CHICAGO BLOG » catricalà http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Nomine. Come d’autunno sugli alberi le foglie /2010/12/03/nomine-come-dautunno-sugli-alberi-le-foglie/ /2010/12/03/nomine-come-dautunno-sugli-alberi-le-foglie/#comments Fri, 03 Dec 2010 11:31:27 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7773 Ieri le commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera hanno silurato Michele Corradino, candidato dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, di cui è capo di gabinetto uscente, al collegio dell’Agenzia di sicurezza nucleare. Il collegio nasce così mondo, essendo stati contemporaneamente approvati i nomi del presidente (Umberto Veronesi) e degli altri tre commissari (il magistrato Stefano Dambruoso, indicato pure lui da Prestigiacomo, e Marco Ricotti e Maurizio Cumo, indicati dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani). La Caporetto di Prestigiacomo arriva all’indomani della ritirata di Antonio Catricalà dalla presidenza dell’Autorità per l’energia, che gli era stata offerta e che ha rifiutato per le ragioni già illustrate. Forse per la prima volta, un governo italiano si trova nella condizione di non riuscire a fare nomine decenti. Cosa è successo e perché? Cosa ci aspetta?

Partiamo dalle ragioni del “no” a Corradino. Gli osservatori più attenti alle dinamiche politiche trovano la pistola fumante in mano all’ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola (Gilda Ferrari in un documento articolo sul Secolo XIX di oggi e Dagospia ieri). Probabilmente è vero che si è consumato un regolamento di conti interno al centrodestra, ma le cose sarebbero andate diversamente se i nomi indicati da Prestigiacomo avessero avuto una caratura diversa. Due i problemi: l’assenza di competenze specifiche in campo nucleare e l’eccessiva vicinanza a un ministro in carica, lesiva – secondo i critici – dell’indipendenza di un organismo che può contare solo sulla reputazione dei suoi componenti, non avendo una reale indipendenza istituzionale. Questa debolezza venne rilevata fin da subito sia dalle voci più attente dell’opposizione (qui Federico Testa) e della maggioranza (come Andrea Fluttero). Senza un simile argomento, che ha consentito di coagulare dissensi bipartisan, probabilmente lo sgambetto scajoliano non avrebbe potuto verificarsi. A questo punto, bisogna attendersi – come racconta Federico Rendina se ne vedono già le avvisaglie – uno scontro tra Prestigiacomo (che per salvare il suo uomo è riuscita a far ripetere le votazioni in commissione, peraltro peggiorando la situazione) e Romani. Il ministro dell’Ambiente sostiene che l’Agenzia, per decollare, deve avere un collegio completo. Quello dello Sviluppo ritiene che 4 membri su 5 siano sufficienti. Non so chi abbia ragione: so che, per il nucleare italiano, questa vicenda va inserita nella casella “cattivo inizio”.

E un cattivo inizio lo è, a maggior ragione, se viene letta parallelamente all’incagliarsi dei negoziati sul rinnovo dell’Autorità per l’energia. Dopo la marcia indietro di Catricalà, sono circolati nomi che hanno sollevato ancora più polemiche di quelle che già c’erano (in particolare il consigliere di stato Rocco Colicchio, attuale revisore dei conti dell’autorità, e il magistrato della corte dei conti Raffaele Squitieri, delegato al controllo della gestione finanziaria di Eni). Nell’incertezza più totale, alimentata anche dalle speranze immediatamente rintuzzate che il governo potesse proporre una cinquina alternativa allo scorso consiglio dei ministri, si fa strada la possibilità di una prorogatio. Alessandro Ortis, presidente uscente, ha chiesto un parere al consiglio di stato per capire quali siano i termini della questione, visto che si tratterebbe di un caso senza precedenti. E’ ragionevole attendersi che, comunque, non appena si entrerà in questo terreno sconosciuto inizieranno a fioccare i ricorsi, da parte di tutti, contro le delibere sgradite. Ed è in questo senso preoccupante la voce – che mi auguro sarà immediatamente smentita dai fatti – di una proroga addirittura di sei mesi (che potrebbero diventare Dio-sa-quanti in caso di elezioni anticipate). Non solo non vorrei essere nei panni di Ortis, ma credo che il paese nel suo complesso darebbe uno spettacolo indecente proprio in uno dei settori dove era riuscito a porsi all’avanguardia in Europa, come documentiamo nell’Indice delle liberalizzazioni.

