CHICAGO BLOG » autostrade http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Le infrastrutture in Italia: quale ruolo per i privati. Live blogging /2010/09/21/le-infrastrutture-in-italia-quale-ruolo-per-i-privati-live-blogging/ /2010/09/21/le-infrastrutture-in-italia-quale-ruolo-per-i-privati-live-blogging/#comments Tue, 21 Sep 2010 09:23:00 +0000 Alberto Mingardi /?p=7107 A Roma oggi viene presentato il nostro primo “Rapporto sulle infrastrutture”. E’ un lavoro ampio e credo molto interessante, con un forte impianto comparato. Il fuoco è il sistema autostradale in Italia. Il convegno è coordinato con la consueta abilità dal direttore di questo blog ed è stato aperto da un intervento di Carlo Stagnaro, che ha riassunto la sua introduzione al rapporto e i suoi risultati più significativi, già presentati qui. Riassumo qui alcune delle cose che stanno dicendo i diversi partecipanti. Va da sé, la scelta dei temi più rilevanti toccati è assolutamente discrezionale.

Castellucci (AD, Autostrade) traccia un bilancio: il piano d’investimenti di Autostrade copre 1100 km, quest’anno investiremo 1 miliardo e mezzo. I privati investono il quadruplo della società Autostrade quand’era pubblica. Quando la società venne privatizzata, non aveva neanche la capacità finanziaria per la quarta corsia sulla Milano-Bergamo. C’è una grande concentrazione dell’investimento laddove c’è traffico: questo porta ad un “riequilibrio territoriale” (per anni gli italiani del Nord hanno pagato le autostrade del Sud). Fluidità migliorata, grazie agli investimenti e ad una oculata gestione di cantieri. Importanti risultati in termini di sicurezza (asfalto drenante e tutor). Autostrade ha il minor debito di tutto il settore: i ritorni per gli azionisti sarebbero stati molto più alti, se si fosse fatto più leverage. Il cash-flow è stato utilizzato per gli investimenti più che per gli investimenti. La preoccupazione degli investitori internazionali è che prima o poi si debba di nuovo, discrezionalmente, modificare il contratto di Autostrade: “l’incertezza costa per tutti” (domanda, mia, un po’ scontata: ancora una volta, un problema di credibilità del nostro amato Paese?). Gli investitori sono disponibili a prendere il “rischio traffico” e il “rischio investimento”, non il “rischio regolatorio”.

Castelli (Vice Ministro, Trasporti): c’è un problema di credibilità del Paese. Al di là delle buone enunciazioni di principio nelle tavole rotonde, investitori internazionali ne vengono poco. Non bisogna riscrivere i contratti, per non minare la credibilità della controparte pubblica. Poi però il Vice Ministro cambia rotta: se arriva una grande tempesta finanziaria, un evento davvero eccezionale, qualche correzione si può fare (?). Castelli difende le tariffe: sono un’equazione. Castelli prende coraggiosamente le distanze da Alemanno (per questa polemica). Non è possibile che nel nostro Paese non si capisca che i cittadini debbono pagare per i servizi di cui usufruiscono. Serve un “contributo ai privati sempre più massiccio”, in linea con un trend mondiale, ed è imprescindibile a causa dei vincoli di finanza pubblica. E’ giusto il momento di far costare meno le opere. Basta alle opere compensative. E’ giunto il momento di porre mano alla legge obiettivo perché non è possibile avere progetti definitivi che costano tre volte i preliminari. E’ giunto il momento di snellire oneri amministrativi. L’intervento dei privati è indispensabile sotto ogni punto di vista, per incentivarlo serve più certezza del diritto.

