Archivio

Posts Tagged ‘cap and trade’

Ecco perché il petrolio della Louisiana rompe le uova nel paniere climatico di Obama

27 maggio 2010

Il presidente americano, Barack Obama, ha più di una ragione per mettere il broncio alla Bp, la compagnia responsabile del disastro alla piattaforma Deepwater Horizon. C’è, ovviamente, la faccenda rognosa dell’impatto ambientale. C’è una battaglia legale e politica che si preannuncia lunga e tormentata per vedere chi pagherà cosa e quanto. C’è che Bp è stata a lungo la compagnia simbolo del “petroliere buono”, che si sporca le mani col greggio ma si lava la coscienza con gli investimenti verdi. C’è che Bp fa un casino dietro l’altro e l’altro ancora, e questo non aiuta la sua immagine. C’è che Bp è tradizionalmente in prima fila, coi suoi lobbisti, a spingere per il cap and trade. Proprio il cap and trade potrebbe essere una vittima eccellente dell’incidente nel Golfo del Messico.

Prosegui la lettura…

Carlo Stagnaro energia , , , ,

Nel 2009 ci siamo illuminati di meno

2 aprile 2010

Nel 2009, le emissioni europee nei settori Ets (quelli, cioè, coperti dal “mercato dei fumi”) sono scese dell’11 per cento. In Italia, il tonfo è addirittura del 16 per cento. Merito delle politiche ambientali europee? Macché: ringraziate pure la recessione.

Prosegui la lettura…

Carlo Stagnaro energia , , , , ,

Auguri Aie. Di Riccardo Gallottini

12 novembre 2009

Riceviamo da Riccardo Gallottini e volentieri pubblichiamo.

L’Aie nel World Energy Outlook ( WEO) continua a dare i numeri. Dopo averci spiegato come la depressione “incentivi†gli investimenti in tecnologie verdi, rassegnandoci a un mondo senza petrolio, ora è la volta dei permessi di emissione.

Prosegui la lettura…

Guest energia , , ,

Gli Usa kyotano?

27 giugno 2009

Ieri la Camera degli Stati Uniti ha approvato, tra le polemiche repubblicane e le defezioni democratiche, l’American Clean Energy and Security Act, noto anche come Waxman-Markey Bill dai nomi dei suoi primi firmatari, i parlamentari democratici Henry Waxman ed Ed Markey. Il primo dato politico è la vittoria dell’amministrazione, che è riuscita a far passare un provvedimento-bandiera per le credenziali verdi del presidente, Barack Obama. Il secondo dato politico è  che la vittoria non è arrivata a costo zero, anzi, la Casa Bianca l’ha pagata carissima: 44 parlamentari democratici si sono opposti alla misura, che è passata di stretta misura (219-212) nonostante la schiacciante maggioranza del partito dell’Asinello, e solo grazie a otto repubblicani che hanno garantito il proprio appoggio alla legge. Tutto ciò nonostante il fatto che lo stesso Obama, e i suoi più stretti collaboratori, abbiano fatto tutte le pressioni possibili sulle loro truppe, nonostante il peso massimo di Waxman e Markey, e nonostante l’impegno di Nancy Pelosi, speaker della House.

Prosegui la lettura…

Carlo Stagnaro energia, liberismo , , , ,

Consigli americani, errori europei

1 giugno 2009

Anche Martin Feldstein si schiera contro il capo & trade. L’argomento dell’economista americano è essenzialmente che qualunque sforzo unilaterale americano (o, se è per questo, euro-americano) di riduzione delle emissioni avrebbe un impatto ambientale, cioè un beneficio potenziale, estremamente piccolo, perché comunque le emissioni globali crescerebbero trainate dalle economie emergenti. Esattamente il contrario, quindi, di quanto ha sostenuto un paio di settimane fa Paul Krugman, che ha favoleggiato di possibili accordi globali che gli stessi paesi interessati (Cina e India in primis) hanno esplicitamente escluso. L’altro aspetto evidenziato da Feldstein è ancor più interessante: in pratica, il consigliere di Barack Obama sottolinea che la condizione politica necessaria ad avere uno schema di cap & trade sarebbe quello di distribuire gratuitamente i permessi di emissione, anziché venderli all’asta e utilizzare i proventi per ridurre le tasse o simili. Di fatto si tratta pure della scelta compiuta finora dall’Europa e, per la maggior parte dei settori tranne quello elettrico e a crescere alcuni altri, lo stesso varrà dal 2013 al 2020. Speriamo che le parole di Feldstein trovino una sponda alla Casa Bianca. E magari che anche a Bruxelles ci pensino un po’ su prima che la frittata sia fatta del tutto.

