CHICAGO BLOG » Alitalia http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 9 mld. in 9 anni e 9 mila occupati in meno (Piccolo Guinness della vecchia Alitalia) /2010/11/14/9-mld-in-9-anni-e-9-mila-occupati-in-meno-piccolo-guinness-della-vecchia-alitalia/ /2010/11/14/9-mld-in-9-anni-e-9-mila-occupati-in-meno-piccolo-guinness-della-vecchia-alitalia/#comments Sun, 14 Nov 2010 11:29:16 +0000 Ugo Arrigo /?p=7583 Qual è stata la distruzione di valore prodotta dalla gestione pubblica della vecchia Alitalia nell’ultimo decennio di storia della compagnia? E’ una domanda alla quale non abbiamo mai provato a rispondere, avendo in passato concentrato l’attenzione sui soli oneri prodotti sul settore pubblico (e quindi sul contribuente azionista). In questo modo abbiamo tuttavia tralasciato le conseguenze economiche prodotte sui creditori, sugli obbligazionisti e sugli azionisti, rimasti impigliati nel fallimento e che sono stati o saranno rimborsati solo in misura limitata. Proviamo quindi a fare un stima della distruzione di valore realizzata dalla gestione pubblica:

  • 4,13 mld. di euro, corrispondenti a 5,11 mld. di euro del 2009, è la capitalizzazione di borsa di Alitalia nel luglio 1999 (dopo la ricapitalizzazione da 2750 mld. di lire del 1996-98 e l’accordo di integrazione con Klm);
  • 2,06 mld. di euro, corrispondenti a 2,31 mld. di euro del 2009, sono i conferimenti di capitale degli azionisti concessi in diverse occasioni nel decennio 2000;
  • 0,25 mld., corrispondenti a 0,29  mld. di euro del 2009, è la penale pagata ad AZ da Klm per l’uscita dall’accordo di integrazione;
  • 7,71 mld. di euro (somma delle tre voci precedenti in euro 2009) avrebbe dovuto essere alla fine del periodo considerato il valore di Alitalia se nel periodo 1999-2009 la gestione avesse preservato le risorse messe a disposizione, senza accrescerle nè distruggerle;
  • -1,42 mld. è invece il patrimonio netto negativo della vecchia Alitalia che ha cessato le attività secondo la più recente relazione del commissario straordinario;
  • la differenza tra 7,71 e -1,42 mld., pari a 9,13 mld. di euro misura la distruzione di valore realizzata tra il luglio 1999 e il 31.11. 2008, data di cessazione degli effetti economici della gestione operativa dell’azienda (trasferiti a Cai dal 1.12.2008 anche se essa ha assunto la gestione operativa solo il 13.1.2009) 

In 9 anni, in sintesi, sono stati bruciati un pò più di 9 miliardi di euro. Sono stati inoltre persi circa 9 mila posti di lavoro se li calcoliamo, come è corretto, come differenza tra tutti gli occupati, a tempo intederminato e determinato, di AZ fly e controllate, AZ service ed AirOne, e quelli che sono stati assorbiti con l’avvio delle gestione Cai.

E’ inoltre opportuno ricordare che alla data del 31.12.2007 il patrimonio netto di Alitalia era pari, sulla base del bilancio 2007,  a 0,38 mld. e che, considerando la perdita del primo trimestre 2008, pari a 0,21 mld., esso è stimabile alla data del 31.3.2008, vigilia della cacciata dell’aspirante acquirente Air France, a 0,17 mld. di euro. La caduta successiva, da +0,17 mld. a – 1,42 ml., corrispondente a 1,6 mld. di euro, è la perdita di valore imputabile alla mancata cessione a Air France e al perseguimento delle soluzione ‘autoctona’.

Riassumendo: in 9 anni sono stati bruciati in Alitalia 9,1 mld. di euro dei quali 1,6 mdl. negli 8 mesi intercorrenti tra la mancata vendita a Air France e la cessazione degli effetti economici della gestione operativa dell’azienda (quindi dal 1.4.2008 al 30.11-2008). Questi dati misurano la perdita di valore dell’azienda e non includono gli oneri generati sulla collettività dalla cessazione di attività della medesima, quali la cassa integrazione per il personale non riassorbito dalla nuova gestione, che hanno natura economica differente e non possono esservi sommati.

9 mld. corrispondono a un duecentesimo delle cifra che compare in alto a destra su questo blog: il nostro debito pubblico corrisponde a 200 volte i soldi distrutti con Alitalia negli ultimi 9 anni ma cercare le altre 199 Alitalia del nostro settore pubblico non è operazione difficile (anche perchè alcune di esse sono assai più ‘pesanti’ di Az sui conti pubblici). Oltretutto la vecchia Alitalia rappresentava la produzione publica di gran lunga più efficiente (affronterò prossimamente questo tema).

Servono altri argomenti per convincere i contribuenti che è indispensabile privatizzare (cercando l’acquirente sul mercato e non tra gli amici) tutte le residue imprese pubbliche, dalla prima all’ultima?

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Piccolo Guinness delle corbellerie su Alitalia /2010/11/04/piccolo-guinness-delle-corbellerie-su-alitalia/ /2010/11/04/piccolo-guinness-delle-corbellerie-su-alitalia/#comments Wed, 03 Nov 2010 23:15:50 +0000 Ugo Arrigo /?p=7460 Un’unanimità di no ha accolto l’idea di Rocco Sabelli di suggerire nel 2013 agli azionisti di Alitalia una fusione con Air France: “Alitalia dovrà rimanere italiana” (Berlusconi);  ”Questo può essere un pensiero di Sabelli (l’integrazione in Air France) ma certamente non è condiviso dagli azionisti”; “Alitalia deve rimanere italiana” (Matteoli), “No a fusione con Air France” (Alemanno),  “Sabelli chiarisca su Air France” (Epifani), “La compagnia resti italiana” (Polverini). Zingaretti, presidente della provincia di Roma, è preoccupato per l’occupazione: “I tagli occupazionali che nascono da una fusione sarebbero pagati esclusivamente da migliaia di lavoratori del nostro territorio…”; Meta, capogruppo PD nella commissione trasporti della Camera teme un “… impoverimento gravissimo per il sistema del trasporto aereo nazionale”.

Hanno ragione? Per nostra fortuna disponiamo di un controfatto, un evento del tutto simile accaduto sette anni fa: l’aggregazione di Klm in Air France decisa nel 2003 e divenuta operativa nel 2004. Se essi hanno ragione ci aspettiamo di poter documentare un drastico impoverimento del sistema del trasporto aereo olandese, un crollo nell’occupazione di piloti, hostess e personale di terra, frotte di turisti internazionali diretti ad Amsterdam e invece perfidamente dirottati da Air France a visitare la Tour Eiffell, il Louvre ed Eurodisney.

