CHICAGO BLOG » Autorità indipendenti http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Autorità. 68 giorni al big bang /2010/12/07/autorita-68-giorni-al-big-bang/ /2010/12/07/autorita-68-giorni-al-big-bang/#comments Tue, 07 Dec 2010 16:48:23 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7799 Il Consiglio di Stato dichiara possibile la prorogatio dell’attuale collegio dell’Autorità per l’energia per un massimo di 60 giorni dopo la sua naturale scadenza. E poi? Poi, i fuochi d’artificio.

Gli affezionati lettori di Chicago-blog.it sanno con quanta passione abbiamo seguito la vicenda un po’ comica, un po’ tragica del rinnovo del collegio dell’Autorità per l’energia. Che il nuovo collegio andasse individuato entro, e non oltre, il 15 dicembre 2010 era noto da sette (7) anni. Anni durante i quali tre diversi Parlamenti e quattro diversi governi, alternativamente di centrodestra e centrosinistra, non sono stati in grado prima di nominare un componente in sostituzione di Fabio Pistella, che aveva abbandonato per approdare al Cnr, e poi di nominare una terna quando la legge Marzano aveva allargato a 5 il numero dei membri (ironicamente, proprio con l’obiettivo di facilitare il raggiungimento di accordi politici, resi necessari dal requisito del via libera con una maggioranza dei due terzi da parte delle commissioni competenti). Lo stesso ceto politico, e mentirei se dicessi che non sorprende, non è stato in grado di trovare una cinquina in grado di resistere più di dieci (10) giorni: tanto ne sono passati dal trionfale coitus nel consiglio dei ministri del 18 novembre al momento in cui si è interruptus, con la retromarcia del presidente designato, Antonio Catricalà.

Fiutando l’aria, l’Autorità aveva chiesto un parere al Consiglio di Stato per sapere cosa sarebbe successo, nel caso malaugurato e remoto in cui le nomine non fossero arrivate in tempo. La risposta del Cds è arrivata oggi, proprio quando è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio che le nomine non verranno fatte in tempo. Vuoi perché il Parlamento non ha i giorni necessari, vuoi perché il tentativo di mettere una pezza con la mera sostituzione del presidente – ultimo in lizza, il magistrato della Corte dei conti Raffaele Squitieri, che a questo proposito ha incontrato ieri Gianni Letta – di fatto non rispondeva ai mal di pancia bipartisan che la qualità delle nomine aveva destato.

Il problema è che la legge istitutiva dell’Autorità non prevede la possibilità che questo accada. Dati i tempi lunghi e l’assenza di incertezza riguardo la tempistica, si supponeva – nell’anno Domini 1995 – che maggioranza e opposizione avrebbero consensualmente trovato uomini (o donne) competenti e preparati, magari vicini a questo o quello ma soprattutto tecnici. Invece, le cose non sono andate così. Sicché, cosa dice il Cds? In quello che a un occhio digiuno di cose giuridiche come il mio appare come un formidabile, e necessario, esercizio di arrampicata artistica sugli specchi, dice che sì, la prorogatio è possibile ma che no, non a tempo indeterminato né per un lungo intervallo di tempo. Per pervenire a un tale risultato, fa l’unica cosa possibile: chiede a sua volta il parere delle altre istituzioni coinvolte (Palazzo Chigi e il ministero dello Svilluppo economico), e alla stessa Aeeg, in modo da evitare clamorosi scontri istituzionali. Nota di colore: il Mse, essendo evidentemente occupato in altre mansioni, non ha ritenuto utile rispondere. I consiglieri di Stato aggiungono che “si ha motivo di ritenere che il 15 dicembre 2010 l’iter di costituzione del collegio dell’Aeeg non risulterà ancora completato”. Cioè: ragazzi, non andiamo per il sottile, siamo in stato di necessità e in questo contesto dobbiamo muoverci.

Dopo di che, il ragionamento è il seguente:

1) La prorogatio è un’eccezione sul cui uso il nostro ordinamento, a differenza di quanto avveniva in passato, è estremamente cauto;

2) In generale, data la natura dell’Aeeg – i cui componenti vengono nominati singolarmente e che può funzionare anche con un collegio incompleto – la prorogatio sarebbe non necessaria, e quindi illecita; tuttavia

3) Gli attuali membri scadranno “simultaneamente” il 15 dicembre, e questo “dato di fatto” rende il caso in esame “assimilabile (una tantum) all’ipotesi dei collegi il cui mandato è soggetto a una scadenza unitaria”. Ai miei occhi inesperti, questa è arte.

4) Neppure si può parlare di inadempienza dell’Autorità – nel qual caso scatterebbe il potere sostitutivo del governo – perché qui, semmai, inadempienti sono il governo stesso e il parlamento.

5) D’altra parte le funzioni dell’autorità sono così “rilevanti e incisive” e “il loro tempestivo esercizio è così doveroso per legge” da dover trovare una gabola (in termini tecnici: “da rendere difficilmente sostenibile l’esclusione di ogni forma di prorogatio“).

6) Dunque, la prorogatio è sostenibile purché non sistematica e non illimitata nel tempo e nell’estensione dei poteri”.

7) Particolare enfasi viene posta dal Cds sulla limitata durata temporale, perché una prorogatio a tempo indeterminato “tutti gli atti diventano, prima o poi, insuscettibili di rinvio”, e dunque fatalmente anche l’estensione dei poteri diventerebbe illimitata. Nel qual caso una parte di me non può fare a meno di ghignare, al pensiero della reazione di certi regolati alla notizia dell’insediamento di Re Sandro I sul trono di Piazzale Cavour. Reazione che quasi renderebbe questa prospettiva, altrimenti insostenibile, tutto sommato desiderabile. Ma questa è una divagazione maligna.

8) Senza contare che, appunto, una prorogatio indefinita sarebbe equivalente a una conferma nell’incarico, in palese violazione della legge che, molto opportunamente, nega tale possibilità.

9) Di conseguenza, la prorogatio deve essere accettata purché limitata nei tempi e nello scopo. Cosa significa “tempi limitati”? Per il Consiglio di stato, vale il termine dei 60 giorni, coerentemente con la legge Marzano che fissa in 60 giorni il termine per la nomina dei membri mancanti del collegio (norma prima disattesa e poi paraculescamente interpretata, ma anche questo è un altro discorso che sta alla base dell’anomalia di un collegio a due).

10) Perché, dunque, proprio 60 giorni? Perché il legislatore del 2004 “stimava che fossero un termine ragionevole e più che sufficiente per svolgere tutto il complesso procedimento della nomina dei (nuovi) componenti”. Se era vero nel 2004, argomenta il Cds, deve essere vero anche oggi. Peccato che, come i fatti successivi hanno dimostrato, già nel 2004 non fosse vero, e dunque – a fortiori e a maggior ragione – non lo è, probabilmente, oggi.

11) In conclusione, viene fissato il termine “non ulteriormente prorogabile” di 60 giorni dalla scadenza del 15 dicembre, e dunque di 68 giorni da oggi.

E dopo? Dopo, il big bang. Ma prima di arrivare al dopo, occupiamoci del prima. Dal 15 dicembre al 13 febbraio l’Autorità, e comunque fino alla nomina di un nuovo collegio, l’Autorità dovrà operare “con la limitazione dei poteri agli atti di ordinaria amministrazione e a quelli indifferibili e urgenti”. Ora, la mia domanda da ingenuo malpensante è: che cavolo è l’ordinaria amministrazione/indifferibile/urgente, e cosa non lo è? Un’interpretazione, estensiva ma ragionevole, potrebbe essere quella secondo cui ricade in tale categoria tutto ciò che sta scritto nella legge istitutiva, e dunque l’attività di determinazione delle tariffe, la regolazione tecnica e di qualità, l’intervento in caso di comportamenti scorretti, e così via. Ma altre interpretazioni potrebbero essere, altrettanto plausibilmente, più restrittive. E’ chiaro, insomma, che la prima, inevitabile conseguenza diretta della prorogatio sarà che qualunque atto dell’Autorità potrebbe essere, e probabilmente sarà, oggetto di contenzioso. D’altro canto, potrebbe generare contenzioso anche la scelta di non fare qualcosa, perché qualcuno potrebbe ritenerlo omissivo. Buona fortuna.