Carlo Stagnaro energia , , , , , ,

Krugman e il computer di Picasso

4 maggio 2009

A Paul Krugman hanno dato il premio Nobel per l’Economia, ma meriterebbe anche quello per la Pace. Se lo è guadagnato col suo editoriale di giovedì sul New York Times, nel quale afferma che l’adozione di uno schema di “cap & trade” negli Stati Uniti sarebbe un male necessario. Un male, perché come lui stesso riconosce che “limitare le emissioni avrebbe dei costi”. Ma necessario, non solo perché in questo modo potremmo “salvare il pianeta”, ma anche perché “darebbe alle imprese una ragione per investire”. Come ha notato David Henderson, però, con queste affermazioni Krugman adotta un punto di vista puramente keynesiano, secondo cui investire è tutto ciò che conta, a prescindere dalla produttività degli investimenti. E dunque, facciamo scavare alla gente delle buche che riempiranno il giorno dopo, oppure tappezziamo il paese di torri eoliche e pannelli solari.

Al di là di questo fraintendimento sul meccanismo che sta alla base della creazione di ricchezza, Krugman pare compiere una serie di assunzioni tutt’altro che pacifiche. Anzitutto, suppone che il cap & trade americano potrebbe funzionare. Non è scontato: in Europa è andata diversamente. Secondariamente, implicitamente sembra credere che (a) tutto il mondo si adeguerà introducendo politiche di controllo delle emissioni e (b) gli imprenditori americani siano idioti. Se infatti resterà almeno un paese sulla faccia della Terra che lasci libertà di CO2, e se esisterà almeno un imprenditore americano intelligente in un settore carbon-intensive, questi delocalizzerà le sue attività in quel paese, col risultato che i suoi concorrenti o chiuderanno la baracca, oppure si adegueranno. Ciò significa che, a livello globale, le emissioni non verranno significativamente ridotte, ma solo trasferite. Anzi, è probabile che addirittura aumentino, perché – come spesso accade – il paese in via di sviluppo di destinazione potrebbe essere meno efficiente, nell’uso dell’energia, degli stessi Stati Uniti. Per esempio, Dieter Helm – certo non sospettabile di anti-kyotismo – ritiene che il processo di “decarbonizzazione” dell’economia britannica non abbia in verità prodotto alcuna riduzione delle emissioni nette del paese, che si sarebbero solo spostate altrove.

Ma anche trascurando questo non secondario punto, e supponendo che gli imprenditori americani siano idioti e che tutto il mondo si innamori di Barack Obama a tal punto da seguirlo sulla via del cap & trade, c’è un ulteriore punto che a Krugman sembra sfuggire. Siamo sicuri che la riduzione di qualche punto percentuale delle emissioni globali abbia risultati discernibili sul clima? E, in subordine, siamo sicuri che il beneficio ambientale sia comparabile al costo economico? Le opinioni qui sono molto diverse e distanti, ma semplicemente il fatto che questa divergenza esista testimonia di una profonda incertezza di fondo. Ora, tra tutti i modi di gestire l’incertezza, quello meno efficace consiste nel rimpiazzarla con una falsa certezza. La sicumera con cui Krugman e quelli come lui affrontano le questioni climatiche, passando bellamente sopra all’infinità di cose che ignoriamo, ricorda quanto Pablo Picasso diceva del computer: “è inutile perché dà solo risposte”.

Carlo Stagnaro energia , , ,

Le auto americane e il clima europeo

2 maggio 2009

Questa volta l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha fatto bingo. Prima di parlare di rinnovabili, ha detto, meglio concentrarsi sulle cose serie. La questione è semplice:

I prezzi della benzina sono crollati, rispetto a un anno fa, l’imposizione fiscale [negli Usa] è molto bassa e gli americani sono contenti. Vorrà il signor Obama mettere un’imposizione fiscale sulla benzina simile a quella che conosciamo noi europei da decenni? Non lo so. Ma è un tema abbastanza discriminante sull’ambientalismo.