Paolo Costa (ex Ministro dei Trasporti, economista del ramo, ora all’autorità portuale di Venezia): la privatizzazione “vista da dentro” è stata effettivamente un successo. Il tema vero è quello della stabilità della regolazione: il rapporto IBL insiste su di essa come il cuore del problema. L’impianto concettuale è legato all’idea che vi sia una gara iniziale, e poi pacta sunt servanda. In Italia sfortunatamente “gare iniziali” non se ne fanno. A parte la privatizzazione di Autostrade (pure atipica), le altre concessioni in Italia sono “quasi-imposte”. C’è un problema di storia e di prassi. Siamo di fronte a concessioni date quando ancora la concessione era considerata un istituto pubblico. L’assenza di gare in senso proprio apre la strada alla imprevedibilità e alla discrezionalità dell’attore pubblico. Il regolatore è “catturato” dai concessionari, quasi di norma in questo Paese. Ci vogliono gare effettive, trasparenti, sulla base delle quali venga aggiudicata la costruzione di una singola opera, non di un “pacchetto” di opere. Ogni tanto i patti non sono stati adempiuti per influenza del privato, non “contro” di esso!

Nicola Rossi (economista e senatore PD): quello che è stato fatto nella seconda metà degli anni Novanta (privatizzazione Autostrade), non poteva non essere fatto ed è stato un bene per il Paese farlo. E’ stato un processo non completato, però. Processi non completati di apertura del mercato possono essere pericolosi, creando un effetto boomerang. Lo sforzo deve essere completato: abbiamo ancora tratte significative gestite da un operatore pubblico, e bisognerebbe lavorare perché questo non sia più il caso; resta debole l’impianto della regolazione a causa dei conflitti d’interessi (lo Stato concedente è anche concessionario ed è anche regolatore); il finanziamento delle nuove opere dovrebbe essere lasciato al mercato. Tre problemi da porre all’ordine del giorno: (a) semplificazione delle procedure, anche se sono quindici anni che ci si prova invano. Problemi legati alla tendenza connaturata della PA ad evitare che vi sia un centro di responsabilità riconosciuto come tale; (b) stabilità delle norme è fondamentale, non si cambiano le regole del gioco a partita iniziata, i contratti non possono essere “formati progressivamente” o “modificati in corsa”. Ma come meravigliarsi, in un Paese in cui da destra e sinistra si prendono provvedimenti fiscali “retroattivi”, cosa che ovunque farebbe scendere la gente in piazza? (c) C’è anche un problema di qualità della legislazione: la norma sul pedaggiamento del raccordo anulare era “scritta con i piedi”, la legge elettorale gioca un ruolo, ma c’è il guaio che in provvedimenti “blindati” da governi di destra o sinistra non si può correggere neppure l’ortografia.  Il risultato sono norme inapplicabili o folli, che il Paese nella sua infinita saggezza consapevolmente ignora.

Marco Ponti (economista dei trasporti): sono uno dei responsabili dell’incertezza regolatoria, ma mettere mano al contratto è stato necessario, perché era troppo vago (il price cap era mal definito). Il settore ha una struttura duale: alcune strade hanno determinate regole, altre strade vivono sotto un quadro normativo diverso. La domanda di trasporto ormai è quasi tutta nelle aree metropolitane: questo cambia il quadro in cui ci troviamo.
Ci sono davvero grandi economie di scala nel settore? Occorre dimostrarlo. C’è un “paradosso delle dimensioni”: l’aumento tariffario è distribuito su una platea tanto vasta che consente più facilmente la costruzione di opere inutili.
Non è possibile estendere il business dei concessionari? Le reti locali “fanno schifo” e sono meno sicure, perché non estendere anche lì l’attività dei concessionari? “Privatizzare di più” la gestione delle reti stradali.
La regolazione in Italia è mal fatta, manca un regolatore indipendente. La regolazione deve “mimare” il mercato: come mai in Italia non c’è un concessionario che perda dei soldi? “Se non possono fallire, non sono imprese”.
Pietro Ciucci (Presidente dell’Anas): com’è giusto, Ciucci vuole dare delle risposte ai punti critici sollevati dal nostro Rapporto sull’Anas (“giudizi netti, franchi, alcuni di questo non condivisibili”). Replica a Costa: le gare per fare nuove concessioni si fanno, l’Europa ce le impone, e le concessioni cominciano a scadere (la Venezia-Padova è scaduta, altre, come la Brennero, scadono prossimamente) e c’è un articolo di legge che ha invitato l’Anas ad anticipare i tempi per fare le gare. Non è vero che le tariffe non scendono: le tariffe vengono riviste a termine concessione, e vengono riviste secondo le complesse formule tariffarie. Il principio per cui chi usa un’autostrada paga per quel servizio è scritto in una direttiva europea e recepito dal Parlamento. Il soggetto regolatore non è l’Anas: le leggi non le fa l’Anas. Anas è un concessionario dello Stato che “subconcede” alcuni tratti a pedaggio. La sua vigilanza si limita a queste subconcessioni. Dove sta il conflitto d’interessi? La garanzia del ruolo del privato in Italia è una realtà: se si va oltre le enunciazioni di principio, si vede che in Italia il quadro normativo è stato relativamente stabile. Ruolo del pubblico è complesso: anche abbassare il costo del capitale. Per questo bisogna immaginare una soluzione mista, pubblico-privata.
Replica di Castellucci: due dati interessanti della discussione: (1) nessuno di chi ha partecipato alla privatizzazione di Autostrade mette in dubbio il successo della privatizzazione, (2) tutti sottolineano il valore della certezza del diritto. “Contratto di concessione” è un ossimoro: o è un contratto, o è una concessione. L’UE ci porta a considerare i contratti come contratti, in cui pubblico e privato hanno pari dignità.
Sull’allocazione del rischio: gli investitori sono disposti ad accettare fallimento e rischio.-traffico, sono disposti ad accettarre rischi che conoscono e gestiscono. Non sono disposti ad accettare rischi che non conoscono e non gestiscono: come il rischio di modifica delle regole del gioco. I contratti devono essere “adattabili”, ma non “modificabili” e non a formazione progressiva. Se si rispettano alcuni “requisiti minimi di certezza”, è ancora possibile trovare risorse sui mercati internazionali.