Un secondo effetto sarà quello che, sapendolo, il collegio sarà indotto a comportarsi in modo particolarmente conservativo. I topi ballano anche quando il gatto, pur essendoci, è debole o ferito.

Una terza e più politica conseguenza sarà che anche l’invio di eventuali segnalazioni al governo o al parlamento – aspetto importante visto che entro marzo dovrà essere recepito il Terzo pacchetto energia - avrà un tono minore e comunque un peso politico inferiore.

Tanto per il prima. Naturalmente le cose potrebbero risolversi se una nuova cinquina fosse rapidamente individuata e approvata. La voce più insistente è quella secondo cui il governo – lo sapremo venerdì – sarebbe intenzionato a riproporre il quartetto già licenziato (Biancardi-Bortoni-Carbone-Termini) più Squitieri come presidente. Ma l’approvazione parlamentare non sarebbe scontata, visto che diverse delle ragioni di insoddisfazione che hanno causato il cortocircuito resterebbero inascoltate. Una seconda ipotesi è quella di un decreto legge per prorogare per sei mesi l’attuale collegio. Ma non solo tale provvedimento potrebbe essere a sua volta essere inefficace, disapplicato o rigettato in fase di conversione: esso pure darebbe vita a contenzioso, inevitabilmente e, aggiungo, giustamente.

Quindi, i giochi dovrebbero riaprirsi completamente: assai complicato, se si tiene conto che di mezzo c’è il voto di fiducia e che, se le cose precipitassero, da qui al 13 febbraio potrebbero non esserci più né un governo, né un parlamento. Il che, naturalmente, vale anche per la conversione del decreto fantasma.

Nell’ipotesi più pessimistica (ma non per questo meno probabile), quella in cui una nuova cinquina non fosse individuata per tempo, si arriverebbe al paradosso della decapitazione dell’Autorità, con la sua sostanziale paralisi e l’improvviso crollo della cornice di regole, buone o cattive, che oggi sovrintende al funzionamento del mercato dell’energia in Italia. Una cornice che ha fatto di noi un esempio studiato in Europa, e il cui venir meno in un contesto del tutto confusionale ci riporterebbe dove siamo abituati a stare, cioè in fondo alla classifica e ben lontani da qualunque standard di best practice. In quel caso, altro che contenzioso: saremmo di fronte al Contenzioso 2.0.

Dimenticavo: tra tre settimane scatta il liberi tutti natalizio. I 60 giorni di proroga sono, a tutti gli effetti, 45. Del resto, sarebbe impensabile che lo stesso ceto politico che in 7 anni non ha saputo trovare un accordo, sia disposto a fare gli straordinari a Capodanno. C’è il cotechino che aspetta, per Dio, non siamo mica qui per scherzare.

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Proposta shock per l’Autorità energia: tiratelo fuori /2010/12/06/proposta-shock-per-lautorita-energia-tiratelo-fuori/ /2010/12/06/proposta-shock-per-lautorita-energia-tiratelo-fuori/#comments Mon, 06 Dec 2010 10:15:24 +0000 Carlo Stagnaro /?p=7785 A meno di dieci giorni dalla scadenza formale dell’attuale collegio, le nomine della nuova Autorità per l’energia sono in alto mare. Il naufragio è frutto della superficialità dei principali attori di questo teatrino: il Pdl, il Pd e la Lega (o, se preferite nomi e cognomi, di Gianni Letta e Paolo Romani, Pierluigi Bersani e Roberto Calderoli). Capire perché le cose sono andate male è necessario a esprimere una diagnosi del fallimento. La risposta, dati i tempi e l’apparent cul de sac in cui la politica si è cacciata (compreso il voto di sfiducia del 14 dicembre), non può che essere una terapia shock: tiratelo fuori.

Come sempre, c’è una tensione tra la lettera della legge e la sua sostanza. La legge richiede che le nomine, operate dal governo, siano approvate dalle commissioni parlamentari competenti con una maggioranza dei due terzi. Letta-Romani, Bersani e Calderoli hanno fatto le loro scelte pallottolliere alla mano. Non hanno considerato due cose: primo, che i parlamentari (almeno alcuni di loro) non sono palline ma esseri umani; secondo, che le nomine, per essere votate, devono essere votabili. Alcune, a fortiori, non lo erano. Non lo erano perché il criterio dell’appartenenza partitica ha prevalso su qualunque altro criterio, compreso quello della competenza tecnica (che pure è richiesta dalla legge istitutiva dell’Autorità).

Non apro una digressione sulla questione dell’indipendenza perché lo ha già fatto Alberto Mingardi. Nessuno crede, e pochi chiedono, che i politici si spoglino della loro appartenenza in questi momenti. E’ fisiologico che ciascuno cerchi di inserire uomini (o donne) considerati “vicini” o “d’area” nei posti disponibili. Il problema è che, dall’insieme dei “vicini”, bisognerebbe estrarre il sottoinsieme dei “competenti”, e tra di essi scegliere. Ci sono molti tecnici in gamba contigui al Pdl, al Pd, alla Lega: perché solo alcuni sono emersi, nella cinquina ormai tramontata, mentre altri erano vicini ma non competenti o addirittura incompetenti?

Non voglio rispondere a questa domanda. Non sarei in grado di farlo – e comunque non senza usare parole poco educate. Mi limito a osservare che le cose sono andate così. Osservo anche che la pezza che si per qualche giorno si è tentato di mettere era peggio del buco: si è cercato di comprare il supporto di partiti esterni alla maggioranza promettendogli incarichi non già nel collegio, ma ai vertici della struttura dell’Autorità, o di negoziare parallelamente sul tavolo dell’Antitrust. In entrambi i casi, anziché risolvere il deficit di competenza lo si sarebbe allargato, almeno se si prendono sul serio alcuni dei nomi che sono circolati e i nomi di quelli che, per far spazio a loro, sarebbero stati sacrificati. Anche questa strada, comunque, non si è rivelata utile. Così siamo alla situazione attuale: la politica in altre faccende affacendate, l’Autorità in bilico, la sua operatività appesa a un parere del Consiglio di Stato che comunque non potrà non sollevare critiche e ricorsi, la certezza di una prorogatio che potrebbe anche avere tempi molto lunghi.

In queste condizioni, pensare che la patologia – l’incapacità di operare nomine di cui da sette anni tutti conoscevano la scadenza – possa fare il suo decorso è illusorio. Quindi bisogna prendere atto della realtà e incanalarla in un percorso sostenibile. La realtà è questa: i partiti fanno le nomine. Il percorso sostenibile è questo: bene nomine di parte, ma che siano nomine decenti. Ecco, dunque, la mia proposta shock: far emergere le negoziazioni sotterranee.

Cari partiti – cari Letta, Romani, Calderoli, Bersani, Casini, Fini, Di Pietro, Vendola, e tutti quelli che mi sto dimenticando o di cui ignoro, senza particolare senso di colpa, l’esistenza: cari partiti, tiratelo fuori. Tirate fuori i nomi delle persone che avete in mente e mettete online, in modo che tutti possano vederlo, il loro curriculum.

Intendiamoci: un CV dice molto ma dice poco. Ci sono mille modi per “cucinarlo” in modo che sembri più di quel che è. Qualche corso inutile di qua, qualche consiglio di amministrazione che si è frequentato un pisolo dopo l’altro di là. Però, un CV – per quanto cucinato – è meglio di nessun CV. Non sto dicendo, dunque, che sulla base del CV si dovrebbe decidere. Sto solo dicendo che, almeno, si dovrebbe avere la decenza di scegliere persone che possano sostenere di sapere qualcosa del settore che andranno a regolare. Sto chiedendo, cioè, che i padrini si prendano la responsabilità dei loro picciotti. Starà ai “picciotti” dimostrare, col loro comportamento, se agiscono nell’interesse del mercato o in quello dei rispettivi mandanti. E sta ai “padrini” indicare personale qualificato – a cui togliamo volentieri l’etichetta di “picciotti” – anziché manovalanza partitica.

