Archivio

Posts Tagged ‘tasse’

Breaking News. Dario Franceschini copia l’IBL sul clima?

7 luglio 2009

Dario Franceschini, segretario uscente del Partito Democratico e candidato alla segreteria del maggiore partito dell’opposizione, affida al Sole 24 Ore una serie di riflessioni sul tema della green economy. Franceschini scrive una serie di vuote cose retoriche e qualche sciocchezza, ma sembra una regola universale quella secondo cui ogni politico che si occupi di ambiente abbia diritto alla sua “fair share” di cazzate. Sono però piacevolmente stupito dal seguente passaggio:

Dobbiamo avviare una riforma fiscale che, con gradualità ma anche determinazione, alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese, e sposti il peso sullo spreco di materie prime e sulle produzioni più inquinanti.

Non sono sicuro che Franceschini intenda veramente quello che scrive, o che ne colga integralmente le conseguenze. In pratica, quello di cui egli parla è la “revenue-neutral carbon tax”, una proposta condivisa da molti economisti mainstream e di cui, per quel che ne so, in Italia ci siamo occupati solo noi dell’IBL (PDF).

Prosegui la lettura…

Carlo Stagnaro energia , , , , , ,

Oppressione fiscale: l’Italia batte tutti

1 luglio 2009

Aggiornamenti sull’emergenza vera, della competitività italiana: quella fiscale. Quella cioè che prima di tutte si potrebbe risolvere, a patto di decisioni energiche, visto che per il ritardo infrastrutturale e il gap energetico i tempi sono necessariamente lunghi, quand’anche intervenisse un Licurgo. Un nuovo studio comparato fresco fresco di pubblicazione attribuisce all’Italia la poco onorabile palma di Paese in testa alla graduatoria dell’oppressione fiscale mondiale. Il governo farebbe meglio a leggerlo. Ma anche Confindustria.  Perché credere che la caduta di gettito figlia della contrazione economica condanni all’inerzia delle aliquote - vista la fame di nuova spesa pubblica - significa solo contribuire aggiuntivamente alla caduta del PIL. Prosegui la lettura…

Oscar Giannino Senza categoria , ,

Che pessima Francia

30 giugno 2009

Due notizie a conferma che lo statalismo fa sempre danno. Leggete qui la minaccia dell’ex monopolista telefonico alla decisione dell’Arcep, l’Agcom d’Oltralpe, di consentire anche ai suoi concorrenti di stendere fibra ottica per offrire banda larga alle abitazioni dei francesi. Semplicemente e brutalmente:  France Telecom fa sapere che quand’è così lei rinuncia ai suoi 4 miliardi di euro di investimenti, e che il governo si aggiusti, se intende lasciar spazio alla concorrenza. Gli ex monopolisti hanno vizi eguali. vedremo quale sarà la risposta a Parigi, da noi per il momento di banda larga, semplicemente, dopo qualche confronto sul rapporto Caio non si parla più.

Seconda notizia.   Leggete qui. Il premier Fillon non ha il fegato di bocciare apertamente l’idea bonapartista lanciata dal presidente Sarkozy, convocando i due rami del Parlamento a Versailles, e cioè il prestito nazionale obbligatorio anti-crisi che fa tanto “sostegno patriottico” e insieme deve però pagare tassi più elevati di quelli di mercato, per non essere un esproprio o una tassa aggiuntiva. Fillon si limita a dire che non sarà “obbligatorio”, appunto.  Bene: in quel caso i tassi offerti dovrebbero essere ancora maggiori, di conseguenza. E’ l’idea in sé a essere sbagliata, stampella di echi bellici quando l’unica guerra santa da fare è all’eccesso di spesa pubblica e tassazione.

Oscar Giannino Senza categoria , , ,

Ancora su Germania e tasse

30 giugno 2009

L’interessante discussione sviluppatasi a seguito del mio post sulle manovre economiche in Germania mi ha fornito lo spunto per risistemare il quadro concettuale; questo anche a seguito della sponda odierna di Oscar Giannino. La conclusione la trovate qui e non è dissimile da quella sostenuta su queste colonne nella giornata di ieri.

