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Posts Tagged ‘Crisi’

Sangue sudore e lacrime

13 luglio 2009

Il 4 Luglio l’Economist ha scritto (p 26) che l’ottimismo di Berlusconi rischia di rendere ancora più improbabili le riforme di cui l’Italia ha bisogno, e che questo Governo (tanto quanto il precedente) non sembra neanche in grado di concepire. Certamente, del resto, non ci si può aspettare nulla di buono da un Ministro dell’Economia colbertista e da conti pubblici che stanno esplodendo, con un deficit salito al 9%, ma il tempo corre.

Eppure, ricorda l’Economist, se l’Italia fosse governata da un leader in grado di spiegare la gravità della crisi agli italiani, forse qualcuno lo seguirebbe, come quando si rese necessario sacrificarsi per entrare nell’euro. Se la crisi non esiste, d’altra canto, come giustificare profonde e dolorose riforme? Continuiamo ad illuderci di vivere nel paese dei balocchi.

A furia di dire che la crisi è un fenomeno puramente psicologico (e fare pressioni dissuasive su chi afferma il contrario), prima o poi il Governo proverà a curarla facendo incetta di Prozac. Bisognerebbe invece piantarla con questa recita e mostrare almeno per una volta un po’ di fegato. Ma, si sa, “il coraggio uno non se lo può dare”.

Pietro Monsurrò Senza categoria , ,

7 luglio 2009. Crisi del gas?

2 luglio 2009

Ancora una volta, allarme rosso sulle forniture di gas dalla Russia via Ucraina. In conclusione della riunione del Gruppo coordinamento gas, la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a “riempire gli stoccaggi” e prepararsi a eventuali interruzioni “nelle settimane o mesi a venire”. A monte di tutto, la consueta querelle tra Mosca e Kiev sul pagamento degli arretrati. Sul tappeto c’è il prestito da 4 miliardi di dollari che l’Ucraina ha chiesto all’Occidente, per far fronte ai suoi obblighi (anche se, come anticipato qualche giorno fa da Quotidiano Energia, probabilmente un paio di miliardi basterebbero a tranquillizzare i russi).

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Carlo Stagnaro energia, liberismo, mercato , , , , , , ,

Il governo sottovaluta, temo

26 giugno 2009

Reduce dalla sedicesima assemblea provinciale di imprenditori in poco più di due mesi,  era a Lecco dopo Lucca, Ancona, Brescia, Mantova, Piacenza, Padova, Rimini, Fermo, Milano, Alessandria e continuando, temo di avere proprio un’impressione dominante. Il governo sottovaluta la legnata in corso di incassamento da parte delle imprese, le manifatturiere esportatrici indebitate perché più avevano creduto nell’export, e soprattutto quelle che hanno capofiliere germaniche in testa, alle quali offrono semilavorati e componentistica. Dovunque, nella fascia pedemtonana del Nord come in quella adriatica fino all’Abruzzo, il pianto è greco, i dati sconfortanti, le prospettive peggio che atre.

Vedremo le misure nuove annunciate dal governo tra poche ore, col decreto che introduce la Tremonti- ter - oggi le mie orecchie l’hanno sentita fare a pezzi tra diluvi di applausi polemici a Lecco, dove pure la maggioranza nettissima è per PdL-Lega, al grido “ma chi farà utili da reinvestire, quest’anno?” -  il bonus a chi non licenzia, e via continuando. Ma mi sembra sempre più che il problema del baratro che si apre sotto i piedi di migliaia di imprese manifatturiere esportatrici non si possa colmare solo con palliativi prenditempo. E’ l’ora di una strategia di interventi strutturali, per un quadro pluriennale di riduzione del gap che grava sulla terribile triade costo del lavoro- energia- tasse. Reggere a venti o trenta punti di svantaggio competitivo su questi tre input, quando i concorrenti europei si avvantaggiano purtroppo di interventi statuali assai più generosi o di condizioni standard più favorevoli all’impresa, significa condannarsi ad anni di crescita flat e a una vera e propria morìa di aziende.

