CHICAGO BLOG » auto http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 11:09:36 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Silvio è vivo e Sergio lotta /2010/12/14/silvio-e-vivo-e-sergio-lotta/ /2010/12/14/silvio-e-vivo-e-sergio-lotta/#comments Tue, 14 Dec 2010 13:57:31 +0000 Oscar Giannino /?p=7840 Dedicherò solo poche righe al voto della Camera, coem avete visto cui siamo dati la regola di non fare post di politique politicienne. Silvio Berlusconi è un osso duro. Fini ha perso, Casini ha rotto politicamente e si è fatto contare alle urne, lui ha rotto personalmente e al dunque non ce l’ha fatta. Il Pd è nella palta. I problemi del Paese sono altri, e avremo altri terribili mesi di inedia. Sullo sfondo, elezioni con questa legge elettorale con Berlusconi ancora capo del centrodestra, e auguri al risultato. Per gente seria un nuovo impulso a emigrare perché non si salva praticamente nessuno, e nel pensarlo si prova autoribrezzo all’idea di diventare qualunquisti, qualunque cosa pensiate degli eccessi e delle tragiche promesse liberali mai mantenute da SB (io ne penso male e malissimo, dalle tasse alla spesa pubblica altissime alla riforma della giustizia mai varata pensando solo a sé, ma al dunque non c’è mai chi lo affronti senza scappare e lui resta in piedi ingessando sempre più tutto su se stesso, quanto alla sinistra in questi due anni l’ala liberal r firomista mi sembra travolta da posizioni neostataliste e tassaiole che mi fanno orrore, dei giustizialisti non parlo per evitare parole improprie, il neoproporzionalismo mi atterrisce per la spesa pubblica che provocherebbe con le mani libere di ogni partitino in Parlamento). Di fronte a tale scontro a coltello che fa altre macerie e avviene ignorando che tra poche settimane riparte l’euroballo del debito e noi ci finiremo dentro, dico che Dio aiuti l’Italia – e cioè i milioni di italiani che faticano seriamente senza fiatare e vengono assassinati dal fisco. Preferisco dedicarmi a una questione che considero purtroppo più seria. Anch’essa perfetta sintesi del gap italiano. Che cosa vuole Marchionne a Mirafiori?

Sergio Marchionne spacca e divide. Per quello che mi riguarda, che Dio lo benedica. Nel mondo – non in Cina, in Germania e Francia e Stati Uniti – le imprese vanno avanti per contratti aziendali e non per contratti nazionali che definiscono ogni cosa. Per questo in quei Paesi il salario variabile pesa fino al 40% e oltre della busta paga, e da noi non arriva al 4%. Però che piaccia a me che sono liberista non è un viatico per Marchionne. In Italia, non piace a moltissimi. Cerchiamo allora di capire, da osservatori e non da partigiani, il come e il perché della nuova frizione sul caso Mirafiori.

Sin qui, la nuova Fiat di Marchionne, finitala droga degli aiuti pubblici all’auto, aveva posto due problemi “approfittando”delle svolte che Emma Marcegaglia, con Cisl e Uil (d’accordo il governo), hanno impresso alle relazioni industriali. La prima: l’accordo sui nuovi assetti contrattuali a inizio 2009, senza più attendere per anni a vuoto la Cgil come Montezemolo. La seconda: applicare da allora le deroghe al contratto nazionale per più produttività e più salario detassato, a cominciare dal contratto dei meccanici che la Fiom non ha firmato, e con il recesso di Federmeccanica dal precedente. Ne è nata l’intesa per Pomigliano, senza Fiom ma col sì del 62% dei lavoratori. Per consentire alla Fiat di tornare all’utile nei suoi stabilimenti italiani, che da anni reggono solo sui risultati in Polonia e Brasile. Per Cgil e Fiom il contratto nazionale è un totem. Solo concentrandovi ogni minuto aspetto della prestazione d’opera e degli obblighi datoriali, si impedisce che ogni azienda possa raggiungere coi suoi dipendenti gli accordi migliori, ma slegati da una solidarietà di cui il solo sindacato nazionale si considera interprete e depositario.

Su Mirafiori, la Fiat chiede un altro passo. Dopo Pomigliano e lo sciopero dei Cobas sugli straordinari in deroga sino al 2014, la Fiat scopre che anche le deroghe condivise coi sindacati non impediscono a chi dice no di continuare a rompere le scatole. Non è il contratto nazionale, ma la concertazione del 1993 a stabilire che i diritti sindacali restino a tutti coloro che hanno almeno il 5% dei voti nella RSU. La Fiom può dire no alla newco di Mirafiori, ma continua a godere dei suoi bei diritti e a protestare. A Marchionne non va giù, per questo vuole una newco fuori da Federmeccanica e anche dalle sue deroghe, convinto che Cisl e Uil e Fismic diranno sì.

Di qui l’attrito con Confindustria. Emma Marcegaglia a New York ha concordato con Marchionne che Fiat ci provi, e se ci riesce la porta a un siffatto contratto auto in Confindustria è spalancata. Ma molti imprenditori di Federmeccanica sono scettici. Lavorano a testa bassa per inseguire la ripresa e riescono a farlo senza scontri, hanno gestito le relazioni industriali meglio di Fiat che a Pomigliano e Mirafiori aveva alto assenteismo. Non amano che alzi lo scontro chi per decenni ha avuto gli aiuti di Stato, loro mai. Il confronto resta aperto, anche Fiat deve riflettere sulle impugnative che rimetterebbero il nodo ai giudici. E aggiungete che molti, dal Corriere della sera a grandi banchieri, pensano che Marchionne cerchi scuse perché gli investimenti vuole farli solo in Usa, e considera l’Italia al più un mercato qualunque, non la sua base nazionale che è ormai a stelle e strisce. Vedremo se tiene duro. Ma questa volta non è detto che ce la faccia. Perché a dare una mano a Fiom e Cobas sarebbero i grandi giornali nazionali e le trasmisisoni tv di maggior successo, intellettuali e opinionisti. Oltre alle toghe, che in Italia fanno la differenza.

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L’auto europea drogata e Fiat /2010/11/17/l%e2%80%99auto-europea-drogata-e-fiat/ /2010/11/17/l%e2%80%99auto-europea-drogata-e-fiat/#comments Wed, 17 Nov 2010 00:51:09 +0000 Andrea Giuricin /?p=7623 Sono arrivati i dati dell’andamento del mercato auto in Europa e sono tragici. I sussidi dei vari Governi europei dati nel 2009 hanno drogato il mercato, con la sola conseguenza di anticipare la domanda e di provocare una caduta nel 2010. Le vendite nel mese di ottobre sono scese a poco più di un milione di vetture in tutta l’Unione Europea, con una contrazione di oltre il 16 per cento rispetto allo stesso mese del 2009. Il livello è più basso anche di quello registrato nel 2008, mese di crisi globale, dopo la caduta di Lehman Brothers. Sussidiare il mercato dell’auto con gli incentivi si è rivelata non solo una politica inefficace, ma soprattutto dannosa. Nel settore auto motive servono interventi strutturali, non le solite politiche di breve termine. La dimostrazione arriva non solo dall’Italia, dove la caduta nel mese di ottobre è stata del 28,8 per cento, con una forte crisi di Fiat, ma soprattutto dalla Germania guidata dalla Cancelliera Angela Merkel.