Enrico Morando (senatore PD): i governi cambiano ma i problemi restano. I governi italiani alla domanda: perché non si fanno infrastrutture? hanno risposto, destra e sinistra: perché mancano i soldi. Il rapporto dell’IBL dimostra che così non è: in un’economia globale non mancano capitali, il problema è come attrarli, nel settore della costruzione delle infrastrutture, al fine di aumentare la capacità competitiva del Paese. Noi non riusciamo ad attrarre capitali privati non per assenza di capacità pubblica, ma per problemi che riguardano il funzionamento del sistema-Italia nel suo complesso. Ci sono questioni che travalicano il settore: giustizia e relazioni sindacali “impattano” l’attrazione di capitali per il settore autostradale, molto più della regolazione di settore. Una punzecchiatura a Ciucci: apprendo con stupore che non vi sarebbe un conflitto d’interessi in capo all’Anas.

(Subentra cs perché am ha il pollice dolente)

Morando si chiera a favore del coinvolgimento delle regioni nella regolazione e vigilanza sulle autostrade, purché restino ben distinti questi compiti dall’ingresso in campo come concessionari. Di fatto approva il “modello lombardo” che vede un coinvolgimento dell’Anas assieme alla regione per incentivare la realizzazione di infrastrutture utili.

Giannino si aggancia a quest’ultimo punto per passare la parola a Enrico Musso, senatore del Pdl ed economista dei trasporti che precisa di parlare più da economista che da politico. Musso sottolinea le parole di Morando sulla non pertinenza dei problemi di finanza pubblica: oggi il privato non è più un “esecutore efficiente”, ma può giocare in prima persona, sia per virtù sia per necessità. Il privato, cioè, non è più un mero amministratore (o realizzatore) di redditività, ma un investitore che si assume dei rischi. Quindi, la platea dei privati interessati deve essere necessariamente aperta allo scenario globale: se vogliamo buone infrastrutture, dobbiamo essere in grado di attrarre investimenti. Quali condizioni vanno rispettate? Anzitutto, prosegue Musso, creare vera contendibilità attraverso gare vere e concessioni di durata rapportata all’entità degli investimenti. Un secondo elemento è la flessibilizzazione degli elementi tariffari: il trend è sempre più quello di far pagare la viabilità specie in relazione alla congestione. Dunque il pagamento non è solo corrispettivo della costruzione e gestione, ma riflette anche il valore d’uso, quindi si potrebbero immaginare pedaggi variabili in funzione della domanda. Conclude Musso: la redditività, specie nel trasporto merci, si colloca su un ciclo che spesso è intermodale, non sta sul singolo segmento. Dunque il ruolo del privato può essere valorizzato su interi archi intermodali come i grandi corridoi europei? Infine, ribadisce che le opere devono essere “utili”, e anche allo scopo di discriminare quelle utili da quelle inutili è essenziale che le regole e le norme siano certe. In Italia abbiamo un paradosso per cui il regolatore pubblico è rigido nell’adeguarsi ai cambiamenti ma estremamente volubili all’opinione pubblica e questo contribuisce a creare confusione dannosa. “Il rischio di cattura del regolatore non c’è perché il regolatore non esiste: l’Anas dovrebbe essere abolita e superata da un’autorità indipendente e dalla riassegnazione delle concessioni a soggetti privati”.

