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Posts Tagged ‘Geithner’

Stress test, scusate ma non ci siamo

7 maggio 2009

Da settimane, mi chiedevo se fossi io ipercritico come sempre, a pensare un gran male degli stress test avviati su impulso di Obama dai regolatori bancari americani sui 19 maggiori istituti nazionali, quelli con asset superiori ciascuno a 100 miliardi di dollari. Stamane ho letto l’editoriale del New York Times firmato dal segretario al Tesoro Tim Geithner, e prima ancora di quanto nel pomeriggio ha aggiunto Ben Benrnanke sulla necessità di adotare una svolta energica ne criteri di vigilanza sull’intermediazione finanziaria Usa - a quando proposte concrete, però? sono mesi che si susseguono solo annunci di principio - mi son deciso a scrivervi perché son così critico. Meglio mettere nero su bianco prima che, tra poche ore, vengano annunciati in dettaglio i risultati. Anche perché così mi assumo il rischio preventivo, di affermare che se le ricapitalizzazioni complessive considerate necessarie fossero di un ordine inferiore ai 250 miliardi di dollari, allora saremmo davvero in presenza di un’operazione poco più che propagandistica, della quale conta più lo scopo di rianimare corsi e mercati, che la presunta “pulizia una volta per tutte”.
Sintetizzo considerazioni che necessiterebbero di ben altro approfondimento tecnico: ma è anche per assecondare la giusta generale richiesta di scrivere post meno chilometrici. Primo: 180 ispettori dei quattro diversi regolatori federali competenti hanno avuto 8 settimane per vagliare balance sheets di 19 istituti. Non ci prendiamo per i fondelli: chiunque abbia un’ìdea sia pur vaga dell’ammontare di operazioni e del tempo necessario a vagliare gli asset patrimoniali e impieghi di portafoglio di una banca di quella taglia sa che, in otto settimane, 180 ispettori avrebbero potuto compiere un esame di profondità e accuratezza accettabile solo per due o tre, di quelle banche. Secondo: il criterio seguito. Infatti, in NESSUNA grande banca è stata compiuta l’equivalente di un’ispezione ordinaria o straordinaria di vigilanza di quelle disposte dalla nostra Bankitalia. Si sono seguiti i modelli VAR elaborati da ciascuna banca, e gli ispettori hanno effettuato verifiche del total capital e common stock (secondo criteri di tangible equity) commisurato a worst case dei mercati, NON alla seria riponderazione per esempio del rischio di controparte almeno di ciascuna classe di asset, se proprio non vogliamo dire di ciascun asset detenuto. Dopo un anno di chiacchiere sui derivati, mi sembra pazzesco. Terzo: la negoziazione. Come non bastasse, da quel poco di ufficiale che è trapelato (l’ordinanza dispositiva iniziale della Fed in materia di stress test è stato uno dei peggiori esempi di mancanza di trasparenza e dettaglio che abbia mai visto, fin dall’inizio era evidiente che lo scopo era quello fiduciario più che di pulizia), ciascuna banca è stata posta in condizioni di negoziare con Tesoro e regolatori le risultanze finali dell’esame, nella più assoluta riservatezza (anche se non sono disposto a scommettere che non assisteremo nei prossimi giorni a massicce spifferate ai media).
Conclusione, allo stato degli atti e prima di conoscere in dettaglio i risultati. Mi sembra che abbia ragione Alex Pollock dell’AEI: se si tiene conto che anche i mutui subprime ancora in portafoglio hanno ottenuto un rating positivo negli stress test, è evidente che l’obiettivo era solo quello di rialimentare fiducia. Questi stress test bancari non sostituiscono affatto una vigilanza ordinaria esercitata su ben più adeguati (e anticiclici) criteri di capital adequacy, perché solo la vigilanza ordinaria può computare il variare degli andamenti di mercato e degli asset, mentre qui ci si spaccerà per mesi se non per anni che gli stress test hanno definitivamente risolto il problema. Solo che per una più adeguata vigilanza ordinaria bisognerebbe appunto che politica e regolatori Usa uscisseo dai generici proclami di principio (tipo quello di Bernanke di oggi), e mettessero in consultazione nella business community prima dell’adozione nuove tavole della legge su come calcolare il patrimonio di vigilanza e come uscire dal VAR “autogestito”, tipico del sistema bancario Usa. Sbaglierò, ma penso che il sistema delle grandi banche americane pensi ormai più che altro a esercitare il potere di emrcato che gli deriva dal fatto che alcuni grandi concorrenti sono spariti o hanno cambiato mestiere. E se gli aumenti di capitale privato di cui leggeremo l’annuncio stanotte nei possimi sei mesi dovessero andare inoptati, e lo Stato entrare nel capitale delle banche convertendo in azioni ordinarie i prestiti convertibili pubblici, andremmo di male in peggio.

