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Archivio per la categoria ‘welfare’

Parafarmacie, RIP?

28 luglio 2009

Come riportato da Sara Todaro sul Sole 24 Ore, oggi all’esame del preconsiglio dei ministri vi e’ un decreto che porterebbe all’abolizione della denominazione “parafarmacie”, per evitare “confusione” con le farmacie non-para. La croce verde parimenti dovra’ essere d’ora in poi un attributo esclusivo dei farmacisti proprietari.
Cosa pensiamo, sul tema, l’abbiamo gia’ detto tante volte. Ma cerchiamo un secondo di fissare di nuovo l’attenzione sulla questione, prendendo sul serio il punto di vista degli aspiranti assassini delle parafarmacie (qui invece trovate una petizione a loro difesa).
Perche’ il governo ce l’ha con le parafarmacie? Perche’ difende i farmacisti proprietari? Prosegui la lettura…

Alberto Mingardi mercato, welfare , ,

Dare un prezzo ai reni?

27 luglio 2009

Oggi sul Wall Street Journal trovate l’ennesimo editoriale di Sally Satel sulla possibilità di stimolare schemi di compensazione per i donatori d’organi. Satel ne scrive da anni, vox clamantis in deserto. Per ora il massimo cui si è arrivati (in Paesi diversi come Singapore e la Repubblica Ceca) è una compensazione delle spese in cui il donatore dovesse incorrere per compiere il suo gesto generoso: giornate di lavoro perse, spese di viaggio, eventuali spese perché altri si occupino dei suoi figli, eccetera.
Capisco bene che il tema non sia dei più gradevoli da affrontare, e mi sono trovato un po’ spiazzato dal doverne parlare intervenendo a Radio Anch’io, alcuni giorni fa.
Tuttavia, per una riflessione non banale sul tema bisogna considerare alcuni argomenti. Il primo, e il più forte, è l’autoproprietà. Se un individuo è proprietario del suo corpo (e almeno qui, credo che su questo siamo tutti d’accordo), allora lo è anche delle singole parti che lo compongono. Impedirgli di alienarle secondo il suo desiderio è una violazione del principio dell’autoproprietà. Prosegui la lettura…

Alberto Mingardi liberismo, welfare , , , , ,

Ancora sulle pensioni tedesche

16 luglio 2009

Lastenverteilung in der gesetzlichen Rentenversicherung<br/>(zum Vergrößern klicken)Al nostro post di metà maggio sulle pensioni tedesche ha purtroppo fatto seguito un silenzio assordante. Nessun organo di stampa si è degnato di riportare una notizia così maledettamente importante. Sarà che il nostro paese è leader incontrastato in quanto a debito pensionistico; fatto sta che il blocco all’aggiustamento delle pensioni fissato ope legis dal governo di Große Koalition non ha fatto più di tanto scalpore qui da noi. In questi giorni la Rentengarantie (così si chiama questa trovata pre-elettorale) è però balzata nuovamente agli onori della cronaca per un doppio ordine di questioni.

Innanzitutto il Ministro delle Finanze Peer Steinbrück è ritornato sulla faccenda in maniera un po’ grottesca, definendo la normativa voluta dal collega Olaf Scholz e da lui stesso approvata non più di due mesi fa, irresponsabile e contraddittoria  rispetto al nuovo corso di contenimento della spesa pubblica (su quest’ultima affermazione ci sarebbe da sgranare gli occhi e farsi una bella risata..). Sia come sia, Steinbrück, caso mai ce ne fosse stato bisogno, ha contribuito con la sua proverbiale saccenza a mettere in ulteriore difficoltà il partito socialdemocratico ad appena due mesi dalle elezioni federali. Come dire: alla signora Merkel non serve affatto spremersi le meningi per la campagna elettorale, tanto ci pensa l’Spd a fare tutto, maggioranza ed opposizione ad un tempo. Volete mettere che goduria?

Il secondo motivo è da legarsi ad uno studio del think tank INSM che ha calcolato l’aggravio per le casse statali della prebenda elettoralistica. Ai lavoratori che pagano i contributi assicurativi e ai contribuenti la misura costerà la bellezza di 46 miliardi di euro, con aumenti già a partire dall’anno prossimo. Ma il governo non soltanto ha promesso la luna- ovvero che le pensioni -come per magia- non scenderanno più, ma ha altresì giurato che fino al 2020 il contributo assicurativo non supererà quota 20%. Insomma, la botte piena e la moglie ubriaca. Intanto sin dall’anno prossimo la spesa pensionistica comincerà a salire vertiginosamente. Se si mette in conto che una quota sempre minore di occupati dovrà sostenere un numero sempre maggiori di pensionati (vedi figura) e che l’aumento graduale dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2012 (e a finire nel 2029) è stato di recente nuovamente messo in dubbio dall’Spd, la situazione anche in Germania appare tutt’altro che rosea.