L’indipendenza sta nelle norme e sta nelle persone: uno scatto di trasparenza ex ante potrebbe consentire sia la quadratura del cerchio oggi, sia una più serena valutazione dell’operato dell’Autorità quando le nomine saranno state effettuate. Magari, ci aiuterà anche a capire se i leader politici che chiedono la nostra fiducia sanno scegliere i loro collaboratori, o se per loro l’unico metro è quello delle fedeltà. Nel qual caso, non avranno il nostro voto.

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Autorità indipendenti: perché continuiamo a raccontarci favole? /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/ /2010/11/28/autorita-indipendenti-perche-continuiamo-a-raccontarci-favole/#comments Sun, 28 Nov 2010 10:37:20 +0000 Alberto Mingardi /?p=7714 Della situazione paradossale che si è creata con la lettera di “indisponibilità” di Antonio Catricalà, ha già scritto Carlo Stagnaro. Da parte via, vorrei solo aggiungere qualche considerazione.

Si possono dire molte cose, sugli sfortunati giri di giostra che hanno coinvolto il Presidente dell’Antitrust negli ultimi mesi. Prima avrebbe dovuto attraversare la piazza, e spostarsi dall’AGCM alla Consob. La nomina del Presidente di questa Authority è rimasta bloccata per alcuni mesi, presumibilmente a fronte della capacità di interdizione di coloro che avrebbero visto meglio su quella poltrona Catricalà anziché Giuseppe Vegas. A scanso di equivoci: si tratta, in un caso e nell’altro, di tecnici stimati, due figure che si avvicinano quanto possibile in Italia all’identikit di un “civil servant” dal profilo alto. In un caso e nell’altro, l’arrivo alla Consob sarebbe stato in qualche misura anomalo – “poco elegante”, come hanno detto dalle parti del PD. Vegas, che è persona per bene, universalmente stimata, e di sentimenti liberali (il che, almeno da queste parti, è un punto a favore), veniva dal Ministero dell’Economia. Catricalà avrebbe lasciato un’altra Autorità indipendente, prima della conclusione del mandato.

Quando finalmente il governo ha esplicitato la sua preferenza per Vegas (la nomina è su indicazione del Presidente del Consiglio, deve passare per le commissioni parlamentari e poi avere il “bollino” del Presidente della Repubblica), Catricalà è stato dirottato sull’energia – dove si è appena concluso il settennato di Alessandro Ortis. Carlo Stagnaro ha già spiegato come la cinquina di commissari all’energia fosse “figlia di un accordo tra il Pdl, la Lega e la maggioranza interna del Pd, mentre lasciava a bocca asciutta Udc, Idv e Fli”. Tanto vale notare che lasciare a bocca asciutta Fli in fatto di Authority era in tutta evidenza una strategia molto stupida.

Perché? La risposta a questa domanda spiega perché Catricalà non sia riuscito, nonostante la stima di cui gode nelle istituzioni e il supporto di Gianni Letta, a diventare Presidente della Consob. Perché il capo dell’Antitrust deve essere nominato congiuntamente dal Presidente della Camera e da quello del Senato. Il Presidente della Camera di Fli è, come è noto, il leader e fondatore.

Si è scritto che Antonio Pilati non avrebbe potuto fare il Presidente pro tempore dell’Antitrust (essendo membro anziano, nella vacatio a lui sarebbe spettata tale responsabilità) perché “troppo berlusconiano” ovvero fra gli estensori della legge Gasparri. Come la pensi Pilati sullo sviluppo del mercato televisivo in Italia, non è un mistero. Con Franco Debenedetti, ha scritto un libro, “La guerra dei trent’anni”, proprio su questo.

Dichiaro un conflitto d’interessi. Considero Antonio Pilati uno dei miei amici più cari, e quindi è naturale che pensi non solo che avrebbe potuto fare il Presidente dell’Antitrust, e non solo pro tempore, ma che l’avrebbe fatto con la professionalità e l’intelligenza che gli sono propri. Al di là delle persone, però, forse sarebbe utile che utilizzassimo questa ridicola pantomima sulle nomine all’Energia e all’Antitrust per qualche considerazione di ordine generale.

Se l’indipendenza delle Autorità può essere un “dato” nel loro funzionamento concreto, e segnatamente nel rapporto che formalmente le lega agli altri organi dello Stato, l’indipendenza in senso assoluto non esiste. I loro componenti debbono, è vero, esibire requisiti di “riconosciuta professionalità e notoria indipendenza”. Ma che significa? Limitiamoci all’AGCM, dove la nomina del collegio è in capo ai Presidenti delle due Camere. Nella legge istitutiva dell’Autorità, questo avrebbe dovuto garantirla da pressioni politiche le più varie. Quella legge è stata scritta al tramonto della prima repubblica, ed è debitrice ai suoi riti. Allora, i Presidenti delle due Camere erano signori maturi che si ponevano fuori dai giochi. Non proprio il profilo di personaggi come Luciano Violante, Pierferdinando Casini, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, tutti politici di primo piano. Allora, una camera andava all’opposizione: convenzione mai più rispettata, dal ’94 in qua.

La composizione dei collegi dell’Antitrust ha sempre riflettuto l’appartenenza dei Presidenti delle due Camere. Il primo collegio, dopo la morte di Francesco Saja, fu presieduto da Giuliano Amato: ragionevolmente considerabile, soprattutto nel 1994, l’uomo della sinistra più vicino a Berlusconi (e un politico non di seconda fila: aveva già fatto, e avrebbe fatto di nuovo, il presidente del consiglio). L’Autorità a guida Tesauro è ricordata da molti con rimpianto, perché composta soprattutto da “tecnici”: bravi studiosi come Michele Grillo e Marco D’Alberti, apprezzati dai colleghi, legittimamente vicini ai partiti di sinistra. Il membro berlusconiano era il giurista bolognese Giorgio Bernini, che era stato ministro del commercio estero e poi divenne presidente di RFI.

Siamo all’era Catricalà. Stimato a sinistra (indimenticabile il suo feeling con Bersani ministro dell’industria), Catricalà era stato capo di gabinetto di Antonio Maccanico al ministero delle poste, poi segretario generale del primo consiglio dell’Autorità delle telecomunicazioni, poi segretario generale della Presidenza del Consiglio ai tempi del secondo governo Berlusconi (2001) fino all’approdo all’Antitrust. Non proprio uno che i politici li ha visti solo da lontano.

Gli altri componenti dell’Autorità sono analogamente stati scelti dai Presidenti della Camera o del Senato, raramente in contrasto con l’appartenenza politica degli stessi. Guazzaloca uscì dal cilindro del sodale bolognese Casini, Pilati era “in quota” al berlusconiano Pera, la nomina di Rabitti Bedogni è riconducibile a Bertinotti, quella di Piero Barucci (figura di grande prestigio, già ministro e presidente dell’Abi) a Franco Marini, Salvatore Rebecchini ha condotto una carriera limpida e integerrima in Banca d’Italia, ma la sua famiglia è stata tradizionalmente vicina a Fini.

Finché i meccanismi di nomina saranno quelli che sono, non prendiamoci in giro: è normale che vengano scelti “tecnici” non insensibili alla politica. Le authority non dipendono dallo Spirito Santo. Varrebbe la pena prestare più attenzione ai requisiti di professionalità, anziché andare a farfalle cercando l’Indipendenza con la i maiuscola. Sarebbe auspicabile rendere più trasparenti i meccanismi di nomina? Indubbiamente. Ma non illudiamoci. Si passi dalle commissioni parlamentari, o dai presidenti delle camere, sempre di scelte riconducibili alla politica si tratta.

L’indipendenza ed efficacia delle Autorità va misurata e controllata decisione dopo decisione, senza mai chiudere gli occhi (e del resto, perché dovrebbe bastare essere “indipendenti” per non fare fesserie?). Sul resto, meglio sarebbe se i nostri politici la smettessero di fingere di credere a Babbo Natale – rigorosamente quando gli fa comodo.

