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Posts Tagged ‘Chrysler’

Fiat: Mirafiori come Pomigliano?

30 novembre 2010

Mirafiori come Pomigliano? Questa è l’idea di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, almeno da un punto di vista dell’organizzazione del lavoro e non certo delle relazioni sindacali con la FIOM.  Sarebbe un altro passo in avanti ed una grande occasione per l’Italia. Flessibilità e produttività diventano quindi due parole sempre più importanti per gli stabilimenti italiani della casa automobilistica. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , , ,

Fiat: Marchionne, Fini e l’auto di Stato

25 ottobre 2010

Le parole del Presidente della Camera Gianfranco Fini verso Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat sono molto forti: “si è dimostrato più canadese che italianoâ€. Senza dubbio è solo un vantaggio. Ci voleva il canadese Marchionne per cambiare le relazioni sindacali in Italia. Vogliamo davvero che si continui ad avere una Fiat che sopravvive grazie ai soldi dei contribuenti? Né Fini né Marchionne lo desiderano. In realtà le affermazioni del presidente della Camera devono essere prese più come uno slogan elettorale e meno come un attacco a Fiat e al suo amministratore delegato; meglio dunque discutere del modello produttivo italiano, del suo fallimento e degli esempi da seguire o non seguire. E su questo ultimo punto vi è un’analisi di Massimo Mucchetti, che nel suo editoriale del Corriere della Sera sostiene che l’America non ha più nulla da insegnarci nel settore auto motive. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , , , , , ,

Fiat: Marchionne accetterà lunghe contrattazioni al tavolo del Ministero?

6 ottobre 2010

Il paradosso italiano, illustrato ieri, relativo agli sviluppi positivi delle relazioni sociali italiane in mancanza del Ministro dello sviluppo Economico è stato una provocazione. È comunque indubbio che negli ultimi cinque mesi si siano avuti dei progressi quasi inimmaginabili fino a pochi mesi fa ed il merito è certamente dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. La stessa casa automobilistica si è ritrovata ieri con le parti sociali per discutere del progetto “Fabbrica Italiaâ€. Come ricordava il manager Fiat, è un piano in divenire e dunque non ha senso di parlare d’investimenti precisi, impianto per impianto. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , , , , ,

Il paradosso italiano

5 ottobre 2010

Paradossi. Ieri è stato nominato Paolo Romani come Ministro allo Sviluppo Economico, proprio il giorno anteriore al quale si certifica un grande cambiamento nelle relazioni sociali. L’incontro tra Confindustria e sindacati per parlare di nuovi contratti nella meccanica arriva al termine di un semestre nel quale i rapporti tra le parti sociali hanno registrato un forte passo in avanti e all’Italia è mancato un Ministro. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , , , ,

Spin-off Fiat: da Pomigliano a Detroit

20 settembre 2010

Sergio Marchionne, con la “conquista†dell’America sta rendendo globale Fiat, che tuttavia si ritrova a discutere con un sindacato italiano molto antiquato. Il dato dal quale parte il ragionamento di Fiat e che una parte del sindacato italiano non ha capito è quello della produzione di veicoli. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , ,

Fiat globale vs. Fiom locale

4 settembre 2010

La nuova Fiat è sempre più globale, come mostrano anche i dati delle vendite di agosto nei principali mercati automobilistici. Certo un singolo mese non fa un anno, ma la tendenza dopo lo sbarco di Marchionne in America è questa. Tuttavia Fiat, nonostante l’acquisto di Chrysler, rischia di non essere abbastanza grande per il mercato dell’auto del futuro. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , ,

Termini Imerese: l’Italia a fine corsa con la politica dei sussidi?

14 gennaio 2010

Lo sciopero di Termini Imerese nello stabilimento della Fiat è cominciato in concomitanza con l’inizio del Salone dell’Automobile di Detroit, l’appuntamento del settore più importante nel Nord America. La chiusura dell’impianto produttivo siciliano è ormai quasi una certezza e la casa automobilistica non ha intenzione di cambiare i propri piani. Prosegui la lettura…