*Aggiungo che i miliardi di aggravio  diventano ancora maggiori (ossia circa 73) se si contano i “tricks” degli anni scorsi, primo fra tutti il congelamento temporaneo del cosiddetto “Riester-Faktor”, elemento introdotto nel 2001 per consentire la formazione di pensioni integrative private. A tal proposito linko un articolo tratto sempre dal blog di INSM.

Giovanni Boggero welfare , , ,

Stato criminogeno

6 luglio 2009

Quante badanti rimarrebbero senza permesso di soggiorno se fossero libere di stipulare un contratto di lavoro senza interferenze da parte dello Stato?

Francesco Ramella liberismo, welfare

Scuola, una piccola buona notizia?

18 giugno 2009

Intervistata oggi dal Corriere, il ministro Gelmini commenta forse con toni eccessivamente trionfalistici (la scuola fa schifo, abbiamo ragione a volerla cambiare) una sonora stroncatura della scuola italiana da parte dell’Ocse, oggetto di discussione in un incontro col Ministro organizzato dalla associazione Treellle. Però annuncia anche una piccola novità. Il ritorno del buono-scuola nelle proposte sull’istruzione del centrodestra. Dice Gelmini:

«Stiamo pensando anche ad al­tre riforme che non c’entrano con l’Ocse. Come il sostegno economi­co per le scuole paritarie».
Vuole dire le scuole private? Co­sa vuole fare?
«
Io le chiamo paritarie, o anche non statali. E, Costituzione alla ma­no, voglio che tutti abbiano il dirit­to di scegliere se andare alla scuola pubblica o alla scuola paritaria. Quindi, siccome le scuole paritarie costano, sto pensando ad una rifor­ma che dia la possibilità di accede­re ad un bonus a chi vuole frequen­tarle. Un po’ come già succede in Lombardia».
Ma questi sono costi aggiunti­vi?
«La libertà di scelta è un diritto costituzionale. E sono tante le rifor­me che si possono fare risparmian­do soldi e facendo funzionare la scuola. I dati Ocse, ad esempio quelli che riguardano la Finlandia, lo dimostrano».
Cosa dimostrano?
«Che non è vero che bisogna puntare sulla quantità, bensì sulla qualità. Intendo: quantità di soldi, di ore di insegnamento. Non è questo che qualifica la scuola, necessariamen­te. Veramente basta sfoglia­re il rapporto per capirlo. E sono felice che finalmente il governo e l’Ocse abbiano un’identità di vedute su questo punto, sono certa che faciliterà il dibattito».

Il buono-scuola è stato uno dei cavalli di battaglia di Forza Italia, e per inciso lo è ancora di Valentina Aprea, che in FI è andato pian piano a monopolizzare il dibattito sui temi dell’istruzione. Negli anni Novanta, sul voucher si sperimentò un allineamento centrodestra-Chiesa cattolica molto più virtuoso di quello di oggi, auspice il cardinal Ruini. Per il voucher, si giunse a mobilitazione di piazza, e Nando Adornato, all’epoca del Liberal settimanale, s’inventò addirittura un movimento per la scuola libera. Come si evince dai pochi protagonisti sin qui richiamati, e senza offesa per nessuno di loro, non fu una battaglia fortunatissima. Anche perché le scuole private, al momento della scelta fra pochi quattrini, maledetti subito e sottobanco, e la lotta trasparente per il voucher di marca friedmaniana, costosa in termini politici, presero i quattrini. Primum vivere, il “buono” è stato rimandato al ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi, e poi come sempre chi s’è visto s’è visto. La stessa intervista di Gelmini non è il massimo della chiarezza: pensa a un voucher per tutti, o a una misura solo per le fasce più deboli (come in Lombardia)? E perché parlare di sostegno alle scuole paritarie, e non subito di buono e libertà di scelta? E, ancora,  perché non pensare ad un sistema equivalente ma forse più semplice del voucher, cioè a un credito d’imposta per chi sceglie il privato? Vivremo e vedremo. Il ministro Gelmini sembra avere più coraggio della media dei suoi colleghi. Magari la libertà d’educazione si è finalmente trovata un cavallo buono.