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Relazione annuale di Ortis. Liveblogging /2010/07/15/relazione-annuale-di-ortis-liveblogging/ /2010/07/15/relazione-annuale-di-ortis-liveblogging/#comments Thu, 15 Jul 2010 09:09:04 +0000 Carlo Stagnaro /?p=6520 Oggi il presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis, ha letto la sua ultima relazione annuale. Oltre a evidenziare le persistenti criticità – con particolare enfasi sulla scarsa competizione nel gas e sulle inefficienze nel sostegno alle fonti rinnovabili – Ortis ha rivendicato i sensibili progressi nel mercato del gas e soprattutto in quello elettrico verso una maggiore concorrenza. In vari passaggi il presidente ha rimarcato l’importanza dell’indipendenza dell’Autorità, peraltro richiesta dalle norme comunitarie. Senza indulgere in polemiche dirette, ha però accennato alla più recente aggressione – il micromanagement dei tagli presente nella manovra finanziaria – e ha lasciato solo all’immaginazione (e alla memoria) le polemiche precedenti, sui ripetuti tentativi di menomare l’autonomia del regolatore energetico. Ortis è stato bravo nel leggere in parallelo il bilancio di quest’anno di regolazione ed evoluzione dei mercati energetici, coi risultati ottenuti durante l’intero mandato. Implicito nelle sue parole era l’auspicio che l’Aeeg sia tutelata attraverso il dovuto rispetto istituzionale e la nomina di un collegio, alla scadenza dell’attuale a fine anno, in grado di porsi su un sentiero di continuità, esattamente come Ortis ha cercato di proseguire con coerenza il percorso avviato da Pippo Ranci prima di lui. E’ una speranza che mi sento di condividere ed è il modo migliore per chiudere, con umiltà e con orgoglio al tempo stesso, un’avventura che troverà tra pochi mesi il suo epilogo formale.

Qui sotto è possibile trovare i miei commenti, irriverenti e sgangherati, in tempo reale alla relazione di Ortis.

12.07. “Una confessione: essere stato chiamato a tutelare i consumatori, a promuovere la competizione, a servire il mio paese per regolare e controllare nell’accezione einaudiana è stato per me un’esperienza bellissima”.

12.06. “Titoli di coda” di un intero mandato: gratitudine per chi ci ha assegnato “il dovere di guidare, in piena autonomia, una autorità indipendente per un settore così importante”. Gratitudine anche per il personale.

12.04. Evidenzia la continuità col collegio precedente, presieduto  da Pippo Ranci.

12.02. Chiede potenziamente dell’organico, senza aggravio per il bilancio dello Stato e per i consumatori e operatori, tenendo conto che il personale è lo stesso dal 2004 mentre le funzioni sono aumentate. “Confidiamo che sia tenuta in conto la nostra segnalazione sulla manovra finanziaria” nella quale abbiamo dichiarato disponibilità a partecipare allo sforzo economico ma “abbiamo evidenziato la criticità di alcune misure” relative all’organizzazione interna dell’Autorità. Ortis è disposto a partecipare ai tagli ma chiede indipendenza e autonomia nel ripartirli al proprio interno. Sottolinea che l’Aeeg, la quale si autofinanzia, già partecipa al finanziamento di altre autorità (una piccola mostruosità).

11.58. Cosa pensa la giustizia amministrativa dell’operato dell’Aeeg? Ovviamente questo è una proxy della capacità tecnica dell’Autorità. Nei sette anni si è dimmezzato il numero delle delibere impugnate, e quelle annullate sono pochi punti percentuali: il “tasso di resistenza” è superiore al 98 per cento. Impressive.

11.57. Ortis vanta l’impegno al dialogo con gli stakeholder, in particolare attraverso i documenti di consultazione che non solo danno trasparenza, ma anche legittimazione, all’attività di regolazione. E ciò sebbene la consultazione pubblica non sia esplicitamente prevista dalla legge. Questo è un punto molto importante e molto condivisibile, che viene approfondito anche da Stephen Littlechild nel saggio introduttivo al nostro Indice delle liberalizzazioni 2009.

11.55. Sottolinea che l’Autorità “non ritiene opportuno beneficiare” delle sanzioni, che vengono versate al bilancio dello Stato e utilizzate a favore dei consumatori (spero non, ma temo di sì, delle associazioni dei consumatori, sennò il fondo dovrebbe essere chiamato “contro i consumatori”. Ma questa è mia polemica spicciola).

11.48. Rivendica lo sforzo dell’Autorità per informare i consumatori. Frecciata molto indiretta alla manovra tremontiana, come da recente segnalazione inviata a governo e parlamento (qui).

11.46. Le differenze nel mix di produzione rappresenta solo il 15 per cento nella differenza dei prezzi Italia-Ue. Il resto dipende da componenti diverse, in particolare gli oneri. Affermazione pesantissima.

11.42. Sulle bollette elettriche pesano anche gli oneri parafiscali, principalmente quelli per l’incentivazione delle fonti rinnovabili. Gli obiettivi europei sono condivisibili (noblesse oblige) ma proprio perché sfidanti serve efficienza. Il nostro sistema è inefficiente. Da qui costi eccessivi, con l’aggiunta di distorsioni e opacità. Nel 2010 costi di incentivazioni superiori ai 3 miliardi di euro con un incentivo medio pari al doppio del valore dell’energia prodotta. Occorre rivedere durata e livello delle incentivazioni – specie per solare fotovoltaico – e correzione dei malfunzionamenti dei certificati verdi. In alternativa, rischio aumento bollette fino al 20%. A questo scopo Ortis propone, come nel passato, di spostare parte dell’incentivazione dalle bollette alla fiscalità generale (non sono sicuro di essere d’accordo). In caso contrario, sarebbe opportuno fissare gli obiettivi per via politica, lasciando poi all’autorità le modalità per farli rispettare al minimo costo, come nel caso dei certificati bianchi. Abbastanza ragionevole, direi, anche perchè questo potrebbe assicurare “una maggiore stabilità degli incentivi”, modificati quasi una volta all’anno negli ultimi dieci anni. 

11.39. I prezzi italiani sono superiori alla media europea, ma sarebbero ancora più alti senza gli investimenti nel parco di generazione e senza i progressi che sono stati fatti a livello concorrenziali. Circa i prezzi all’ingrosso gas “non esistono ancora riferimenti trasparenti”. Scarsa concorrenzialità “con un operatore dominante in tutte le fasi della filiera”. I maggiori costi all’ingrosso vengono contrastati con bassi costi tariffari. Altra frecciata all’Eni.

11.37. Entriamo nel merito della composizione della bolletta, elettrica e gas. Nel settore elettrico le tariffe per i servizi a rete sono diminuite del 14% in termini reali dal 2004 a oggi, senza pregiudicare gli investimenti (raddoppiati) e la qualità del servizio. Nel settore gas si è scelta la stabilità delle tariffe, per tener conto delle maggiori inefficienze – principalmente per la parcellizzazione di concessioni e operatori nella distribuzione.

11.33. Nel settore elettrico molti più switch in tre anni di quanti se ne siano visti in 8 anni nel mercato del gas.  

11.32. Il mercato elettrico va abbastanza bene. L’avvio della borsa elettrica ha prodotto benefici. Restano da superare le congestioni e da garantire lo sviluppo dei mercati a termine.

11.31. A fronte della bolla internazionale, noi non abbiamo quella “bolla infrastrutturale” “tempo fa paventata da alcuni per impedire investimenti” e che ci impedisce di approfittare dei bassi prezzi internazionali stoccando gas ora per consumarlo quando l’economia tirerà.

11.29. Suggerisce il passaggio di Snam alla Cdp. Boh, marginalmente è meglio, ma non ci vedo tutta sta differenza, visto che Cdp è comunque il principale azionista di Piazzale Mattei. Altra frecciata: la separazione tra Terna ed Enel ha rafforzato, non indebolito, Enel, perché dovrebbe andare diversamente per Eni? Giusto, giustissimo, giusto coi fiocchi.

