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Posts Tagged ‘Banche Usa’

Ritorno alla realtà

17 agosto 2009

Venerdì scorso la Federal Insurance Deposit Corporation (FDIC) ha preso il controllo dell’ennesima banca in condizioni di dissesto. Una liturgia, dai tratti anche spettacolari, che nel solo 2009 si è ripetuta 77 volte. La differenza è che questa volta il profilo della banca commissariata è peculiare, per dimensione degli attivi e diffusione territoriale. Si tratta infatti di Colonial BancGroup, istituto basato a Montgomery, Alabama, con 25 miliardi di dollari di attivi e 346 sportelli, disseminati tra Florida, Alabama, Georgia, Nevada, e Texas. Una banca le cui dimensioni sono di circa 10 volte superiori a quelle medie dei precedenti interventi. Si aggravano quindi le condizioni dell’”altro” sistema bancario statunitense, quello che non assume la forma di holding bancaria ma di realtà creditizia statale o interstatale dedita in prevalenza alle tradizionali attività di banca commerciale, la raccolta di depositi dalla clientela e l’impiego prevalente attraverso erogazione di prestiti.

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Mario Seminerio mercato , ,

Val più un’immagine

14 agosto 2009

A ottobre dello scorso anno, nove grandi istituzioni finanziarie statunitensi hanno ricevuto 125 miliardi di dollari di denaro dei contribuenti nell’ambito del Troubled Asset Relief Program, che aveva già subito una mutazione dall’originaria versione di Hank Paulson, che prevedeva il riacquisto di attivi tossici, poi fallito per le insuperabili difficoltà di pricing dei medesimi. Il programma venne poi declinato in una gigantesca iniezione di capitale, secondo alcuni realizzata erga omnes per evitare problemi di stigma. Ad alcuni mesi di distanza, sappiamo come è andata. Quello che forse non sappiamo è che, secondo quanto accertato dall’ufficio dell’Attorney General di New York, Andrew Cuomo, alcuni bonus pagati ai top manager delle nove banche sono risultati superiori al risultato netto delle medesime.

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Mario Seminerio liberismo, mercato ,

Troppo grandi per non far fallire la politica monetaria

24 luglio 2009

In un discorso tenuto ieri al Fixed Income Forum in California il presidente della Federal Reserve di Dallas, Richard Fischer, ha affrontato il tema dei problemi creati da banche giganti che hanno acquisito altre banche giganti durante la crisi finanziaria. Per Fischer (e per il buon senso, aggiungeremmo), le acquisizioni indotte dalla crisi finiscono col consolidare e concentrare attivi e potere finanzario nelle mani di alcune grandi organizzazioni, conducendo in ultima istanza a riduzione della competizione e ad un settore finanziario meno efficiente e diversificato.

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Mario Seminerio mercato ,

Il segreto di Bank of America ($3.41 net income 2Q09)

17 luglio 2009

Riporto alcuni dati su Bofa direttamente dalla sezione Investor della banca (la trovate nella sua forma completa qui). Come al solito la semplice lettura delle voci fatturato e utile non riflette la vera situazione dell’azienda (e del settore in generale). Contrariamente alle apparenze dunque, non possiamo tirare alcun sospiro di sollievo…

Credit Quality

Credit quality deteriorated further as the economic environment weakened. Consumers remained under significant stress as unemployment and underemployment increased and individuals spent longer periods without work. These conditions led to higher losses in almost all consumer portfolios compared with the prior quarter. Declining home values and reduced spending by consumers and businesses negatively impacted the commercial portfolios resulting in broad-based increases in criticized and nonperforming loans. Commercial loan losses rose from the prior quarter as commercial domestic and small business portfolios were impacted in sectors dependent on discretionary consumer spending. Losses in the commercial real estate portfolio also increased.

Countrywide Financial, which Bank of America formally acquired on July 1, reported a net loss of $2.33 billion in the second quarter. That included just under $4 billion in losses tied to mortgages, home equity and other loans. But investors fear that those losses could spiral higher, and Bank of America could face billions in costs from protracted legal battles. Prosegui la lettura…

Luca Fava mercato ,

Rischio di Stato

17 luglio 2009

Una interessante analisi sulla natura dell’aumento del rischio preso da Goldman Sachs per conseguire gli utili del secondo trimestre. Da essa si evince che l’incremento di VaR si concentra soprattutto sui tassi d’interesse, e non sul mercato azionario, ma soprattutto che il dato generale, e quello giornaliero in particolare, tendono a sovrastimare l’effettiva misura di rischio.