Ovviamente niente di tutto questo:

  • dal 2003 a oggi Klm è cresciuta del 30% (pax km trasportati) mentre Air France, azienda incorporante, è cresciuta un pò meno (il 27%);
  • il gruppo Air France-Klm è divenuto grazie all’aggregazione il primo in Europa e il secondo nel mondo;
  • dal 2003 ad oggi è il gruppo che è crescito di più in Europa;
  • negli ultimi anni l’occupazione del solo ramo Klm è aumentata di 3 mila unità.

Cosa è successo invece ad Alitalia nello stesso periodo, grazie al nazionalismo economico e al protezionismo nei confronti delle regole del mercato? Ricordiamo che in questo periodo, dopo aver mancato un’occasione di matrimonio con Klm, Aitalia ne ha mancate altre due con Air France.

  • dal 2003 ad oggi Alitalia ha perso un decimo del traffico se non consideriamo AirOne e un quinto se la consideriamo;
  • l’occupazione è scesa di un terzo;
  • la quota di mercato si è contratta di oltre un terzo;
  • tra il 2003 e il 2007 ha cumulato 2,6 mld. di perdite;
  • nel 2008 il ‘salvataggio’ si stima sia costato per maxiperdita del 2008, mancati introiti da vendita a Air France, oneri pubblici per rimborsi ad azionisti ed obbligazionisti, oneri assistenziali per personale in esibero, mancati introiti fiscali e contributivi per ridimensionamento aziendale almeno ulteriori 3 mld.

Bastano i due gruppi di dati per dimostare che i nostri ‘opinion makers’ italiani hanno pesantemente torto mentre ha avuto ragione l’Olanda nel 2003 a favorire l’aggregazione? Eppure per l’Olanda vendere  era molto più difficile perchè quel paese è una monarchia e Klm è l’unica azienda aeronautica europea ad avere la corona reale nel logo (passa in genere inosservata ma è visibilissima) e l’aggettivo reale nel nome: Koninklijke Luchtvaart Maatschappij, Compagnia reale di aviazione.

Persino Margaret Thatcher non riuscì a privatizzare Royal Mail ma ora ci riprova David Cameron, così come ci aveva provato anche Gordon Brown un paio d’anni fa. Allora l’azienda europea con migliori chances di entrare come socio-gestore di Royal Mail era TNT, azienda postale olandese che prima di globalizzarsi comperando il corriere australiano TNT si chiamava in realtà KPN - Koninklike Ptt Nederland. Si nota la K iniziale che sta anche in KLM, infatti il nome vuol dire Poste reali olandesi, ed è superfluo precisare che si tratta di un’azienda completamente privatizzata e della quale il governo non possiede più neppure un’azione. Utile anche ricordare che TNT, già KPN, è in Italia il principale, seppur piccolo, competitore della statalissima Poste Italiane la quale si appresta a statalizzare, con la benedizione del non-reale Tremonti, anche il Mediocredito Centrale.

Morale della favola: nel nord Europa anche le regine hanno capito il mercato, missione che sembra invece impossibile per i  nostri politici nord mediterranei. Con buona pace del contribuente, azionista a forza di imprese sur-reali che non vedrà mai dividendi nè servizi pubblici passabili.

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Ermeneutica di Alitalia /2010/10/10/ermeneutica-di-alitalia/ /2010/10/10/ermeneutica-di-alitalia/#comments Sun, 10 Oct 2010 21:46:50 +0000 Ugo Arrigo /?p=7245 Interessante intervista dell’a.d. di Alitalia Rocco Sabelli a Panorama :

«È  da qualche mese che me ne sono davvero convinto: questa Alitalia può funzionare bene. Le dico di più: dal 2011 in poi, quando entreremo nella fase del dopo ristrutturazione, potrà diventare una compagnia non buona, ma eccellente». Alla fine vola, la fenice. Vola nonostante tanti scettici si affollassero intorno al suo nido. E sembra volare bene, almeno stando ai numeri forniti a getto continuo da Rocco Sabelli …

Poiché, come sostiene l’intervistatore, la fenice sembra volare bene stando almeno ai numeri forniti, dedichiamo questo post a una chiosa ai numeri e ai  concetti contenuti nell’intervista, evidenziando per ognuno se a nostro avviso risultano plausibili e coerenti oppure dubbi  e poco convincenti.

L’Alitalia di Sabelli si prepara a chiudere il 2010 con un aumento dei ricavi superiore al 10 per cento, con oltre 23 milioni di clienti (+5 per cento), con perdite più che dimezzate e con cassa e linee di credito per oltre 400 milioni.

Stando ai risultati del primo semestre e alle tendenze in corso questi numeri sono molto probabili, soprattutto i dati relativi ai passeggeri e ai ricavi. Per quanto riguarda le perdite esse dipendono invece, una volta previsti con piccolo margine d’incertezza passeggeri e ricavi, principalmente dall’andamento dei costi. Nel primo semestre 2010 le perdite si sono rivelate minori di quelle della  nuova Alitalia nel 2009, quasi identiche in valore assoluto a quelle della vecchia Alitalia nel primo semestre 2007 e superiore alle medesime se valutate in percentuale dei ricavi.

Certo la vecchia Alitalia era più grande (a), ma insostenibile (b): la previsione del 2008 di Alitalia con AirOne indicava perdite tra 1,1 e 1,2 miliardi (c) e quelle stesse compagnie nel 2009 avrebbero perso ancora di più.

(a)    Affermazione vera: la nuova Alitalia è molto più piccola sia della somma delle due aziende incorporate (AZ + AirOne) sia della vecchia Alitalia da sola.

(b)   La vecchia Alitalia era certamente insostenibile, tuttavia Sabelli ne imputa la causa alla dimensioni troppo grandi, noi alla gestione e alla strategia d’impresa, in particolare all’errato posizionamento sui differenti segmenti di mercato e all’incapacità finanziaria di sostenere nuovi investimenti  nella flotta.

(c)    Questo valore delle perdite per l’intero 2008 deriva dall’accentuazione della crisi Alitalia nel marzo-aprile 2008: il piano Prato sposta AZ a Fiumicino e ridimensiona l’offerta; questa scelta riduce la domanda che subisce una caduta ulteriore in conseguenza del fatto che i clienti temono l’interruzione delle attività e non comprano più biglietti quando AF rinuncia all’acquisto; i successori di Prato si ‘dimenticano’ di mettere a terra gli aerei non più necessari e in cassa integrazione i dipendenti. Per questo le perdite furono così elevate. Non si possono tuttavia  estrapolare in alcun modo questi eventi eccezionali e ipotizzare perdite ancora più consistenti per l’anno successivo: già nella primavera-estate del 2008, passata la paura,  dopo il prestito governativo da 300 milioni, di un’interruzione a breve termine delle attività i clienti stavano ritornando a volare.