11.27. Per il settore gas il grado di liberalizzazione resta insufficiente. La capacità di importazione è aumentata solo col rigassificatore di Rovigo e lo sbottigliamento di gasdotti imposto dai regolatori nazionale e comunitario. L’Eni ha il 92% della capacità di importazione e il 65% delle immissioni alla frontiera. La concorrenza è ancora fragile, anche a causa dei comportamenti dell’Eni e “dalla mancanza di un operatore di rete… senza nemmeno un sospetto di discriminazione”, come nel settore elettrico. Quanti minuti passeranno da qui alla prima agenzia di Paolo Scaroni?

11.24. Nel gas crescita investimenti e della capacità di importazione. Attacco durissimo all’Eni sugli stoccaggi: cominciano le danze! Seconda citazione di Saglia. Altro segnale politico?

11.23. Rivendica il ruolo dell’Autorità nel promuovere investimenti, in particolare sulla rete elettrica. “Intendiamo promuovere l’utilizzo di capacità a pompaggio idroelettrico attivando bacini di piccola e media dimensione soprattutto nel Sud”: giusto punto, dato il vincolo degli obiettivi comunitari.

11.21. Il processo di liberalizzazione e integrazione dei mercati soffre ancora di anacronistiche resistenze protezioniste e carenze infrastrutturali.

11.20. Abbandonare il cap and trade per adottare un meccanismo integrato che comprenda anche border taxes. D’accordo sulla prima metà, molto scettico sulla seconda, ma è fondamentale che l’Autorità per l’energia evidenzi esplicitamente il fallimento degli attuali strumenti europei. Que viva el Presidente!

11.19. Sia pure nell’ambito della discussione sulla speculazione e l’intervento europeo per contenerla, Ortis ringrazia esplicitamente Stefano Saglia. Segnale politico?

11.18. La speculazione è cattiva. Vabbé Pres., questa gliela perdono.

11.15. Per combattere la fame energetica e perseguire lo sviluppo sostenibile servono le liberalizzazioni. La riduzione di componenti tariffarie e il meccanismo competitivo hanno contenuto la dinamica dei prezzi – rispettivamente in ragione del 40 e del 60 per cento. Ben detto!

11.12. Prende la parola Ortis. Ringrazia Leone e tutti quelli che deve ringraziare. Promette brevità “anche se con più difficoltà del passato”, vista l’esigenza di fare un bilancio di un mandato “concluso e non rinnovabile”.

11.09. Parla il vicepresidente della Camera dei deputati, Antonio Leone. Introduzione business as usual. Leone sottolinea, in particolare, l’ “interesse nazionale” a ridurre la dipendenza esterna e enfatizza il ruolo del nucleare.

11.08. Sta iniziando la presentazione della relazione annuale del presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis. Si tratta dell’ultima relazione del suo mandato. Ortis farà i fuochi di artificio? Qui la diretta video.

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Neppure il pelo /2010/02/10/neppure-il-pelo/ /2010/02/10/neppure-il-pelo/#comments Wed, 10 Feb 2010 09:18:24 +0000 Carlo Stagnaro /?p=5099 Il lupo governativo non perde né il pelo, né il vizio. Dopo le innumerevoli sortite contro l’Autorità per l’energia (fallite). Dopo il pasticcio sul finanziamento delle autorità di regolazione (riuscito). Dopo il blitz sulla Consob (fallito). Dopo i tentativi di lottizzazione dell’Agenzia di sicurezza nucleare (vedremo). Ora l’emendamento ad personas riguarda la Commissione sul diritto agli scioperi.

Un emendamento al decreto milleproroghe, approvato lunedì dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, allunga la vita di tre anni agli otto membri più il presidente della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, peraltro insediatisi meno di un anno fa (con codazzo polemico per l’assenza di esperti di questione lavoristiche). Non sto a riptere cose già dette: l’autonomia dei regolatori è condizione essenziale perché possano operare bene e con efficacia. L’autonomia non è solo un beneficio (cioé: avere le mani libere) ma può anche rappresentare un costo (per esempio: l’impossibilità di essere riconfermati, i vari vincoli e incompatibilità, eccetera). Dall’equilibrio delle due cose dipende, in ultima analisi, l’efficacia degli organismi di controllo e regolazione.

Ora, intendiamoci: la Commissione sugli scioperi ha un ruolo limitato, per quanto importante. Qualunque intervento a gamba tesa su di essa non ha la stessa portata che avrebbe su autorità più corpose, come Aeeg, Agcom, Agcm e Consob (che, per inciso, hanno tutte un numero inferiore di commissari: si vede che vigilare sugli scioperi è più impegnativo che tutelare la concorrenza, sorvegliare la borsa, o regolare mercati come quello energetico e delle telecomunicazioni). Però la logica è la stessa e, soprattutto, qualunque intervento, in qualunque punto del sistema, si ripercuote sotto forma di “messaggio” al sistema intero. Allungare il mandato dei commissari attualmente insediati (ovviamente sarebbe stato diverso se la riforma fosse entrata in vigore dal prossimo collegio) è un modo per garantirsi la gratitudine degli attuali occupanti di quelle poltrone. Magari la loro indipendenza di giudizio non ne viene minata, perché sono tutte persone degnissime e rispettabilissime: però, quanto meno, viene minata la percezione di tale indipendenza, e se non è zuppa – mi permetto di dire – è pan bagnato.

Il tema di fondo, come nei casi precedenti, e in quelli che presumibilmente vedremo nel futuro (con una certa noia, che si tratta sempre della stessa questione), è l’assenza di una vera cultura della regolazione indipendente. Non si tratta di farne un feticcio: personalmente trovo più interessante riflettere sui meccanismi della cattura dei regolatori, e sul reale funzionamento delle rispettive autorità, piuttosto che su una ipotetica e assoluta indipendenza che non potrà mai esistere. Una indipendenza parziale, va detto, è comunque preferibile all’assoggettamento ai desiderata governativi e politici, perché quanto più le funzioni si fanno critiche, tanto più è importante che le decisioni siano credibili, tecnicamente qualificate, e stabili. Quando, dunque, le incursioni si fanno troppo numerose, troppo spregiudicate e troppo chirurgiche – tutto quello a cui abbiamo assistito è stato tutto questo – allora bisogna tornare ai principi primi e, di fronte a un evidente peggioramento, difendere lo status quo. Not my cup of tea, ma s’ha da fare.

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Fondo unico autorità. Quando la pezza è (quasi) peggio del buco /2009/12/04/fondo-unico-autorita-quando-la-pezza-e-quasi-peggio-del-buco/ /2009/12/04/fondo-unico-autorita-quando-la-pezza-e-quasi-peggio-del-buco/#comments Fri, 04 Dec 2009 17:41:23 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4152 Da due giorni c’è subbuglio tra le autorità indipendenti, minacciate da un emendamento alla finanziaria che ne metterebbe seriamente a rischio l’indipendenza riconducendone le redini finanziarie in mano al Tesoro. Di questo ci siamo già occupati. Dopo un lungo tira e molla con la presidenza del Consiglio (ieri Gianni Letta ha ricevuto i segretari generali degli enti coinvolti), il governo avrebbe avanzato una controproposta, di cui Chicago-blog è in grado di anticipare i contenuti. Anche questa controproposta, però, suscita delle perplessità.

Il meccanismo prefigurato dall’emendamento 2356 prevedeva un sostanziale esproprio, a fini perequativi, delle entrate proprie delle autorità che ne hanno (praticamente tutte tranne Scioperi e Privacy), un meccanismo tanto più punitivo quanto meno le autorità dipendono dal bilancio dello Stato (e quindi particolarmente salato per chi, come Energia e Isvap, sta in piedi da solo). Mettere in un unico paniere risorse provenienti da fonti le più diverse – fee applicate ai soggetti regolati in vari mercati, il gettito delle eventuali sanzioni, eccetera – e redistribuirle discrezionalmente era oggettivamente troppo. Resta però il problema strutturale del sottofinanziamento di alcune authority, le quali – dicono voci di corridoio – avrebbero gradito il provvedimento, o almeno i suoi effetti, sperando di poter cannibalizzare le entrate altrui. Quale coniglio viene estratto oggi dal cilindro di Palazzo Chigi?

