CHICAGO BLOG » Cgil http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Quando, a Milano, la Camera del Lavoro dava lezioni di liberismo /2010/10/27/quando-a-milano-la-camera-del-lavoro-dava-lezioni-di-liberismo/ /2010/10/27/quando-a-milano-la-camera-del-lavoro-dava-lezioni-di-liberismo/#comments Wed, 27 Oct 2010 16:55:30 +0000 Carlo Lottieri /?p=7415 La presentazione pubblica, martedì scorso, del coraggioso volume di Riccardo Cappello (“Il cappio. Perché gli ordini professionali soffocano l’economia”, edito di recente dalle edizioni Rubbettino) ha offerto spunti di notevoli interesse. Oltre a Donatella Parrini, a Nicola Iannello e all’autore, ha partecipato all’iniziativa – tenutasi in un’aula del Senato (qui vi è la registrazione) – anche Pietro Ichino, che come gli altri intervenuti ha mostrato di apprezzare il volume,  si è espresso apertamente contro il corporativismo che domina l’Italia e contro la legge di riforma in discussione (che quelle logiche si propone di rafforzare), e infine ha pure ricordato un gustoso episodio, da lui vissuto in prima persona.

Avvocato e al tempo stesso iscritto alla Cgil, per anni Ichino ha operato presso la Camera del Lavoro, a Milano, a difesa di quanti avevano bisogno di una tutela legale. I professionisti che la Cgil metteva a disposizione dei propri associati, però, non ricevano un onorario in linea con i minimi fissati dall’ordine degli avvocati, ma venivano retribuiti secondo un meccanismo che in qualche modo anticipava il contigent fee: una piccola quota percentuale di quanto l’operaio otteneva, in caso di successo, finiva all’avvocato. Ed era certamente meno di quanto un legale avrebbe ottenuto in un rapporto professionale ordinario.

Si capisce perché le cose funzionassero così. Gli avvocati prestavano tale servizio anche sulla base di una motivazione ideale, e lo facevano indirizzandosi spesso a persone con un reddito modesto, che non avrebbero avuto tutela se avessero dovuto retribuire il legale secondo i parametri prefissati.

Quando però la cosa si seppe, l’avvocato Ichino venne convocato dall’ordine, a quel tempo guidato da Giuseppe Prisco, che gli fece presente come il suo comportamento e quello degli altri avvocati della Camera del Lavoro fosse illegale. Ichino però non indietreggiò, chiedendo anzi a Prisco e all’ordine di adire le vie legali nei loro riguardi, dato che poteva essere una buona occasione per mettere in discussione i minimi stessi e aprire un contenzioso in grado di smuovere la situazione. All’italiana, alla fine l’ordine finse di non vedere e tutto restò come prima.

L’episodio è interessante, anche perché fa piacere constatare come – in date circostanze – la Camera del Lavoro abbia giocato “su posizioni liberiste”. Quando la regolazione impedisce a un sindacato di operare secondo le proprie logiche e seguendo la propria ispirazione, è normale che esso si ribelli dinanzi a quella forma di dirigismo e la metta in discussione. Ma è triste dover prendere atto che, qualche decennio dopo, il tema della difesa corporativa dei compensi professionali minimi resta d’attualità, a causa di un ceto politico che continua a essere prigioniero della parte più miope e arretrata del mondo dei professionisti.

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La disdetta di Federmeccanica, il bando Fiom a me /2010/09/07/la-disdetta-di-federmeccanica-il-bando-fiom-a-me/ /2010/09/07/la-disdetta-di-federmeccanica-il-bando-fiom-a-me/#comments Tue, 07 Sep 2010 19:42:12 +0000 Oscar Giannino /?p=6972 Dieci, cento, mille Pomigliano. Le nuove regole contrattuali sottoscritte da Confindustria nel 2009 con tutti i sindacati meno la Cgil, l’accordo applicativo delle nuove regole per più produttività in cambio di più salario detassato proposto da Fiat a Pomigliano e approvato alle urne da due terzi dei dipendenti, hanno compiuto ieri un altro passo verso la rivoluzione delle relazioni industriali italiane. All’unanimità, il consiglio direttivo delle imprese meccaniche di Confindustria ha infattin ieri affidato al presidente, Pierluigi Ceccardi, il mandato di procedere alla disdetta del contratto dei metalmeccanici siglato il 20 gennaio del 2008. La Fiom è insorta, il suo segretario Maurizio Landini ha giudicato la scelta come una vera e propria lesione alle regole democratiche del Paese. Prima dell’analisi della nuova fase che si apre, è il caso di spiegare ai non addetti ai lavori in che cosa davvero consiste, la scelta confindustriale adottata tra le reazioni positive di tutte le altre sigle sindacali.