Tutto questo è una brutta storia italiana. L’indecisione e l’impreparazione dei nostri politici sta mettendo a rischio la stabilità del sistema: un sistema non perfetto e che anzi richiede molti aggiustamenti, ma che deve essere aggiustato secondo le procedure corrette, non creando dei pericolosi “vuoti” dei quali gli squali sanno e possono approfittare. Se dunque l’atteggiamento critico del parlamento verso alcune nomine è segno di una sana dialettica, esso deve portare a un miglioramento della qualità delle nomine, non a un’intensificazione delle attività spartitorie (come è sembrato accadere, invece, nei giorni precedenti la rinuncia di Catricalà, quando addirittura pare siano state messe sul piatto le teste dei vertici della struttura dell’Autorità per ospitare paracadutati politici). Ha ragione, in questo senso, Testa quando dice che l’accesa discussione sull’Agenzia nucleare

E’ anche un bel segnale da parte del Parlamento rispetto a chi prefigura scelte di vertice senza coinvolgere le competenti commissioni parlamentari.

La domanda è se il Parlamento sia davvero in grado di seguire coerentemente questa linea, e se il governo sia in grado di cogliere l’indicazione e superare le difficoltà scegliendo uomini che abbiano i titoli per svolgere le mansioni che gli vengono assegnate. Non si tratta di fare le verginelle e fingere che i partiti debbano distribuire cariche senza tenere in conto la vicinanza delle persone da loro indicate. Nessuno di noi è nato sotto il cavolo e tutti sappiamo che non è e non sarà mai così. Ma c’è un limite che non dovrebbe essere mai oltrepassato, e che impone di scegliere, tra tutti i simpatizzanti del partito X, quelli che – oltre a simpatizzare per il partito X – sanno anche qualcosa dell’argomento Y di cui dovranno occuparsi, specie quando l’argomento Y ha, come quello dell’energia, una rilevanza economica, strategica e ambientale di un certo peso. Insomma: non chiediamo dimostrazioni di virtù eroiche. Chiediamo un onesto, banale, normale esercizio di decenza.

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Autorità indipendenti: perché continuiamo a raccontarci favole? /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/ /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/#comments Sun, 28 Nov 2010 10:37:20 +0000 Alberto Mingardi /?p=7714 Della situazione paradossale che si è creata con la lettera di “indisponibilità” di Antonio Catricalà, ha già scritto Carlo Stagnaro. Da parte via, vorrei solo aggiungere qualche considerazione.

Si possono dire molte cose, sugli sfortunati giri di giostra che hanno coinvolto il Presidente dell’Antitrust negli ultimi mesi. Prima avrebbe dovuto attraversare la piazza, e spostarsi dall’AGCM alla Consob. La nomina del Presidente di questa Authority è rimasta bloccata per alcuni mesi, presumibilmente a fronte della capacità di interdizione di coloro che avrebbero visto meglio su quella poltrona Catricalà anziché Giuseppe Vegas. A scanso di equivoci: si tratta, in un caso e nell’altro, di tecnici stimati, due figure che si avvicinano quanto possibile in Italia all’identikit di un “civil servant” dal profilo alto. In un caso e nell’altro, l’arrivo alla Consob sarebbe stato in qualche misura anomalo – “poco elegante”, come hanno detto dalle parti del PD. Vegas, che è persona per bene, universalmente stimata, e di sentimenti liberali (il che, almeno da queste parti, è un punto a favore), veniva dal Ministero dell’Economia. Catricalà avrebbe lasciato un’altra Autorità indipendente, prima della conclusione del mandato.