Andrea Giuricin auto , , , , ,

Auto di Stato: come spiegarla

1 giugno 2009

Quando sono Stato e politica a decidere di imprese private e settori di produzione, i media dovrebbero essere capaci di offrire analisi interpretative diverse dal puro colore, pur necessario e utile, su quali siano le predilezioni ideologiche del ministro zu und von Guttenberg della Csu rispetto ad Angela Merkel della Cdu, e agli esponenti della Spd. Occorrono anche criteri analitici ben più taglienti. Propongo un esempio, da zerohedge.blogspot.com che offre quotidianamente una miniera di dati finanziari. Date un occhio all’ipotesi proposta a http://zerohedge.blogspot.com/2009/05/i-am-marlas-observations-on-artifical.html, intorno alle eventuali inferenze tra potenziali sopravvissuti tra i dealers dell’auto nazionalizzata Usa,e le liste di donors per candidato alle primarie nelle ultime presidenziali.
Senza data di uscita dello Stato dall’auto come da tutti i settori che vengono “salvati”, data che deve essere dichiarata dalle autorità pubbliche in tempo contestuale agli interventi straordinari deliberati e attuati, non si attua solo una distorsione temporalmente illimitata del mercato con effetti a catena su migliaia di imprese che lavorano per il settore, ma si effettua anche una manipolazione sinergica del mercato del consenso politico. Allegria! È più utile elaborare e proporre numeri su questi fenomeni, o continuare a interrogare i diversi eredi della famiglia Agnelli fino al settimo grado di affini e consanguinei, per sapere che cosa avrebbero pensato di Opel i loro zii e nonne?

Oscar Giannino Senza categoria , , , , , ,

Fiat, Chrysler e l’avidita’ dei creditori

2 maggio 2009

Chi siano gli eroi della vicenda Chrysler-Casa Bianca-Fiat, e’ chiaro: Obama e Marchionne. Chi siano i villain, pure: i tre hedge fund Oppenheimer Funds, Perella Weinberg Capital Management LP e Stairway Capital Advisors (imitati poi da MatlinPatterson, Avenue Capital, York Capital ed Eton Park Capital Management) che non hanno accettato di “cancellare il debito” dell’industria automobilistica americana. La portavoce del Tesoro, Jenni Engebretsen ha ringhiato che “avevamo dato ai creditori riottosi la possibilita’ di fare la cosa giusta ma loro hanno posto il veto”. Obama ha a sua volta biasimato “chi non è pronto ad accettare sacrifici”. L’eterno ritorno del “greed” come tema politico. Per una prospettiva diversa,  date un’occhiata al giudice Napolitano su Fox.