Giovanni Boggero liberismo, mercato , , , ,

Sant’Angela Merkel abbassa le tasse, lei

29 giugno 2009

I media tedeschi hanno avuto una reazione complessivamente tra l’esplicitamente negativo e il dichiaratamente scettico, alla decisione assunta ieri dallo stato maggiore della Cdu e della Csu insieme al cancelliere Angela Merkel: in vista delle consultazioni del prossimo settembre, porre al centro del manifesto elettorale - da approvarsi dai congressi delle due formazioni prima del voto - l’esplicito impegno a un deciso taglio alle imposte per l’ammontare di 15 miliardi di euro. Non è un granché - metà della nostra Irap che penso dovrebbe sparire con il federalismo fiscale se il governo italiano attuale davvero pensasse a una riforma per la crescita. Ma è comunque un impegno che merita di esser salutato con evviva espliciti, da parte di chi la pensa come noi. I tempi sono quelli che sono, ed è per questo che la stessa FAZ, che certo non tifa a sinistra, oggi scrive che sarebbe più prudente evitare annunci consimili, visto che già alle ultime elezioni la Merkel perse una barca di voti dovendosi rimangiare all’ultimo momento le promesse di taglio alle tasse (si era addirittura per qualche giorno parlato di un’ipotesi di flat tax, prima che il professor Kirchhof venisse travolto).

La stampa moderata tedesca - ma sarebbe esattamente la stessa cosa anche da noi - fa notare che è da irresponsabili promettere tagli alle tasse, con un deficit federale che al 2010 in previsione è raddoppiato rispetto a sei mesi fa, schizzando oltre gli 85 miliardi di euro. Il punto è che se non si abbassano le tasse non si taglieranno mai le spese, ed è questo il mantra che noi poveri quattro gatti offertisti dobbiamo essere disposti a ripetere sino alla noia. Anche in Italia, dove l’unica preoccupazione dell’attuale governo è diventata perdere il meno possibile del gettito ereditato da Visco e Padoa-Schioppa, al netto di ICI, detassazione investimenti e poco altro. Faccio presente che in Francia l’Iva sugli esercizi commerciali e turistici scende dal 19,5 al 5,6%, questa settimana: auguri ai vessati concorrenti italiani…..

Oscar Giannino Senza categoria

Germania: modello in crisi?

28 giugno 2009

Ormai da tempo si rimprovera alla Germania di essere stata troppo cauta e prudente nello slacciare i cordoni della borsa, senza aver approfittato della crisi per espandere il deficit a sostegno dei consumi. Critiche di questo tipo, rivolte non da ultimo anche dal premio Nobel Paul Krugman, si inseriscono nel più ampio dibattito sul cosiddetto Modell Deutschland. Da una decina d’anni la Repubblica federale sembra infatti aver trovato il proprio Sonderweg nell’export, mentre la sua domanda interna ha continuato inesorabilmente a stagnare. Molti economisti individuano nel meccanicismo della teoria dell’equivalenza ricardiana la spiegazione razionale a consumi tanto asfittici.

“I tedeschi non sono convinti che riduzioni di imposte o trasferimenti sociali più elevati aiutino più di tanto i consumi. È un fatto che i consumi privati si sono ridotti proprio quando la Germania aveva un deficit superiore al 3 per cento. Il fatto di trovarsi sotto procedura europea ha stimolato il risparmio cautelativo” (Antonio Pollio Salimbeni)

Può essere che ciò sia in parte vero. Nulla va apoditticamente escluso. In realtà non si deve dimenticare che corposi tagli di tasse in Germania non si vedono da decenni, che ad aver soffocato la pulsione all’acquisto ci ha pensato anche l’aumento dell’IVA dal 16 al 19% voluto dalla grande coalizione ad inizio legislatura e che il determinismo del moltiplicatore del reddito fa gola a chi vuole risposte semplici ed immediate da propinare agli elettori… In ultimo qualche dato. La Germania non rientrerà sotto quota 3% del rapporto deficit/Pil prima del 2014 (questo, secondo le stime più ottimistiche del Finanzministerium). Quella del pareggio di bilancio è insomma la più grande promessa mancata dell’esecutivo rosso-nero. Il Ministro delle Finanze Steinbrück, un Visco in salsa teutonica, si è prima reso responsabile di un considerevole aumento delle imposte e poi, messo alle strette, ha dovuto mollare gli ormeggi, sacrificando il mantra del “Pareggiamo i conti!” a pacchetti congiunturali da miliardi di euro. Senza dimenticare che in questi anni, la spesa pubblica tedesca non è mai calata. Si mettano a confronto i dati del 2005 con quelli del 2009. La Germania è stata il paese del tassa e spendi. E oggi può vantare anche un altro primato: il più alto debito pubblico dal dopoguerra. Che fare? La ricetta che alcuni economisti liberal sembrano proporre è: rilanciare la domanda interna a suon di stimoli evitando il “paradosso del risparmio”, prelevare i soldi dalle tasche dei ricchi e nel frattempo costringere ad abbandonare la via delle delocalizzazioni “selvagge e predatorie”. L’idea non è nuova. Sta nel programma di Die Linke.