Quando finalmente il governo ha esplicitato la sua preferenza per Vegas (la nomina è su indicazione del Presidente del Consiglio, deve passare per le commissioni parlamentari e poi avere il “bollino” del Presidente della Repubblica), Catricalà è stato dirottato sull’energia – dove si è appena concluso il settennato di Alessandro Ortis. Carlo Stagnaro ha già spiegato come la cinquina di commissari all’energia fosse “figlia di un accordo tra il Pdl, la Lega e la maggioranza interna del Pd, mentre lasciava a bocca asciutta Udc, Idv e Fli”. Tanto vale notare che lasciare a bocca asciutta Fli in fatto di Authority era in tutta evidenza una strategia molto stupida.

Perché? La risposta a questa domanda spiega perché Catricalà non sia riuscito, nonostante la stima di cui gode nelle istituzioni e il supporto di Gianni Letta, a diventare Presidente della Consob. Perché il capo dell’Antitrust deve essere nominato congiuntamente dal Presidente della Camera e da quello del Senato. Il Presidente della Camera di Fli è, come è noto, il leader e fondatore.

Si è scritto che Antonio Pilati non avrebbe potuto fare il Presidente pro tempore dell’Antitrust (essendo membro anziano, nella vacatio a lui sarebbe spettata tale responsabilità) perché “troppo berlusconiano” ovvero fra gli estensori della legge Gasparri. Come la pensi Pilati sullo sviluppo del mercato televisivo in Italia, non è un mistero. Con Franco Debenedetti, ha scritto un libro, “La guerra dei trent’anni”, proprio su questo.

Dichiaro un conflitto d’interessi. Considero Antonio Pilati uno dei miei amici più cari, e quindi è naturale che pensi non solo che avrebbe potuto fare il Presidente dell’Antitrust, e non solo pro tempore, ma che l’avrebbe fatto con la professionalità e l’intelligenza che gli sono propri. Al di là delle persone, però, forse sarebbe utile che utilizzassimo questa ridicola pantomima sulle nomine all’Energia e all’Antitrust per qualche considerazione di ordine generale.

Se l’indipendenza delle Autorità può essere un “dato” nel loro funzionamento concreto, e segnatamente nel rapporto che formalmente le lega agli altri organi dello Stato, l’indipendenza in senso assoluto non esiste. I loro componenti debbono, è vero, esibire requisiti di “riconosciuta professionalità e notoria indipendenza”. Ma che significa? Limitiamoci all’AGCM, dove la nomina del collegio è in capo ai Presidenti delle due Camere. Nella legge istitutiva dell’Autorità, questo avrebbe dovuto garantirla da pressioni politiche le più varie. Quella legge è stata scritta al tramonto della prima repubblica, ed è debitrice ai suoi riti. Allora, i Presidenti delle due Camere erano signori maturi che si ponevano fuori dai giochi. Non proprio il profilo di personaggi come Luciano Violante, Pierferdinando Casini, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, tutti politici di primo piano. Allora, una camera andava all’opposizione: convenzione mai più rispettata, dal ’94 in qua.

La composizione dei collegi dell’Antitrust ha sempre riflettuto l’appartenenza dei Presidenti delle due Camere. Il primo collegio, dopo la morte di Francesco Saja, fu presieduto da Giuliano Amato: ragionevolmente considerabile, soprattutto nel 1994, l’uomo della sinistra più vicino a Berlusconi (e un politico non di seconda fila: aveva già fatto, e avrebbe fatto di nuovo, il presidente del consiglio). L’Autorità a guida Tesauro è ricordata da molti con rimpianto, perché composta soprattutto da “tecnici”: bravi studiosi come Michele Grillo e Marco D’Alberti, apprezzati dai colleghi, legittimamente vicini ai partiti di sinistra. Il membro berlusconiano era il giurista bolognese Giorgio Bernini, che era stato ministro del commercio estero e poi divenne presidente di RFI.