Lungi da me invocare un aumento delle imposte americane sui carburanti per autotrazione. Però Scaroni ha perfettamente ragione nell’osservare che una delle principali cause della differenza nell’efficienza del parco veicoli americano rispetto a quello europeo sta proprio nel carico tributario, che determina una differenza di ordini di grandezza tra il costo degli spostamenti in Europa e negli Stati Uniti. L’alto prezzo del “pieno” ha spinto gli europei a progettare, e acquistare, veicoli più leggeri e meno voraci. Negli Usa, invece, si è optato per un intervento regolatorio sulle imprese automobilistiche, con pochi risultati di politica ambientale, e risultati orrendi sul fronte dei processi produttivi. I cosiddetti “CAFE standard” impongono il valore medio di consumo per la flotta prodotta da ciascuna impresa. Poiché gli americani, per il loro stile di vita e il basso costo dei carburanti, tendono a volere auto molto potenti, le industrie sono costrette a introdurre sul mercato veicoli che nessuno vuole, ma che rappresentano un costo industriale molto importante e che è, a sua volta, tra i fattori scatenanti della perenne crisi di Detroit. Dal punto di vista dell’inquinamento, come spiegano Jerry Taylor e Peter Van Doren, i CAFE

regolano le emissioni per miglio di strada, non per gallone di carburante consumato. I miglioramenti nell’efficienza dei motori riducono il costo della guida e quindi fanno crescere le miglia percorse. In più, le industrie automobilistiche hanno un incentivo a bilanciare i costi associati coi miglioramenti nell’efficienza dei motori spendendo meno sul fronte delle altre forme di inquinament0, poiché attualmente hanno performance superiori a quelle imposte dalla legge.

Insomma, i CAFE sono una forma di regolamentazione sbagliata e controproducente quasi da ogni punto di vista. La questione non è solo una faccenda interna agli Stati Uniti, perché il tema teorico sottostante è quello che riguarda tutte le politiche ambientali, comprese quelle che puntano alla riduzione delle emissioni di gas serra in Europa. Sebbene dal punto di vista teorico possano esserci poche differenze sostanziali tra le varie soluzioni di policy – siano esse l’imposizione fiscale sulle esternalità, l’introduzione di schemi di cap & trade, o la definizione di standard tecnologici o di performance – nel mondo reale le differenze ci sono, eccome. L’esperienza mostra che la leva fiscale, per quanto possa risultare odiosa a noi mercatisti, è quella più efficace e, probabilmente, meno distorsivi, perché la sua applicazione tende a essere più semplice e trasparente e meno distorsiva.

Precipitando questo tema nell’attualità europea, come abbiamo fatto qualche giorno a Bruxelles durante un seminario organizzato dall’IBL, una possibile conclusione è che, se proprio dobbiamo fare qualcosa per ridurre le emissioni, l’introduzione di una carbon tax è il male minore. Due sono i temi fondamentali. Il primo riguarda le modalità di fissazione del livello del prelievo: mi pare che l’idea più geniale e corretta sia quella di Ross McKitrick, che ha suggerito una formula che ancora il livello della tassa alle temperature effettivamente misurate. In fondo, se lo scopo di tutto questo è prevenire un aumento delle temperature oltre una soglia che qualcuno giudica insostenibile, tanto vale assumere proprio quella come benchmark. Il secondo tema è invece relativo a come strutturare le politiche ambientali senza fare troppo male alle prospettive di crescita economica, fermo restando che qualunque politica climatica un po’ di male lo farà. In questo senso, c’è una certa convergenza sull’idea di introdurre una carbon tax che sia revenue-neutral, cioè progettata in modo tale che l’intero gettito sia destinato alla riduzione di altre, e più distorsive, imposte, come quella sul reddito personale.

E’ vero che una proposta del genere cammina sulle uova, perché in qualunque momento il governo potrebbe decidere di aumentare l’imposta o di destinarne il gettito ad alimentare spese che nulla hanno a che vedere col clima. Ma se non vi fidate delle promesse fiscali del governo, come potete fidarvi del governo a tal punto da affidargli la salvezza del pianeta?

Carlo Stagnaro energia, liberismo , , , , ,