Interviene Luigi Grillo, presidente della commissione trasporti del Senato. Grillo ripercorre le principali tappe degli anni recenti: svalutazione della lira nel 92, legge Merloni nel 93 che ha l’effetto – secondo lui – di paralizzare gli investimenti in opere pubbliche fino al 2001. La ragione è che le procedure sono talmente macchinose da impedire la realizzazione delle opere. Le cose cambiano con la nomina di Lunardi a ministro. Quindi legge obiettivo, legge delega e legge 166 che modifica la Merloni. Grazie alla riforma del 2002 che ha sbloccato il project financing gli investimenti sono ripartiti. Cita statistiche sulle gare e l’investimento di capitali privati per dimostrare che effettivamente una modifica ha potuto liberare forze importanti, stoppate dall’intervento a gamba tesa di Di Pietro che cancella il diritto di prelazione. I project riprendono quando, nel 2008, il centrodestra re-introduce il diritto di prelazione. Dunque, dice Grillo, se fai norme appropriate ottieni i risultati: “abbiamo poche risorse pubbliche, molte risorse private e il sistema bancario più forte d’Europa”. Grillo critica il veto Tremonti sul project di terza generazione, che avrebbe consentito una serie di investimenti senza onere per il pubblico. Il PF di terza generazione consente ai privati di prendere l’iniziativa per un investimento, senza che la decisione debba nascere in prima battuta dagli enti pubblici. In sostanza si tratta di una evoluzione della normativa esistente per esaltare il ruolo dei privati, che sarebbe molto efficiente specie al nord dove la PA funziona. Grillo propone la tariffazione delle superstrade (circa 6.600 km) per consentire investimenti necessari in capacità e sicurezza. Tutto questo, secondo Grillo, funziona o può funzionare: cosa non funziona? Certo, la macchinosità delle procedure. Ma l’anno scorso una norma ha sbloccato 11 concessioni autostradali. Pochi mesi dopo si è ritenuto che queste concessioni già sbloccate dovessero essere riportate al Cipe, che le ha riapprovate nelle condizioni precedenti alla norma: siamo al punto di partenza e sono ancora bloccate, con ingenti investimenti in attesa. Altro grande problema è responsabilizzare il ruolo dei magistrati per curare le patologie della giustizia. Sull’Anas, Grillo ritiene che il controllo andrebbe assegnato ad altri soggetti, separandolo dal ruolo di concedente e concessionario. A differenza di Musso, però, Grillo ritiene che il controllo non dovrebbe essere assegnato a un’authority ma al ministero.

Giannino lascia la parola a Francesco Ramella per le conclusioni.Ramella parte con due buone notizie: (1) non ci sono più i soldi perché abbiamo capito che né il debito né le tasse sono utili. (2) I soldi pubblici non servono. Quali opere servono? Servono opere dove c’è congestione, cioè sulle tratte più redditizie. Il sistema, se lasciato a se stesso, si auto-equlibra. Il problema è che continuiamo a fare opere che non servono, o perché non ci sono abbastanza persone che la usano, o perché non sono disposte a pagare abbastanza.  Poiché gran parte del traffico è locale, prosegue Ramella, finanziamo le opere pubbliche a livello locale: è un modo per discriminare tra opere utili e no. Conclusione: lo stato più che fare dovrebbe lasciar fare e smettere di fare le cose sbagliate.