Siamo all’era Catricalà. Stimato a sinistra (indimenticabile il suo feeling con Bersani ministro dell’industria), Catricalà era stato capo di gabinetto di Antonio Maccanico al ministero delle poste, poi segretario generale del primo consiglio dell’Autorità delle telecomunicazioni, poi segretario generale della Presidenza del Consiglio ai tempi del secondo governo Berlusconi (2001) fino all’approdo all’Antitrust. Non proprio uno che i politici li ha visti solo da lontano.

Gli altri componenti dell’Autorità sono analogamente stati scelti dai Presidenti della Camera o del Senato, raramente in contrasto con l’appartenenza politica degli stessi. Guazzaloca uscì dal cilindro del sodale bolognese Casini, Pilati era “in quota” al berlusconiano Pera, la nomina di Rabitti Bedogni è riconducibile a Bertinotti, quella di Piero Barucci (figura di grande prestigio, già ministro e presidente dell’Abi) a Franco Marini, Salvatore Rebecchini ha condotto una carriera limpida e integerrima in Banca d’Italia, ma la sua famiglia è stata tradizionalmente vicina a Fini.

Finché i meccanismi di nomina saranno quelli che sono, non prendiamoci in giro: è normale che vengano scelti “tecnici” non insensibili alla politica. Le authority non dipendono dallo Spirito Santo. Varrebbe la pena prestare più attenzione ai requisiti di professionalità, anziché andare a farfalle cercando l’Indipendenza con la i maiuscola. Sarebbe auspicabile rendere più trasparenti i meccanismi di nomina? Indubbiamente. Ma non illudiamoci. Si passi dalle commissioni parlamentari, o dai presidenti delle camere, sempre di scelte riconducibili alla politica si tratta.

L’indipendenza ed efficacia delle Autorità va misurata e controllata decisione dopo decisione, senza mai chiudere gli occhi (e del resto, perché dovrebbe bastare essere “indipendenti” per non fare fesserie?). Sul resto, meglio sarebbe se i nostri politici la smettessero di fingere di credere a Babbo Natale – rigorosamente quando gli fa comodo.

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Autorità per l’energia. Non hai vinto, ritenta /2010/11/27/autorita-per-lenergia-non-hai-vinto-ritenta/ /2010/11/27/autorita-per-lenergia-non-hai-vinto-ritenta/#comments Sat, 27 Nov 2010 16:46:39 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7710 La bomba è scoppiata a Palazzo Chigi questa mattina. Antonio Catricalà, presidente non-più-uscente dell’Antitrust, ha rinunciato a prendere la guida dell’Autorità per l’energia. Nel pomeriggio, lo stesso Catricalà ha confermato la decisione, giustificandola così:

Ho scritto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per comunicargli la mia decisione di rimanere all’Antitrust. Sono un uomo delle istituzioni e non voglio consentire che l’Autorità che presiedo e l’Autorità dell’energia siano paralizzate da veti incrociati che pur non riguardano la mia persona.

Cosa c’è dietro, e cosa abbiamo davanti?

La scelta di Catricalà è dettata soprattutto da un giusto senso dell’opportunità. La cinquina Catricalà-Biancardi-Bortoni-Carbone-Termine, uscita apparentemente blindata da Palazzo Chigi, è stata immediatamente investita da una serie di critiche più o meno nobili. La parte nobile, che si è manifestata sotto forma di dolorosi mal di pancia nel Pd, riguarda il fatto che, secondo molti osservatori, almeno alcuni dei componenti non avevano quelle caratteristiche di competenza richieste dal mercato, dal buonsenso e dalla legge istitutiva dell’Autorità. La parte meno nobile riguarda soprattutto quelli che si sono sentiti esclusi. Per chiamare le cose col loro nome, il collegio era figlio di un accordo tra il Pdl, la Lega e la maggioranza interna del Pd, mentre lasciava a bocca asciutta Udc, Idv e Fli. Di questi, a quanto si mormora nei corridoi, almeno l’Udc avrebbe aperto una sua trattativa parallela per “compensare” la mancata indicazione di un componente dell’Autorità con l’inserimento di un suo uomo ai vertici della struttura. Il governo, pur non avendone teoricamente bisogno, avrebbe accettato questa trattativa per evitare che i voti degli esclusi e degli incazzati si sommassero, mettendo a repentaglio l’approvazione parlamentare del nuovo collegio (necessari i 2/3 dei voti nelle commissioni competenti).