Giovanni Boggero liberismo, mercato , , , , ,

Fisco ed innovazione

22 giugno 2009

Ho assistito oggi al ricco evento con cui Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici ed Economia Reale hanno presentato il Primo rapporto sul sistema della fiscalità del settore servizi innovativi e tecnologici. Il rapporto è il frutto di un lavoro meritorio, che punta certamente a rappresentare le esigenze di un settore significativo della nostra economia, ma suggerisce allo stesso tempo dei ragionamenti di più largo respiro sul rapporto tra prelievo tributario, da un lato, ed innovazione e crescita economica, dall’altro.

A questo proposito, mi piace appuntare per i lettori di Chicago Blog la riflessione introduttiva di Pietro Guindani - supervisore del rapporto -, dedicata agli «otto principi del fisco che vorremmo»:

  1. il fisco non può essere socio di maggioranza;
  2. il fisco non può penalizzare l’innovazione;
  3. il fisco deve incoraggiare l’accumulazione di capitale, a cominciare da quello immateriale;
  4. il fisco deve sostenere il superamento della crisi economica;
  5. il fisco non deve distorcere la concorrenza;
  6. il fisco deve incentivare la digitalizzazione;
  7. il fisco dev’essere semplice ed equo;
  8. il fisco dev’essere prevedibile.

Mi pare si possa convenire sul fatto che l’accoglimento di tali prescrizioni - peraltro felicemente assonanti con gli otto principi della moralità interna del diritto di Lon Fuller - rappresenterebbe una felice opzione di civiltà tributaria e, di per sé, un’innovazione considerevole.

Massimiliano Trovato liberismo, mercato, telecomunicazioni , , , , , , ,

Garton Ash ha torto, i socialisti sbagliano

22 giugno 2009

Ma siamo davvero tutti “condannati” alla socialdemocrazia? Non lo credo affatto. Lo storico oxoniano Timothy Garton Ash sbagliava a firmare appelli sull’Iraq insieme ad Habermas e Derrida, sbaglia oggi sullo Spiegel a descrivere un’Europa e un mondo intero in cui, in realtà, non ci sarebbe alternativa a essere socialdemocratici, e tutti i degni di salvezza sono in realtà solo socialdemocratici, a prescindere dal nome e dal colore che si danno. Qui le sue tesi. Oltretutto, se si va dritti al cuore della questione economico-finanziaria, identificare nei massicci aiuti di Stato e nell’energico quantitative easing praticato da Fed e BoE - meno dalla BCE - la via obbligata alla socialdemocratizzazione obbligata della politica economica è tecnicamente sbagliato, a mio modo di vedere. Mentre hanno ragione i critici di entrambe le politiche - quelle economiche e monetarie - di formazione friedmaniana, come Tim Congdon del FMI.

Posso comprendere l’entusiasmo di Garton Ash innanzi a un Obama che viene giudicato come un socialdemocratico europeo, e su questo in effetti concordo. Ma che in Europa i conservatori di Cameron siano in realtà socialisti, e che la stessa cosa valga in Germania per Cdu e Csu, credo sia un errore assoluto. Non ho molta considerazione per i green tories di Cameron, la cui svolta affonda le radici in anni ormai alle nostre spalle, quando il problema dei conservatori era riuscire a identificare finalmente un leader che durasse più di 18 mesi, e che apparisse credibile di fronte alle politiche mercatiste di Tony Blair. Dire che sono laburisti al più vorrebbe dire tornare appunto a Blair, che oggi non avrebbe certo praticato la svolta statalista del socialista per davvero da sempre, Gordon Brown. Non mi risulta, per altro, che Cameron sia filoeuropeista, anzi alle europee ha fatto campagna proponendo un referendum sul trattato di Lisbona anche nel Regno Unito. Quanto alla Germania, resto convinto che le nazionalizzazioni e i salvataggi di Stato con la Spd al potere sarebbero stati assai maggiori. Quanto all’Italia, la natura “sociale” - ex democristiana e socialista, in altre parole - del PdL è sicuramente molto forte. Che sia la stessa minestra di Visco e Prodi, però, non  mi pare proprio.