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,

Red Obama e il rischio bancario

2 maggio 2009

Sull’auto Obama può fare “il rosso”, perché da sempre la storia dei tre grandi produttori automobilistici Usa è fatta di grandi collusioni tra politica e sindacato. In Chrysler, paradossalmente, attribuire la maggioranza ai sindacati poteva essere una mossa favorita dal fatto che Cerberus, l’azionista di maggioranza sino a ieri, aveva fatto efficienza con grande energia negli ultimi tre anni. Al punto tale che il fondo si è trovato nella singolare condizione di aver pagato pegno, per la troppo puntuale osservanza degli impegni di rientro del debito: avremmo fatto meglio a non restituire miliardi di dollari ai creditori negli ultimi due anni, è stata l’amara battuta finale venuta da Cerberus prima di mandare le carte al Tribunale per il chapter 11. Il che la dice lunga su quali norme prendano automaticamente piede: quando Stato e sindacati la fanno da padrone, ai creditori privati non resta che prendere atto che si entra in una fase di vera e propria sospensione del codice civile. I tre fondi indicati all’esecrazione mondiale da Obama - sui quali è già intervenuto Alberto Mingardi stamane - hanno il torto insopportabile di pretendere che appunto valga il codice civile americano, il quale assegna ai creditori privati la garanzia degli asset societari, e dunque loro non vedono il perché debbano accontentarsi di 29 cents per dollaro prestato, quando il sindacato che dal codice civile non ha garanzie “reali” si vede locupletato del 55% della società… Un errore imperdonabile, credere che in tempi di revanscismo statal-socialista valgano le garanzie ordinarie di legge a proprietari e prestatori…
Già in General Motors, dalla prossima settimana, non si sa quanto un eventuale analogo schema possa funzionare. Perchè GM, a differenza di Chyrsler, il più dell’efficienza la deve fare ancora tutta. Lo stesso zar governativo dell’auto, Steve Rattner, ha dovuto ammettere che non bastano affatto, gli impegni di chiudere un terzo degli stabilimenti Usa, di liberarsi di una ventina di migliaia di dipendenti e di più di un terzo dei concessionari. Vedremo che cosa ne salterà fuori. Intanto la Germania si è subito accodata, e il governo Merkel ha reso noto di aver stilato la bellezza di “14 criteri” in base ai quali aggiudicare la proprietà della Opel. Come se in tutto e per tutto si trattasse, appunto, di un’azienda pubblica…
Ma prima di capire quanto “rossa” sarà la soluzione per GM, il rischio è di un incidente molto serio per Obama, gli Usa e i mondo intero. L’ovattata atmosfera dei mercati chiusi per il primo maggio e il lungo week end è stata attraversata da sinistri bagliori che provengono dal cuore malato stesso della crisi: le grandi banche Usa. A Washington si litiga forsennatamente, e il riserbo della Fed e del Tesoro non tiene più. I risultati dei tanto attesi stress test per i primi 19 gruppi bancari Usa, quelli che detengono ciascuno asset superiori a 100 bn di dollari, non verranno resi noti a metà settimana prossima ma - forse - dopo la chiusura settimanale di venerdì. Le banche hanno idee molto diverse dal Tesoro, in merito al rafforzamento “coatto” del proprio patrimonio stimato come necessario dagli ispettori pubblici. Germinano indiscrezioni su una Citigroup bisognosa di altri 10 miliardi di dollari, su Bofa chiamata a trasformare in azioni ordinarie i 45 miliardi di titoli ibridi acquisiti dal pubblico, su Wells Fargo finora esente da cattive dicerie, e su parecchi altri istituti. La settimana di Borsa rischia di essere molto ballerina, su queste voci di profondo dissenso in merito a come riparare proprio le falle che hanno fatto imbarcare tanta acqua all’economia mondiale. Perché se sull’auto Obama può fare il Rosso, sinora l’amministrazione con Summers e Geithner si era ingegnata di avere ottimi rapporti con i vertici bancari privati Usa. Di qui lo schema di riavvio delle cartolarizzazioni dei titoli tossici fortemente favorevole - troppo - agli auctioners privati (la promessa per loro è di mettere soli 6 cents a fronte di un dollaro di nominale, e tutto quel che viene sopra quella linea si spartisce a metà col Tesoro, che per parte sua garantisce il resto e si accolla da solo tutte le eventuali perdite). Ma prima di arrivare alle aste “tossiche” bisogna appunto passare per i bollettini medici ufficiali dello stato patrimoniale delle 19 banche. E se in alcune tra le maggiori di esse Obama pensa di socialisteggiare come nell’auto, è pressoché obbligatorio prevedere pessime reazioni dei mercati. Speriamo che a Washington ragionino, e il socialismo si fermi ai bricks and mortars che più gli appartiene storicamente.

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