Contemporaneamente, ulteriori mal di pancia si sarebbero manifestati sul tavolo parallelo dell’Antitrust. L’abbandono di Catricalà ha fatto emergere Antonio Pilati in qualità di reggente (è l’attuale membro anziano). Il nome di Pilati è entrato immediatamente nel mirino di Fli e del Pd in quanto considerato “troppo vicino a Berlusconi”. Confesso un piccolo conflitto di interessi: con Pilati ho buoni rapporti e di Pilati ho stima. Ma non voglio, qui, né difenderlo né attaccarlo. Mi limito a osservare che fa abbastanza ridere prendersela con lui alla luce (a) di una tornata di nomine in cui tutti sono vicini a, o amici di, qualcuno; (b) in ogni caso, la reggenza di Pilati era per definizione temporanea, in quanto i presidenti delle camere avrebbero potuto e dovuto indicare un nuovo presidente. In tutta sincerità, insomma, trovo che questa sia la più pretestuosa delle critiche.

Terzo, lo stesso Catricalà non è stato esente da critiche. Non tanto per la sua persona, che ha riscosso consensi virtualmente unanimi (se sinceri o ruffiani, non so dirlo). Quanto per il precedente che la sua nomina avrebbe creato, e che è stato immediatamente rilevato, tra gli altri, da Orazio Carabini, che ha scritto:

La “professionalizzazione” del mestiere di componente di authority (i casi sono già numerosi e sono destinati a moltiplicarsi) non è un bene perché, almeno in teoria, spinge chi ha ambizioni di continuare la sua carriera nel “settore” a scendere a compromessi con la politica e con i vigilati, a non dare troppo fastidio, ad accettare scambi pericolosi.

Di per sé, questa debolezza oggettiva di Catricalà non sarebbe stata sufficiente a far tremare l’Autorità. Ma, messa nel combinato disposto con le debolezze tecniche di alcuni membri del collegio e la generale caratterizzazione del tutto come un do-ut-des di nomine, la situazione si è fatta insostenibile. Intelligentemente, Catricalà ha preferito un dignitoso passo indietro piuttosto che il rischio della bocciatura o anche solo di un’approvazione risicata.

A questo punto, che succede? Dio solo lo sa. Nel breve, si fa più urgente la risposta del Consiglio di stato in merito alla possibilità di una proroga (limitata) dell’attuale collegio. I tempi sono ormai scaduti. L’immagine più desolante è quella del deserto e dell’incapacità di trovare un accordo di alto profilo su una nomina di cui, da sette anni, tutti conoscono la scadenza. E questa è una dimostrazione di quanto sia imbarazzante e impreparato il nostro ceto politico. Di fatto sono due le possibili via d’uscita.

La prima è quella dell’inciucio: ci sono cinque poltrone, e sei sono i partiti maggiori, di cui due (Pdl e Lega) stanno nella “maggioranza”, uno (Fli) a metà strada con l’opposizione, e tre all’opposizione (Udc, Idv, Pd). E’ chiaro che in una logica spartitoria avrebbe senso lasciare a bocca asciutta Idv e uno a scelta tra Udc e Fli, e allargare l’accordo a Pdl-Lega-Pd-Udc/Fli.

La seconda è quella della responsabilità: si indichino cinque nomi che possono avere simpatie per questo o per quello, ma che sono anzitutto noti per la loro competenza tecnica sul settore. Questa è la scelta migliore per il paese e per il mercato. Pertanto, questa è la scelta che non verrà presa.

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Catricalà: concorrere per crescere /2010/06/15/catricala-concorrere-per-crescere/ /2010/06/15/catricala-concorrere-per-crescere/#comments Tue, 15 Jun 2010 13:31:17 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6274 La relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, illustrata oggi da Antonio Catricalà, cade in un momento del tutto eccezionale. Pesa, anzitutto, l’eccezionalità della crisi. E pesa perché, se i simboli hanno un significato, nel 2010 cade il ventesimo anniversario dell’istituzione dell’Antitrust. Nella stessa data, dunque, convergono l’esigenza di tirare le somme e quella di indicare un percorso per la ripresa economica. Catricalà non si sottrae.

