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Posts Tagged ‘Biennale Democrazia’

Dopo vent’anni in Germania è ancora Ovest contro Est

3 maggio 2009

INSM Regionalranking 2009Nelle scorse settimane il think tank tedesco Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft, in collaborazione con l’istituto economico IW di Colonia, ha pubblicato l’indice annuale sul grado di benessere e sviluppo economico facente capo a ciascuno dei 409 distretti della Repubblica federale. L’analisi è stata condotta in maniera piuttosto accurata, prendendo in considerazione trentanove indicatori diversi- tra i quali attrattività del mercato del lavoro, tasso di disoccupazione, potere d’acquisto, produttività, costo del lavoro, infrastrutture, capitale umano e stato delle finanze pubbliche. Ne emerge un quadro (consultabile “graficamente” qui) che non si presta certo ad ambigue interpretazioni: città come Monaco, Stoccarda e Francoforte sul Meno rimangono, con i loro sobborghi, il traino economico del paese. I cosiddetti nuovi Bundesländer, i cui confini sono stati tracciati a seguito della riunificazione del 1990, continuano ad arrancare, se è vero che gli ultimi dieci posti del ranking sono tutti occupati da distretti dell’ex Germania Est, area nella quale il tasso di disoccupazione rimane tutt’ora doppio rispetto a quello occidentale. Niente di nuovo sotto il sole, si dirà: il sud-ovest della Germania bilancia ancora oggi gli scompensi dovuti ad un amalgama malriuscito. Nel corso di un suo recente intervento presso Biennale Democrazia, Hans Vorländer, politologo dell’Università di Dresda, ha ricordato molto bene come  l’ex repubblica democratica abbia in effetti tentato di attutire i rigori e le difficoltà derivanti dalla riunificazione, adagiandosi comodamente sulle spalle di un altro Sozialstaat - quello della Germania federale- e rinviando così l’appuntamento con il libero mercato e il capitalismo. Certo, come gli stessi curatori dello studio non mancano di rimarcare, anche ad Est qualcosa è cambiato e la cortina comincia lentamente a farsi più sottile. Dal 2000 ad oggi si nota un incoraggiante progresso di certe aree (evidenziate in blu, pagina 12) un tempo depresse, in particolare nel Brandeburgo, in Sassonia (il cui sistema scolastico primario è stato recentemente ritenuto il migliore dell’intera Germania) e in Turingia. Lipsia, ad esempio, città da cui nel 1989 ebbero inizio i moti insurrezionali contro il regime della DDR, è tornata ad essere un centro fieristico internazionale di enorme prestigio; Jena, giunta prima nella classifica limitata all’Est, ha una delle università migliori della Repubblica federale e le sue industrie tecnologiche sono tornate a fiorire. Infine Dresda ha ormai una vasta e dinamica rete di piccole e medie imprese. A questo iniziale, ma ancora debole riscatto dell’Est, si è d’altra parte accompagnato un relativo “declino”- si parva licet- di certe altre zone, come quelle intorno ad Hannover, a Colonia e alla stessa Francoforte sul Meno. Solo la Baviera e alcune parti dell’Assia e della Renania Palatinato sembrano aver tenuto il passo. Ora la crisi (come evidenziato in quest’ultimo grafico) minaccia di compromettere ulteriormente la stabilità economica degli agglomerati più produttivi dell’Ovest, mentre sembra non esporre l’Est, assai meno attivo nel campo dell’export, ad un rischio di tracollo. La povertà, si potrebbe dire, protegge l’Est. Assai magra consolazione.