Non è solo la previdenza da rimodulare, in un quadro pluriennale, per liberare risorse dalla spesa pubblica superiore al 50% del Pil. Occorre un trade off tra maggior reddito disponibile ai lavoratori e più produttività alle imprese - non basta la decontribuzione poco più che simbolica del salario di produttività varata l’anno scorso - e nei 4 anni che ci separano dal federalismo fiscale attuato, annunciare sin d’ora che sparirà del tutto l’Irap e che la spesa sanitaria sarà ricondotta per tutti allo standard lombardo-veneto. Il che significa aggredire bubboni come quello campano, siciliano e calabro, che nulla hanno a che vedere con lo standard di servizio offerto ma solo con l’assistenzialismo di chi assume migliaia di dipendenti pubblici senza altro scopo che clientelismo.   La dimensione della spesa pubblica da abbattere è nell’ordine di 50 miliardi di euro. Una cifra analoga a quella che Passera vuole spendere in più ogni anno. Io sono per spenderla in meno, se vogliamo con meno tasse che le imprese vivano. Altrimenti, per carità, l’Italia non fallirà. Anni di declino resi meno evidenti dal troppo elevato stock patrimoniale di ricchezza delle famiglie: quello che Tremonti e Marco Fortis lodano come uno dei maggiori motivi di forza dell’Italia, e che io considero invece una classica e massiccia allocazione improduttiva di risorse finanziarie sottratte alla crescita.

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,

Fanno le buche e neppure le riempiono

17 giugno 2009

Tutte le volte che qualcuno parla delle opere pubbliche come panacea contro la crisi - questa o qualunque altra crisi futura - fategli leggere questa inchiesta di Enrico Mannucci per Magazine. Nulla di stupefacente, per carità, ma a volte fa bene ed è utile leggere nero su bianco, e guardare fotografato a colori e stampato su carta patinata, dove portano e a cosa servono gli investimenti pubblici. La risposta più vera e più banale è: gli investimenti pubblici servono a, e ottengono l’unico effetto di, foraggiare le consorterie che di volta in volta sono gli interlocutori primari del potente di turno. Altro che moltiplicatore keynesiano: qui il moltiplicatore non può che essere negativo, perché questo genere di opere, costituzionalmente destinate a fallire, non possono avere alcun ruolo di volano di sviluppo, non sbottigliano alcuna congestione, non aprono alcuna strada a merci in attesa di sfogo. Queste opere sono semplicemente e unicamente il risultato dell’operazione aritmetica per cui A sottrae risorse dalle tasche di B per investirle in C, un investimento che necessariamente è improduttivo perché altrimenti non avrebbe bisogno di essere indotto in questa maniera. Per uscire dalla crisi, e per depotenziare crisi future, non bisogna inoculare al paese lo stesso virus che lo ammorba da troppi decenni: bisogna rimuovere i vincoli, restituire libertà economica e disintermediare i rapporti economici.

Carlo Stagnaro liberismo , ,

La fotografia della crisi

11 giugno 2009

Due notizie forniscono una interessante fotografia della crisi. Oggi, il ministero dello Sviluppo economico ha comunicato che i consumi petroliferi sono scesi dell’8,5 per cento. Si tratta dell’ottavo mese consecutivo di contrazione della domanda nel nostro paese. Punto più, punto meno, la stessa cosa sta accadendo ovunque nel mondo. Sebbene questi dati si riferiscano al solo petrolio (e prodotti raffinati), il messaggio che arriva dai consumi di gas ed elettricità sono identici: a testimonianza di un paese in paralisi, nel quale tutte le attività produttive sono in forte rallentamento, quando non in frenata o in retromarcia. Contemporaneamente, però, arriva una prima, buona notizia (anticipata, come spesso accade, dalla ripresa delle quotazioni del barile): dopo otto revisioni al ribasso, l’Agenzia internazionale per l’energia ha corretto al rialzo le stime sulla domanda petrolifera per il 2009. Anche in questo caso, si parla di greggio ma si potrebbe parlare benissimo di gas o elettricità; e si parla del mondo intero ma si potrebbe parlare benissimo dell’Italia. Prosegui la lettura…

Carlo Stagnaro energia, liberismo, mercato , , , , ,

Nulla è cambiato

12 maggio 2009

Bryan Caplan ha, ovviamente, ragione.