Secondo quanto ci risulta, si parla di un prestito forzoso dalle autorità in attivo a quelle in difficoltà. Il passaggio più delicato sarebbe il seguente:

A fini di perequazione con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le autorità interessate, sono stabilite, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, misure reintegrative in favore delle autorità contribuenti, nei limiti del contributo versato, a partire dal decimo anno successivo all’erogazione del contributo, a carico delle autorità indipendenti percipienti che a tale data presentino un avanzo di amministrazione.

Ci sono, qui, vari problemi: uno generale, altri specifici. Quello generale riguarda l’effetto minestrone e le sue implicazioni. “Prestito forzoso” è una locuzione gentile per dire trasferimento. Il trasferimento riguarderebbe risorse estratte da alcune autorità ai soggetti da loro regolati: per esempio, le imprese dell’energia, quelle telle telecomunicazioni, le assicurazioni. I soldi andrebbero a regolatori che hanno a che fare con loro solo in misura trasversale (Antitrust) o non hanno nulla a che vedere, direttamente, coi loro interessi (Privacy e Scioperi). Ora, questo fenomeno si può interpretare come un incremento fiscale di fatto: infatti, fatto 100 il gettito delle fee, dobbiamo presumere che esso venga interamente utilizzato dai regolatori di settori perché serve. Quindi, se questi sono costretti a stornare, diciamo, 5 dal loro bilancio, l’anno successivo presumibilmente esigeranno 105. Consumatori elettrici, proprietari di telefonini e titolari di polizze ringraziano commossi.

Ci sono poi varie questioni pratiche. Per esempio: se un’autorità che ha un attivo di bilancio ne viene privata, non è incentivata a evitare di averlo l’anno prossimo, magari facendo un uso meno efficiente delle risorse a sua disposizione? E se un’altra autorità ha bisogno di un sussidio, nel momento in cui questo le viene graziosamente fornito, non è incentivata a mantenere il bilancio in passivo, conscia che tanto pagherà Pantalone?

Secondo: se si tratta di un prestito, ancorché forzoso, perché le modalità di restituzione devono essere dettate da un ente terzo ed estraneo (il Tesoro), da cui oltre tutto logica ed Europa vogliono che le autorità siano indipendenti?

Terzo: perché il prestito deve essere restituito dopo dieci anni, senza possibilità di negoziare un termine diverso tra le due parti? Vale la pena ricordare che dieci anni sono un’era geologica, e che in ogni caso tutti i collegi durano in carica per un periodo inferiore. Quindi, nessun pagatore vedrà mai tornare i soldi durante la sua amministrazione, e nessun beneficiario dovrà mai, sotto la sua responsabilità, restituirli. Non è questo un incentivo a disinteressarsene?

Quarto (e scusate la finezza): non è una presa per il culo, dire che il prestito dovrà essere restituito (se e solo se) i beneficiari presentino, alla scadenza, un avanzo di bilancio? Non crea questo un ulteriore incentivo alla malagestione? E, tra parentesi, che cavolo vuol dire che il “reintegro” sarà fissato ”sentite le autorità”? Qualcuno si aspetta che il prestatore dirà, “tieniti pure i miei soldi”, mentre il beneficiario protesterà, “no prego, eccoteli indietro con una mancia per il disturbo”?

Quinto e ultimo: i problemi finanziari di alcune autorità, a cui si intende mettere rimedio con questa norma, sono passeggeri o strutturali? Nel primo caso, non esistono soluzioni a loro volta transitorie, che non creino un regime di perequazione valido in saecula saeculorum? E, nel secondo caso, in che modo si intende garantire l’effettivo e adeguato finanziamento delle autorità in difficoltà senza “rapinare” quelle più floride?

Osservatori ingenui come noi, guardando quanto sta accadendo, sono portati a pensare che una politica razionale cercherebbe di rendere più diffusi i comportamenti virtuosi e i modelli di (auto)finanziamento più efficiente. In alcuni casi ciò può non essere possibile, ed è quindi giusto cercare soluzioni valide e in grado di garantire da un lato i bilanci necessari, dall’altro la necessaria indipendenza. Ma livellare tutto verso il basso, caricando sulle spalle delle autorità un bagaglio di incentivi perversi, ci pare una pezza quasi peggio del buco. Viene quindi il sospetto che l’obiettivo dichirato sia risolvere un problema di bilancio, ma il fine reale sia aiutare questo e danneggiare quello, o forse fingere di aiutare questo e danneggiare quello prendendo il controllo del finanziamento di entrambi.

di Luigi Ceffalo e Carlo Stagnaro

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Fondo unico authority. Chi vince, chi perde, chi viene messo al guinzaglio /2009/12/03/fondo-unico-authority-chi-vince-chi-perde-chi-viene-messo-al-guinzaglio/ /2009/12/03/fondo-unico-authority-chi-vince-chi-perde-chi-viene-messo-al-guinzaglio/#comments Thu, 03 Dec 2009 19:00:25 +0000 Carlo Stagnaro /?p=4133 Puntuale come la morte e le tasse, anche questo mese è arrivato il consueto emendamento anti-autorità indipendenti. A differenza del passato, quando oggetto degli interventi (finora scampati) era questo o quel collegio, o le relative modalità di nomina, questa volta la strategia è del tutto diversa. Nel mirino entrano, infatti, le modalità di finanziamento delle authorities. Un emendamento alla finanziaria firmato dai deputati del Pdl Antonio Pepe, Maurizio Leo, Silvano Moffa e Donato Lamorte propone di creare, presso il Tesoro, un “fondo unico perequativo” dove dovrebbero confluire tutte le entrate proprie di Consob, Antitrust, Agcom, Autorità per l’Energia, Covip, Garante della Privacy, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Isvap e Commissione di garanzia per gli scioperi.

Alcuni di questi enti si mantengono da sé: l’Autorità per l’Energia attraverso un contributo a carico delle imprese regolate, l’Isvap per mezzo dello stesso strumento più gli interessi attivi sui depositi bancari. Altre, cioè il Garante per la Privacy e la Commissione di garanzia sugli scioperi, dipendono interamente dal bilancio dello Stato. Le rimanenti si mantengono in forma mista, dipendendo più o meno dai fondi pubblici e più o meno da fee applicate ai soggetti regolati o dai proventi delle sanzioni erogate (cosa che crea un incentivo perverso, ma non è questo il punto).

Il sistema è chiaramente imperfetto e lascia insoddisfatti soprattutto quelli che, dovendo negoziare col Tesoro, si sentono in qualche modo “i cugini poveri”. Posto che il problema esiste, ci si sarebbe aspettati un tentativo di rendere più autonomi, o autonomi del tutto, quelli che ancora, sotto il profilo finanziario, non lo sono. Sarebbe un tentativo grandemente apprezzato dal mercato, che più di tutto teme la volubilità dei decisori. E’ chiaro che un regolatore che, per la propria sussistenza, debba trattare col governo, deve subirne i capricci, dà meno garanzie di stabilità: e questo è tanto più vero in un contesto politico come il nostro che conosce la stessa stabilità di un toro meccanico.

Non stupisce, dunque, che diverse autorità abbiano reagito con durezza alla proposta. Per esempio, l’Autorità per l’energia ha inviato una segnalazione a governo e parlamento per richiamare l’attenzione sui profili di criticità, generali e specifici (altre segnalazioni sarebbero in arrivo). Tra le altre cose, quasi certamente ci troveremmo in violazione delle direttive comunitarie, col rischio di vedere aperta l’ennesima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Inoltre, sarebbe discutibile il fatto che i contributi estratti da alcuni regolatori ai rispettivi settori di interesse, fossero utilizzati per finanziare attività del tutto estranee ai loro interessi diretti. Cito dalla segnalazione dell’Aeeg:

la norma proposta finanzierebbe – con onere a carico delle sole imprese che operano nei settori regolati (settore elettrico, del gas, delle telecomunicazioni, assicurativo e degli scambi finanziari) – anche amministrazioni del tutto estranee a tali settori nonchè autorità che operano a livello trasversale su tutti i mercati svolgendo attività di vigilanza su tutte le imprese soggette alla concorrenza (introducendo una sostanziale forma di tassazione occulta sui suddetti settori regolati).