Quali altri obiettivi vi date per il 2011?
Avere oltre 25 milioni di clienti con 3-3,5 miliardi di fatturato (d) , una dimensione che ci collocherebbe al quarto-quinto posto tra le compagnie europee (e).

(d)   I primi due numeri non sono irrealistici: se AZ supera i 23 milioni di passeggeri quest’anno può ambire a 25 l’anno prossimo in  considerazione della ripresa mondiale della domanda. Negli ultimi mesi i dati di traffico sui cieli italiani segnano un più 7-8%. Per quanto riguarda invece i ricavi, nel primo semestre 2010  il rapporto tra ricavi operativi e passeggeri è stato di 140 euro il quali, moltiplicati per i 25 milioni preventivati nel 2011, porterebbero esattamente a 3,5 miliardi di fatturato.

(e)   Questo risultati non farebbero tuttavia di AZ la quarta né la quinta compagnia europea, come si può vedere dalle due classifiche seguenti, costruite sui dati dell’intero anno 2009 (Fonte dei dati: ATW World Airline Report 2009). Per quanto riguarda i passeggeri (espressi in milioni) infatti Alitalia è risultata solo decima e appare in grado di scalare entro il prossimo anno al massimo due posizioni: Sas e una ulteriore per effetto dell’aggregazione di Iberia e British.

  1. Air France-Klm              71,4 milioni
  2. Ryanair                        66,5
  3. Lufthansa                     55,6 
  4. EasyJet                        48,7
  5. British Air.                    31,8
  6. Air Berlin                      27,9
  7. Iberia                           25,6 
  8. Turkish Air.                   25,1
  9. Sas                              21,4
  10. Alitalia                      21,2

In termini di fatturato la sua posizione nel 2009 era invece nona, e anche in questo caso potrebbe al più scalare una o due posizioni:

  1. Lufthansa                      31,9 milioni di $
  2. Air France-Klm               28,3
  3. British Air.                     12,1 
  4. Iberia                            6,32 
  5. Sas                               6,26 
  6. Air Berlin                       4,70 
  7. Turkish Air.                    4,66 
  8. EasyJet                          4,25
  9. Alitalia                         4,18
  10. Ryanair                        4,02

Al di là dei risultati economici, il «prodotto» Alitalia funziona, piace di più?
Le persone che volano con noi ci dicono di sì. E i dati lo confermano. Oggi l’Alitalia ha un tasso di cancellazione dei voli di appena lo 0,5 per cento, il che significa che su 700 collegamenti al giorno non più di tre vengono cancellati. La puntualità è arrivata all’82 per cento dei voli e sul Milano-Roma è al 90 per cento. Nella classifica europea della puntualità nei primi 6 mesi, siamo al secondo posto fra le grandi compagnie. E dalle indagini che dal maggio dello scorso anno conduciamo presso i nostri clienti i soddisfatti sono passati dal 72 all’80 per cento, grazie alla puntualità, alla gestione dei bagagli e al servizio di bordo.

 Non ho la possibilità di confermare questi dati precisi, dato che l’associazione delle compagnie di bandiera europee (AEA) non rende pubblico da diverso tempo il ‘Consumer report’ sulla qualità del servizio prestato dai vettori membri (ritardi e bagagli smarriti).  Le informazioni disponibili vanno tuttavia nella direzione di una conferma del miglioramento nei livelli qualitativi e nel fatto che essi, a differenza di quanto si era verificato all’inizio della nuova gestione, abbiano raggiunto livelli più che accettabili. Il report mensile di Eurocontrol sui ritardi, ad esempio, il quale non pubblica dati sui singoli vettori ma solo sui singoli aeroporti, non include da tempo i principali aeroporti italiani tra quelli soggetti ai ritardi maggiori nello spazio aereo europeo.

A proposito di Roma: quanto incide la rotta Linate-Fiumicino, quella attaccata dal treno, sul vostro fatturato?
Per il 5 per cento, meno di quanto si pensi.

 

Ancora nell’estate 2008 la rotta Linate-Fiumicino pesava per il 10% del mercato domestico del trasporto aereo. Tale quota era coperta per circa due terzi da Alitalia e un terzo da AirOne. I passeggeri Alitalia sulla rotta rappresentavano l’8% dei passeggeri totali di Alitalia ed è stimabile che apportassero già allora il 5% dei ricavi passeggeri totali dell’azienda. Se tale cifra è ancora oggi al 5%, dopo il ridimensionamento dell’azienda, il suo riposizionamento in favore delle rotte domestiche e la monopolizzazione della rotta Linate-Fiumicino, sembrerebbe che quest’ultima azione abbia giovato ben poco ai conti dell’azienda.  Sarebbe interessante verificare se essa sia stata neutralizzata dalla competizione modale del treno ad alta velocità.

 Nel 2011 completerete la ristrutturazione: che cosa sarà, dopo, l’Alitalia?
Già ora pensiamo allo sviluppo che prevede il potenziamento nel mercato italiano e la crescita su quello internazionale: il prossimo anno aumenteremo del 10 per cento la nostra offerta e inaugureremo nuove destinazioni europee e intercontinentali. In particolare, l’AirOne passerà da 5 a 8 aerei e da Malpensa coprirà nove nuove rotte internazionali,verso l’Europa dell’Est e il Nord Africa. Mentre l’Alitalia potenzierà le frequenze verso il Giappone, coprendo gli spazi lasciati liberi dalla Jal, e da giugno aprirà una nuova destinazione in Brasile, a Rio de Janeiro. Guardiamo anche alla Cina: è probabile che inaugureremo una rotta per Pechino o Shanghai nel 2011, con un anno di anticipo rispetto ai piani.

 

L’espansione internazionale e intercontinentale di Alitalia è un’ottima notizia. La abbiamo sempre auspicata, criticando il piano Fenice che aveva invece provveduto a un drastico ridimensionamento di questi segmenti. Fa molto piacere che la nuova Alitalia non segue le rotte errate di tale piano.

Rinnoverete anche la flotta?
Dopo avere acquistato 18 nuovi aerei tra il 2009 e il 2010, il prossimo anno ne dovremmo introdurre un’altra decina, di cui tre o quattro a lungo raggio. Con 30 nuovi aerei in un triennio, saremo la compagnia europea con il piano di rinnovo più impegnativo. E alla fine la nostra flotta avrà un’età media inferiore ai 9 anni, la più giovane d’Europa, low cost escluse.

Il rinnovo della flotta è uno degli aspetti migliori della nuova gestione  così come l’assenza di investimenti al riguardo era uno dei limiti maggiori di quella vecchia.