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E’ difficile crescere rallentando … (metti la sesta..) /2010/02/26/e-difficile-crescere-rallentando-metti-la-sesta/ /2010/02/26/e-difficile-crescere-rallentando-metti-la-sesta/#comments Fri, 26 Feb 2010 10:33:19 +0000 Guest /?p=5277 Riceviamo da Federico Pontoni e Antonio Sileo e volentieri pubblichiamo:

L’Italia è un paese fondato sul consumo degli idrocarburi e sulla mobilità su gomma. Poche storie. Questo paese è stato progettato così negli anni cinquanta. Ricordate la celebre foto di Gianni Agnelli e Alberto Pirelli che presentano la Bianchina? In quella foto ci sarebbe stato benissimo anche Enrico Mattei, padre dell’ENI e grande promotore dell’idrocarburo e dell’autostrada, insieme magari a Enzo Ferrari, l’uomo che ha incarnato (e inculcato) il mito della velocità in ogni patentato medio italiano.

[La Supercortemaggiore, la potente benzina italiana, iniziò a vendersi poco prima del 1955, anno in cui debuttò la Fiat 600 - prodotta fino alla fine dei favolosi anni ’60, proprio come la benzina dell’Agip - e il primo tronco, da Milano a Parma, dell’autostrada del Sole, l’A1, fu inaugurato il giorno di Sant’Ambrogio del 1958.]

Dagli anni ottanta, tuttavia, il paese si fonda anche sul debito pubblico saldamente e spavaldamente sopra il 100% del PIL, nonostante i timidi tentativi di riduzione. Questo fardello, insieme alla metastasi dell’evasione fiscale, rende impossibile, a detta di molti, una drastica riduzione delle imposte. Certo, qualche illuminato economista suggerisce uno spostamento dell’imposizione al momento del consumo, cosa che consentirebbe, tra l’altro, di ridurre l’incidenza dell’evasione, visto che l’evasore consuma il frutto del suo furto. Noi non possiamo che essere d’accordo.

C’è tuttavia un consumo che gli italiani sembrano bramare in modo particolare, almeno a giudicare dalle sanzioni comminate. Sì, ci riferiamo alla velocità, non sono pochi gli automobilisti, specie tra gli uomini, che anelano a una mobilità, forse un po’ meno sostenibile ma di certo più celere.

Magari come in Germania, dove (com’è ben noto) in alcuni tratti autostradali non esistono limiti, se non quelli del buonsenso. A questo proposito, giace da oltre un anno in parlamento la riforma del codice della strada che vorrebbe alzare il limite, in alcune tratte autostradali, a 150 km/h. Tuttavia ci chiediamo: può un paese indebitato come il nostro regalare kilometri orari ai suoi cittadini? No, forse non può. Quale potrebbe essere la soluzione, dunque? Ovvio: potrebbe, in tutta sicurezza, venderli. Sì, capiamo lo stupore dei sostenitori di uno stato etico e paternalistico, ma chiediamo qualche minuto di pazienza per presentare la nostra proposta.

L’idea è piuttosto semplice: si vendono pacchetti di km/h da rinnovarsi annualmente, a conducenti in possesso della patente da più di 5 anni e comunque di età non inferiore ai 25 e non superiore ai 75, sfruttabili su tutte le autostrade, o meglio in alcuni tratti della rete autostradale. Il costo dei pacchetti aumenterebbe in maniera (quasi) esponenziale all’aumentare dei km/h acquistati. Il primo pacchetto, di 20 km/h, potrebbe essere venduto ad un prezzo intorno ai 500 – 700 euro per le macchine e a 300 – 500 euro per le moto. Chi volesse acquistare tutti i pacchetti, fino a una velocità massima di 250 km/h, si troverebbe a spendere circa 11.000 – 15.000 euro per le macchine e circa 4.000 – 6.000 euro per le moto. In Germania le case automobilistiche, tutte tranne Porsche, limitano elettronicamente quasi tutti i propri modelli a 250 km/h e nella maggioranza dei casi i tratti senza limiti si trovano fuori dalle aree più densamente popolate, ad esempio da Monaco a Stoccarda.