Questa situazione spinge l’organismo presieduto da Alessandro Ortis a parlare di una “tassa occulta” sui soggetti regolati. Da ultimo, il pregiudizio all’indipendenza delle autorità – che è intrinseco nella proposta e viene lamentato quasi da tutti – verrebbe esasperato dal fatto che quello italiano non è uno Stato “guardiano notturno”, ma detiene partecipazioni rilevanti in una serie di società che occupano posizioni dominanti nei rispettivi mercati – Eni, Enel, Rai, Trenitalia, eccetera. La dipendenza del controllore dal controllante è un fattore di preoccupazione (in realtà per le stesse imprese controllate, che rischierebbero di trovarsi in una situazione di patologica incertezza riguardo a chi decide cosa, come, in quali tempi e con quali mezzi).

Non stupisce, dunque, che alcune autorità abbiano reso più o meno pubblici i loro mal di pancia. Non stupisce nemmeno che Giulio Tremonti, a quanto ci risulta, pur non avendo avuto alcun ruolo nella genesi dell’iniziativa, vedendosela piovere addosso non si sia scansato. In fondo, se approvata si ritroverebbe istantaneamente più potente, senza neppure averlo chiesto.

Quello che stupisce, ma in fondo non troppo, è che tra le stesse autorità si sia aperta una divisione. Da un lato, quelle coi bilanci in ordine; dall’altro chi, come Antitrust, Scioperi e in modo assai più defilato Privacy ritiene di meritare maggiori risorse o comunque di potersele aggiudicare (per diverse categorie di merito: per esempio il ruolo di primissimo piano che alcuni commissari occupano al Tesoro). Fatto sta che Antitrust e Scioperi, nella riunione che si è svolta oggi alla presenza di Gianni Letta, non avrebbero sgomitato poi tanto, mentre la Privacy avrebbe caldeggiato una “terza via”. Terza via che, secondo le voci intercettate nell’aria, sarebbe stata predisposta dai tecnici del Tesoro, sotto forma di un prestito forzoso dalle authorities finanziariamente più forti a quelle più deboli.

Anche qui, però, la “santa alleanza” dei regolatori virtuosi avrebbe stretto le fila, consapevole di due rischi. Primo: generare incentivi perversi, per cui nessuno si troverebbe ad avere un reale interesse alla disciplina finanziaria, perché tanto il “di più” andrebbe a beneficio altrui. Secondo: oggi i regolati che pagano il loro regolatore sanno come vengono utilizzati i loro soldi. Un domani, questo non sarebbe più vero, a scapito della trasparenza e dell’accountability dei regolatori. Starebbe circolando una controproposta – un prestito volontario che poi, però, dovrebbe essere restituito – che però, ovviamente, non incontra il gradimento di chi ha, a vario titolo, proposto, promosso, voluto o apprezzato l’emendamento. Comunque, queste sono tecnicalità: non sono il punto, come il punto non è fare la conta di vincitori e perdenti.

Il punto è, direbbe Doc Brown, ragionare quadridimensionalmente. Nell’immediato, la strategia può anche pagare. Ma nel lungo termine, no. Cioè: nell’immediato può determinare un flusso di risorse da chi subisce a chi cavalca la riforma. Ma nel lungo termine, consegna il pallino al governo, minando l’indipendenza delle autorità tutte. Con tanti saluti al buon funzionamento del mercato, al prestigio dei regolatori, e a quelle specie di liberalizzazioni che con tanta fatica abbiamo costruito, più o meno.

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Banche centrali “indipendenti”. Una segnalazione dall’FT /2009/08/21/banche-centrali-indipendenti-una-segnalazione-dallft/ /2009/08/21/banche-centrali-indipendenti-una-segnalazione-dallft/#comments Fri, 21 Aug 2009 12:18:26 +0000 Alberto Mingardi /?p=2260 Abbiamo gia’ parlato in piu’ di una occasione del tema della “indipendenza” dei regolatori, e specialmente delle banche centrali. Glenn Hubbard, Hal Scott e John Thornton hanno un articolo molto interessante, sul Financial Times di oggi. Lo trovate qui. Non solo riassumono bene la “reazione” della FED alla crisi nei mesi scorsi, ma spiegano anche perche’ proprio dal fatto che le sono stati attribuiti nuovi poteri, vengono serie minacce alla sua indipendenza:

The Fed needs authority to lend in a crisis to avoid the chain reaction of failures of financial institutions, which could result in a complete economic collapse. However, this reason to act should not jeopardise the Fed’s credibility and independence.

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Que viva el presidente! /2009/07/14/que-viva-el-presidente/ /2009/07/14/que-viva-el-presidente/#comments Tue, 14 Jul 2009 14:17:03 +0000 Carlo Stagnaro /?p=1560 UPDATE: L’eterno ritorno dell’uguale.

 

Anche quest’anno non delude, l’intervento con cui Alessandro Ortis, presidente dell’Autorità per l’energia, presenta la “Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta” (qui la relazione e qui il discorso di Ortis). Pur formalmente ineccepibile, Ortis ha approfittato del palcoscenico privilegiato della Sala della Lupa non solo per rivendicare i meriti suoi e dell’organismo da lui presieduto, ma soprattutto per difenderne l’autonomia e il ruolo in un mondo sempre più sballottato dalla crisi economica, e in un paese sempre più incerto riguardo a chi, come, cosa, quando e perché liberalizzare. Tre, in particolare, i passaggi che mi sembrano “caldi”, al di là della polemica (se posso permettermi, un po’ stucchevole) sulla speculazione petrolifera che invece è stata più ampiamente ripresa. (Il che, per inciso, non stupisce, essendo la speculazione petrolifera questione talmente complessa e lontana che, qualunque cosa se ne pensi, non rischia di disturbare alcun manovratore).

Anzitutto, Ortis ha voluto sottolineare la funzione positiva della regolazione rispetto alla creazione di un contesto concorrenziale. Funzione che, per essere svolta in modo efficace, deve essere “stabile e indipendente”. Non solo: deve anche essere poca, perché certi punti dolenti non possono essere risolti neppure “con muraglie cinesi costruite da regolazioni troppo invasive”. Quindi, il garante chiede alla politica di farsi carico del completamento delle riforme iniziate, particolarmente nel settore del gas, e chiede poi – implicitamente ed esplicitamente – che sia rispettata l’autonomia e indipendenza del regolatore stesso (tema di cui avevo scritto pochi giorni fa). La sede e l’occasione istituzionali, dunque, non impediscono a Ortis di togliersi i sassolini dalle scarpe, e di avvertire tra le righe (neppure troppo) il governo che, se i propositi bellicosi manifestati a più riprese da alcune componenti della maggioranza dovessero trovare nuovo vigore, tutti gli equilibri di mercato ne risentirebbero. Ne risentirebbero, in particolare, gli investimenti. Sottinteso (ma forse sono troppo malizioso): ne risentirebbero quindi anche, e soprattutto, gli investimenti nel nucleare, che tanto stanno a cuore al governo. Particolare non secondario che avvalora la mia malizia: la parola “nucleare” (o simili) compare una sola volta nell’intero discorso, e solo in relazione al decommissioning. A questo proposito, Ortis riconosce che la Sogin di Massimo Romano ha “ben implementato” le indicazioni dell’Autorità. Si tratta di un tributo non scontato e denso di significati: Romano è stato appena giubilato come pendant del ddl sviluppo, a dispetto della sua ottima performance nel rimettere in moto un carrozzone pubblico e a dispetto del fatto che aveva interpretato il suo ruolo non solo in senso stretto, ma anche nel tentativo di fornire una sponda alla ripartenza nucleare.