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Mario Seminerio liberismo, mercato , ,

Trimestrali da record, è la volta di Jp Morgan

16 luglio 2009

Ricavi record per 27,7 miliardi di dollari per Jp Morgan nel secondo trimestre 2009. Il colosso bancario statunitense ha battuto il consensus che era fermo a 25,4 mld. Oltre le attese anche gli utili. L’utile netto si è attestato a quota 2,7 mld di dollari dai 2 mld dell’analogo trimestre del 2008. L’Eps risulta pari a 0,28 dollari rispetto agli 0,05 dollari attesi. Sull’utile per azione ha pesato il rimborso del programma Tarp (Troubled asset relief program) per 0,27 dollari e la valutazione speciale del Fdic (Federal Deposit Insurance Corp) per 0,10 dollari. Per chi volesse seguire la conference call dell CFO, ecco il link.

Jp Morgan è l’unica big bancaria statunitense che dallo scoppio della crisi nel 2007 è sempre riuscita a riportare conti trimestrali in utile.

Andando nel dettaglio si nota come a trascinare i conti siano ancora una volta le voci legate alle attività core del gruppo, in particolare gli utili da intermediazione e le commissioni derivanti da attività di banca d’investimento, che hanno più che compensato i crescenti default su prestiti al consumo e carte di credito.

Utile per divisione:

INVESTMENT BANK $1471 (+273%)

CORPORATE/PRIVATE EQUITY $808

ASSET MANAGEMENT $352 (+11% su Q2 08′)

TREASURY & SECURITIES SERVICES $379 (-11%)

COMMERCIAL BANKING $368 (+4%)

CARD SERVICES $(672) (valore positivo nel 08′+$250)

RETAIL FINANCIAL SERVICES $15 (-97%) di cui Retail Banking £970 e Consumer Lending $(955)

La banca ha reso noto inoltre di aver erogato nuovo credito per circa 150 miliardi di dollari nel secondo trimestre e di aver aumentato a 9,7 miliardi di dollari gli accantonamenti contro future perdite sul credito erogato, in rialzo rispetto ai 4,29 miliardi di un anno ma in calo rispetto ai 10,07 miliardi del primo trimestre. Non è di buono auspicio per il settore l’accantonamento di 4,6 miliardi per perdite legate alle attivita’ della divisione carte di credito. Il totale delle riserve per attivita’ di concessione del credito infine e’ salito ora a quota 30 miliardi di dollari.

Infine va ricordato il rimborso, effettuato il mese scorso, pari a 25 miliardi di dollari di aiuti di stato, oltre al pagamento di 795 milioni di dollari di dividendi.

Luca Fava mercato ,

Una rondine non fa primavera, ma Goldman Sachs vola alto

15 luglio 2009

Goldman Sachs ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 3,44 miliardi di dollari, pari a 4,93 dollari per azione contro i 3,65 previsti dagli analisti. Si tratta dell’utile trimestrale più alto nella storia della banca d’affari newyorchese. I ricavi della banca d’affari statunitense si sono attestati a 13,76 miliardi di dollari. Sui risultati hanno pesato i 426 mln di dollari pagati di interessi sui 10 mld ricevuti dal governo nell’ambito del Troubled Asset Relief Program (Tarp): esclusi gli interessi pagati al Tesoro, gli utili per azione sono stati pari a 5,71 dollari per azione.

Ad una prima lettura dei dati sintetici della performance della banca statunitense si potrebbe pensare che la fase acuta della crisi sia ormai alle spalle; tuttavia, entrando nel merito dei conti, si capisce come la strabiliante performance sia figlia, principalmente, del reparto trading della banca.

Dati confronati al trimestre dell’anno precedente:

Trading (10.78 bilion) + 93%

Asset management and Security Services ($1.54 bilion) –28%

Investment banking ($1.44 bilion) -15%

G.S. sarà pure giuridicamente una banca commerciale, tuttavia il core business della banca tradisce la sua vera natura. In definitiva aspettiamo i dati di Citi e Bank of America per tirare un, motivato, sospiro di sollievo.