Il contratto disdettato da Federmeccanica era l’ultimo sottoscritto dalla Fiom. Dopo l’accordo interconfederale sul salario decentrato di produttività, sottoscritto dalle associazioni imprenditoriali e da tutti i sindacati con l’eccezione della Cgil, si è aperta una nuova stagione di rinnovi contrattuali secondo le nuove regole. Per l’industria meccanica, l’intesa è stata raggiunta il 15 ottobre 2009. Senza la firma della Fiom, che nega l’intesa abbia valore di contratto e si è sempre riservata di impugnarlo di fronte al giudice del lavoro. Malgrado l’intesa preveda un aumento retributivo medio di 112 euro, con la prima tranche dell’aumento regolarmente versata sarà in busta paga nel gennaio 2010, con l’aggiunta sempre nel gennaio scorso ai circa un milione e 300mila lavoratori metalmeccanici di una tranche ulteriore, come elemento di perequazione per chi non ha la contrattazione integrativa.

Il motivo per il quale la Cgil non ha firmato l’intesa generali sui nuovi assetti contrattuali,e poi la Fiom altrettanto solitariamente non ha sottoscritto il nuovo contratto dei meccanici, sta nel fatto che sia l’intesa generale che quella di comparto introducevano due istituti che per quel sindacato sono inaccettabili. Il primo è la contrattazione decentrata come scelta generale su quote crescenti di salario, in cambio di più produttività. La seconda è la facoltà di procedere a deroghe nei confronti del contratto nazionale: deroghe da contrattare col sindacato, ma deroghe azienda per azienda, stabilimento per stabilimento, deroghe per comparti – come quello dell’auto, in cui insiste Fiat – o deroghe estese addirittura all’intero settore. Scelte che innovano in profondità la rigidità della vecchia contrattazione, incentrata sull’intangibilità del contratto nazionale sia per la parte normativa, sia per la parte salariale. Due novità che mettono di comune intesa – impresa e sindacati – lo scambio tra produttività e salario come sfida necessaria da condividere: per rilanciare la manifattura italiana, per metterla in condizione di agganciare al meglio la ripresa mondiale secondo le specifiche esigenze di miglior utilizzo degli impianti, dei turni, degli orari, che solo in ciascuno specifico insediamento produttivo possono essere meglio sfruttati, non in un solo contratto per tutti siglato a Roma.

La convinzione condivisa tra Confindustria e maggioranza dei sindacati è che solo così, nel mondo globalizzato, possiamo continuare a restare la quinta potenza industriale mondiale difenendo i posti di lavoro – spesso tendiamo a dimenticarlo, che siamo i quinti al mondo dopo Cina, Usa, Giappone e Germania, e pur nella crisi difendiamo bene la nostra posizione mentre tutte le altre nazioni avanzate sono in caduta libera, con l’eccezione tedesca.