Ecco, le low cost: continueranno a essere un concorrente agguerrito?
Andrebbe ricordato che le compagnie low cost prendono sussidi dagli aeroporti (f), non hanno il contratto di lavoro italiano, non pagano le tasse in Italia (g) … ma non mi interessa. Io so che offrono un prodotto a un prezzo competitivo. E io cerco di competere sul prezzo perché ho una struttura di costi che me lo permette, a metà strada fra le compagnie tradizionali e quelle low cost (h). Per questo abbiamo offerte da 20 euro con AirOne e da 39 euro con Alitalia. Non a caso stiamo aumentando le nostre quote di mercato (i). E poi penso che in futuro le low cost diventeranno meno aggressive perché gli aeroporti non ce la fanno più a finanziarle o non vogliono dipendere da una sola compagnia (j).

(f)     Qui ha ragione Sabelli: i sussidi andrebbero evitati o regolamentati in maniera più stretta. Nell’attesa non possiamo certo rimproverare ad Alitalia di operare anch’essa su rotte sussidiate.

(g)    Questa è la ragione per la quale i vettori esteri dominano i trasporti internazionali da e verso l’Italia su tutte le modalità, non solo quella aerea (sulla quale hanno più dei tre quarti di quota di mercato).

(h)   Se effettivamente i costi unitari, correttamente calcolati, fossero a metà strada tra i vettori tradizionali e quelli low cost, Alitalia godrebbe dello stesso successo e tassi di crescita di Turkish Airlines. Il fatto che sembrino a metà strada è a mio avviso frutto della prassi, diffusa nell’industria aerea, di  dividere i costi operativi totali per indicatori di traffico relativi ai soli passeggeri. Essa è in realtà corretta solo in presenza di un mix simile di traffici tra passeggeri e cargo mentre  Alitalia, che ha pochissimo cargo, si avvicina in questa caratteristica ai vettori low cost e si differenzia dalle maggiori compagnie tradizionali.  

(i)      Credo che in realtà Alitalia nell’insieme del 2010 stia sostanzialmente conservando le quote di mercato dello scorso anno: dai dati Assaeroporti emerge infatti che in Italia il movimento dei passeggeri sulle rotte domestiche era in agosto  a un +7% rispetto allo stesso mese del 2009 mentre sulle rotte internazionali a un +8%. In questo mese Alitalia ha fatto meglio del mercato dato che ha realizzato sull’insieme delle rotte servite un +8,6%; invece nei primi sette mesi dell’anno l’intero mercato è cresciuto  del 5,6% mentre Alitalia nello stesso periodo è aumentata del 4,1% (fonte Aea).

(j)     Non sono altrettanto ottimista: il principale vantaggio dei vettori low cost è rappresentato proprio dai costi unitari, non dai ricavi extrautenti di cui pure godono. Essi sembrano avvantaggiarsi in tutte le fasi del ciclo: in recessione, perché attraggono viaggiatori business le cui aziende hanno ridimensionato il budget per i viaggi, e in espansione, perché intercettano la maggior domanda turistica. Nell’ultimo anno, intanto, sono andati benissimo: in agosto Ryanair registrava un incremento passeggeri su dodici mesi del 12%, Air Berlin del 9%, EasyJet dell’8%.

La Iberia si unisce alla British Airways, la United si fonde con la Continental, il settore va verso un progressivo consolidamento. Perché l’Alitalia ce la dovrebbe fare da sola? Nel nostro piano industriale è prevista un’Alitalia «stand-alone» (k) con 30 milioni di passeggeri (l) e una serie di rotte sostenibili, tenute aperte cioè solo se rendono.

(k)    Siamo dell’idea, non da ora, che le aggregazioni siano inevitabili, anche tra grandi operatori stabilmente caratterizzati da buone performance; a maggior ragione per vettori di minori dimensioni.  E comunque auguriamo ad Alitalia di riuscire nei suoi progetti, soprattutto nell’interesse dei  suoi lavoratori.

(l)      Un vettore da 30 milioni di passeggeri rappresenta un progetto diverso e più ambizioso dell’originario piano Fenice: esso richiederà inevitabilmente l’impiego di più aerei  e di più personale.  Tuttavia, considerando che la vecchia Alitalia e la vecchia AirOne nel 2007 hanno trasportato complessivamente 31,5 milioni di passeggeri, non è forse questa la conferma che era meglio provare a rilanciarle senza drastici ridimensionamenti? Ovviamente avendo a disposizione le più ampie risorse finanziarie e di know how che un grande vettore europeo (Air France-Klm o Lufthansa) era in grado di apportare …

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Mengozzi bond, avvistati i rimborsi /2010/09/17/mengozzi-bond-avvistati-i-rimborsi/ /2010/09/17/mengozzi-bond-avvistati-i-rimborsi/#comments Fri, 17 Sep 2010 14:48:23 +0000 Camilla Conti /?p=7075 Meglio tardi che mai.  Dal ministero è finalmente arrivato un segnale di fumo sui Mengozzi bond. Secondo quanto riportato ieri da MF, unico quotidiano a occuparsi della vicenda negli ultimi mesi, il Tesoro avrebbe chiesto agli intermediari finanziari presso i quali sono depositate le vecchie azioni e le obbligazioni Alitalia di trasferire entro il prossimo 30 settembre su un conto del ministero dell’Economia (presso la Banca d’Italia) i titoli in loro possesso.

«Successivamente al trasferimento e completate le verifiche previste», hanno scritto da via XX Settembre, «il ministero provvederà all’emissione di nuovi titoli di Stato senza cedola con scadenza 31 dicembre 2012 e all’assegnazione degli stessi agli intermediari finanziari che, a loro volta, li attribuiranno ai singoli beneficiari sulla base di indicazioni relative ai quantitativi specifici che saranno fornite dallo stesso ministero».

Ricordiamo che agli obbligazionisti, come previsto dal decreto legge del governo dell’agosto di un anno fa, andrà un rimborso pari al 70% del valore nominale fino a un massimo di 100 mila euro. Agli azionisti, invece, lo Stato restituirà il 50% del valore medio dei titoli durante l’ultimo mese di Borsa, con una soglia limite che nel caso delle azioni è di 50 mila euro. I rimborsi erano stati promessi da Tremonti a dicembre dell’anno scorso.

Chissà se il nostro pungolo è servito a scuotere il palazzo. Ci piace pensarlo.

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Mengozzi bond, chi li ha visti? /2010/09/14/mengozzi-bond-chi-li-ha-visti/ /2010/09/14/mengozzi-bond-chi-li-ha-visti/#comments Tue, 14 Sep 2010 15:28:23 +0000 Camilla Conti /?p=7049 Obbligazionisti Alitalia, marameo. Traditi, beffati, dimenticati. Non è solo la mancanza del presidente Consob, a testimoniare come il governo non si curi tanto della fiducia dei mercati. Non fa notizia purtroppo, ma di fronte al “bussate e non vi sarà aperto” del governo il popolo dei Mengozzi bond è rimasto a terra col cerino in mano. 

