concentrando proprio in Europa continentale.

Molti governi non hanno compreso l’evoluzione del trasporto aereo e molte volte si sono posti a difesa di un determinato vettore nazionale. Questo è stato l’errore più grande che la Francia ha commesso, tanto che è stato il mercato che meno si è sviluppato in termini di numero di passeggeri trasportati dal momento della liberalizzazione.

È invece importante liberalizzare il mercato, eliminando quelle barriere all’entrata che ancora esistono nel settore aereo. Tra queste due problematiche sono legate alla mancanza di un mercato degli slot e alle restrizioni derivanti dagli accordi bilaterali. È la ragione per la quale le misure della Commissione Europea e dell’Amministrazione Obama sono  oggi criticabili e da criticarsi.

La prima ha deciso di congelare gli slot per tutta la stagione invernale con la scusa della crisi economica. Così facendo in realtà ha bloccato ulteriormente il sistema del grandfather’s rights, che per lo meno permetteva un ricambio di compagnie aeree negli aeroporti nel momento in cui un vettore non utilizzava per l’80 per cento del tempo uno slot. Dopo il congelamento, una compagnia che non utilizza uno slot lo mantiene anche nella stagione successiva, anche se per quello slot ci fosse la domanda di altre dieci compagnie.

Il neo premio Nobel per la Pace invece ha deciso di congelare il processo di liberalizzazione del mercato tra Stati Uniti ed Europa.

Nel marzo 2008, dopo anni di difficili trattative tra i Governi, si decise di liberalizzare le rotte tra le due sponde dell’Atlantico, tanto che oggi qualsiasi compagnia europea o americana può volare da un qualsiasi punto degli Stati Uniti verso dell’Europa e viceversa. L’effetto dell’apertura del mercato è stato immediato, tanto che i prezzi dei biglietti sono caduti in maniera importante grazie alla maggiore concorrenza. I successivi stage di questa liberalizzazione prevedevano di “normalizzare” il mercato aereo, permettendo la fusione tra compagnie americane ed europee (oggi non è possibile). In un mercato che sempre più va concentrandosi, la possibilità di stringere alleanze sempre più strette fino ad arrivare ai merger era una buona idea, che tuttavia è stata bloccata dall’amministrazione democratica.

Difendere gli interessi nazionali o un determinato attore e bloccare la liberalizzazione di un determinato mercato fa sì che i prezzi rimangano più elevati e che i consumatori non possano beneficiare dei vantaggi della concorrenza.

Il Presidente Barack Obama e la Commissione Europea sanno bene che difendere gli interessi di pochi danneggiano tutti i viaggiatori, ma le loro decisioni sono state influenzate dalla lobby dei sindacati del trasporto aereo nel primo caso e di quella delle compagnie tradizionali nel secondo.

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Londra, la capitale del Capitale in fermento /2009/07/11/londra-la-capitale-del-capitale-in-fermento/ /2009/07/11/londra-la-capitale-del-capitale-in-fermento/#comments Sat, 11 Jul 2009 17:56:54 +0000 Luca Fava /?p=1491 La bozza di direttiva europea sui fondi alternativi di investimento continua a fare discutere. In attesa della prossima mossa della Commissione Europea, il primo cittadino di Londra, Boris Johnson, attacca duramente la proposta. Il sindaco, in un intervento alla Royal Opera House, critica duramente la scelta di regolamentare un settore non direttamente responsabile della crisi.

Se da un lato appare evidente come Johnson voglia tutelare i propri interessi, l’industria Hedge e Private Equity infatti è concentrata per un buon 80% nella City, dall’altro appare altrettanto chiaro come questa normativa rischi di penalizzare non solo la città di Londra ma tutta l’Europa.

I limiti sul leverage e gli alti costi di implementazione potrebbero innescare una pericolosa fuga di capitali (da qui la preoccupazione del sindaco) dall’Europa verso i mercati meno regolamentati di New York e Shangai, con buona pace dello storico primato di capitale del business della City.

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