Con il caso Fiat-Pomigliano è venuto il primo banco di prova delle nuove regole. E si è toccato con mano che la maggioranza dei lavoratori e dei sindacati, sia pur di fronte alla durissima polemica della Fiom, ancora una volta hanno detto sì. A questo punto, di fronte al rischio che Fiom si riservasse impugnative a raffiche delle nuove intese in nome del vecchio contratto del 2008, Confindustria fa un altro passo: e cioè, questa è la vera decisione di ieri, apre subito un tavolo con tutti i sindacati che hanno condiviso i passi sin qui compiuti per definire insieme le ampie deroghe contrattuali consentite dagli accordi del 2009. La prima riunione per l’auto è già convocata per il 15 settembre. Confindustria e Fiat sono sulla stessa linea di Cisl, Uil, Ugl, Fismic. Non c’è nessuna violazione di legge e tanto meno di Costituzione. C’è un cammino a tappe condiviso, per entrare insieme nel mondo nuovo. Non c’è nessun attacco ai diritti del lavoro, né tanto meno alcun disconoscimento del legittimo diritto della Fiom e della Cgil a non riconoscersi nelle nuove regole. Purché questo non voglia più dire però che basta il no di una sola organizzazione – per quanto storicamente importante non maggioritaria da sola nel mondo del lavoro italiano – per bloccare tutto. Per troppi anni è stato così. Con regole che restavano arcaiche, perché a dettare il passo era chi andava più lento.

E’ ovvio che Fiom e Cgil a questo punto alzino ulteriormente il tono della polemica. E’ ovvio allo stesso modo che Confindustria, Fiat e tutti gli altri sindacati debbano stare attenti a evitare passi falsi, a concordare ogni sviluppo senza prestare il fianco. Ce’ da temere che l’instabilità politica aggiunga benzina sul fuoco. Ma la rivoluzione cominciata a Pomigliano può responsabilmente e gradualmente oggi estendersi in tutta Italia. Se vincerà il futuro sul passato, Pomigliano diventerà finalmente il simbolo nazionale di un riscatto coraggioso, invece che di una scommessa mancata.

PS. per l’ultimo pst scritto qui e pubblicato anche su Panorama, “Houston, qui Fiom abbiamo un problema”, l’organizzazione sindacale ha deciso di non piotermi più cosniderare un interlocutore giornalistico, motivo per il quale alla trasnmisisone di domani mattina su radio24dedicata  a questo temi non avrò nessuno chje porti al voce dell’unico sindacato dissenziente. Sono convinto di non aver diffamato nessuno, esponendo la mia critica. Considero un triste segno dei tempi, che di fronte al dissenso che essa rivendica, la Fiom decida di considerarmi invece un reietto perché io la esprimo nei suoi confronti.

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Pomigliano: Cgil accoltella FIOM, il Pd guarda e squaglia /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/ /2010/06/16/pomigilano-cgil-accoltella-fiom-il-pd-guarda-e-squaglia/#comments Wed, 16 Jun 2010 16:14:58 +0000 Oscar Giannino /?p=6286 La vicenda Pomigliano si mette sempre peggio per la sinistra, sindacale e politica.  Lo dico senza alcuna iattanza nè soddisfazione. Di fronte a svolte di questa importanza, per il rilievo in Italia dell’azienda che le propone, e per l’impatto che intese simili potrebbero avere in tutto il manifatturiero italiano internazionalizzato ed esposto alla concorrenza estera, quel che sichiede alla sinistra è di avere come minimo le idee chiare. Non ce l’ha, purtroppo.

Se la sinistra politica e sindacale fosse convinta che l’intesa su Pomigliano lede diritti indisponibili e viola la Costituzione, a cominciare dal diritto allo sciopero se lo considera inalienabile e più importante di quello alla codecisione per innalzare la produttività e difendere gli stabilimenti e il lavoro stesso, allora dovrebbe sposare la linea Fiom, dire un no secco all’accordo, chiedere ai lavoratori di votare no nel referendum del 22 giugno, rilanciare la linea antagonista contro ciò che a quel punto si ridurrebbe a una bieca provocazione padronale, perpetrata per approfittare della debolezza dei lavoratori.

Se fosse invece convinta invece che la competizione globale con cui si misura il nostro manifatturiero, la sfida americana in cui è impegnata la Fiat, nonché la storia particolare e il track record delle performance dello stabilimento di Pomigliano, rendano necessaria una svolta, e che naturalmente è meglio che a questo punto essa sia condivisa, e apra nella condivisione anche la strada a una serie di accordi simili dovunque necessari, allora – anche e proprio per evitare che Fiat e altre imprese interpretino la vicenda come un semplice “prendere o lasciare”, ripeto – la sinistra  dovrebbe dire “noi ci siamo, diciamo un sì convinto, e lo facciamo con le nostre idee  e convinti della loro peculiarità, perché più produttività e meno scioperi sono del tutto compatibili con la storia di una sinistra pienamente riformista”.