L’acquisto dei pacchetti, tranne il primo, sarebbe subordinato al superamento di un esame di guida veloce, da ripetere ogni 2 anni. La possibilità di acquisto dei pacchetti sarebbe riservata solo alle auto e alle moto immatricolate in Italia (con grande smacco dell’italiano fiscalmente domiciliato in Svizzera, a Montecarlo o, più in piccolo, a San Marino) e darebbe chiaramente diritto all’esposizione di un bollino speciale, che certifichi il nuovo limite di velocità che il mezzo può raggiungere. Ovviamente, sarebbe necessario abbinare la vendita dei pacchetti orari a un contestuale inasprimento delle multe, una diffusione più capillare del sistema tutor è già in essere.

Attenzione, lo ribadiamo, il bollino non è, e non vuol essere, una patente di spericolatezza, tutt’altro; sappiamo di studi che dimostrano che la pericolosità aumenta all’aumentare del differenziale di velocità tra i veicoli e che, realisticamente, le possibilità di non incontrare abbastanza traffico non sono poi così tante, tuttavia assumere che non ci possano essere (mai) occasioni per andare (più) veloci, a più a che fare con le limitazioni delle libertà che con la sicurezza.
Secondo nostre prime e sommarie stime, il ricavato dello Stato potrebbe aggirarsi nell’intorno dei due miliardi di euro, circa il doppio di quanto si ricava oggi da tutto il sistema delle contravvenzioni, di cui solo una minima parte, poco più del 10%, riguarda i limiti di velocità.

La nostra proposta, per il momento, è solo una bozza, un ballon d’essai, che però riteniamo possa essere sviluppata e discussa, sempre nell’ottica di spostare la tassazione sui consumi e di aumentare la consapevolezza dei cittadini; ma soprattutto in quella, più ampia, del progresso.

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Il Corriere sostiene Draghi. C’è chi sfida il silenzio /2010/01/24/il-corriere-sostiene-draghi-ce-chi-sfida-il-silenzio/ /2010/01/24/il-corriere-sostiene-draghi-ce-chi-sfida-il-silenzio/#comments Sun, 24 Jan 2010 16:50:29 +0000 Oscar Giannino /?p=4921 Desidero ringraziare pubblicamente Ferruccio De Bortoli, per il suo editoriale stamane sul Corriere della sera. Ero il solo giornalista italiano ad aver posto  – qui sul nostro blog e sui tre quotidiani del gruppo Caltagirone, Messaggero, Mattino e Gazzettino –  il problema della candidatura di Mario Draghi alla presidenza della BCE. Candidatura che si gioca nelle prossime due settimane visto che all’Ecofin del 15 febbraio si decide il vicepresidente della BCE, e se passa il candidato portoghese è game over, con presidenza impossibile nel 2011 per un altro banchiere centrale della fascia eurosud.  La decisione di De Bortoli di schierare il Corriere, e di firmare lui stesso l’editoriale,  riconcilia almeno per un giorno con la stampa itaiana. Perché? Bisogna dirlo, il perché. E’ lo stesso che riguarda un paio di altre grndi vicende italiane che passano sotto totale silenzio, o quasi.

Naturalmente, non siamo qui affatto più bravi di tutti i colleghi. Non è che io abbia antenne a Francoforte e Bruxelles che manchino ai grandi giornali italiani. Le mosse preparatorie della successione a Trichet sono seguite da grandi giornali europei da almeno sei mesi. Ft e Ft Deutschland, Figaro, Les Echos, Telegraph, Times, Faz. Basta fare una ricerca, e troverete decine di articoli. Nei quali si segnala il come e il perché i tedeschi vogliano alla guida della BCE Axel Weber d’accordo coi francesi. Mentre la candidatura portoghese alla vicepresidenza brucia Draghi. La domanda è: come mai nessun grande giornale italiano aveva considerato utile occuparsi della faccenda che riguarda il governatore di Bankitalia, e il resto d’Europa sì?