Nel corso del 2009, anno nel quale si sono svolte le elezioni (27 di settembre), la Germania ha attuato una politica d’incentivi all’acquisto molto aggressiva. I sussidi sono terminati appena concluse le elezioni e la conseguenza è stata quella di una caduta del mercato. Dall’inizio del 2010 le vendite sono calate del 26,8 per cento.

La crisi post-incentivi o da “mercato drogato” colpisce maggiormente quelle aziende che avevano beneficiato dei sussidi.

Le case automobilistiche concentrate sul segmento delle “piccole-medie” erano state quelle che più avevano incrementato le vendite perché proprio su questo segmento erano andati i maggiori incentivi. Fiat era una di queste.

L’azienda torinese, infatti, ha perso il 33 per cento a livello europeo nel mese di ottobre e la caduta delle immatricolazioni è stata di quasi il 17 per cento da inizio anno, a fronte della caduta del 5,5 per cento del mercato.

Se la Germania va male nel settore vendite, lo stesso non accade a livello produttivo, dove continua a correre la produzione. Come è possibile?

Nel paese teutonico sono state prodotte quasi il doppio delle auto che sono state vendute lo scorso anno. Il vantaggio tedesco non deriva certo da un costo del lavoro basso, quanto dalla specializzazione e da un sistema che invoglia gli investimenti.

Un tasso di burocrazia molto meno elevato rispetto all’Italia, una flessibilità nei contratti di lavoro che permette maggiore efficienza e una tassazione effettiva per le imprese meno bassa (Dati World Bank 2010) aiutano lo sviluppo di impianti di produzione in Germania.

Un altro fattore chiave è il mercato. Le aziende producono molto spesso laddove vi è un mercato importante.

Perché le aziende tedesche sono andate a produrre in Cina? Per abbassare il costo del lavoro? La motivazione principale della produzione di Volkswagen in Cina è dipendente dall’importanza del mercato cinese. La casa automobilistica tedesca vende ormai in Cina il 75 per cento del numero di veicoli venduti in tutta Europa e quasi il doppio di quando ne venda in Germania.

Cosa puó imparare l’Italia e la sua classe governante?

In primo luogo che gli incentivi drogano un mercato, ma non servono a nulla nel medio-lungo periodo. Anzi aggravano la crisi.

In secondo luogo che i Governi, invece di puntare sulla solita politica dei sussidi, dovrebbe concentrarsi sui problemi reali dell’Italia.

Nessun governante non ha mai visto che l’unico produttore in Italia si chiama Fiat e che nessuna casa automobilistica estera viene nel nostro Paese?

Affrontare i problemi di un costo del lavoro elevato a causa di una tassazione esagerata, di un’eccessiva burocratizzazione, di contratti troppo poco flessibili farebbero cambiare l’Italia.

Sergio Marchionne sta combattendo sull’ultimo punto contro la Fiom, ma sugli altri punti solo il Governo può agire.

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Le difficoltá di Fiat e il populismo della delocalizzazione /2010/11/02/le-difficolta-di-fiat-e-il-populismo-della-delocalizzazione/ /2010/11/02/le-difficolta-di-fiat-e-il-populismo-della-delocalizzazione/#comments Tue, 02 Nov 2010 19:04:36 +0000 Andrea Giuricin /?p=7453

La situazione di Fiat in Italia si fa sempre piú complicata. Non vi sono solo evidenti problemi nella produzione, con una mancanza di competitività cronica del nostro Paese, ma anche da un punto di vista delle vendite i dati sono sempre piú difficili per l’azienda guidata da Sergio Marchionne. L’Unrae ha pubblicato oggi i dati relativi al mese di ottobre. Il mercato è in “profondo rosso”, avendo registrato una caduta del 28,8 per cento lo scorso mese, mentre da gennaio ad ottobre 2010 le automobili vendute sono diminuite del 7 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Fiat si comporta peggio del mercato con una riduzione delle vendite del 39,9 per cento nel mese di ottobre e del 15,1 per cento nei primi 10 mesi dell’anno. Si possono trarre due conclusioni da questi dati alquanto preoccupanti.

Il doping di Stato del febbraio 2009 sta rivelando tutti i suoi difetti. Incentivare e sussidiare artificialmente il mercato è possibile farlo per un periodo limitato. Il consumatore anticiperà il proprio acquisto, creando di fatto una crisi peggiore nel medio periodo.

La seconda considerazione riguarda la casa automobilistica di Torino: Fiat non solo produce solo 600 mila veicoli in Italia, sui circa 4 milioni di veicoli che produrrá all’anno con Chrysler, ma anche le vendite nel nostro Paese sono scese a livelli molto bassi. Se l’Italia incide per circa il 15 per cento dal lato produttivo sull’intera Fiat, anche la quota di mercato dell’Italia sulle vendite globali della casa automobilistica torinese è scesa al 15 per cento.

Un’azienda quando decide di produrre in un determinato paese, non guarda solo ai costi produttivi, ma soprattutto alle possibilità di sviluppo del mercato. È stato questo il caso di Volkswagen, che mentre in Cina in tre trimestri ha venduto quasi 1,5 milioni di automobili in crescita di circa il 39 per cento, in Germania, dove il mercato è depresso dopo un anno pieno di sussidi pubblici dati dal Governo Merkel, il 2009, venderà meno di un milione di autoveicoli. L’intero gruppo di Wolfsburg ha venduto nei primi tre trimestri in tutta Europa circa 2,1 milioni di veicoli, in contrazione di circa il 4 per cento. Se tale andamento dovesse continuare, nel 2012 il primo mercato per il gruppo Volkswagen sará quello cinese. La casa automobilistica tedesca non è andata in Cina a produrre perché i costi di produzione sono evidentemente piú bassi, ma è andata nella Repubblica Popolare per prendere le opportunità che arrivavano da quel mercato.

Volkswagen può insegnare una cosa alla Fiat e una ai sindacati e alla classe dirigente italiana. Alla Fiat indica quale è la direzione da prendere per il futuro. Lo sviluppo del mercato non arriverá piú da Europa e Stati Uniti, dove comunque è importante avere una forte presenza, ma è necessario andare verso l’Asia.

I sindacati e la politica, invece, non devono pensare alla delocalizzazione come una “fuga” dall’Italia. In Germania si producono quasi 10 volte il numero di veicoli prodotti in Italia, nonostante la Cina sia ormai essenziale per la principale casa automobilistica tedesca. Bisogna pensare ad adottare una contrattazione a livello aziendale, come proposto da Sergio Marchionne a Pomigliano d’Arco e Melfi, senza pregiudizi. Non è un caso che il 40 per cento dei contratti in Germania siano di livello aziendale e non legati ad un contratto nazionale.

Quando Marchionne chiede maggiore flessibilità negli impianti produttivi e salario legato alla produttività, non significa voler scappare dall’Italia.

Certo una parte del sindacato, la Fiom, si sta impegnando per abbassare il livello di investimento presente in Italia.

Non è anche colpa del sindacato e di una contrattazione antiquata se nessuna impresa automobilistica estera produce in Italia?

Fare affermazioni populistiche contro la delocalizzazione in Serbia non serve a nulla. Meglio flessibilizzare i contratti come chiede Marchionne.

Parlare meno ed agire di piú dovrebbe essere il motto per l’Italia.