Più interessanti le critiche al quantitative easing, che in Italia non trovano alcuna eco.  I friedmaniani non criticano affatto i massicci acquisti di asset praticati dalle banche centrali anglosassoni, poiché attuano le critiche alla Fed degli anni Trenta argomentate nella famosa storia della politica monetaria americana scritta appunto da Milton Friedman e Anna Schwarz.  Criticano il fatto che essi non vengano praticati magari anche più massicciamente, ma in presenza di una politica economica fatta di decisi tagli alle tasse e alla spesa pubblica. Perché solo questa potrebbe fronteggiare al meglio il terribile output gap che continua a gravare sulle economie avanzate. Oggi esso è pari a più di 7 punti percentuali negli Usa. La revisione al ribasso della crescita rilasciata oggi dalla World Bank si basa su una stima dell’utilizzo del potenziale economico da minimo storico, pari al 68% negli Usa e al 60% nel mondo. E dichiara che, in tali condizioni, il rischio deflazione da crisi dei salari e occupati resta all’ordine del giorno. Tanto è vero che per questo il quantitative easing non morde: il moltiplicatore monetario è sceso in aprile a 0,893, rispetto alla media storica pari a 1,6 nell’ultimo decennio: il che significa che per il momento non c’è proprio verso di velocizzare la moneta nell’economia reale, neanche con le politiche monetarie innovative che non impensieriscono affatto i conservatori, perché non sono affatto socialiste.  Sono le politiche economiche socialiste - alta spesa, alte tasse - oggi più che mai il peggior nemico.  Non averlo capito ha portato il Giappone a languire per 12 anni. E noi, in testa come siamo alla pressione fiscale e contributiva sul lavoro e quarti in Europa per quella sulle imprese, lo capiremo mai?

Oscar Giannino Senza categoria , ,

Concorrenza bene, tasse male

19 giugno 2009

Elettricità e gas in Italia sono più care che in Europa. Lo rivela un’indagine di Altroconsumo, i cui risultati sono stati anticipati oggi da Repubblica. L’aspetto interessante - e non scontato, vista la fonte - sta nel fatto che il “delta” di prezzo non viene ricondotto, come normalmente fanno le associazioni dei consumatori, alla cattiveria delle imprese, e neppure, come fanno molti esperti di energia, al destino cinico e baro che ci ha imposto un mix di generazione anomalo (quest’ultimo punto è reale, in verità, ma a mio avviso secondario). La principale ragione, secondo gli autori, e questo vale principalmente per il metano, sta nel carico fiscale, che “schiaccia” la quota di prezzo attribuibile alle dinamiche di mercato. A fronte di questo, e ciò vale soprattutto per l’elettrico, l’unico strumento reale di autodifesa dei consumatori sta nella pluralità di offerte rese possibili dalla liberalizzazione, ormai pienamente operativa a tutti i livelli seppure non senza criticità (come abbiamo evidenziato nell’Indice delle liberalizzazioni). Il problema, allora, sta nel fatto che non sempre i consumatori sono in possesso di tutte le informazioni necessarie a fare la scelta più conveniente, e spesso neppure sanno di poter effettuare questa scelta. Oltre a questo, è proprio la “strozzatura” fiscale a rendere apparentemente meno attraente la libertà di mercato, perché ha l’effetto di livellare (verso l’alto) i prezzi e ridurre l’entità percentuale dei risparmi sulla spesa annuale per luce e gas. Se il governo vuole andare incontro ai consumatori, in un momento di particolare difficoltà dovuta alla crisi, nell’indagine di Altroconsumo trova tutte le indicazioni necessarie a fare la cosa giusta.

Carlo Stagnaro energia, mercato , , , ,

The Case against Class-Warfare Tax Policy

19 giugno 2009
CHICAGOpodcast
In allestimento
clicca qui per l'archivio dei podcast