Catricalà inizia sottolineando come la crisi abbia una dimensione che necessariamente trascende i confini nazionali, e che dunque restituisce vigore e urgenza allo sforzo europeo di integrare i mercati degli Stati membri, ancora balcanizzati nonostante decenni di tentativi e promesse. Ciò non toglie che molto resti da fare, e possa e debba essere fatto, dai singoli governi. Il Garante avanza alcune proposte e indicazioni, che in parte riprendono la segnalazione che l’Autorità ha già rivolto (senza seguito, per il momento) al governo in base all’obbligo di indicare una set di interventi per la legge annuale per la concorrenza. E’ un peccato che, per ora, questa occasione sia andata perduta, e che l’esecutivo non abbia ritenuto utile seguire i suggerimenti di Catricalà: ma, se letta in questa chiave, la relazione di oggi costituisce un importante vademecum per le innovazioni che sono state annunciate dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Proprio in questa prospettiva, Catricalà sceglie di giocare su entrambi i tavoli: bene la riforma costituzionale – dice – purché non faccia ombra a una serie di passi, di per sé importanti, che si possono fare a costituzione vigente.

Oltre a varie osservazioni, largamente condivisibili, su mercati importanti come quelli elettrico, del gas e delle comunicazioni, Catricalà lancia una serie di sfide al governo che, se vogliamo ristabilire tassi di crescita allineati alle medie europee, l’esecutivo deve avere il coraggio di raccogliere. Anzitutto, i servizi pubblici locali: troppe regolamentazioni e troppi atteggiamenti opportunistici hanno di fatto blindato, localmente, ciò che a livello nazionale è stato liberalizzato. I comuni imprenditori sono ancora la norma, anziché l’eccezione. E se il decreto Ronchi rappresenta un deciso passo avanti, “il punto di debolezza si nasconde dietro l’angolo ed è la facilità con cui possono insinuarsi le proroghe“. Idem per i settori dei trasporti, specie quello ferroviario, giudicato da Catricalà “ancora chiuso“. E idem – ma più grave, se possibile – lo stallo nella liberalizzazione del servizio postale, resa cogente dalla scadenza comunitaria del 1 gennaoi 2011, a cui l’Italia rischia seriamente di presentarsi impreparata. Dunque, rischiamo di avere servizi postali costosi e inefficienti e, in più, di doverci giustificare per l’inadempienza con Bruxelles. Per non parlare del rischio di involuzione degli ordini professionali, la cui riforma ha davvero l’aspetto truce della controrivoluzione.

Dove Catricalà compie uno scatto deciso e, per certi versi, nuovi è nell’affondare il coltello della concorrenza nel corpaccione molle della pubblica amministrazione e, in particolare, del servizio sanitario nazionale. Vale la pena citarlo integralmente:

E’ complessa l’introduzione di meccanismi finalizzati alla corrispondenza tra i valori sociali e umani che i sistemi sanitari si propongono di tutelare, le condizioni di efficienza nell’uso delle risorse economiche impiegate e la libertà di iniziativa economica dei privati. Il modello di intervento pubblico è incentrato sull’attribuzione delle responsabilità a livello regionale, sia per l’erogazione materiale dei servizi sia per la gestione delle risorse. In questo senso l’articolazione della sanità pubblica è già federalista. In un sistema basato su pagamenti per le singole prestazioni fornite è essenziale, dal nostro punto di vista, che anche le aziende ospedaliere pubbliche adottino integralmente e senza gli adattamenti oggi consentiti il modello di bilancio imposto dal codice civile ai privati. È una condizione imprescindibile, anche se non l’unica, affinché possa svilupparsi competizione tra i grandi ospedali e i centri privati di eccellenza che erogano prestazioni sanitarie.