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Fiat: Marchionne, Fini e l’auto di Stato /2010/10/25/fiat-marchionne-fini-e-l%e2%80%99auto-di-stato/ /2010/10/25/fiat-marchionne-fini-e-l%e2%80%99auto-di-stato/#comments Mon, 25 Oct 2010 14:42:18 +0000 Andrea Giuricin /?p=7367 Le parole del Presidente della Camera Gianfranco Fini verso Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat sono molto forti: “si è dimostrato più canadese che italiano”. Senza dubbio è solo un vantaggio. Ci voleva il canadese Marchionne per cambiare le relazioni sindacali in Italia. Vogliamo davvero che si continui ad avere una Fiat che sopravvive grazie ai soldi dei contribuenti? Né Fini né Marchionne lo desiderano. In realtà le affermazioni del presidente della Camera devono essere prese più come uno slogan elettorale e meno come un attacco a Fiat e al suo amministratore delegato; meglio dunque discutere del modello produttivo italiano, del suo fallimento e degli esempi da seguire o non seguire. E su questo ultimo punto vi è un’analisi di Massimo Mucchetti, che nel suo editoriale del Corriere della Sera sostiene che l’America non ha più nulla da insegnarci nel settore auto motive.

Ma è davvero cosi? Esiste una sola America dell’auto, vale a dire quella salvata da Barack Obama grazie ai miliardi di sussidi pubblici e simile all’Italia anni ‘90?

L’America di cui parla Mucchetti nel suo intervento non è un esempio da seguire. Questo è certo. Salvare l’industria dell’auto di Detroit è stato uno dei maggiori errori dell’Amministrazione Democratica americana e l’unico perdente è stato il contribuente americano.

Sergio Marchionne è stato capace di entrare nel capitale di Chrysler senza sborsare un euro. Fiat possiede giá il 20 per cento delle azioni dell’ex gigante di Detroit e potrá salire al 51 per cento per “soli” pochi miliardi di dollari. Un’operazione politica, perché di questo stiamo parlando, perfetta.

Ha dunque ragione l’editorialista del Corriere della Sera?

L’America, per fortuna, non si ferma a Detroit. Esiste un’altra America, più dinamica, che ha capito da che parte girava il vento dell’auto.

Sono gli Stati del Sud, che sempre hanno avuto uno sviluppo economico inferiore rispetto al Nord e agli Stati della Costa Atlantica. Sorprenderà, ma i grandi Stati produttori di veicoli oggi si chiamano Ohio, Kentucky, Alabama. Qui vi è stata ormai da circa due decenni una rivoluzione silenziosa, che ha saputo riformare il settore dell’auto statunitense. Quattro milioni di veicoli prodotti nel momento di picco, grazie all’arrivo di investitori stranieri e non ai soldi dei contribuenti pubblici. Una sana concorrenza tra gli Stati, che il Governo Obama ha pensato di falsare grazie al salvataggio pubblico di due delle “big three”.

Nel vecchio polo automobilistico di Detroit, le posizioni sindacali e l’incapacità di cambiare di un intero “distretto” hanno portato al fallimento di GM e di Chrysler.

La soluzione adottata da Barack Obama è stata quella di iniettare decine di miliardi di dollari per tenere in piedi un sistema ormai vecchio. Questi miliardi hanno portato ad avere una Chrysler che ancora adesso, è a maggioranza azionaria dei sindacati (gli stessi che hanno portato al fallimento) e il Governo Americano.

Il costo del lavoro negli Stati del Sud degli USA nel settore auto, che producono ormai quasi il 40 per cento delle auto americane, grazie agli investimenti diretti esteri delle case automobilistiche europee, giapponesi e coreane, è inferiore di oltre il 40 per cento rispetto al distretto di Detroit.

Si parla di un settore che genera oltre 81 mila posti di lavoro diretti e oltre mezzo milione di posti di lavoro indiretti.

La concorrenza nel sapere attrarre gli investimenti è essenziale e questo l’Italia non l’ha capito, nonostante gli avvertimenti di Marchionne.

Avere una parte del sindacato che vuole bloccare Fiat, perché l’azienda porta un investimento di centinaia di milioni di euro in Italia (caso Pomigliano d’Arco) in cambio di maggiore produttività, mostra come l’Italia sia destinata a fare ulteriori passi indietro nelle classifiche di competitività citate ieri da Sergio Marchionne nella trasmissione televisiva condotta da Fabio Fazio.

L’America ha ancora tante cose da insegnare all’Italia nel settore dell’auto. L’esempio però arriva da quegli Stati del Sud degli USA che hanno saputo attrarre investimenti esteri e non arriva certo dal modello di “fabbrica di Stato” che è stato alla base della politica di Obama negli ultimi due anni.

“L’auto di Stato” non è il modello americano, è il modello Obama. L’unica certezza è che l’Italia, che per troppi anni ha sussidiato Fiat, con Marchionne ha l’opportunità di voltare pagina.

Saranno capaci i politici e i sindacati a comprendere la svolta?

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Le cifre dell’auto che la Fiom non cita mai /2010/10/10/le-cifre-delauto-che-la-fiom-non-cita-mai/ /2010/10/10/le-cifre-delauto-che-la-fiom-non-cita-mai/#comments Sun, 10 Oct 2010 20:07:54 +0000 Oscar Giannino /?p=7240 E’ appena andato in onda l’ennesimo comizio del segretario della Fiom Landini, ospite su La7 di Telese-Costamagna. Landini continua a sostenere che la Fiat intende abolire ogni forma di contrattazione e diritto intermedi tra produzione e lavoro. I colleghi non lo interrompono né gli obiettano, coe fanno con gli altri interlocutori. E’ un loro diritto, per carità. Poiché per l’ennesima volta chi è a casa si sente dire che dovunque nel mondo avanzato i governi mettono solidi e difendono le fabbriche mentre da noi no, e che la Fiat non ha piani ma impone a Confindustria e Federmeccanica ciò che vuole, e poiché nelle parole di Landini manca ogni rifgerimento a tutte le altre confederazioni che invece hano contrattato passo passo l’intesa interconfederale del 2009 al quale hanno fatto seguito non solo il contratto dei meccanici non firmato dalla Fiom – a differenza di altri 24 invece sottoscritti dalle altre organizzazioni di categforia della Cgil in coerenza all’intesa del 2009, dai tessili agli alimentaristi alle tlc, che evidentemente non pensano affatto che vi sia Pinochet ala testa delle imprese – ma anche successivamente le sue deroghe, poiché insomma Landini e la Fiom contnuano in una carte parte dell’informazione ad apparire come gli unici in battaglia a difendre la civiltà del lavoro, forse è il caso di ricordare un po’ di cifre dell’auto mondiale, perché quella è la realtà di cui parlare: sempre, per capire perché bisogna cambiare marcia negli stabilimenti italiani. Qual è la realtà dell’auto mondiale, come appare al salone internazionale di Parigi in corso?

Il salone dell’auto di Parigi ha avuto due volti. Da una parte quello del politicamente corretto, che continua a vedere modelli su modelli elettrici presentati e annunciati, in versione ibrida o integrale. Dall’altra, quella della nuova gerarchia ormai sempre più evidente, a fronte delle prospettive assai diverse nei mercati mondiali.