Non mi pare affatto che sia emersa una simile chiarezza, nell’atteggiamento di Cgil e Pd. La FIOM ha fatto la sua scelta antagonista, come sappiamo. La Cgil campana con una lunga nota fitta di distinguo ha chiesto ai lavoratori di votare sì, dopo aver scritto che l’accordo comprende temi che in quanto tali non sono sottoponibili  un voto. Il segretario della FIOM, Landini, ha reoplicato che questa è una vera e propria “coltellata” alla schiena della FIOM e dei lavoratori.

Nel Pd, Chiamparino, Ichino e Treu hanno parlato chiaro, respingendo la tesi della violazione costituzionale e indicando la via di una compiuta scelta riformista. Il resto del partito li ha considerati incongrui ed eccessivi, come chi offre arfgomenti al nemico. Bersani ha detto che governo, azienda e Confindustria non devono illudersi, che Pomigliano non è un esempio né un precedente: oggettivamente, una sfida alla logica.

Le svolte vere sono tali se le classi dirigenti mostrano consapevolezza della posta in gioco. Marchionne ha sorpreso tutti, con la decisione nella della sua sfida. Quattro sindacati su cinque non dico che abbiano stappato, nè che ballino per la gioia, ma l’hanno capito.  La sinistra continua a sorprendermi. Il “sì, ma” è la peggior posizione, testimonia solo di essere senza una linea vera. Al rimorchio di avvenimenti creati da altri, in primis dal mondo  e dai suoi mercati.

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Fiat e FIOM: benvenuti in Italia /2010/06/15/fiat-e-fiom-benvenuti-in-italia/ /2010/06/15/fiat-e-fiom-benvenuti-in-italia/#comments Tue, 15 Jun 2010 17:59:43 +0000 Andrea Giuricin /?p=6276 Il rifiuto della FIOM all’accordo con Fiat per lo sviluppo di Pomigliano d’Arco è un clamoroso autogol da parte del sindacato e la dimostrazione che, in Italia, investire è molto difficile.

Lo stesso Guglielmo Epifani, leader della CGIL, non aveva chiuso tutti gli spiragli ad un eventuale accordo tra la casa automobilistica torinese e la FIOM; tuttavia le lotte clandestine interne alla CGIL hanno complicato una partita che in realtá non era impossibile da portare a casa tranquillamente.

La successione ad Epifani è forse stato il maggiore elemento di disturbo per raggiungere un accordo, come giustamente ricordato da Oscar Giannino su queste pagine, dove tutti i player sarebbero usciti vincitori. Non è un caso che sia la UIL che la CISL hanno firmato separatamente con Marchionne il piano di rilancio di Pomigliano.

Lo stabilimento campano, che impiega circa 5000 persone direttamente, avrebbe dovuto vedere l’investimento di centinaia di milioni di euro per lo sviluppo della Panda, prima prodotta nello stabilimento FIAT polacco. In cambio di questo investimento, l’azienda automobilistica chiedeva una maggiore flessibilitá.

Tale proposta faceva parte di un piano piú ampio di FIAT, il cosiddetto “Fabbrica Italia”, presentato lo scorso 23 aprile.

Tale piano prevedeva un rilancio della produzione italiana di autoveicoli, dopo che in un decennio si era in concreto dimezzata.

Lo scorso anno, delle poco piú seicento mila automobili prodotte in Italia, seicento mila erano state prodotte da Fiat.

Questo dato è la conclusione di un lungo processo d’incapacitá italiana di saper attrarre investimenti stranieri. Era stato il caso di Telecom Italia con Carlos Slim e poi quello di Alitalia con la prima compagnia europea, AirFrance-KLM.