L’odissea del “volo” convertibile Alitalia 7,5% 2002-2010 ha infatti un inizio ma non una fine. Nel marzo 2008 il governo Prodi tratta con Air France la vendita di Alitalia, si parla di una cordata italiana. Il titolo della società agonizzante comincia un’altalena spericolata: ad aprile +18 per cento, il 28 maggio +2,25, il 3 giugno -7,1. Il 6 giugno 2008 Consob e Borsa decidono di sospendere le azioni.  La nuova compagnia decolla, più o meno, mentre la vecchia finisce nel dimenticatoio insieme con i suoi azionisti e obbligazionisti. Nel gennaio 2009 il titolo, dopo essere stato sospeso, viene cancellato dal listino, senza spiegazioni del Garante Cardia che ad aprile liquida così la questione: “Va data una qualche forma di risarcimento, soprattutto agli obbligazionisti”. In Parlamento piovono interrogazioni e dopo l’ennesima, il ministero dell’Economia risponde: i risparmiatori dovranno attendere fino al 31 maggio 2009 per eventuali risarcimenti. Ma il termine passa. Intanto si annuncia che azionisti e obbligazionisti saranno rimborsati attingendo al fondo dei conti dormienti che da due miliardi è però passato a 800 milioni.

A Luglio 2009 spunta il decreto legge anticrisi che estende anche agli azionisti la possibilità di sostituire i titoli con buoni del Tesoro di nuova emissione senza cedola. Queste le modalità di rimborso: per i bondholder, la legge prevede un indennizzo pari a 26,2 centesimi di euro che rappresenta il 70,97% del valore nominale delle obbligazioni detenute, fino a un valore massimo di rimborso di 100 mila euro. I vecchi titoli azionari AZ potranno essere invece ceduti al Tesoro a un prezzo di 27,22 centesimi, circa il 50% del valore medio dell’ultimo mese di contrattazioni del titolo (l’ultimo prezzo fatto registrare prima della sospensione, era stato di 0,445 euro), fino a un valore massimo di rimborso di 50 mila euro per azionista. I rimborsi sono però arrotondati per difetto: se io ho 7000 azioni Alitalia, mi spetterebbero 1.905 euro. Invece me ne daranno mille e se ne terranno 905. Alla fine, se tutto andrà bene, gli azionisti otterranno 0,27 euro ad azione, il 50 per cento del valore medio del titolo nell’ultimo mese di quotazione. E gli obbligazionisti il 70,9 per cento di quanto gli spettava (se fosse stata accettata l’offerta Air France avrebbero preso l’85 per cento). Con un tetto: 50 mila euro per gli azionisti, 100 mila per gli obbligazionisti. Il rimborso verrà effettuato tramite emissione di titoli di Stato, senza cedola, con scadenza 31 dicembre 2012 (fino ad allora insomma non diventeranno denaro e non potranno essere ceduti) e il taglio minimo sarà di 1.000 euro.

I termini per presentare la domanda scadono nell’agosto 2009. Una corsa contro il tempo per i risparmiatori traditi: poco più di 30 giorni, per giunta del mese di agosto, quando l’Italia va in ferie. Si parla di allungare i termini per l’adesione, tentando di inserire una proroga in disegni di legge. Ma la manovra viene respinta perché non c’era copertura finanziaria sufficiente per un’eventuale riapertura dei termini dello swap. Il governo promette comunque che entro il 31 dicembre 2009 provvederà a trasferire i titoli di Stato spettanti sui conti di deposito titoli di ciascun cliente.  A oggi nessuno li ha ancora visti.  Di nuovo c’è solo che gli azionisti non sono stati ammessi al passivi.

Qualche ragionamento in più sui numeri: se tutti avessero scelto il concambio, l’esborso per lo Stato sarebbe stato di circa 300 milioni: i risparmiatori coinvolti (ovvero chi al 29 agosto 2008 aveva in portafoglio bond o azioni della Magliana) sono oltre 10 mila. La compagnia aveva offerto ai cittadini il 38% di un prestito da 715 milioni emesso a luglio 2002, poi prorogato al 2010. In ballo c’erano quindi 270 milioni di obbligazioni (al valore nominale) e rimborsare il 70% significa spendere circa 190 milioni a cui si aggiungono, all’incirca altri 100 milioni per il rimborso delle azioni, per un totale appunto di poco meno di 300 milioni. La gran parte dei risparmiatori ha accettato il piano ma il ministero non paga. Certo, non avrebbero comunque potuto beneficiare della liquidità prima della fine del 2012 depositando quei titoli sul conto sarebbero potuti servire come garanzia per chiedere prestiti in banca.

Traditi,  beffati e dimenticati. Traditi perché ai possessori del prestito Alitalia 7,5% 2010 è stato precluso di avvantaggiarsi del futuro probabile buon andamento della società mentre il trattamento è dipeso dal prezzo a cui il commissario Fantozzi ha venduto le attività della società (aerei, slot, terreni, marchio, avviamento).  Beffati perché anche il magro premio di consolazione promesso dal governo che prima ha dovuto pagare i crediti di Stato, i dipendenti e le banche, non è stato consegnato. Dimenticati perché di Alitalia non si parla nemmeno più in parlamento e sui giornali si lascia spazio solo ai proclami di rilancio dei vertici, quando va bene, o di scioperi, quando va male.  Ecchissenefrega dei Mengozzi bond.

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Piccolo Guinness di Alitalia II /2010/09/11/piccolo-guinness-di-alitalia-ii/ /2010/09/11/piccolo-guinness-di-alitalia-ii/#comments Sat, 11 Sep 2010 19:46:50 +0000 Ugo Arrigo /?p=7002 Aggiorniamo il piccolo Guinness di Alitalia con i conti della nuova azienda relativi al primo semestre 2010, resi noti nel comunicato stampa dello scorso 30 luglio. Come nella precedente puntata, relativa ai dati del I trimestre 2010, confrontiamo i risultati del nuovo vettore con  quelli della vecchia compagnia nel periodo corrispondente del 2007 (I semestre), ultimo anno di relativa normalità operativa. La domanda cruciale, infatti, non è tanto se la nuova Alitalia stia andando meglio nel 2010 rispetto al 2009 quanto se essa vada meglio della vecchia, dato che questo era l’obiettivo implicito del costoso intervento pubblico. Per ogni variabile i dati 2007 di raffronto sono riportati in parentesi dopo quelli del I semestre 2010:

  • Ricavi operativi: 1.480 mil.  ( 2.309 mil.) 
  • Costi operativi: 1.609 mil.  (2.436 mil.)
  • Risultato operativo:  -129 mil. (-127 mil.)
  • Risultato operativo in % ricavi op.:  -8,7  % (-5,5 %)
  • Passeggeri trasportati: 10,6 mil. (11,9 mil.)
  • Load factor: 68,0 %  (73,3 %)
  • Risultato operativo/passeggeri trasportati: -12 euro (-11 euro)

I dati precedenti evidenziano come la nuova Alitalia pur avendo notevolmente migliorato i suoi risultati nella prima metà del 2010 rispetto al 2009, come messo in rilievo nel comunicato stampa, non abbia ancora raggiunto quelli che la vecchia azienda era comunque in grado di conseguire in periodi di normale operatività. L’obiettivo di una nuova azienda migliore della vecchia non è dunque ancora raggiunto e appaiono non giustificati i titoli ottimistici che compaiono regolarmente su molte testate giornalistiche. Il Corriere di ieri, ad esempio, titolava:

Il rilancio Nel terzo trimestre previsto il raddoppio dell’ utile operativo della compagnia.