Sul tema “elettrico” alle novità ibride annunciate da PSA e Daimler in Europa ha risposto la conferma di Toyota e Honda. In realtà, continua a essere evidente che la trazione elettrica sul totale dell’evoluzione del mercato dell’auto è larghissimamente sopravvalutata. Tanto per dirne una, la Nissan prevede di costruire globalmente nel 2011 solo 50mila Leaf, modello del segmento C a trazione integralmente elettrica grazie alla batteria a ioni di litio realizzata con Renault. Certo, le emissioni di Co2 sono davvero a zero con il tutto elettrico, ma anche per la Leaf che pure si presenta con un bel design e 5 posti l’autonomia resta limitata a 160 chilometri, e poi servono 8 ore per la ricarica integrale e no meno di mezz’ora per quella rapida, sempre ammesso di trovare però le paline di ricarica lungo il percorso… e a parte in più il fatto che lo stesso modello rischierà di costare l’equivalente di 19mila euro negli USA grazie agli incetivi di Obama, e fino al doppio da noi in Europa.

In pratica, a Parigi c’è stata la conferma della realtà dell’auto mondiale, che al di là della vetrina ambientalista deve considerare l’amara realtà dei numeri. Se nel settembre 2010 negli Stati Uniti i dati sono stati abbastanza rincuoranti – il miglior mese rispetto ai 13 precedenti – il mercato europeo ha confermato la forte frenata attesa nel secondo semestre 2010, dopo l’esaurimento pressoché totale o comunque la forte riduzione dei diversi piani nazionali governativi di incentivi anti crisi  agli acquisti. Al meno 10,8% del complessivo mercato europeo ha fatto riscontro il meno 19,8% italiano, e il meno 24% spagnolo. Noi qui in Italia siamo ovviamente abituati a considerare innanzitutto l’effetto che tutto ciò ha per Fiat, di cui al 21 ottobre apprenderemo gli andamenti nel terzo trimestre che in realtà il mercato si attende in linea con le previsioni dell’azienda e dunque in conferma di ripresa rispetto al 2009. Ma è il caso di sottolineare che anche per Ford Europa – che a differenza di Opel e cioè della presenza di General Motors nel nostro continente è rimasta ben profittevole – i dati dicono che nella Ue ad agosto aveva perso il 27% e a luglio il 21%, rispetto al mese precedente.

Se diamo un’occhiata ai dati mondiali, le previsioni di vendita di auto nuove nel 2010 attestano che dei circa 70 milioni di unità aggiuntive solo 32 milioni avverranno nel mondo avanzato, cioè nella somma tra USA, Europa e Giappone, mentre ben 38 milioni riguarderanno il resto del mondo e soprattutto i Paesi BRIC (in Russia dopo il terribile 2009 e 2008 il mercato segna a settembre un incoraggiante più 55%, addirittura, dopo i nuovi incentivi governativi). Non si tratta solo degli effetti della crisi che ha colpito più duramente i Paesi Ocse. Il mondo nuovo resterà per l’auto profondamente cambiato in piana stabile, rispetto a prima. Tanto che le previsioni al 2018 su cui c’è maggior consensus  tra le maggiori case internazionali di consultino del mercato auto prevedono una ripresa del mercato auto nuove fino a 80 milioni di unità, ma con il mondo avanzato che ne totalizza il 50%, mentre gli altri 40 milioni resteranno appannaggio del resto del mondo.  Tra il 2007 e fine 2009 Usa, Ue e Giappone hanno segnato nel mercato dell’auto un meno 23%  a cui sa facendo seguito nel 2010 un modesto più 4% complessivo. I Paesi BRIC hanno mantenuto il segno più della crescita nel triennio di crisi, e nel 2010 sanno marciando a un ritmo travolgente del più 23%.

Tra le maggiori case europee, la nuova gerarchia e geografia dell’auto mondiale vede di conseguenza la conferma della locomotiva germanica, che si è messa prima della crisi in condizione di sfruttare le mutate coordinate planetarie delle quattro ruote. Nel solo mese di settembre, in Cina Mercedes ha segnato un più 98% delle vendite con 13.500 unità, BMW più 89% con 15.300, e l’Audi , il brand lusso del gruppo Volskwagen che è leader in quel segmento in Cina, segna un più 45% con oltre 22mila unità. Per avere un’idea di quanto il mercato cinese pesa complessivamente per i marchi tedeschi, a settembre Mercedes in totale ha segnato un più 13% con 120 mila unità, Audi più 16% con 103mila unità, BMW più 13% con 118.500 unità. Come si vede, il mercato cinese pesa il 12% complessivo per Mercedes, il 14% per BMW, e addirittura quasi il 25% per Audi. Ed è in questo quadro che al salone di Parigi Volskwagen, che coi suoi 10 brand compresa Porche si avvia ormai ad avere più modelli – circa 200 – di qualunque altro gruppo al mondo, abbia annunciato che nel 2011 comincerà la vendita in Cina delle sedan sin qui riservate al mercato americano, a conferma che la crescita spettacolare del segmento più elevato delle berline inizierà gradualmente a traslarsi in Cina anche ai segmenti inferiori.

In questo mondo nuovo, restano aperti per l’auto tra gli altri due temi essenziali. Innanzitutto quello  di un confronto equo e ad armi pari nel WTO, cioè nell’organo che vigila le regole del commercio mondiale. E’ del tutto ovvio che, di fronte alla potenza germanica nel segmento dei nuovi ricchi cinesi, vi siano altri gruppi che, avendo seguito altre strategie come Fiat e Ford, continuano motivatamente a lanciare grida d’allarme nei confronti della concorrenza che sui mercati europei viene dal segmento asiatico più aggressivo e che resta più asimmetrico nell’apertura del proprio mercato interno. Come avviene per la Corea del Sud, che esporta 2 dei 3 milioni circa di auto che produce annualmente e ben 500mila di queste verso il mercato europeo. In tutto il 2009, i gruppi sudcoreani che continuano a controllare il 95% del mercato domestico hanno consentito in tutto e per tutto l’importazione di sole 33mila auto europee, e questi numeri dicono tutto.

Ma le regole non sono che la cornice, nella quale avviene la grande competizione. Quel che conta sono i prodotti, le tecnologie, le sinergie sulle piattaforme, la giusta strategia multibrand che consenta di avvantaggiarsi dei volumi e dei margini consentiti dalla crescita dei paesi emergenti, oltre alla difesa delle posizioni sui tossicchianti mercati avanzati. Il punto non è solo il costo medio e marginale a unità prodotta, rispetto al prezzo a cui lo si propone. Motivo per cui, ad esempio c’è da riflettere sulla vicenda che vede GM esitare ancora a cedere ai cinesi di Geely che hanno rilevato Volvo anche l’impianto Opel di Anversa, altrimenti desinato a chiudere: bisognerebbe ci pensasse la Fiom, che in Italia continua a opporsi alla nuova produttività per più salario del progetto Fabbrica Italia coi suoi 20 miliardi d’investimento della Fiat. Ma in realtà, in un mondo con mercati tanto diversificati, per i grandi gruppi che hanno strategia globale è in corso un’enorme rivoluzione che investe il procurement nelle catene di fornitura e le strategie di in e out sorcing degli assemblaggi. Sbagliare per i modelli trainanti che portano più margine tra un modello in cui l’80%  è assemblato in maniera standard su piattaforma e solo il 20% variante tra macroaree mondiali, e uno invece in cui sino al 40% di ogni singola auto può risultare variata per assecondare la domanda del mercato, può comportare errori tali da condannare alla sconfitta anche qualcuno tra i gruppi europei che sono oggi i veri concorrenti di Fiat nella sua strategia finalmente globale.