Un problema, quello della trasparenza nella sanità, messo nel mirino anche da Silvio Boccalatte in un paper dell’IBL.

In generale, dunque, rispetto al passato quella di Catricalà è una relazione più aggressiva, focalizzata sugli elementi necessari a riportare il paese sul sentiero della crescita. Non sempre, in una prospettiva come quella dell’IBL, le sue proposte sono pienamente condivisibili, ma ciò che conta è l’enfasi sulla necessità di più mercato, non più intervento pubblico. Un’enfasi resa indispensabile anche dalla “narrazione” prevalente della crisi, che tende a presentare lo Stato come la soluzione – quando invece l’interventismo pubblico è il problema. Sarà interessante vedere in che modo Catricalà coniugherà le sue posizioni il prossimo 12 luglio, alla presentazione dell’edizione 2010 del nostro Indice delle liberalizzazioni. Quel che è certo è che la rivoluzione della concorrenza è oggi più inderogabile che mai.

Speriamo che qualcuno ascolti Catricalà e approfitti del suo sollecito per stilare la legge annuale per la concorrenza: introducendo competizione e libertà dove oggi incombe la cappa oscura del monopolio pubblico.

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L’indipendenza dei regolatori serve, nonostante tutto /2009/07/06/1380/ /2009/07/06/1380/#comments Mon, 06 Jul 2009 07:57:30 +0000 Carlo Stagnaro /?p=1380 Su Affari e finanza di Repubblica, Massimo Giannini attacca duramente la scarsa cultura dell’indipendenza dei regolatori che, secondo lui, caratterizza questo governo. A corredo del suo intervento (che non trovo online), sta un ampio servizio sulle surreali dimissioni di Lamberto Cardia, capo della Consob, di cui su Chicago si era occupato anche Oscar Giannino. Forse Giannini esagera nella critica al governo, ma c’è del vero nelle sue parole, che del resto prendono le mosse dal provvedimento con cui l’esecutivo ha respinto le dimissioni di Cardia, che recita testualmente:

[Il Consiglio dei Ministri] ha confermato la propria piena fiducia al Presidente Cardia, esprimendo apprezzamento per il suo operato, in particolare per il suo atteggiamento di rispetto istituzionale verso il Legislatore.

L’atteggiamento di insofferenza verso le manifestazioni di indipendenza delle Authority ha, in effetti, caratterizzato il comportamento di diversi ministri: gli scontri tra Giulio Tremonti e Mario Draghi da un lato, Claudio Scajola e la Lega contro Alessandro Ortis dall’altro, e infine il fastidio sollevato dalla relazione annuale di Antonio Catricalà ne sono manifestazioni evidenti. Ora, è chiaro che l’indipendenza in senso assoluto è una chimera. Però ci sono strumenti e comportamenti che possono rendere un regolatore più o meno indipendente. E la fiducia nell’esistenza di un ragionevole grado di indipendenza è un presupposto importante del buon funzionamento di un mercato. Infatti, esso garantisce che la struttura del mercato stesso sarà relativamente meno esposta ai temporali della politica.

Questo non significa che tutte le decisioni dei regolatori siano buone e sagge e che nessuna di quelle dei politici lo sia (più frequentemente, non lo sono né le une né le altre). Significa solo che la natura diversa di questi attori – gli uni più politici, gli altri più tecnici – risponde a esigenze concrete, che, per quanto non possano sempre essere del tutto soddisfatte, possono esserlo almeno in parte. E’ significativo, a questo proposito, che quando la Lega cercò di trombare Ortis (con un emendamento al decreto rottamazione!) la reazione dell’industria fu compatta a favore del presidente dell’Aeeg, anche da parte di quelle imprese che, legittimamente, avevano avuto a che ridire su alcune sue prese di posizione.

Questa reazione dovrebbe far riflettere il governo, e aiutarlo a comprendere che pretendere, o anche solo aspettarsi, genuflessioni regolatorie ai supremi fini della politica non è, nel lungo termine, una buona prospettiva. Non lo è per l’economia del paese, e dunque non lo è per la buona performance dell’esecutivo.

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