Nel settore automotive l’incapacitá italiana di attrarre o semplicemente accettare investimenti stranieri si è tradotta in una totale produzione nazionale di automobili da parte di FIAT. Non è quindi un caso se la Repubblica Ceca produce piú automobili dell’Italia o se la Gran Breatgna, senza nessun produttore nazionale, produce tre volte il numero di veicoli prodotti in Italia.

La posizione del sindacato ed il “no” della FIOM è una delle cause per le quali l’Italia non è stata in grado di sviluppare la produzione di autoveicoli. La cecitá sindacale è un elemento importante di perdita di competitivitá.

Questo “no” avviene inoltre in un momento estremamente delicato per la casa torinese. L’avventura americana impegna sempre piú il management guidato da Sergio Marchionne e la situazione Oltreoceano, seppur in leggero miglioramento, non è facile da recuperare. La quota di mercato di Chrysler è sostanzialmente stabile rispetto ad un anno fa, nonostante il numero di veicoli venduti sia aumentato notevolmente, grazie all’espansione del mercato statunitense.

In Europa, il principale mercato di Fiat, la situazione è tragica. Dopo aver dopato le vendite di veicoli nuovi, i Governi Europei hanno chiuso i rubinetti degli aiuti ed il mercato ha iniziato una profonda caduta.

Fiat, che lo scorso anno aveva beneficiato maggiormente degli aiuti, sta soffrendo maggiormente rispetto alle altre case automobilistiche. In Maggio, la quota di mercato europea è scesa sotto l’8 per cento e le vendite sono crollate del 23 per cento.

L’Italia, il primo mercato di Fiat, ha visto una contrazione che nella seconda parte dell’anno potrebbe diventare davvero preoccupante, con tassi di decrescita superiori al 20 per cento.

In questo scenario delicato, la FIOM ha deciso di guadagnare almeno 100 iscritti nell’impianto di Pomigliano d’Arco con il suo “no”, chiudendo gli occhi di fronte alla possibilitá di perdere cinquemila dipendenti nella stessa fabbrica.

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I tre no della Fiom su Pomigliano. E ora? /2010/06/14/i-tre-no-della-fiom-su-pomigliano-e-ora/ /2010/06/14/i-tre-no-della-fiom-su-pomigliano-e-ora/#comments Mon, 14 Jun 2010 18:29:32 +0000 Oscar Giannino /?p=6269 Il Comitato Centrale della Fiom ieri ha confermato il no all’intesa su Pomigliano. raggiunta venerdì tra Fiat, e metalmeccanici di Cisl, Uil, Ugl e Fismic. La decisione è stata assunta all’unanimità. La minoranza della categoria, ma maggioranza nella confederazione poiché fa riferimento all’82% conseguito al recente congresso dal leader nazionale Guglielmo Epifani, avrebbe evitato il braccio di ferro. Ma alla fine ha deciso di scongiurare una frattura interna, che avrebbe ulteriormente indebolito una posizione che già è minoritaria. Non solo tutti gli altri sindacati e naturalmente la Fiat, ma tutte le forze dell’impresa, con reiterati interventi del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, hanno calorosamente invitato sino all’ultimo secondo la Fiom a recedere dalle sue riserve. Così non è stato. Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

La Fiat e Confindustria, come gli altri sindacati firmatari dell’intesa, sottolineano che l’accordo ha la portata di una svolta storica. E’ vero. Perché per la prima volta, proprio nello stabilimento che, chiusa Termini Imerese nel 2011, rappresenta la punta avanzata degli insediamenti nel Mezzogiorno dell’azienda manifatturiera leader del nostro Paese, si condividono insieme regole e princìpi che sono senza precedenti. Assumono infatti come criterio di riferimento ritmi e obiettivi di produttività comparati a quelli degli stabilimenti che la Fiat gestisce in Brasile e Polonia, perché la nuova Fiat-Chrysler di Marchionne mira a essere protagonista nel consolidamento dell’auto mondiale.