Mi piacerebbe una volta capire, se queste cifre contano qualcosa per Landini e la Fiom. Oppure sono balle inventate da industriali autoritari.

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Spin-off Fiat: da Pomigliano a Detroit /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/ /2010/09/20/spin-off-fiat-da-pomigliano-a-detroit/#comments Mon, 20 Sep 2010 08:05:28 +0000 Andrea Giuricin /?p=7089

Sergio Marchionne, con la “conquista” dell’America sta rendendo globale Fiat, che tuttavia si ritrova a discutere con un sindacato italiano molto antiquato. Il dato dal quale parte il ragionamento di Fiat e che una parte del sindacato italiano non ha capito è quello della produzione di veicoli.

In Italia la produzione è scesa negli ultimi anni, fino ad arrivare a poco più di 600 mila veicoli prodotti, lontano non solo da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma un livello inferiore rispetto anche alla Repubblica Ceca.

Il piano “Fabbrica Italia” nel quale si prevedono 20 miliardi di euro di investimenti in Italia nei prossimi anni, con addirittura un incremento della produzione italiana è stato un passo coraggioso di Marchionne. Certo gli obiettivi del piano industriale saranno difficilmente raggiungibili, ma l’arrivo della Nuova Panda a Pomigliano d’Arco è stato un punto a favore di Fiat e del suo piano industriale.

La nuova Panda a Pomigliano d’Arco ha tuttavia registrato un punto di scontro con la FIOM, in piena campagna di successione nella CGIL. Le nuove condizioni di Fiat, che voleva una produzione più flessibile in cambio dell’investimento di 700 milioni di euro, sono state prese di mira da Filippo Landini, alla guida della FIOM.

Questo scontro è stato solo il primo. Dopo la presa di posizione cieca della FIOM, Fiat ha annunciato che la produzione delle monovolume, presente nel piano “fabbrica Italia” sarebbe stato spostato da Mirafiori alla Serbia, lasciando capire che gli investimenti in Italia sono possibili solo a certe condizioni.

Fiat proponeva un patto ai sindacati dove in cambio di un aumento della produzione in Italia, grazie al piano “Fabbrica Italia”, si rinnovavano le relazioni sindacali e si cambiava la struttura del contratto. Questa scommessa era stata accettata dalla parte più moderna del sindacato, mentre aveva trovato la forte opposizione della Fiom. Il sindacato della CGIL si è trovato isolato e ha chiuso le porte alla contrattazione anche perché si trovava in piena campagna di successione. Guglielmo Epifani, leader della CGIL, lascerà questo anno il posto a Susanna Camusso, la quale si scontrerà con una minoranza interna guidata dalla Fiom molto forte.

Il contratto delle tute blu era stato firmato il 20 gennaio del 2008, con l’accordo di tutti i sindacati, ma giá nell’ottobre del 2009 l’unitá sindacale venne meno. Fim e Uim firmarono un accordo separato con Federmeccanica, mentre la Fiom decise di andare contro quello che definì “un contratto scandaloso”.

La disdetta del contratto da parte di Federmeccanica segue l’impostazione scelta da Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e porta un vento nuovo nella relazione tra sindacati ed industriali. È senza dubbio un passo in avanti perché nel contratto “Pomigliano”, che verrá probabilmente utilizzato in tutto il settore, si decide per una maggiore flessibilità e soprattutto per dare più spazio a quella che è detta la contrattazione locale.

La contrattazione di secondo livello, vale a dire quella aziendale o territoriale è essenziale per aumentare la produttività delle aziende italiane. Con essa si lega maggiormente il destino degli operai a quello della fabbrica, dando la possibilità di premiare nelle aziende dove i risultati sono buoni e di penalizzare laddove vi sono perdite.

Il contratto “Pomigliano” è una rivoluzione e arriva grazie anche all’accordo che nel mese di luglio raggiunse informalmente la leader si Confindustria Emma Marcegaglia con i leader di CISL e UIL.

La Fiom non ha ancora compreso che guadagnare qualche delegato in piú non ha senso nel momento in cui la produzione di Fiat è globalizzata.

La casa automobilistica torinese è ormai un gruppo globalizzato come dimostra l’avventura americana. Certo la mancanza di una forte presenza di Fiat in Cina, dove ad esempio Volkswagen vende piú auto che nel suo paese d’origine, continua a rimanere il punto debole, ma il processo di un’azienda aperta al mondo è ormai avviato.

La Fiat puó sopravvivere ad un mercato auto sempre piú competitivo e con nuovi attori “asiatici” solo con una visione globale.

Lo spin-off è dunque un modo per valorizzare l’azienda nel momento in  cui servono risorse fresche di liquiditá per crescere in America.

I dati delle vendite in USA e Europa tuttavia lasciano molti dubbi sul possibile raggiungimento degli obiettivi del Piano industriale Fiat, mentre una parte del sindacato italiano ostacola qualsiasi cambiamento.

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Lo spin-off di Fiat – Parte seconda /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/ /2010/09/18/lo-spin-off-di-fiat-parte-seconda/#comments Sat, 18 Sep 2010 10:11:25 +0000 Andrea Giuricin /?p=7079 Il Piano industriale di Sergio Marchionne, presentato lo scorso aprile, si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

I danni dei sussidi europei

Gli aiuti statali dati in tutti i Paesi dell’Unione Europea sono stati molto importanti, in particolare in Germania, che affrontava un periodo pre-elettorale.

Tutte le case automobilistiche subiranno le conseguenze della fine degli incentivi, ma molto probabilmente Fiat ne risentirà di più, poiché molto spesso gli aiuti statali andavano principalmente ai produttori delle auto “piccole”, per motivi ecologici. Proprio in questo segmento di mercato, Fiat è ai vertici delle vendite. Il mercato europeo dovrebbe ridursi di circa il 15 per cento nella seconda parte dell’anno, mentre in Germania la contrazione si è già avvicinata al 30 per cento nei primi otto mesi del 2010.

La seguente tabella mostra la crisi nei principali mercati europei nel mese di agosto, mentre la situazione annuale non è univoca.

Mercato Europeo: la fine dei sussidi
Dati: Variazioni percentuali
Paese Agosto 2010/  Agosto 2009 Gen-Ago 2010/2009
Germania -27,0% -28,7%
Francia -7,9% 2,0%
Italia -19,3% -2,5%
Regno Unito -17,9% 13,2%
Spagna -23,8% 21,9%
UE27 -12,9% -3,5%
Fonte: Elaborazione dati ACEA

Il dato tedesco è il piú preoccupante poiché mostra una caduta continua vicino al 30 per cento, sia in agosto che nei mesi precenti. La Francia, secondo mercato europeo, mostra una diminuzione meno importante delle vendite, mentre l’Italia si avvicina al -20 per cento.

In Spagna e Gran Bretagna  la situazione è differente, poiché gli incentivi governativi sono cominciati nella seconda parte del 2009 e sono finiti più tardi che nel resto d’Europa. È la ragione per la quale nei primi 8 mesi del 2010 si è registrata una crescita nelle vendite. Tuttavia, per tutto il resto del 2010 vi sarà una diminuzione dell’ordine del 20/30 per cento.

In Germania Fiat sta subendo maggiormente la contrazione, tanto che la quota di mercato si è quasi dimezzata. Se questo andamento dovesse confermarsi, la casa automobilistica italiana dovrebbe perdere ulteriori 80 mila veicoli nel solo mercato europeo, che sommati ai 120 mila veicoli in meno del mercato italiano, farebbe oltre 200 mila veicoli.