Alberto Mingardi mercato , , , ,

Fiat-Chrysler e l’editto di Caracalla

1 maggio 2009

Per l’industria dell’auto italiana, cioè per Fiat Group Automobiles, l’intesa con Chrysler è l’equivalente dell’editto di Caracalla. Nel 212 dopo Cristo, Marco Aurelio Antonino figlio di Settimio Severo prese definitivamente atto che Roma era irreversibilmente “internazionalizzata”, dunque la sua cittadinanza andava estesa a tutti gli abitanti dell’Impero per riscuoterne le tasse, altrimenti le casse imperiali col cavolo che bastavano a pagare le legioni senza di cui non si ascendeva (e si restava) sul trono. La conseguenza fu la sempre più accentuata e poi definitiva emarginazione del Senato, come organo di legittimità e controllo della sovranità. In cambio, però, c’erano un paio di altri secoli di sovranità da guadagnare. Le cose non andarono proprio come previsto, ma era un atto di realismo.
Anche nell’intesa Fiat-Chrysler, c’è non solo un comandante militare capace di grandi intuizioni e veloci campagne come Marchionne, ma pure un Senato che accetta la rischiosa prospettiva di contare assai meno: cioè Exor che ha il controllo di Fiat, la Giovanni Agnelli&co alla quale partecipano in forma di sapa gli eredi Agnelli che controlla Exor, e risalendo ancora la Dicembre ss, in cui John Jaki Elkann con il 30,1% della sapa custodisce i custodi dell’intera catena. Tra le tante cose che all’indomani dello storico accordo i media italiani non mettono molto a fuoco, per le ragioni oggettive richiamate da Alberto Mingardi (a proposito, però: il neodirettore della Stampa mi è piaciuto, Mario Calabresi invece di levare peana ha preferito fare il giornalista vero, con un’intervista a Marchionne nella quale l’ad ammette che con le donne non batteva chiodo vergognandosi dell’accento, e aggiunge per amor di verità che senza Opel e altri pezzi di Gm nel mondo l’accordo è ancora largamente subottimale…) c’è innanzitutto il saggio realismo di chi, alla testa della catena, mostra davvero di non essere più tetragono nella difesa del controllo, di Fiat com’è e soprattutto di ciò che è obbligata in qualsivoglia modo a diventare, se intende sopravvivere. Jaki Elkann l’aveva già detto diverse volte, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo tutti i numerosissimi matrimoni internazionali falliti dalla Fiat in passato. Questa volta si fa sul serio, ed è bene così. Si potrebbe parlare di paradossale rivincita della posizione umbertina su quella dell’Avvocato, come in fondo da Umberto venne l’indicazione di Marchionne nel 2004. Ma sarebbe pura letteratura fiattista, quella in cui eccellono Castronovo e Berta. In realtà, l’esplosione dei mercati dell’auto è una delle più benefiche conseguenze della crisi finanziaria, perché ha mandato al pettine d’un colpo tutti i nodi che nell’ultimo decennio i giganti dell’auto -soprattutto americani – tentavano di eludere. E’ questo, a rendere del tutto diversa la situazione, e dunque fuori luogo anche ogni riferimento al passato torinese.
Proprio per questo, la consapevolezza di dover fare di necessità virtù a Torino poteva essere condivisa solo da un controllo societario estraneo alla vecchia generazione, e perseguita e realizzata da un capoazienda che la Fiat l’ha rimessa in piedi dal fallimento in cui versava proprio perché geneticamente altro e diverso, dalla precedente tradizione subalpina. Un anno e mezzo fa misi al lavoro una giovane giornalista del giornale che allora dirigevo a un libro che resta ancor oggi la miglior guida interpretativa (insieme a quello del professor Giuseppe Volpato, edito dal Mulino la scorsa estate) per comprendere che cosa davvero abbia fatto nei primi 4 anni a Torino Marchionne, al di là dell’agiografia mediatica. Si intitolava appunto “Il rebus Marchionne”. Davamo atto a Mr. Pullover, numeri alla mano, di aver realizzato nei primi tre anni gli obiettivi di recupero efficienza e utili annunciati per il quarto. Ma concludevamo con un giudizio e una domanda. Il giudizio era relativo al fatto che i piani al 2010-11 risultavano, nelle date e allora prevedibili condizioni di mercato, non alla portata dell’azienda (soprattutto per i marchi Alfa e Lancia, di cui si ipotizzava più del raddoppio dei volumi con oltre 300mila veicoli a testa l’anno). Lo slogan marchionnesco, “in 5 anni ciò che Toyota ha fatto in 50″, era attuato e credibile per la miglior efficienza del management e degli impianti, ma non poteva funzionare a fronte di un’intensità di capitale in ricerca per unità prodotta drammaticamente sottodimensionata, rispetto a quella dei maggiori concorrenti (FGA ha investito tra 2002 e 2006 poco più di 11 miliardi, i francesi di PSA 22, Daimler 25, Renault 26, Nissan 32, Volswagen 46, Toyota 73). La domanda, di conseguenza, era rivolta agli azionisti. O un matrimonio con un partner complementare e forte, accettando il ridimensionamento sia pur portando in dote motori e cambi avanzati e una ricca panoplia di alleanze già operanti nei diversi segmenti, da Ford a Psa a Tata. Oppure uno “spacchettamento” della conglomerata, separando l’auto da camion, veicoli industriali e agricoli, per liberare valore e aumentare la leva possibile dei finanziamenti da chiedere al mercato per crescere.