La risposta è: perché nella stampa italiana oggi molti preferiscono evitare di toccare temi che possano provocare pericolosi e temibili mal di pancia. Non succede nella politica. Ma nell’economia sì. E’ la regola pressoché ferrea. Personalmente so anch’io bene che sollevare il tema della candidatura Draghi non può, per esempio,  piacere al ministro Tremonti. Parlarne non tocca certo i meriti di Tremonti. Ma sappiamo tutti che invece, facendolo, si urtano sensibilità. Sapevo che scrivendone mi sarei esposto alla reazioni. Che sono puntualmente arrivate. Ma se uno fa questo mestiere con un minimo di dignità, si tratta di reazioni che deve mettere in conto e andare avanti. Per questo plaudo a De Bortoli. Il suo editoriale coglie nel segno, secondo me, quando dice che l’Italia rischia di rimpannucciarsi nel tradizionale e silenzioso compiacimento della puntuale bocciatura europea dei propri acerrimi avversari in patria.  

Poichè torno sul tema, ne approfitto per rispondere alle obiezioni venute alla proposta. Personalmente, non considero affatto l’esperienza in Goldman Sachs di Draghi, dopo la guida della direzione generale del Tesoro,  come un bias che lo renda solo per questo “agli ordini” delle grandi banche d’investimento. Per la conoscenza che ho di lui, è stato il modo per comprendere ”dal di dentro” tecnicalità e rischi della finanza ad alta leva e di quella derivata: il punto irrisolto che oggi spinge Obama alla repentina uscita polemica contro le grandi banche USA, tema sul quale la penso come Zingales. Disciplina del capitale di vigilanza e dei coefficienti patrimoniali diversificata per titpo di impiego de capitale intermediato – distinguendo impieghi commerciali dal proprietory trading – sono per me una soluzione da preferirsi al ritorno al passato, cioè alla nostra legge bancaria del 1936 o al Glass-Stegall Act. Aggiungo, inoltre, che se proprio devo guardare alla polemica italiana, considererei addirittura preferibile per il governo spedire Draghi in carrozza a Francoforte. Ma per me il punto non è questo: bensì sollevare con forza il tema dell’intollerabilità dell’atteggiamento sin qui seguito dai tedeschi, sugli attivi patrimoniali delle proprie banche.

Quanto a come sia diffuso nel giornalismo economico odierno in Italia l’”evitare di spiacere a chi può”, basti pensare a un paio di altre vicende. Il ritorno alla fusione Autostrade-Abertis. E soprattutto l’ipotesi Telefonica-Telecom Italia. Entrambe, negli anni alle nostre spalle, infuocarono il giornalismo e la politica italiana. Oggi appaiono come bagliori su qualche media, solo per riscomparire nella più fitta vnebbia l’indomani. Eppure tutti sappiamo che le trattative sono  buon punto, su due asset che nel panorama asfittico dell’economia e del capitalismo nazionale non è che siano proprio secondari. Lo dico senza alcuna tentazione di impancarmi a maestro di nessuno. E’ una mera contatazione, sulla quale ognuno è libero di pensarla come crede. Io, e noi qui, siamo l’ultima ruota del carro. Ma una ruotina fiera di dirla come la pensa.  Se e quando sbagliamo, nessuno può pensare che lo stiamo facendo in conto terzi.

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Limite di velocità? La Germania dice no /2009/12/11/limite-di-velocita-la-germania-dice-no/ /2009/12/11/limite-di-velocita-la-germania-dice-no/#comments Fri, 11 Dec 2009 12:51:20 +0000 Giovanni Boggero /?p=4267 Risale a qualche giorno fa l’annuncio del Ministro Matteoli, secondo cui sulle autostrade italiane provviste di tutor si potrà presto viaggiare- legalmente- alla velocità di 150 km/h. Le reazioni provenienti dall’opposizione e dalle associazioni per le vittime della strada sono state di quasi unanime indignazione. Noi con un po’ di scetticismo pensiamo che il limite di velocità generalizzato (a 90 km/h così come a 150 km/h) non sia di per sé una buona idea, da appoggiare senza se e senza ma.