La quota di mercato di Fiat in Europa è in caduta libera, avendo perso oltre un punto percentuale nei primi 8 mesi dell’anno. Nel mese di agosto il dato è ancora più preoccupante, dato che la market share è scesa al 6,5 per cento.

Il mercato europeo non aiuterà Fiat a raggiungere gli obiettivi del Piano industriale presentato ad aprile.

La situazione americana è un po’ migliore, ma certamente non è brillante, nonostante il lancio di 13 nuovi veicoli nel corso dei prossimi mesi.

La Fiat Americana

Il mercato dell’auto americano sta rimbalzando e Chrysler sembra essere riuscita in parte a beneficiare di questo recupero. I dati a disposizione non sembrano tuttavia suggerire euforia, in quanto la terza delle “Big Three” non si sta comportando molto meglio del mercato. La seguente tabella mostra l’andamento delle principali case automobilistiche.

Mercato USA
Dati: numero di veicoli venduti e quota di mercato
Casa Automobilistica Numero Veicoli Venduti Quota di mercato
Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010 Gen-Ago 2009 Gen-Ago 2010
General Motors 1374780 1461700 19,4% 19,1%
Ford 1077850 1276362 15,2% 16,7%
Chrysler 653319 720143 9,2% 9,4%
Toyota 1170409 1164154 16,6% 15,2%
Honda 806807 815075 11,4% 10,6%
Nissan 524903 599496 7,4% 7,8%
Totale Auto 3765089 3917734 53,3% 51,1%
Totale Truck 3304287 3743858 46,7% 48,9%
Totale Veicoli 7069376 7661592 100,0% 100,0%
Fonte: Elaborazione IBL dati WSJ

La quota di mercato di Chrysler è cresciuta nei primi 8 mesi dell’anno dal 9,2 al 9,4 per cento, grazie soprattutto alla debolezza e ai problemi di affidabilità di Toyoya. La casa automobilistica giapponese ha visto un tracollo della quota di mercato di un punto e mezzo percentuale a causa della campagna di richiamo e alle multe inflitte per mancanza di sicurezza dei suoi veicoli.

Nei prossimi mesi Sergio Marchionne ha annunciato il lancio di vetture Alfa Romeo e Fiat nei concessionari Chrysler. Il momento per il mercato delle auto non è facile negli USA, dato che i “light trucks” stanno conquistando sempre maggiori quote di mercato. Il tracollo della Smart lascia pochi spazi alla 500, in un mercato profondamente differente da quello europeo. Molto dipenderà dall’andamento del prezzo del petrolio; infatti nel 2008/2009 vi è stata la crescita della vendita delle vetture proprio quando il prezzo del gallone cresceva. Nel momento in cui il prezzo del “barile” è cominciato a contrarsi, i light trucks hanno ricominciato a diventare attrattivi, tanto che nel mese di agosto vi è stato quasi il sorpasso ai danni del mercato auto.

Il mercato americano comunque ha visto nel mese di agosto una contrazione del 21 per cento, fronte a una crescita nei primi 8 mesi dell’anno del 8,4 per cento. Anche negli USA i prossimi mesi potrebbero essere molto difficili per il settore auto.

Questa globalizzazione di Fiat non è stata ancora compresa da una parte del sindacato, la Fiom, la quale si è ritrovata a contrapporsi all’investimento di Pomigliano in piena campagna di successione della CGIL.

(continua domani: Pomigliano, la “Caporetto” della Fiom)

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Lo spin-off di Fiat – Parte prima /2010/09/17/lo-spin-off-di-fiat-parte-prima/ /2010/09/17/lo-spin-off-di-fiat-parte-prima/#comments Fri, 17 Sep 2010 11:03:51 +0000 Andrea Giuricin /?p=7071 È arrivata la scissione Fiat: la parte auto e quella industriale sono dunque divise. La decisione presa il 16 settembre avrà un impatto rilevante sul settore auto italiano e quello mondiale in generale. È il primo passo anche verso un consolidamento della Chrysler in Fiat Auto, proprio nel momento in cui il Tesoro Americano ha annunciato la progressiva uscita dal settore automotive. La quota di Fiat nel colosso di Detroit crescerá lentamente dapprima dal 20 per cento di oggi al 25 per cento, poi al 35 per cento e successivamente, con l’uscita dei sindacati americani, fino al 51 per cento. Per raggiungere la maggioranza assoluta, la societá guidata da Sergio Marchionne dovrá investire una somma non irrilevante di liquiditá ed è anche per questa motivazione che il demerger è avventuto.

Rendere evidenti i punti di forza della parte auto e di quella industrial ai mercati è necessario per trovare nuove risorse. Per fare ciò non è escluso a priori che una parte dell’auto venga venduta ai concorrenti. In particolare vi sono rumors da diversi mesi sulla vendita di Alfa Romeo e Lancia a Volgswagen o altri gruppi europei.

Se questa voce fosse confermata sarebbe la prova dello spostamento globale degli interessi di Fiat Group.

Lo spin-off annunciato aveva le sue basi nel piano industriale presentato a fine aprile agli investitori, nel quale si presentava il futuro di Fiat da qui al 2014.

 

Il Piano Industriale molto ambizioso

Il primo traguardo riguarda il numero di veicoli da vendere da qui al 2014; si prevede un raddoppio dei veicoli da poco più di tre milioni annui del 2009 a circa sei milioni a fine del piano industriale.

La stima dello stesso amministratore delegato del gruppo è una caduta del 30 per cento del mercato italiano. Nel nostro Paese, Fiat Automobile ha venduto nel 2009 oltre 720 mila vetture, pari ad un terzo delle vendite mondiali del gruppo.

La quota di mercato della casa automobilistica torinese è scesa al 30,8 per cento nei primi otto mesi del 2010, quasi tre punti percentuali in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Se anche la market share dovesse mantenersi stabile, cosa non facile in questo momento di aggressività e di crescita dei gruppi stranieri, il gruppo italiano potrebbe “perdere” circa 120 mila veicoli nella sola Italia, arrivando ad un totale di circa 600 mila unità nel 2010, a causa del calo strutturale della domanda dovuto alla fine degli incentivi. Nei primi otto mesi dell’anno in corso ha giá perso 50 mila veicoli rispetto allo stesso periodo del 2009. Questo dato sconta tuttavia di un primo trimestre positivo nel quale il gruppo torinese era arrivato a “guadagnare” fino a 25 mila vetture in piú rispetto all’anno precedente. Il dato del mese di luglio è preoccupante perché in un solo mese Fiat ha perso 25 mila immatricolazioni rispetto al 2009.

La tabella mostra le vendite del gruppo Fiat in Italia e in Europa nei primi mesi del 2010 e la fotografia del mese di agosto 2010.

Fiat – Vendite in Italia ed in Europa
Dati: numero di veicoli nuovi registrati
 
  Agosto 2010 Gennaio-Agosto 2010
Italia Europa Italia Europa
Gruppo Fiat 21101 45720 426691 723356
Fiat 15873 36096 327279 580809
Lancia 3109 3744 63800 72326
Alfa Romeo 2083 5628 34662 65894
Altre 36 252 950 4327
 
Fonte: Elaborazione IBL da dati ACEA e UNRAE

I dati mettono in mostra la principale debolezza di Fiat, che il piano industriale di Marchionne vuole appunto eliminare. La casa torinese è troppo dipendente dalle vendite in Europa ed in particolare in Italia.