La crisi mondiale è come dicevo benefica, perché mette l’intero settore dell’auto di fronte a interrogativi che prima gravavano solo su Fiat. Ma la proprietà intanto una risposta l’ha data, accettando di mettersi in gioco in un matrimonio con un partner debole ma che rappresenta l’accesso diretto al mercato Usa, e che consente di avere tutt’altre credenziali dal passato per aggregare anche ciò che più serve, cioè partner credibili in Cina e Russia (il peggior fallimento internazionale di Marchionne, purtroppo, sta in quei due mercati decisivi), nonché rafforzamenti in Europa e Sudamerica (per questo servono gli asset che GM potrebbe dismettere, tra Vauxhall e Opel come in Brasile dove Fiat è leader, e per fortuna che il Brasile di Lula regge alla crisi visto che in questi anni l’utile auto di Fiat viene al 90 e più per cento solo dal Brasile e dalla Polonia, gli unici stabilimenti del gruppo torinese che in questi anni sono andati in over capacità produttiva, con margini altissimi).
Nessuno è in grado di dire oggi a quali condizioni societarie avverrà un domani la “salita” di Fiat al 35% di Chrysler, perché ciò comporterà denari da investire che oggi la Fiat non ha (più 6 che 5 miliardi di debiti finanziari, più di 7 miliardi di debito obbligazionario, da poche settimane degradato al rango di junk bond). Ma quei denari potrebbero venire davvero, non solo dal governo e da primarie banche Usa oltre che italiane, se entro i primi 9-12 mesi Washington e i mercati vedranno che il tornado Marchionne si produrrà in Chrysler come ha beneficamente funzionato a Torino.
Di incognite ce ne sono moltissime. Mi limito ad elencarne alcune, tra quelle che mi sembrano maggiori. Il mondo degli analisti per esempio è diviso sulla “natura” della crisi in corso. Gli ottimisti a oltranza ritengono che si tratti di una pura crisi della domanda, effetto del piantarsi drastico dei consumi a causa dello spavento
ingenerato dalla crisi finanziaria e bancaria. Basterà che i governi varino iper rottamazioni incentivate in Europa – come puntualmente avvenuto in Germania, Italia, Francia, UK ecc -e magari stanghino di tasse alla pompa gli americani per indurli a “comprare verde”, ed ecco che i volumi torneranno tali da poter consentire a ciascuno il suo, senza necessità di grandi rivoluzioni. Non sono di questa idea. La crisi è salutare perché mette alla frusta il settore dell’auto mondiale dal versante dell’offerta: la sovraccapacità produttiva nell’ordine del 30% è figlia di un quindicennio di rinvii di scelte necessarie, poiché tranne la Gran Bretagna nessun grande Paese avanzato ha voluto rinunciare al suo o ai suoi campioni nazionali dell’auto, senza mai imboccare un’ottica davvero globale (Renault-Nissan è stata l’eccezione, grazie a Goshn), con la scusa che l’auto resta “strategica” e ogni occupato in fabbrica se ne porta dietro altri sei nell’indotto. L’auto, in realtà, è un settore a tecnologia matura assai meno decisivo dell’ICT o dell’energia, e quei ragionamenti sono solo comprova di come politici e regolatori ragionino con la testa rivolta all’indietro, e manager e proprietà siano lesti nel saperne approfittare.
Se la crisi è dell’offerta – e dunque l’America deve accettare di incidere in profondità, come sta facendo a spese del contribuente, i suoi tre giganti malati – è pur vero che nessuno è in grado di dire davvero oggi quali saranno le modifiche “strutturali” della domanda, una volta che si esca dal puro terrore ribassista in materia di redditi disponibili dei consumatori. Su questo capitolo gravano molti equivoci, quanto a lettura della futura domanda di veicoli nel mercato Usa, come negli altri avanzati. Solo degli sciocchi possono credere che la 500 si venda a centinaia di migliaia di unità nell’America profonda o nel Nordovest (idem dicasi per le Alfa, al di là di qualche migliaio per amatori). Una delle tre condizioni sottoscritte da Marchionne come test del successo verificabile in progressione, per consentire a Torino di giungere domani al controllo industriale di Chrysler (quello di fatto, resterà per chissà quanto ai sindacati, che oggi ragionano, ma un domani che la domanda riparta, auguri) è di produrre entro il 2012 una vettura che faccia 40 miglia a gallone, 16,5 km a litro. Si può fare benissimo, già oggi qui in Europa siamo pieni di auto che consumano meno. Ma il punto è che quella da produrre in Chrysler dovrà essere una vettura “americana e per gli americani” a tutti gli effetti, non una 500 superfetata. E quanto a Daimler e BMW, saranno le loro berline di lusso a continuare ad attirare volumi crescenti di ricchi russi e cinesi, così come VW è il gruppo che meglio in questi anni ha saputo giocare a livello mondiale la complementarietà di ben 7 marchi diversi.
Marchionne lo sa benissimo. E del resto all’accordo c’è potuto arrivare proprio perché era l’unico capoazienda dell’auto al mondo più canadese e americano che del proprio Paese d’origine, e insieme perché la nazione su cui insiste Fiat è, paradossalmente, la meno “ingombrante” agli occhi Usa rispetto alla tetragona Germania o all’infida ma velleitaria Francia. La relativa debolezza dell’Italia ha aiutato il deal, invece di ostacolarlo. Oltre alla memoria del terribile errore compiuto da Gm pagando 2 miliardi per non esercitare l’opzione su Torino negoziata da Fresco.
Marchionne se ne sarebbe andato, se non fosse scoppiata la crisi che gli ha prima impedito di lasciare Torino per UBS, e poi sempre la crisi non gli avesse fatto balenare quella che oggettivamente è l’occasione della vita. Per gli eredi Agnelli, in termini machiavellici è una fortuna assai superiore alla virtù. Una fortuna da alimentare con preghiere incessanti a Numi dell’Olimpo, e con la necessità di iniziare rapidamente a pensare a nuovi mezzi finanziari per il balzo mondiale, ben superiori al miliardo di euro che Exor ha in cassa, e che del resto non intende convogliare nell’auto. Senza adeguate risorse per crescere, si rischia di ripetere l’errore dei successori di Caracalla. Si affidarono solo all’alea delle legioni, e furono 70 anni di terribile anarchia, fino a Diocleziano.

Oscar Giannino mercato , , ,