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Posts Tagged ‘mario monti’

Mi ricordo Monti verdi…

14 giugno 2009

Come spesso accade, Mario Monti nella sua enciclica domenicale muove da una dato incontestabile, ne deduce una conseguenza sulfurea e giunge a una conclusione rispetto alla quale l’unico atteggiamento corretto è l’esorcismo. Per il rais dell’Università Bocconi, la vittoria dei verdi in gran parte dei paesi europei - e in particolare nella Francia di Daniel Cohn-Bendit - dimostra la rinata “domanda di Europa” e, segnatamente, di “un’Europa che protegga, che non ostacoli troppo gli Stati che proteggono i loro cittadini e le loro imprese, anche all’interno della stessa Ue”. La risposta politica a questa domanda, che per Monti è stata finora interpretata soprattutto da formazioni di destra e più o meno euroscettiche, consiste, paradossalmente, nel tradimento di quello che fu e in qualche misura ancora è lo spirito autentico dell’unficazione: “consentire, da parte della Ue, che ogni Stato si occupi delle istanze sociali senza riguardo all’apertura rispetto al resto della Ue, anche in violazione delle regole del mercato unico”. Questo tipo di risposta Monti la condanna, giustamente. In contrasto, egli propone di estendere l’integrazione “ad aspetti, come il coordinamento della fiscalità. che permettano agli Stati di dare grande attenzione al sociale pur rispettando il mercato unico”. Sarà sicuramente un mio limite, ma non vedo grande differenza: mi pare, semmai, un modo di evitare la contrapposizione tra i protezionismi nazionali e l’ “aperturismo” comunitario sacrificando quest’ultimo, e facendo dell’Ue un mega-Stato che, anziché superare le vecchie logiche, le adotta e ne moltiplica gli effetti. Tra parentesi, a me pare abbastanza ovvio che l’ “onda verde” non sia tanto il frutto di una tardiva conversione degli europei all’ecologismo sulla spinta della crisi, quanto piuttosto l’equivalente (mutatis mutandis) del voto italiano all’Italia dei Valori: è un modo di incanalare la protesta contro i partiti della sinistra senza confluire né nel voto di destra, né nell’astensionismo. Il problema è che le attuali politiche ambientali europee, che pure rispondono da tanti punti di vista alla sensibilità di Monti e di quelli come lui, finiranno per gravare l’economia europea di una zavorra che potrebbe farsi insostenibile, con buona pace della competitività e infine dello stesso sociale. Come si può pensare di costruire un welfare state efficiente, ammesso che sia possibile e utile, in un contesto di declino economico, nel quale la platea dei beneficiari netti dello Stato sociale è destinata a crescere come risultato del combinato disposto tra la crisi e le politiche anti-crescita da un lato, dall’altro della rinuncia a perseguire una autentica integrazione dei mercati? Da questo punto di vista, la vittoria dei verdi è un fallimento dell’europeismo vero: se davvero Bruxelles seguirà la strada indicata da Monti, ed è ben possibile, lo spazio politico comunitario comprimerà sempre più il mercato. Del sogno europeo, ci resterà solo la burocrazia.

Carlo Stagnaro liberismo, mercato , , ,

Monti per e diviso Tre

9 giugno 2009

Sul Sole 24 Ore di oggi, due anticipazioni dal prossimo Aspenia: Giulio Tremonti e Mario Monti, un tempo avversari ora sostanzialmente sulle stesse latitudini. Quale dei due sia finito per convergere sulle posizioni dell’altro, è ovvio e cosa non imprevedibile per chi li guardi con attenzione, anche se di lontano. Già Commissario a Bruxelles, per il Presidente della Bocconi l’europeismo è un valore irrinunciabile. Ciò a cui invece si può tranquillamente rinunciare è l’Europa. L’Europa intesa non come macchina burocratica, ma come esperienza storica fondata sul pluralismo, sul gusto della libertà nella sperimentazione istituzionale, sui principi del mercato. Fra l’Europa di Adam Smith e l’Europa di Colbert, Monti ha una preferenza costante: gli sta bene l’Europa che ha più probabilità di vincere, in un particolare momento nel tempo. “Mercato quando possibile, Stato quando necessario” è slogan tre-montiano montianamente adattabile in pluralismo quando possibile, armonizzazione quando necessario, libertà quando possibile, schiavitù quando necessario, eccetera, in un’orgia di atteggiamenti pseudo-pragmatici che trovano in quella che ci viene ancora dipinta come l’illusione generosa della generazione post-bellica: l’europeismo, un’utile foglia di fico. Non si riesce in altro modo a commentare affermazioni come la seguente:

L’Unione è stata costruita come soggetto d’integrazione fondato su uno zoccolo duro, che è appunto l’integrazione di mercato. Oggi, però, l’economia di mercato versa in una grave crisi, una crisi di sistema e globale. Allora ci si deve porre una domanda: potrà andare avanti la costruzione europea, visto che è fondata su un sistema in crisi?

Detto altrimenti, franza o spagna purché se magna, mercato o Stato purché Europeo. La quadratura del cerchio sarebbe quella “economia sociale di mercato” che avrà tanti difetti, ma che - difendiamo i “cugini che sbagliano” Roepke etc - non era mica la schifezza di cui parla Monti. Per il quale “economia sociale di mercato” è semplicemente sinonimo di social-democrazia. Una social-democrazia per giunta rafforzata da un controllo “fiscale” internazionale, che sgomini i paradisi fiscali. Perché? L’ex Commissario alla concorrenza dimostra una volta di più quello che da queste parti si è sempre sospettato. Cioè di credere nelle virtù della concorrenza talmente poco, da voler sottrarre alla concorrenza la produzione di beni pubblici in capo agli Stati, e il momento in cui per quei “beni pubblici” si è costretti volenti o nolenti a pagare: il prelievo fiscale.