La ripresa d’ estate per la nuova Alitalia

La ripresa d’estate per un’azienda come Alitalia si chiama tuttavia stagionalità: è ovvio che i mesi estivi siano migliori dei precedenti e anche che siano migliori degli stessi mesi dell’anno prima, visto la difficile partenza del nuovo vettore e la recessione economica nel 2009. Per dare giudizi più seriamente basati su fatti e numeri meglio aspettare sia  il III che il IV trimestre.

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Tirrenia: la migliore delle aziende possibili /2010/09/09/tirrenia-la-migliore-delle-aziende-possibili/ /2010/09/09/tirrenia-la-migliore-delle-aziende-possibili/#comments Thu, 09 Sep 2010 11:50:18 +0000 Andrea Giuricin /?p=6982 Non si è fatta attendere la risposta dei sindacati al focus pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni. C’era da aspettarselo, dato che le accuse ai sindacati e alla gestione tragica dell’azienda erano state molto forti. Ma di critiche forti al processo di privatizzazione farsa ce ne era il bisogno, come quelle di Oscar Giannino sulle colonne di Chicago-blog. Tirrenia è arrivata a quello che ormai era prospettato da anni. Un’azienda pubblica decotta, che era andata avanti per decenni solo grazie ai sussidi pubblici. In parte questi erano “legalizzati” sotto la sigla OPS, oneri di pubblico servizio.

Gli OPS sono strumenti utilizzati dallo Stato per garantire la continuità territoriale e dare un servizio universale, teoricamente. Spesso sono utilizzati dagli Stati per salvaguardare le compagnie di bandiera, come succedeva anche nel trasporto aereo.

La stessa Antitrust aveva bacchettato duramente lo scorso anno i sussidi che Caremar, la controllata di Tirrenia, riceveva per le tratte nel Golfo di Napoli. Gli oneri di servizio pubblico potrebbero avere un senso per i collegamenti invernali alle Lipari, ma certo non nel Golfo di Napoli, dove libere imprese private offrivano servizi di collegamento.

Lo Stato, tramite Tirrenia, ha dunque sovvenzionato una concorrenza sleale nei confronti degli armatori privati.

Le dichiarazioni di Giuseppe Caronia, segretario generale della UIL Trasporti non possono che sorprendere.

Concordo solo su una dichiarazione: “l’incapacità di quanti avrebbero altrimenti dovuto per tempo provvedere” che ha permesso “che la governance sia stata inadeguata, considerato che (Tirrenia) è rimasta nelle stesse mani per quasi 3 decenni”.

L’impresa non si è distinta per efficienza, dato che la conclusione di questa gestione è stata quella di portare i libri in tribunale, nonostante che, tra il 2005 e il 2009, Tirrenia abbia ricevuto oltre un miliardo di euro di sussidi e contributi.

Che la flotta sia tra le più giovani? Il dato riportato da Confitarma indica una situazione differente.

Oltrettutto, come segnalato nel focus, anche la flotta giovane ha dei problemi. A fine anni ’90, l’acquisto di quattro traghetti veloci, è stato un insuccesso totale. Queste imbarcazioni consumavano troppo, tanto che il management dopo un lustro circa ha deciso di fermarle nei porti italiani, piuttosto che farle solcare i mari italici.

Questi traghetti hanno un’etá inferiore alla media della flotta di Tirrenia, ma non brillano di particolare efficienza.

La soluzione è quella di licenziare tutti i dipendenti? Probabilmente si, ma permettere una loro reintegrazione nelle nuove imprese che nasceranno grazie al fallimento di Tirrenia o nei gruppi che acquisteranno le parti dell’azienda.

Si ricorda che la liberalizzazione del trasporto aereo, ha portato al fallimento di alcune compagnie di bandiera, tra le quali Alitalia, ma nonostante questo il mercato ha registrato un raddoppio del traffico in 10 anni, con evidenti benefici per il numero di occupati nel settore.

Spiace sentire dunque il segretario generale UIL Trasporti non discutere sulle proposte dell’IBL, ma di porsi sul piano dello scontro.

E spiace maggiormente che la vicenda Alitalia non abbia insegnato nulla.

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Tirrenia: l’Alitalia dei mari /2010/08/06/tirrenia-l%e2%80%99alitalia-dei-mari/ /2010/08/06/tirrenia-l%e2%80%99alitalia-dei-mari/#comments Fri, 06 Aug 2010 16:39:06 +0000 Andrea Giuricin /?p=6722 È morta Tirrenia? Fará la fine di Alitalia? Perché in Italia non sappiamo privatizzare?

Queste sono solo alcune delle domande che ci si potrebbe porre a pochi giorni dal fallimento della privatizzazione di Tirrenia.

L’Alitalia dei mari, che ha accumulato perdite per 20 anni pur ricevendo circa due miliardi di sussidi pubblici nello stesso periodo, rischia ora di fare la fine della compagnia aerea.

Come giustamente ricordava Oscar Giannino, non è assolutamente un caso che sia andata a finire cosi: una vera buffonata.

In principio dovevano essere 16 le possibili società interessate alla compagnia pubblica controllata da Fintecna. Poco a  poco si è arrivati ad una scrematura fino ad avere solo un pretendente, oltretutto a maggioranza pubblica (la Regione Sicilia).

Nonostante un contributo pubblico di 120 milioni di euro l’anno per 10 anni, neanche la Regione Sicilia è riuscita a trovare i fondi per non lasciare affondare  Tirrenia e forse questo è l’unico aspetto positivo di tutta la privatizzazione.

Se avesse vinto la cordata del “Mediterraneo”, l’unica certezza sarebbe stata quella che i contribuenti italiani avrebbero speso ancora piú soldi per mantenere in vita una società che non ha senso.

Non ha senso perché il trasporto navale dovrebbe essere pienamente liberalizzato e se si volesse lasciare un servizio universale, questo potrebbe essere garantito tramite un’asta pubblica per l’assegnazione delle rotte. Inoltre queste rotte, nel momento della decisione dell’ammontare del sussidio pubblico, dovrebbero tenere in considerazione gli altri mezzi di trasporto più efficienti. In alcuni casi, l’aereo potrebbe essere un ottimo sostituto del viaggio via nave.

Ma torniamo alle domande poste inizialmente.