Luca Fava mercato ,

Stress test, scusate ma non ci siamo

7 maggio 2009

Da settimane, mi chiedevo se fossi io ipercritico come sempre, a pensare un gran male degli stress test avviati su impulso di Obama dai regolatori bancari americani sui 19 maggiori istituti nazionali, quelli con asset superiori ciascuno a 100 miliardi di dollari. Stamane ho letto l’editoriale del New York Times firmato dal segretario al Tesoro Tim Geithner, e prima ancora di quanto nel pomeriggio ha aggiunto Ben Benrnanke sulla necessità di adottare una svolta energica ne criteri di vigilanza sull’intermediazione finanziaria Usa – a quando proposte concrete, però? sono mesi che si susseguono solo annunci di principio – mi son deciso a scrivervi perché son così critico. Meglio mettere nero su bianco prima che, tra poche ore, vengano annunciati in dettaglio i risultati. Anche perché così mi assumo il rischio preventivo, di affermare che se le ricapitalizzazioni complessive considerate necessarie fossero di un ordine inferiore ai 250 miliardi di dollari, allora saremmo davvero in presenza di un’operazione poco più che propagandistica, della quale conta più lo scopo di rianimare corsi e mercati, che la presunta “pulizia una volta per tutte”.
Sintetizzo considerazioni che necessiterebbero di ben altro approfondimento tecnico: ma è anche per assecondare la giusta generale richiesta di scrivere post meno chilometrici. Primo: 180 ispettori dei quattro diversi regolatori federali competenti hanno avuto 8 settimane per vagliare balance sheets di 19 istituti. Non ci prendiamo per i fondelli: chiunque abbia un’ìdea sia pur vaga dell’ammontare di operazioni e del tempo necessario a vagliare gli asset patrimoniali e impieghi di portafoglio di una banca di quella taglia sa che, in otto settimane, 180 ispettori avrebbero potuto compiere un esame di profondità e accuratezza accettabile solo per due o tre, di quelle banche. Secondo: il criterio seguito. Infatti, in NESSUNA grande banca è stata compiuta l’equivalente di un’ispezione ordinaria o straordinaria di vigilanza di quelle disposte dalla nostra Bankitalia. Si sono seguiti i modelli VAR elaborati da ciascuna banca, e gli ispettori hanno effettuato verifiche del total capital e common stock (secondo criteri di tangible equity) commisurato a worst case dei mercati, NON alla seria riponderazione per esempio del rischio di controparte almeno di ciascuna classe di asset, se proprio non vogliamo dire di ciascun asset detenuto. Dopo un anno di chiacchiere sui derivati, mi sembra pazzesco. Terzo: la negoziazione. Come non bastasse, da quel poco di ufficiale che è trapelato (l’ordinanza dispositiva iniziale della Fed in materia di stress test è stato uno dei peggiori esempi di mancanza di trasparenza e dettaglio che abbia mai visto, fin dall’inizio era evidente che lo scopo era quello fiduciario più che di pulizia), ciascuna banca è stata posta in condizioni di negoziare con Tesoro e regolatori le risultanze finali dell’esame, nella più assoluta riservatezza (anche se non sono disposto a scommettere che non assisteremo nei prossimi giorni a massicce spifferate ai media).
Conclusione, allo stato degli atti e prima di conoscere in dettaglio i risultati. Mi sembra che abbia ragione Alex Pollock dell’AEI: se si tiene conto che anche i mutui subprime ancora in portafoglio hanno ottenuto un rating positivo negli stress test, è evidente che l’obiettivo era solo quello di rialimentare fiducia. Questi stress test bancari non sostituiscono affatto una vigilanza ordinaria esercitata su ben più adeguati (e anticiclici) criteri di capital adequacy, perché solo la vigilanza ordinaria può computare il variare degli andamenti di mercato e degli asset, mentre qui ci si spaccerà per mesi se non per anni che gli stress test hanno definitivamente risolto il problema. Solo che per una più adeguata vigilanza ordinaria bisognerebbe appunto che politica e regolatori Usa uscissero dai generici proclami di principio (tipo quello di Bernanke di oggi), e mettessero in consultazione nella business community prima dell’adozione nuove tavole della legge su come calcolare il patrimonio di vigilanza e come uscire dal VAR “autogestito”, tipico del sistema bancario Usa. Sbaglierò, ma penso che il sistema delle grandi banche americane pensi ormai più che altro a esercitare il potere di mercato che gli deriva dal fatto che alcuni grandi concorrenti sono spariti o hanno cambiato mestiere. E se gli aumenti di capitale privato di cui leggeremo l’annuncio stanotte nei prossimi sei mesi dovessero andare inoptati, e lo Stato entrare nel capitale delle banche convertendo in azioni ordinarie i prestiti convertibili pubblici, andremmo di male in peggio.

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,