Avere affrontato il tema dei paradisi fiscali in sede di G-20 è stata certamente un’opera meritoria e importante. Ma iniziative utili per combattere l’evasione fiscale sono insufficienti per contrstare l’elusione legale. La realtà, infatti, è che ciascuno dei paesi dell’Unione Europea, o del G-20, funziona per certi versi da paradiso fiscale per i residenti degli altri.

Poche righe più in là Monti chiarisce da dove gli venga il sogno sotteso a frasi terrificanti come queste, che auspicano di fatto la fine della concorrenza istituzionale in Europa, che poi significherebbe l’eclissi della parte più positiva del processo di unificazione, quella legata alle libertà di movimento: che senso ha potersi muovere, se ovunque vado il panorama è sempre quello? Il sogno di questa orwelliana piallatura delle differenze gli viene dal fatto che negli anni scorsi le “economie sociali di mercato” hanno dovuto - purtroppo! - “avvicinarsi alle economie anglosassoni” (dove Monti è bizzarramente convinto che lo Stato sociale non esista, ignorando che, ahinoi, si potrebbe semmai sostenere che proprio nelle economie anglosassoni è stato inventato…), più parche nei prelievi e generalmente per questo capaci di attrarre capitali e fare crescere più rigogliose le proprie imprese. Insomma, la concorrenza istituzionale fa male perché ci obbligherebbe ad abbandonare il nostro “modello sociale”. Tesi che avete già letta nel libro del Monti moltiplicato per tre. Il quale se non altro è intellettualmente abbastanza sincero e schietto da non voler contrabbandare la rivolta contro la concorrenza fra ordinamenti (perché che la concorrenza fra ordinamenti si combatta coi dazi o con un coordinamento fiscale o normativo internazionale, è questione di mezzi ma non di fini, che sono identici) come una “difesa” del mercato unico europeo. Difesa da che? Dai principi sui quali esso stesso è stato fondato?

Consiglio vivamente la lettura di tutto l’articolo di Monti. A suo modo, è esemplare. Raramente infatti si hanno esiti più deludenti di quando un intellettuale scalpita per fare il politico, o di quando un politico gioca a fare l’intellettuale. Monti unisce le inadeguatezze dell’intellettuale che ambisce a fare politica, cosa che originariamente era, a quelle del politico che scalpita per darsi un tono da intellettuale, cosa che ora è.  Coerentemente con un profilo molto diffuso nelle nostri classi dirigenti. Il centauro con le gambe d’uomo e la testa del cavallo.

Alberto Mingardi liberismo , ,

Leggere l’Economist a via Solferino

10 maggio 2009

L’Economist di questa settimana si conquista una citazione nell’editoriale domenicale del Corriere, entusiasta del “sovvertimento causato dalla crisi nella gerarchia tra i sistemi economico-sociali in Europa” che il giornale diretto da John Micklethwait racconta con una cover accattivante. Se l’illuminato editorialista avesse letto anche l’editoriale dell’Economist, e non si fosse limitato a guardare la copertina, avrebbe “scoperto” che la posizione del settimanale britannico e’ un po’ piu’ complessa (e diversa da quella di chi e’ pronto a invocare la “colbertizzazione” dell’Europa, col paradossale argomento che si tratta dell’unico modo possibile per salvare il mercato unico!). Rispetto a quel “sovvertimento”, l’Economist scrive infatti:

But will it last? The strengths that have made parts of continental Europe relatively resilient in recession could quickly emerge as weaknesses in a recovery. For there is a price to pay for more security and greater job protection: a slowness to adjust and innovate that means, in the long run, less growth. The rules against firing that stave off sharp rises in unemployment may mean that fewer jobs are created in new industries. Those generous welfare states that preserve people’s incomes tend to blunt incentives to take new work. That large state, which helps to sustain demand in hard times, becomes a drag on dynamic new firms when growth resumes. The latest forecasts are that the United States and Britain could rebound from recession faster than most of continental Europe.

Individual countries have specific failings of their own. (…) It may not be long before the fickle Mr Sarkozy is re-reading his Adam Smith.

Al di la’ delle letture da consigliare a Sarkozy, o ai suoi epigoni “corrieristi”, l’Economist di questa settimana contiene un articolo molto interessante ed equilibrato sull’eredita’ della signora Thatcher, oggetto di dibattito sul Financial Times ed altrove. Lo trovate qui. Le tesi di rilievo sono due. La prima e’ che, a dispetto del breve termine, proprio gli interventi emergenziali degli ultimi mesi pongono le basi del successo di una prospettiva thatcheriana, basata su una “stringente disciplina economica”, nel medio e lungo termine. L’altra e’ che se ora vi e’ un “ritorno dello Stato” in alcuni ambiti,  nondimeno l’apertura a soluzioni privatistiche in altri ambiti, nemmeno sfiorati dall’opera della Lady di Ferro (i servizi alla persona, per esempio), e’ ormai parte a pieno titolo del dibattito politico e non se ne puo’ indovinare a breve la scomparsa. Anche perche’ i nuovi pesi che gravano sulle finanze pubbliche potrebbero costringere ad altre, per ora imprevedibili, esternalizzazioni e privatizzazioni.

Alberto Mingardi liberismo , , , ,