Tirrenia non à ancora morta, ma difficilmente potrà continuare in questa situazione. Se nessuna azienda ha presentato un’offerta, è perché l’Alitalia dei mari ha un debito pesantissimo e un’efficienza nulla.

Il periodo estivo, il migliore per il settore navale, probabilmente allungherà l’agonia della compagnia navale di Stato, ma appena arriverà l’autunno, difficilmente si potrà evitare la bancarotta.

Si potrebbe ironicamente proporre la stessa data di morte di Alitalia, il 29 agosto. Si spera tuttavia che il Governo non proponga salvataggi degli imprenditori di Stato (come per Alitalia), perché altrimenti il contribuente italiano potrebbe trovarsi non solo a dover pagare il debito di Tirrenia (fatto ormai certo), ma anche le conseguenze di un’eventuale chiusura alla concorrenza.

Tirrenia molto probabilmente fará la fine di Alitalia.

L’ultima domanda è molto spinosa. In Italia non siamo stati molto brillanti nelle privatizzazioni. Questo non significa che si debba rinunciare a fare le privatizzazioni, ma che bisogna imparare a farle.

Il caso di Alitalia e Tirrenia portano in sintesi due insegnamenti generali. Il primo riguarda le imprese di Stato. Lo Stato non può, non deve e non è capace di gestire un’impresa. La concorrenza uccide le imprese di Stato perché sono troppo inefficienti.

Il secondo insegnamento è che in Italia si aspetta troppo a privatizzare. In questo modo si allunga l’agonia delle imprese statali, di solito con un enorme esborso di sussidi pubblici, e si arriva ad avere aziende senza alcun valore, decotte. Non trovando il coraggio di lasciare fallire queste imprese, lo Stato decide di lasciare il debito sulle spalle dei contribuenti.

Non ci si può poi lamentare del livello elevato delle tasse, finché questa logica prevarrà in Italia.

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Mercato aereo: la liberalizzazione necessaria /2010/07/22/mercato-aereo-la-liberalizzazione-necessaria/ /2010/07/22/mercato-aereo-la-liberalizzazione-necessaria/#comments Thu, 22 Jul 2010 18:44:32 +0000 Andrea Giuricin /?p=6617 Il cielo tra Europa e Stati Uniti d’America è in pieno fermento. Dopo l’entrata di Alitalia nella joint venture creata da Delta e AirFrance-KLM per i voli transatlantici, è l’ora dell’alleanza tra American Airlines, British Airways e Iberia. In realtà, la pèolitica europea dovrebbe capire cdhe aria tira e megttersi in testa ai processi: che significa solo finalmente aprire la porta a fusioni tra compagnie europee ed americane.

Le compagnie facenti parte di One World hanno deciso di approfondire l’alleanza e di seguire quanto era stato fatto in SkyTeam. Quest’ultima alleanza, con la leadership di AirFrance – KLM era stata la prima a decidere di creare una joint venture con la compagnia partner Delta per effettuare i voli tra USA ed Unione Europea.

L’obiettivo è quello di migliorare il coordinamento delle rotte e di effettuare risparmi di costo. I ricavi della nuova joint-venture sono ripartiti tra le compagnie e questo passo è molto importante per una nuova strategia delle compagnie full-service.

Questi vettori sono sempre più stretti tra la concorrenza delle compagnie low cost nel medio e breve raggio e la competizione di gruppi aerei sempre piú grandi. Gli shock esterni, che non hanno smesso di susseguirsi nel settore aereo, hanno dato impulso affinché i vettori tradizionali completassero un processo di fusione iniziato con il merger tra AirFrance e KLM.

Sono presenti altri fattori che stanno spingendo le alleanze sempre piú strette tra le grandi compagnie europee ed americane.

In primo luogo, la prima liberalizzazione, denominata “Open Sky”, completata nel marzo del 2008, ha aperto ad una piena competizione tra i vettori americani e quelli europei nelle rotte Atlantiche. Tale apertura dei cieli permette a qualunque compagnia, americana od europea, di compiere un tragitto tra un qualunque punto degli Stati Uniti d’America e Europa.

Tale accordo tuttavia vede la mancanza di un passo successivo. Attualmente le compagnie europee non possono assumere il controllo azionario di una compagnia americana e viceversa. Questo è il secondo pacchetto di liberalizzazione in discussione tra il Governo Americano e la Commissione Europea. Poche settimane fa, le due parti sono arrivate ad un accordo e hanno deciso che  l’obiettivo comune è quello che in futuro le compagnie americane ed europee possano comprarsi vicendevolmente.

Questo è certamente un passo in avanti, dopo che l’amministrazione Obama aveva bloccato l’ulteriore liberalizzazione per paura che le compagnie europee potessero prendere il controllo delle compagnie americane, riflettendo di fatto la posizione dei sindacati dei vettori statunitensi.

Rimane il dubbio che tale apertura del mercato possa rimanere solo sulla carta, poiché non è stata fissata alcuna data precisa della liberalizzazione.

La concorrenza tra le compagnie statunitensi ed americane si è rivelata efficace con una diminuzione dei prezzi dei biglietti aerei. Questa liberalizzazione ha dato impulso alle fusioni tra i vettori ed ad un approfondimento delle alleanze, con la creazione delle joint-venture nel mercato transatlantico.

È indubbio che in futuro, nel momento in cui saranno permesse le fusioni tra i vettori statunitensi ed europei, si creeranno grandi gruppi, non difformi da quelli che stanno nascendo nelle joint-venture.

Tali grandi compagnie si confronteranno in un mercato sempre piú globale, con la crescita delle compagnie asiatiche e di quelle medio-orientali, in grande sviluppo anche grazie ai sussidi dei Governi.

La joint-venture è la risposta piú intelligente che le compagnie possono dare in questo momento.

Se la politica non si rivelerà ottusa ed incline a seguire interessi particolari, dovrá permettere la fusione tra i vettori statunitensi ed europei.

Solo in questo modo questi grandi vettori potranno sopravvivere ad un mercato aereo sempre piú globalizzato.

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Perdite, ricapitalizzazioni e salvataggi di Alitalia /2010/06/12/perdite-ricapitalizzazioni-e-salvataggi-di-alitalia/ /2010/06/12/perdite-ricapitalizzazioni-e-salvataggi-di-alitalia/#comments Sat, 12 Jun 2010 10:09:56 +0000 Andrea Giuricin /?p=6254 Le ultime dichiarazioni di Roberto Colaninno, presidente di Alitalia, al Festival di Trento dell’Economia,  introducono parecchi punti interrogativi sul futuro della compagnia di bandiera. Il presidente del vettore non ha infatti escluso una ricapitalizzazione della compagnia a poco più di un anno dalla rinascita. Una ricapitalizzazione sembra quasi inevitabile, poiché la cassa vede disponibilità di 390 milioni di euro e le perdite annuali potrebbero avvicinarsi a questa cifra, se il mercato non dovesse riprendersi e il prezzo del petrolio calare.