Carlo Stagnaro liberismo, mercato , ,

Attenti al nuovo mantra: la crisi da materie prime…

9 maggio 2009

C’era qualcosa nell’aria che avvertivo istintivamente ma la cui precisa nozione mi sfuggiva da tempo. Ora ho capito meglio di che cosa si tratti, letto l’intervento di Pietro Modiano sul Sole, in risposta a Guido Tabellini. Vado per le spicce, come al solito ipersemplificando questioni molto più complesse. Premessa uno, finanziaria: gli Usa e il mondo intero hanno il massimo interesse a consolidare il più possibile la ripresa di fiducia dell’intermediazione finanziaria (e dei mercati, cominciata dalla prima settimana di marzo, e massicciamente sostenuta da acquisti senza precedenti da parte della mano pubblica, nonché da un’accorta politica di comunicazione dei dati). Premessa due, politica: gli elenchi di nuovi princìpi di regolazione finanziaria, capital ratios, omologazione delle architetture regolatorie (vedi Mingardi nel suo post precedente) et simila decadono dall’agenda di comunicazione pubblica quotidiana (avevano anche annoiato, in verità, visto che dalle chiacchiere ancora non si passa ai fatti), per tornare dove sono sempre stati, cioè nell’agenda riservata di un pugno di regolatori e banchieri centrali. Anche gli stress test Usa servono più a sostenere i mercati, che a fare pulizia. Premessa tre, gnoseologica: ma siamo proprio sicuri, di aver capito che cosa è successo negli anni precedenti la crisi dei subprime e il fallimento di Lehman? O è stata un lettura affrettata, quella che ha iniziato ad accumularsi in centinaia di papers e convegni e migliaia di articoli, intorno ai famosi eccessi della “finanza per la finanza”‘?
Dopo queste tre premesse, le strade secondo me si dividono nettamente.
Ce n’è una che ci riguarda (nel senso: chi la pensa come noi). Abbiamo le idee chiare sull’instabilità ingenerata da politiche monetarie lassiste, siamo disposti ad approfondire - coerenti all’imperfettismo di cui nutriamo - serie analisi sulle conseguenze dei modelli Var autogenerati dagli intermediari, dei bassi capital ratios per asset assunto o intermediato, la necessità di tener distinti gli intermediari bancari da quelli non bancari, e via continuando su tutti i diversi capitoli “tecnici” alla base di un sistema in cui il 50% dei profitti delle quotate Usa era attribuito a chi pesava il 10% del valore aggiunto del Gdp, da attività di puro trading ma il più possibile “esterne” al proprio recinto patrimoniale. Siamo vieppiù disposti ad approfondire, perché temiamo molto gli interventi iper regolatori, pervasivi e omologanti di chi sogna improbabili rivincite dei giuristi sulla finanza, e della politica sull’autonomia d’impresa.
A questa via del dubbio, aderisco.
Ma ce n’è un’altra che dichiara di partire da premesse analoghe, per giungere a conclusioni molto diverse. Chiamiamola la via bancaria: non solo non possiamo essere ben sicuri della causa vera, in realtà banchieri e intermediari non hanno sbagliato nulla (e nemmeno politica e regolatori che avevano congegnato le norme del gioco, come diremmo noi). I banchieri non hanno nessuna colpa, e la crisi è semplicemente esplosa perché è stata l’impennata delle commodities e del petrolio fino a 147 dollari, a determinare panico nell’economia reale, facendo saltare le griglie che sostenevano prezzi al presente e ritorni al futuro.
Non so come la pensiate voi: ma io alla conclusione autoassolutoria non mi sento proprio di aderire. Non desidero rinfrescare a tutti gli hearings al Congresso Usa in cui fior di esperti del mercato delle commodities esposero la ben nota tesi sul motivo per il quale, in mesi che vedevano il restringersi della forte leva e degli acquisti allo scoperto, i futures su petrolio, grano e mais subirono impennate che non avevano alcun giustificabile proporzionato “sottostante”, quanto a variare della domanda mondiale o a improvvisi blocchi dell’offerta.
Sento puzza di bruciato. Non mi piace, la faccia tosta dei signori banchieri. Mi sbaglio? Che ne pensate?

Oscar Giannino Senza categoria , , ,