In Germania, come è noto, tale Tempolimit universale non esiste e la media degli incidenti mortali- in costante diminuzione- è più bassa di quella di molti paesi europei ed extraeuropei provvisti di limite ex lege (e mi riferisco a Belgio, Austria, USA, Giappone) ed è anche più bassa rispetto al numero di incidenti che si verifica nei centri urbani e sulle strade regionali. Al di là del fatto che spesso a costituire un pericolo per il prossimo sono proprio coloro che viaggiano ad 80 km/h e al di là del fatto che la velocità media registrata sulle autostrade tedesche è di 117 km/h e infine al di là del fatto che a creare problemi di viabilità e maggiori possibilità di incidenti sono i lavori in corso (talora, come quelli tra Francoforte e Kassel finanziati attraverso i pacchetti congiunturali e quindi del tutto inutili), il punto non è comunque la velocità in sé, ma chi sta al volante. La questione è di una banalità impressionante, ma pare non sia ancora riuscita a fare breccia.

Detto questo, la Germania, benché l’Unione Europea abbia più volte esercitato pressioni ingiustificate per il limite generalizzato, ha un sistema più flessibile di una misura puramente simbolica (peraltro introdotta nel 1939 durante il nazismo) qual è quella di una barriera uniforme a qualsiasi ora del giorno e della notte: un buon numero di autostrade tedesche (circa il 47%), a seconda del tipo di percorso e dell’orario, reca un limite che difficilmente è mai superiore ai 130 km/h. Per le altre vale la velocità consigliata sempre di 130 km/h.

Socialdemocratici e verdi tirano però in ballo la questione ambientale, che, come è noto, fa sempre gola di questi tempi. Ebbene, il calcolo del beneficio ambientale* in conseguenza dell’imposizione di un limite a 130 km/h sulle autostrade- oltre a dover prendere in considerazione un infinito numero di variabili- ci pare del tutto sproporzionato rispetto all’eventualità di non essere considerati preventivamente assassini, se si viaggia a 160-170 km/h e di poter raggiungere una località in tre ore anziché in quattro e mezza. Tanto più che le anime belle, nella loro requisitoria contro i lobbisti delle case automobilistiche, dimenticano di menzionare il fatto, che se in questi anni le auto sono diventate meno inquinanti lo si deve proprio al progresso tecnologico, ovvero al mercato. D’altra parte, i fautori del limite non nascondono affatto di voler arrivare ad introdurre una norma che fissi elettronicamente su ciascun veicolo l’impossibilità di superare i 170 km/h. Per l’auto identica per tutti ci stiamo attrezzando…

Nel 1994, nel corso della campagna elettorale contro Rudolf Scharping (SPD), il Cancelliere in carica Helmut Kohl (CDU) rispedì secco al mittente l’ipotesi di un Tempolimit, spiegando che l’idea di voler regolamentare tutto- persino l’imprevedibile- apparteneva ad un modo di pensare tutto teutonico. Quindici anni dopo la Germania non ha ancora regolamentato l’inessenziale. Bene così.

— Il calcolo l’ha fatto un’agenzia del Ministero dell’Ambiente più di dieci anni fa. Il calo delle emissioni inquinanti sarebbe nell’ordine dello 0,3% del totale.  Sul tema un bel video politicamente scorretto.

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Lex autostradale /2009/08/26/lex-autostradale/ /2009/08/26/lex-autostradale/#comments Wed, 26 Aug 2009 08:49:49 +0000 Carlo Stagnaro /?p=2355 La rubrica Lex del Financial Times è sempre una delle letture più interessanti della giornata. Oggi Lex affronta la questione della privatizzazione delle autostrade in Gran Bretagna. Il problema più difficile da superare, dice, è convincere il pubblico: in effetti, non è facile spiegare alla gente che, da domani, dovranno pagare quello che fino a oggi hanno avuto gratis. A volte, però, è necessario. In questo caso, tuttavia, c’è una soluzione a portata di mano, che il Ft identifica correttamente: il patto che il governo britannico (e qualunque altro) potrebbe proporre ai contribuenti è uno scambio tra tariffe autostradali e pressione fiscale. Cioè, ridurre le imposte sui carburanti come compensazione per l’accresciuto aggravio alla mobilità. Si tratta dell’uovo di colombo: le due giustificazioni teoriche della tassazione dei carburanti sono che in questo modo vengono internalizzate le esternalità ambientali, e che il gettito serve per la manutenzione stradale et similia. Ma se le strade sono a pagamento, si ottiene lo stesso risultato in modo meno distorsivo e più equo. Speriamo che, almeno a Londra, qualcuno sappia cogliere un suggerimento tanto prezioso.

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