Il trasporto aereo mondiale è previsto in recupero quest’anno, tanto che la IATA, che raggruppa il 95 per cento delle compagnie mondiali, prevede un beneficio a livello globale per oltre due miliardi e mezzo di dollari. Questo dato positivo non riguarda l’Europa, dove i vettori di bandiera probabilmente perderanno oltre due miliardi di euro nel corso del 2010.

Il biennio appena trascorso è stato il peggiore della storia nell’aviazione civile. Le perdite sono state superiori ai 20 miliardi di dollari a causa del prezzo del petrolio molto elevato e della crisi economica che ha colpito duramente il trasporto aereo.

Il costo del carburante ha raggiunto livelli elevatissimi a metà del 2008, quando il prezzo del “barile di greggio” aveva sfiorato i 150 dollari. Quest’aumento dei costi si è riversato sui conti delle compagnie non immediatamente, perché i vettori sono soliti coprirsi dal rischio dell’aumento del prezzo del carburante. È la ragione per la quale, se il picco del prezzo del petrolio si è avuto nel 2008, i conti delle compagnie hanno visto un profondo peggioramento nel 2009.

La crisi economica non ha solo colpito quasi tutte le compagnie aeree con una riduzione del numero di passeggeri trasportati, ma ha visto una riduzione del prezzo medio del biglietto. In generale lo yield, vale a dire il ricavo per posto chilometro venduto, è diminuito di oltre il 10 per cento, ma nel settore business la caduta è stata superiore al 20 per cento. Per questo motivo le compagnie tradizionali, che hanno quote di mercato superiore nel segmento business, hanno sofferto maggiormente dei vettori low cost.

In Europa, le due principali compagnie a basso costo, Ryanair ed Easyjet, hanno registrato una crescita del numero di passeggeri continua e nel 2009 entrambe hanno registrato un utile di bilancio. In particolare la compagnia irlandese guidata da Micheal O’Leary ha visto un beneficio di oltre 300 milioni di euro, mentre la britannica Easyjet ha avuto un utile di circa 40 milioni di sterline.

E Alitalia?

Il vettore nato a fine 2008 dalle ceneri della vecchia compagnia statale con la fusione di AirOne ha iniziato ad operare nel peggiore periodo dell’aviazione civile. Il 13 gennaio del 2009 è stato effettuato il primo volo della nuova compagnia ed ha subito dovuto scontrarsi con un mercato molto difficile.

Le perdite operative nel primo trimestre del 2009 sono state di 210 milioni di euro e nel corso del 2009 le perdite nette hanno raggiunto i 326 milioni di euro. Il risultato operativo è stato negativo per 274 milioni di euro, pari al 9,4 per cento dei ricavi totali, in percentuale superiore a quello registrato dalla compagnia statale nel 2007.

Questi dati sono certamente influenzati da un andamento del mercato in forte contrazione, ma non bisogna dimenticare che nel corso del 2009 la compagnia di bandiera aveva beneficiato di un elemento molto positivo. Alitalia aveva potuto fare le scorte di carburante quando il prezzo del petrolio ai minimi, cioè a 35 dollari al barile. Per tutto il resto dell’anno, il petrolio si è mantenuto sopra i 60/70 dollari ed anche per il 2010 la stima degli economisti prevede livelli di prezzo simili.

Queste scorte “a buon prezzo”, dovute alla data di nascita della compagnia, sono state un elemento non ricorrente nel 2009 e, nel 2010, il costo del carburante peggiorerà i conti di circa 300 milioni di euro.

Un altro dato interessante, forse proprio legato a ricavi non ricorrenti, è il dato dell’ultimo trimestre del 2009. I ricavi per passeggero sono stati superiori del 19 per cento rispetto alla media annuale, in un trimestre, il quarto, che normalmente non è particolarmente favorevole al trasporto aereo.

È sorprendente che per i primi tre trimestri del 2009 ogni passeggero pagava in media 132 euro per un biglietto, per poi spendere quasi 160 euro nell’ultimo trimestre, e scendere nel primo trimestre del 2010 ad un valore di 135 euro.

Queste cifre fanno supporre entrate straordinarie nell’ultimo trimestre dell’anno che di fatto avrebbero alleggerito i conti della compagnia aerea.

La situazione di Alitalia non è dunque facile, con il costo del carburante inevitabilmente in crescita.

I dati del primo trimestre del 2010 evidenziano un rapporto negativo tra perdite operative e ricavi, pari al 19,6 per cento; un dato estremamente negativo, pur essendo in un trimestre non favorevole al trasporto aereo.

La concorrenza delle low cost è sempre più forte in Italia e nel 2010. Ryanair quasi sicuramente, diventerà il primo operatore sul territorio italiano con oltre il 20 per cento della quota di mercato superando anche Alitalia.

Una ricapitalizzazione sembra quasi inevitabile, poiché la cassa vede disponibilità di 390 milioni di euro e le perdite annuali potrebbero avvicinarsi a questa cifra, se il mercato non dovesse riprendersi e il prezzo del petrolio calare.

A quel punto, i soci di AirFrance-KLM, potrebbero ritrovarsi con la possibilità di crescere nell’azionariato della compagnia aerea, anche se il management di Alitalia smentisce questa ipotesi.

La stessa compagnia francese, la seconda in Europa, ha registrato nel 2009 perdite per oltre 1,5 miliardi di euro ed è il vettore che più sta soffrendo la crisi del trasporto aereo.

Nonostante queste difficoltà, il gruppo franco-olandese, potrebbe decidere di aumentare la sua quota in Alitalia, anche perché il mercato italiano ha buone possibilità di sviluppo e AirFrance-KLM ha la necessità di crescere in Europa.

Il processo di fusione tra i vettori tradizionali è inevitabile e proprio i francesi avevano iniziato nel 2004 con il merger con KLM. Lufthansa ha acquistato nell’ultimo biennio tre compagnie aeree, tra le quali Austrian Airlines, mentre British Airways ed Iberia stanno dando vita alla terza compagnia europea. È difficile che il gruppo franco-olandese non cresca in Alitalia, se dovesse capitare l’occasione.

L’altra ipotesi, molto peggiore, è quella i francesi non vogliano/possano crescere in Alitalia e dunque vi sia la necessità di un intervento statale per la compagnia, magari con l’entrata di Cassa Depositi e Prestiti.

Se così fosse, dopo avere bruciato 4 miliardi di euro nella gestione pubblica Alitalia nel decennio 1998-2008, aver gettato 3 miliardi per il rilancio della nuova Alitalia e aver ristretto la concorrenza nel trasporto aereo con la legge “SalvaAlitalia”, un altro intervento pubblico, sarebbe l’ennesima sconfitta dello Stato imprenditore.

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