Il seguente grafico permette di apprezzare meglio questo punto di debolezza.

Lancia è il marchio che maggiormente soffre di questo posizionamento, dato che quasi non riesce a vendere oltre i confini. Fiat e Alfa Romeo sono in una posizione similare, con piú delle metá delle vendite europee nel Belpaese.

Fiat prevede una contrazione globale delle vendite di oltre 200 mila veicoli nel 2010 e il raggiungimento dell’obiettivo di circa 3,2 milioni di veicoli per il 2014 per la sola casa automobilistica italiana potrà essere centrato con una crescita annuale di circa il 14 per cento.

Se dal lato delle vendite il Piano Industriale è estremamente ambizioso, lo stesso si può dire dal lato produttivo. Mentre l’azienda ha confermato alcuni mesi fa di chiudere l’impianto di Termini Imerese, considerato poco efficiente, ha deciso di aumentare la propria produzione in Italia di quasi il 50 per cento, fino ad arrivare a 900 mila veicoli prodotti. Questa cifra è lontana dai valori raggiunti nel 2000, quando sfiorava 1,4 milioni di autoveicoli.

Lo scontro su Pomigliano d’Arco con la Fiom parte proprio dal piano industriale, nel quale si decise di portare la produzione della nuova Panda dalla Polonia alla Campania.

Gli impianti italiani soffrono di una cronica mancanza di competitività, dato che nel nostro Paese Fiat produce con cinque impianti circa lo stesso numero di veicoli l’anno che in Brasile, dove è presente un solo stabilimento. Per questo motivo Fiat chiese ai sindacati maggiore flessibilità contrattuale, come negli Stati Uniti d’America.

Sergio Marchionne evidenzia spesso la differenza tra cooperazione che esiste con il sindacato americano e la conflittualità con quello italiano.

Nel 2009 la casa automobilistica di Detroit, dopo essere salvata dal Governo Americano, ha venduto poco meno di 1,4 milioni di veicoli. I 2,8 milioni di veicoli previsto per il 2014 sono insomma molto lontani.

Il Piano invece non prevede un sbarco in forze nel mercato asiatico, che è il più promettente. La Cina è diventata il primo mercato mondiale per numero di autoveicoli nel 2009, superando la leadership statunitense.

Nella presentazione del Piano Industriale 2009-2014 è illustrata la divisione tra il ramo automobilistico e quello industriale. Nella prima, chiamata “pure Fiat” confluiranno Fiat Auto, Magneti Marelli e altre società, mentre nella parte “industrial” andranno principalmente Iveco e CNH.

La nuova Fiat, dedicata all’auto, si pone come obiettivo il raddoppio del fatturato, fino a 64 miliardi di euro nel 2014, mentre la parte Industrial dovrebbe vedere i ricavi crescere da 19 miliardi del 2010 a 32 miliardi di euro nel 2014. Questi dati non comprendono Chrysler e si capisce dunque che ancora una volta l’obiettivo è estrem

amente ambizioso.

Il Piano industriale si scontra con una situazione molto delicata. I dati che arrivano dal mercato europeo, il piú importante per Fiat, mostrano una caduta importante del numero di veicoli venduti. Questa deriva dal fatto che nel 2009 e per una parte 2010, i maggiori Governi Europei hanno dopato le vendite con la conseguenza che una volta finiti gli aiuti, il mercato è crollato.

Un doping inutile e dannoso, come anche affermato da Sergio Marchionne a margine della conferenza stampa di ieri.

(continua domani)

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La disdetta di Federmeccanica, il bando Fiom a me /2010/09/07/la-disdetta-di-federmeccanica-il-bando-fiom-a-me/ /2010/09/07/la-disdetta-di-federmeccanica-il-bando-fiom-a-me/#comments Tue, 07 Sep 2010 19:42:12 +0000 Oscar Giannino /?p=6972 Dieci, cento, mille Pomigliano. Le nuove regole contrattuali sottoscritte da Confindustria nel 2009 con tutti i sindacati meno la Cgil, l’accordo applicativo delle nuove regole per più produttività in cambio di più salario detassato proposto da Fiat a Pomigliano e approvato alle urne da due terzi dei dipendenti, hanno compiuto ieri un altro passo verso la rivoluzione delle relazioni industriali italiane. All’unanimità, il consiglio direttivo delle imprese meccaniche di Confindustria ha infattin ieri affidato al presidente, Pierluigi Ceccardi, il mandato di procedere alla disdetta del contratto dei metalmeccanici siglato il 20 gennaio del 2008. La Fiom è insorta, il suo segretario Maurizio Landini ha giudicato la scelta come una vera e propria lesione alle regole democratiche del Paese. Prima dell’analisi della nuova fase che si apre, è il caso di spiegare ai non addetti ai lavori in che cosa davvero consiste, la scelta confindustriale adottata tra le reazioni positive di tutte le altre sigle sindacali.

Il contratto disdettato da Federmeccanica era l’ultimo sottoscritto dalla Fiom. Dopo l’accordo interconfederale sul salario decentrato di produttività, sottoscritto dalle associazioni imprenditoriali e da tutti i sindacati con l’eccezione della Cgil, si è aperta una nuova stagione di rinnovi contrattuali secondo le nuove regole. Per l’industria meccanica, l’intesa è stata raggiunta il 15 ottobre 2009. Senza la firma della Fiom, che nega l’intesa abbia valore di contratto e si è sempre riservata di impugnarlo di fronte al giudice del lavoro. Malgrado l’intesa preveda un aumento retributivo medio di 112 euro, con la prima tranche dell’aumento regolarmente versata sarà in busta paga nel gennaio 2010, con l’aggiunta sempre nel gennaio scorso ai circa un milione e 300mila lavoratori metalmeccanici di una tranche ulteriore, come elemento di perequazione per chi non ha la contrattazione integrativa.

Il motivo per il quale la Cgil non ha firmato l’intesa generali sui nuovi assetti contrattuali,e poi la Fiom altrettanto solitariamente non ha sottoscritto il nuovo contratto dei meccanici, sta nel fatto che sia l’intesa generale che quella di comparto introducevano due istituti che per quel sindacato sono inaccettabili. Il primo è la contrattazione decentrata come scelta generale su quote crescenti di salario, in cambio di più produttività. La seconda è la facoltà di procedere a deroghe nei confronti del contratto nazionale: deroghe da contrattare col sindacato, ma deroghe azienda per azienda, stabilimento per stabilimento, deroghe per comparti – come quello dell’auto, in cui insiste Fiat – o deroghe estese addirittura all’intero settore. Scelte che innovano in profondità la rigidità della vecchia contrattazione, incentrata sull’intangibilità del contratto nazionale sia per la parte normativa, sia per la parte salariale. Due novità che mettono di comune intesa – impresa e sindacati – lo scambio tra produttività e salario come sfida necessaria da condividere: per rilanciare la manifattura italiana, per metterla in condizione di agganciare al meglio la ripresa mondiale secondo le specifiche esigenze di miglior utilizzo degli impianti, dei turni, degli orari, che solo in ciascuno specifico insediamento produttivo possono essere meglio sfruttati, non in un solo contratto per tutti siglato a Roma.