Se l’azienda vince nel mondo, allora difende meglio testa e membra che ha storicamente in Italia. Ma solo se gli stabilimenti italiani accettano la sfida della produttività, ha senso che Fiat investa nel nostro Paese 20 dei suoi 30 miliardi annunciati nel suo programma pluriennale. E solo se Pomigliano passa da 36 mila a 280 mila auto prodotte, ha senso investirvi altri 700 milioni. Marchionne è stato chiaro. Ditemi se siete disposti, ha detto ai sindacati. Altrimenti non sposto dalla Polonia all’Italia la lavorazione della Nuova Panda. La faccio altrove, e Pomigliano si chiude.

Che i sindacati firmatari condividano esplicitamente questo assunto, spalanca una porta alla condivisione strutturale di come meglio utilizzare impianti, orari, turni e produttività in tutta l’industria italiana. Ora si capisce meglio, che cosa avevano in mente Confindustria e tutti i sindacati – tranne la Cgil – che nel febbraio 2009 firmarono l’intesa per i nuovi assetti contrattuali, decentrati e contrattati localmente, proprio per consentire lo scambio “più produttività alle imprese, più salario ai lavoratori”. Ci fu chi irrise, dicendo che le aziende chiudevano, altro che salario di produttività. Ma al contrario, nella grande crisi, oltre 20 mila imprese manifatturiere italiane già internazionalizzate stanno tenendo dannatamente bene le posizioni sull’export. Insieme alla Germania, che avanza e migliora, siamo l’unico Paese del G10 che difende la sua posizione mentre gli altri perdono. Per questo ora c’è bisogno di intese come Pomigliano, per crederci fino in fondo e fare ancor meglio.

Cerchiamo di capire. Su che cosa, si appunta il no della Fiom? Che cosa è prevedibile che avvenga ora? Quali conseguenze, sul futuro di Pomigliano e della Fiat in Italia?

Il no della Fiom ha tre argomenti. Il primo ha a che vedere con l’idea di mercato: il rifiuto di sottoscrivere un simile accordo sotto la pressione della chiusura dello stabilimento. La Fiom la considera una minaccia intollerabile, non la conseguenza obbligata e fisiologica per un’impresa multinazionale. Il secondo deriva da ciò che la Fiom considera la vera ancora delle relazioni industriali: solo e soltanto il contratto nazionale di categoria. Accordi integrativi aziendali possono essere aggiuntivi per la parte salariale, ma mai e in nessun caso intaccare né la parte normativa del contratto, né quella salariale.

La terza ragione è ancor più di fondo, perché investe “il” diritto sindacale per definizione. Se aderite a un’idea di sindacato partecipativo, allora per voi – e per le 4 organizzazioni firmatarie – il diritto essenziale per tutelare meglio gli iscritti è quello di codecidere il più possibile con l’azienda. Se restate invece all’idea che il sindacato sia una forza antagonista, ovviamente per voi – per la Fiom, sicuramente – “il” diritto essenziale in campo sindacale è quello di sciopero. Al quale certo gli altri sindacati non rinunciano, ma che considerano arma estrema , non ordinaria. E poiché l’intesa per Pomigliano non riguarda solo turni e orari, ma è in deroga al contratto nazionale sia per quanto riguarda gli assenteisti e finti malati – niente contributi sanitari aziendali – sia soprattutto impegna i sindacati a non dichiarare sciopero nei turni supplettivi chiesti dall’azienda in notturni e sabati, ecco che per la Fiom scatta il rosso assoluto. Lo sciopero non si tocca: ed ecco l’appello alla Costituzione e alle leggi violate.

Per il futuro di Pomigliano, è decisivo a questo punto che nel referendum aperto a tutti lavoratori il sì vinca a larga maggioranza. In caso contrario, se dovesse prevalere una vasta resistenza in nome dell’autarchia italiana e dovessero di conseguenza manifestarsi opposizioni permanenti, la Fiat si riserva di considerare incompatibile Pomigliano coi suoi programmi. In tutto il Sud, la Fiat col suo indotto di centinaia di imprese collegate non ci sarebbe più. Sarebbe, quello sì, un segno che non è la Fiat a non voler più restare in Italia. Ma che c’è un’Italia che non vuole più la Fiat, neanche questa che per la prima volta in un secolo non prende più sussidi pubblici, indicandogli che l’unica strada per restare competitiva è sempre più solo quella straniera.

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