CHICAGO BLOG » chernobyl http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Il governo del vietare /2010/07/01/il-governo-del-vietare/ /2010/07/01/il-governo-del-vietare/#comments Thu, 01 Jul 2010 10:39:14 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6407 UPDATE: Meno male che Saglia c’è.

Un drammatico incidente all’estero. L’Italia che reagisce scompostamente, castrando il suo futuro energetico nonostante le condizioni in cui la tragedia si è verificata in un paese molto lontano non abbiano nulla a che vedere con le tecnologie e le procedure impiegate nel nostro. Non sto parlando dell’uscita dal nucleare dopo Chernobyl. Sto parlando delle reazione, altrettanto scomposta, del ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che pensa sia cosa saggia rispondere al disastro della Deepwater Horizon imponendo un bando alle estrazioni offshore in una fascia di 5 miglia dalle coste nazionali (12 nelle zone marine protette). Greenpeace applaude. Dovrebbe far pensare.

Anzitutto qualche informazione di base. La Deepwater Horizon – qui le specifiche tecniche – è una piattaforma petrolifera attrezzata per la perforazione in acque fino a circa 2.500 metri di profondità, cioè in quelle che si definiscono acque “ultra profonde” (sebbene non vi sia una definizione codificata, generalmente si intendono “profonde” le acque oltre i 300 metri, “ultra profonde” sotto la soglia – fino a poco tempo fa economicamente e tecnologicamente impensabile – dei 1.500 metri, o 5.000 piedi, come spiega bene Ed Crooks). La piattaforma estraeva petrolio dal campo denominato “Macondo“, che sta a una profondità di circa 1.500 metri. Qui si trovano maggiori informazioni. Il pozzo – che sotto la colonna d’acqua scende ancora per 5 o 6 mila metri attraverso la crosta terrestre – è così difficile da sistemare proprio per le condizioni estreme di pressione che si vengono a creare nelle profondità oceaniche. Il trovarsi in acque profonde non è, di per sé, una condizione facilitante l’incidente, ma è sicuramente una delle ragioni per cui aggiustare le cose è così difficile.

Quale relazione ha questo con le avventure esplorative nelle coste italiane? La risposta è semplice: nessuna. Come è facile verificare dall’elenco delle piattaforme attualmente esistenti, gran parte delle nostre avventure estrattive si mantiene in acque basse, attorno o sotto i 100 metri di profondità. Solo in un paio di casi si scende significativamente più in basso, cioè attorno ai 1.000 metri, peraltro in entrambi i casi a grande distanza dalla costa (oltre 40 chilometri). Tempo fa qualcuno ha provato a cercare in acque ultra profonde al largo della Puglia, ma senza risultati. Dunque, oggi pochi o nessuno credono vi siano giacimenti abbastanza ricchi in acque così profonde, e pochi o nessuno vanno a cercarli. Ma la vera differenza è un’altra, e mi spiace non trovare un modo per dirlo con tatto, e dunque senza sconvolgere il ministro Prestigiacomo: l’Italia galleggia nel mar Mediterraneo. Il Mediterraneo non è il golfo del Messico. Noi non abbiamo giacimenti giganti da sfruttare, e neppure grandi. Abbiamo dei dignitosi reservoir che danno un piccolo – importante, ma piccolo – contributo a soddisfare il fabbisogno nazionale.

Basta un numero: da quando c’è stata l’esplosione della Deepwater, Macondo rigurgita qualcosa tra 5.000 e 100.000 barili di greggio al giorno (la verità sta probabilmente attorno alle poche decine di migliaia). L’intera produzione quotidiana di tutti i nostri pozzi sottomarini messi assieme è stata, nel 2009, in media di 11.000 barili / giorno. Questo significa che le perdite da Macondo valgono tra la metà e dieci volte la nostra produzione aggregata. Le dimensioni contano.

Insomma. Non è solo che il bilancio tra i costi e i benefici dell’offshore drilling è ancora, tutto sommato, positivo, nonostante Deepwater Horizon. Non è solo che, almeno negli Usa e almeno in parte, la corsa verso le profondità abissali dipende anche da una politica troppo conservativa nel rilasciare concessioni estrattive a terra. Non è solo che l’incidente è, almeno in parte, figlio della cultura aziendale di Bp, titolare di Deepwater Horizon. Non è solo che, nonostante tutti i nostri tentativi di razionalizzare l’accaduto, c’è sempre di mezzo anche la sfiga – cioè, una cosa normalmente buona (l’estrazione sottomarina) ha avuto, occasionalmente, conseguenze nefaste. E’, soprattutto, che qualunque cosa sia accaduta nel Golfo del Messico non è neanche parente di qualunque cosa sia accaduta o possa accadere nel nostro paese.

Ovvio che questo implica anche che il danno effettivo di un bando sull’esplorazione petrolifera in Italia è diverso da quello dello stesso provvedimento, poniamo, negli Usa. Ma ci sono almeno due aspetti rilevanti. Primo: per piccola che sia, la produzione petrolifera italiana è comunque importante. Per sacrificarla, bisogna avere ragioni molto forti, che non mi pare vengano portati da Prestigiacomo e da chi la pensa come lei. Secondo: c’è un problema di credibilità del paese. Più ci comportiamo in modo isterico, più reagiamo in modo uterino a quello che accade fuori dai nostri confini, e più spaventiamo gli investitori e riduciamo le nostre prospettive di crescita. La chiusura delle centrali atomiche non ha fatto male al paese solo perché ci ha fatto perdere una fonte di energia: ha detto al mondo che l’Italia è un paese di cui non ci si può fidare. Avanti così, dunque?

Tutti i politici hanno un bisogno patologico di mostrare i muscoli. Prestigiacomo non fa eccezione. Ma in ultima analisi andrebbe presa di petto l’idea che, di fronte a qualunque problema, da Chernobyl alla marea nera, la reazione giusta sia di nascondere la testa sotto la sabbia e fare un passo indietro verso le caverne. Se si trattasse di un individuo, potrebbe sbrigarsela con lo psichiatra. Trattandosi di diverse generazioni di un’intera classe politica, forse dovremmo farci delle domande più profonde.

Vietare tutto, vietare subito, vietare sempre non ci renderà più sicuri. Ci renderà solo più poveri e marginali.

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