La convinzione condivisa tra Confindustria e maggioranza dei sindacati è che solo così, nel mondo globalizzato, possiamo continuare a restare la quinta potenza industriale mondiale difenendo i posti di lavoro – spesso tendiamo a dimenticarlo, che siamo i quinti al mondo dopo Cina, Usa, Giappone e Germania, e pur nella crisi difendiamo bene la nostra posizione mentre tutte le altre nazioni avanzate sono in caduta libera, con l’eccezione tedesca.

Con il caso Fiat-Pomigliano è venuto il primo banco di prova delle nuove regole. E si è toccato con mano che la maggioranza dei lavoratori e dei sindacati, sia pur di fronte alla durissima polemica della Fiom, ancora una volta hanno detto sì. A questo punto, di fronte al rischio che Fiom si riservasse impugnative a raffiche delle nuove intese in nome del vecchio contratto del 2008, Confindustria fa un altro passo: e cioè, questa è la vera decisione di ieri, apre subito un tavolo con tutti i sindacati che hanno condiviso i passi sin qui compiuti per definire insieme le ampie deroghe contrattuali consentite dagli accordi del 2009. La prima riunione per l’auto è già convocata per il 15 settembre. Confindustria e Fiat sono sulla stessa linea di Cisl, Uil, Ugl, Fismic. Non c’è nessuna violazione di legge e tanto meno di Costituzione. C’è un cammino a tappe condiviso, per entrare insieme nel mondo nuovo. Non c’è nessun attacco ai diritti del lavoro, né tanto meno alcun disconoscimento del legittimo diritto della Fiom e della Cgil a non riconoscersi nelle nuove regole. Purché questo non voglia più dire però che basta il no di una sola organizzazione – per quanto storicamente importante non maggioritaria da sola nel mondo del lavoro italiano – per bloccare tutto. Per troppi anni è stato così. Con regole che restavano arcaiche, perché a dettare il passo era chi andava più lento.

E’ ovvio che Fiom e Cgil a questo punto alzino ulteriormente il tono della polemica. E’ ovvio allo stesso modo che Confindustria, Fiat e tutti gli altri sindacati debbano stare attenti a evitare passi falsi, a concordare ogni sviluppo senza prestare il fianco. Ce’ da temere che l’instabilità politica aggiunga benzina sul fuoco. Ma la rivoluzione cominciata a Pomigliano può responsabilmente e gradualmente oggi estendersi in tutta Italia. Se vincerà il futuro sul passato, Pomigliano diventerà finalmente il simbolo nazionale di un riscatto coraggioso, invece che di una scommessa mancata.

PS. per l’ultimo pst scritto qui e pubblicato anche su Panorama, “Houston, qui Fiom abbiamo un problema”, l’organizzazione sindacale ha deciso di non piotermi più cosniderare un interlocutore giornalistico, motivo per il quale alla trasnmisisone di domani mattina su radio24dedicata  a questo temi non avrò nessuno chje porti al voce dell’unico sindacato dissenziente. Sono convinto di non aver diffamato nessuno, esponendo la mia critica. Considero un triste segno dei tempi, che di fronte al dissenso che essa rivendica, la Fiom decida di considerarmi invece un reietto perché io la esprimo nei suoi confronti.

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Fiat globale vs. Fiom locale /2010/09/04/fiat-globale-vs-fiom-locale/ /2010/09/04/fiat-globale-vs-fiom-locale/#comments Sat, 04 Sep 2010 18:30:05 +0000 Andrea Giuricin /?p=6949 La nuova Fiat è sempre più globale, come mostrano anche i dati delle vendite di agosto nei principali mercati automobilistici. Certo un singolo mese non fa un anno, ma la tendenza dopo lo sbarco di Marchionne in America è questa. Tuttavia Fiat, nonostante l’acquisto di Chrysler, rischia di non essere abbastanza grande per il mercato dell’auto del futuro.

L’acquisizione del 20 per cento di Chrysler da parte del gruppo torinese nel 2009 ha cambiato la prospettiva della casa automobilistica italiana. Nei prossimi anni la quota di Fiat in Chrysler dovrebbe salire fino al 55 per cento, rendendo il gruppo guidato da Sergio Marchionne il primo azionista del produttore americano. In questo modo l’Europa non sará piú il centro degli interessi per la casa torinese, che registrerà la predominanza del  mercato americano, grazie anche al Sud America e la posizione di forza in Brasile.

Se dal lato della produzione Fiat è riuscita da qualche anno a globalizzarsi questo processo di internazionalizzazione nel settore delle vendite è stato piú lento, anche perché costruire una rete di concessionari globale è molto difficile. Infatti, stabilire una fabbrica negli Stati Uniti è relativamente semplice, mentre è molto più complicato avere centinaia o migliaia di rivenditori.

Perché Fiat ha bisogno d’essere un’impresa sempre più globale? E perché una parte del sindacato italiano non riesce a comprendere questa nuova fase?

Innanzitutto bisogna guardare allo sviluppo del mercato automobilistico. L’Europa sta perdendo quote di mercato a discapito principalmente del continente asiatico, con il traino della Cina. Il gigante asiatico ha registrato il sorpasso sugli Stati Uniti d’America nel 2009 per quanto riguarda il numero di autoveicoli venduti.

Fiat ha compreso che l’Europa era troppo piccola ed è la ragione per la quale Sergio Marchionne ha puntato sull’operazione Chrysler. In questo modo Fiat diventa più americana che europea, con tutte le conseguenze del caso.

In Italia la produzione di autoveicoli è scesa negli ultimi anni, fino ad arrivare a poco più di 600 mila veicoli prodotti, lontano non solo da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma un livello inferiore rispetto anche alla Repubblica Ceca.

Il piano “Fabbrica Italia” nel quale si prevedono 20 miliardi di euro di investimenti in Italia nei prossimi anni, con addirittura un incremento della produzione italiana è stato un passo coraggioso di Marchionne. Certo gli obiettivi del piano industriale saranno difficilmente raggiungibili, poiché si prevede un raddoppio delle vendite entro il 2014, ma l’arrivo della Nuova Panda a Pomigliano d’Arco è stato un punto a favore di Fiat e del suo piano industriale.

La nuova Panda a Pomigliano d’Arco ha tuttavia registrato un punto di scontro con la FIOM, in piena campagna di successione nella CGIL. Le nuove condizioni di Fiat, che voleva una produzione più flessibile in cambio dell’investimento di 700 milioni di euro, sono state prese di mira da Filippo Landini, alla guida della FIOM.

Questo scontro è stato solo il primo. Dopo la presa di posizione cieca della FIOM, Fiat ha annunciato che la produzione delle monovolume, presente nel piano “fabbrica Italia” sarebbe stato spostato da Mirafiori alla Serbia, lasciando capire che gli investimenti in Italia sono possibili solo a certe condizioni.

L’ultimo scontro si ferma a Melfi, come ben descritto da Oscar Giannino.

La FIOM, per difendere i tre lavoratori che bloccarono probabilmente la produzione degli impianti di Melfi, ha deciso di assumere una posizione strumentale al fine di avere qualche voto in più alle prossime elezioni CGIL.

Una FIOM che non vede oltre Melfi o Pomigliano d’Arco e che per interessi elettorali rischia di cancellare il progetto “fabbrica Italia”.

La FIAT si scontra con una sfida globale estremamente difficile e si trova una parte del sindacato che non va oltre a Melfi. La posizione della FIOM pur comprensibile a livello di lotte di successione, non è giustificabile e dimostra l’arretratezza di una parte del sindacato italiano.

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