Giovanni Boggero liberismo, welfare , , , , , , , , , ,

Zagrebelsky, il mito e la libertà

21 aprile 2009

Può l’amore per la libertà far breccia a sinistra? Una risposta lapidaria è difficile. Ciò che tuttavia balza agli occhi dei più attenti osservatori è che negli ultimi quindici anni, in Italia, il vessillo del liberalismo è stato innalzato (solo) quando si è trattato di combattere il rivale politico per eccellenza, ossia Silvio Berlusconi. La concorrenza, il mercato, la libertà di espressione sono diventati degli strumenti di lotta partigiana e non qualcosa di intrinsecamente buono per cui valeva la pena battersi. Qualcosa insomma di cui appropriarsi temporaneamente, come clava da dare in testa all’avversario. In un’intervista concessa al Sole 24 Ore in occasione dell’inaugurazione di Biennale Democrazia, l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky mostra di inserirsi pienamente nel solco di questa strana tradizione intellettuale. Fa infatti davvero piacere sentirsi mettere in guardia dal rischio di una “società come palazzo di cristallo dove tutto è regolato perfettamente e che in vista dell’ordine abolisce la libertà“; e ancora, citando Montesquieu, dal fatto che “la paura è la molla che fa funzionare il dispotismo“. Clap, clap. Ma alla tanto bella quanto teorica dichiarazione di principio sui pericoli della società massificata, non fa poi seguito alcuna condanna del costruttivismo, della pianificazione economica e della ipertrofia legislativa. Anzi. Nel suo amore sviscerato per il mito della democrazia e della sua neutralità, Zagrebelsky ricorda ad esempio come “la tutela della sicurezza è per quintessenza il luogo dell’imparzialità” e ancora come “negli Stati ben strutturati, il Ministero dell’interno è il meno politico, il più oggettivo“. Le ronde e l’autodifesa si collocherebbero secondo Zagrebelsky “fuori da cinque secoli di cultura costituzionale“. Al di là del fatto che il professore sembra essersi perso per strada il secondo emendamento della Costituzione americana, ebbene al di là di questo, considerare come fumo negli occhi la possibilità che i cittadini sopperiscano alle inefficienze dello Stato, approntando strumenti di difesa volontaria di ciò che loro legittimamente spetta, significa non voler impedire che la politica usi proprio il tanto decantato Ministero dell’Interno per soggiogare e coartare le libertà del popolo; significa cadere proprio nel vortice dal quale Zagrebelsky intende salvarci; significa insomma permettere che l’uomo-massa deleghi in bianco allo Stato (Ortega y Gasset). Basterebbe avere a mente quante limitazioni alle nostre libertà sono state perpetrate negli scorsi anni dietro al paravento della lotta al terrorismo per accorgersi che l’imparzialità è e resterà un mito. “Quale Paese può conservare la propria libertà se ai suoi governanti non viene periodicamente rammentato che la popolazione conserva il proprio spirito di resistenza? Che il popolo si armi!”. Chi ha scritto queste righe non è né Calderoli né Borghezio, ma si chiamava Thomas Jefferson, lo stesso ad avvertire- parecchi secoli prima di Zagrebelsky- che “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza“. D’altra parte, anche nella deliziosa citazione di Dostoevskij (”Non c’è per l’uomo preoccupazione più ansiosa che di trovar qualcuno a cui affidare al più presto quel dono della libertà, con il quale quest’essere infelice viene al mondo“) non v’è alcun intento di demitizzazione della sovranità o delle istituzioni politiche, né alcuna denuncia dei pericoli che la democrazia in sé e per sé considerata comporta. A Zagrebelsky sfugge quello che è il nodo fondamentale della questione, ovvero quello- per dirla con Bruno Leoni- “dello Stato concepito come realtà sopranuotante agli individui; più buona, più giusta, più potente degli individui, a cui dovrebbe tendere la mano per renderli migliori”. Una volta dato per scontato che la Costituzione e la legge positiva sono frutto della volontà generale, che lo Stato nasce da un fantomatico contratto sociale e che la norma fondamentale kelseniana è un assioma imprescindibile, si rimuove il problema- a mio avviso fondamentale- della natura irrazionale e religiosa del potere o, per così dire, della nascita del diritto moderno “intorno ad un totem“. Che la democrazia possa tralignare nella dittatura della maggioranza lo sanno ormai anche le pietre. Certo, ricordarlo non fa mai male. Ma in momenti come questi occorrerebbe piuttosto non smettere di interrogarsi sulle ragioni intime della nascita dello Stato, sui motivi della costante espansione dei poteri pubblici e sulle perversioni della rappresentanza politica nella società democratica. Che Biennale Democrazia sappia far questo ne dubitiamo fortemente. Non foss’altro che per l’”educativo” incontro sulle “bellissime tasse” propinato ad innocenti bambini delle elementari. Il mito continua.

Giovanni Boggero liberismo , , , , , , ,