Secondo tema sollevato da Ortis è quello dell’effettivo funzionamento del mercato. Qui due sono i demoni da lui indicati: in primo luogo la mancata separazione di Snam Rete Gas / Stogit da Eni. Si tratta di un vecchio cavallo di battaglia del presidente, di cui ci siamo occupati varie volte. Secondariamente, c’è un problema di investimenti, che egli riconduce a tre macro-cause: le lungaggini amministrative, la confusione delle concessioni, e appunto il permanere di “soggetti verticalmente integrati con posizioni dominanti sul mercato”. Qui non c’è nulla di nuovo, né si tratta di sottolineature fuori luogo, ma anche in questo caso è evidente come Ortis stia indicando criticità che stanno al di fuori del suo perimetro di azione. Insomma, il messaggio che vuole lanciare è che l’Autorità – al di là del giudizio che si può esprimere sui singoli provvedimenti – sta facendo il suo mestiere, ma il paese ha bisogno di portare a termine i processi iniziati alla fine degli anni Novanta.

Terzo aspetto rilevante del suo intervento è la preoccupazione manifestata per l’impatto che le politiche di incentivazione delle fonti rinnovabili potrebbero avere sulla bolletta elettrica. L’onere complessivo stimato per il paese dovrebbe raddoppiare tra oggi (circa 1,6 miliardi di euro all’anno) e il 2010, e raggiungere l’ammontare di 7 miliardi di euro all’anno nel 2020. Perciò, dice Ortis, “abbiamo già segnalato l’opportunità di una verifica di sostenibilità nel tempo e un riordino degli stessi meccanismi di incentivazione, tenendo conto delle specificità di ogni singola fonte, anche in termini di efficienza, costi, maturità tecnologica e ricadute industriali nazionali”. Quindi, il presidente dell’Aeeg suggerisce “una riflessione in merito alla possibilità di trasferire tali oneri, in tutto o in parte, a carico della più equa fiscalità generale”. Non entro nel merito: mi pare una soluzione migliore dal punto di vista distributivo, ho qualche dubbio sulla sua effettiva efficienza, e in ogni caso non risolverebbe la questione, perché comunque il paese quei benedetti sette miliardi li dovrebbe tirar fuori. Però, il semplice fatto che Ortis sollevi il tema spinge, per esempio, l’Adiconsum a rilanciarlo. Il che è bello e istruttivo, e quelli come noi che queste cose le dicono da tempi non sospetti se la ridono sotto i baffi (ma smettono di ridere quando gli arriva la bolletta).

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La Consob di Cardia, la caduta dei gravi /2009/07/13/la-consob-di-cardia-la-caduta-dei-gravi/ /2009/07/13/la-consob-di-cardia-la-caduta-dei-gravi/#comments Mon, 13 Jul 2009 15:29:00 +0000 Oscar Giannino /?p=1518 La Consob di questi tempi sta sperimentando un ritorno al passato. Non mi riferisco a precedenti presidenze, per instaurare antipatiche graduatorie personali. È tornata nel mondo descritto dalla legge gravitazionale di Newton del 1687, per la quale l’attrazione tra corpi fisici è direttamente proporzionale alla loro massa e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Noi tutti dal 1915 viviamo invece nel mondo della gravità modificata alla luce della relatività generale, per la quale ogni corpo con la sua massa genera campi gravitazionali che modificano le geodetiche e le curve spazio temporali. Nel primo mondo, l’interazione tra corpi si spiega con azioni a distanza. Nel nostro mondo, le azioni a distanza non esistono e non sono mai sincrone ma diacrone. Applicato alla Consob: il presidente Cardia ha ridotto la massa dell’Autorità che vigila sui mercati ma ritiene che il suo effetto gravitazionale non si sia modificato, perchè si tiene molto più vicino alla politica. Al contrario, così facendo Cardia modifica l’intero ambiente spazio-temporale di tutte le autorità indipendenti, contribuendo suo malgrado a snaturarne natura e funzione. Basti vedere il discorso pronunciato stamane, al rituale incontro annuale con il mercato finanziario a Palazzo Mezzanotte.

L’ammissione della perdita di massa avviene a pagina 25, quando Cardia ammette che l’Autorità deve fronteggiare “un consistente esodo di risorse”. Non si tratta solo di retribuzioni maggiori, offerte dal mercato. Il punto è che la Consob di oggi ha perso la lucentezza e il prestigio che in altri tempi l’hanno posta alla testa come modello di incisività ed efficacia, tra le Autorità indipendenti. Cardia ha fato la sua scelta, sul tipo di rapporto da mantenere con la politica. Si è visto recentemente, in occasione delle dimissioni consegnate dal presidente nelle mani del governo e da questo respinte, con tanto di elogio personale a Cardia per aver voluto rassegnare il mandato non essendo riuscito ad allineare i componenti del collegio alle indicazioni del Parlamento. Quest’organo ha ritenuto di accogliere all’unanimità le proteste degli editori italiani, timorosi di perdere un bel malloppo di denari se le informazioni dovute al mercato dalle quotate passassero dalla carta stampata a Internet, come indicato dalla direttiva europea in materia di trasparenza. Il governo ha condiviso e fatta propria la valutazione, con il decreto legislativo del 26 giugno scorso.  Oggi, tornando seccamente sulla vicenda, il presidente Cardia ha ripetuto che “la Consob dovrà quindi adeguare le norme regolamentari, modificando le deliberazioni assunte nell’aprile scorso”.  In quel “dovrà” cìoè tutto lo stile di Cardia. Altri presidenti avrebbero difeso il collegio, insorgendo contro l’impropria invadenza della politica. Lui si adegua. Esattamente come, nello stesso spirito, afferma che in Italia il nuovo foro in cui meglio “si valorizzano gli obiettivi complementari di stabilità e trasparenza ai quali l’ordinamento riconosce pari valore” è “il comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria”: creato dal governo e dal governo guidato.

Io sono personalmente amico di Giulio Tremonti e ne stimo determinazione ed intelligenza. Non per questo ne condivido ogni linea d’operazioni. Penso che dovere dei presidenti delle Autorità sia salvaguardarne il più possibile l’indipendenza, per confrontarsi al meglio con i governi ma su basi distinte e mai compromissorie. Se si piega il ginocchio, tutte le Autorità non servono più a nulla, tanto vale tornare al principio del controllo ministeriale e parlamentare.

Domani i giornali scriveranno che Cardia ha chiesto la soppressione di Isvap e Covip, e rivelato che la Conosb ha aperto un’indagine su cinque istituti bancari in ordine alla trasparenza che essi non garantiscono a sufficienza al cliente. C’è veramente poco di più, nel suo intervento odierno. Trovo poi del tutto singolare, dedicare un capitolo intero alla tutela degli azionisti di minoranza, quando Cardia è stato il primo a suggerire alla politica – come “contribuito personale” si disse allora, altro sfregio al collegio Consob - le recenti modifiche adottate alla disciplina dell’Opa e sulle partecipazioni rilevanti, tutte volte a rendere ancor più penetrante il controllo sulle quotate da parte dei patti di sindacato che già oggi troppo lo esercitano, nel nostro Paese.

Se cercate un circostanziato giudizio sulla barocchissima architettura di vigilanza allargata che il Consiglio europeo sta proponendo, ulteriormente estendendo e appesantendo le linee emerse dal rapporto de Larosiére, non lo troverete, nel discorso di Cardia. Le obbligazioni bancarie massicciamente piazzate in questi mesi allo sportello in percentuali che non trovano paragone in alcun altro paese Ocse, vengono sì definite illiquide e non trattate se non minimalmente sui mercati secondari, ma alla felpata descrizione del fenomeno non segue alcun tipo di giudizio, di proposta o di intervento. Bisogna regolamentare gli hedge funds, come? Niente di niente, Cardia si limita a descrivere minutamente il work in progress in corso a livello comunitario, guardandosi bene dal prender parte per qualsivoglia opzione concreta aperta.

È inevitabile: il riflesso del giudice amministrativo è di mantenere un rigoroso rispetto alla maestà del legislatore, come colui che maneggia il dettato della legge.  Ma le Autorità nella storia del nostro Paese sono servite a ben altro: tardi e male come sono nate, hanno incalzato la politica anche con severi giudizi e argomentate proposte. Torni quel tempo, speriamo. Torni, prima che sia troppo tardi.

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