Alberto Mingardi liberismo, welfare , ,

Boeri morde Marcegaglia e Sacconi

16 giugno 2009

Da quando scrive su Repubblica, a Tito Boeri sono cresciuti i canini. L’economista della Bocconi era un commentatore molto più posato su La Stampa. Su Repubblica, i suoi toni sono ben sintonizzati sulla linea del giornale.
Secondo chi scrive, in parte è un bene, perché che Boeri e lavoce.info siano considerati “organicamente” parte della sinistra italiana, e come tali riconosciuti dal suo più importante  quotidiano, è di per sé un importante segnale di modernizzazione — della sinistra, s’intende. È pur vero che è più facile che sia Repubblica ad affilare le spade della logica economica contro il governo, se a Palazzo Chigi sta Berlusconi, com’era più probabile lo facesse il Giornale, quando c’era Prodi. All’opposizione, si pensa meglio.
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Alberto Mingardi welfare

Brava la Guidi, togliamo l’Irap e stimoliamo la competizione fiscale

16 giugno 2009

(anche su Libertiamo.it)

Non si può nascondere una punta di soddisfazione nel sentire Federica Guidi scegliere, tra le proposte di policy che i Giovani di Confindustria hanno lanciato alla politica, una misura che l’Istituto Bruno Leoni aveva inserito un anno fa nel Manuale delle Riforme per la XVI legislatura: l’eliminazione dell’imposta regionale sulle attività produttive - l’Irap, l’imposta rapina - attraverso la sua “scomposizione” in due diverse componenti. Se quella del Manuale era una rivisitazione di un’intuizione di Francesco Forte, quella di Federica Guidi ne è una versione molto concreta e - se si volesse - facilmente attuabile. Le buone idee circolano, insomma. Prosegui la lettura…

Piercamillo Falasca mercato, welfare , , , ,

La Corte di Giustizia Europea ed i problemi delle farmacie italiane

19 maggio 2009

La Corte di giustizia si è pronunciata oggi su due serie di cause relative al regime di proprietà delle farmacie previsto dalle normative italiana e tedesca, le quali prevedono che gli esercizi di vendita dei medicinali possano essere posseduti soltanto da farmacisti.

Le cause tedesche (C-171/07 e C-172/07, Apothekerkammer des Saarlandes), a cui quella italiana è stata riunita, vertevano sulla possibilità, non prevista dalla normativa tedesca, che soggetti diversi dal farmacista aprissero un esercizio – la vicenda trae origine dall’obiezione di legittimità sollevata dai farmacisti del Land della Saar contro l’autorizzazione accordata dal il ministero alla DocMorris, società per azioni olandese, a gestire una succursale della catena a Saarbrücken.

La Corte di Giustizia afferma che questo “non viola il diritto comunitario poiché la restrizione apportata alla libertà di stabilimento è giustificata dall’obiettivo di tutela della sanità pubblica”, poiché “a suo avviso, il divieto imposto ai non farmacisti di possedere e gestire una farmacia è atto a conseguire tale obiettivo poiché esso è tale da garantire un rifornimento di farmaci alla popolazione che offre garanzie sufficienti in materia di qualità e di varietà”, e ripiega sul diffuso argomento della “natura particolare del bene-farmaco”, il quale necessiterebbe particolari forme di mediazione.

Il senatore del Pdl Antonio Tomassini, Presidente della Commissione Sanità, dichiara:

Esprimo la mia più viva soddisfazione per la sentenza della Corte di Giustizia Europea, che rende finalmente giustizia alla situazione delle farmacie in Italia. Una sentenza che legittima la legge italiana che riserva ai soli farmacisti la titolarità e l’esercizio delle farmacie

Ricordiamo però che la normativa italiana considera “farmacisti” in grado di avviare una farmacia non coloro che hanno conseguito una laurea in farmacia, hanno sostenuto un tirocinio e sono stati abilitati all’esercizio della professione farmaceutica in seguito al superamento di un esame di stato, bensì i titolari di licenze farmaceutiche numericamente limitate. Queste vengono assegnate in base ad una pianta organica, secondo un modello di regolazione istituito nel 1913 da Giolitti, ma totalmente inadeguato alle necessità, al modello di consumi ed all’informazione di consumatori ed operatori di oggi.

Per capirsi, alcuni dati:

  • In circa l’80% dei comuni italiani c’è una sola farmacia: un terzo dei nostri concittadini si trova di fronte ad un monopolista nel momento in cui ha bisogno di un bene importante come un farmaco.
  • Il 28,8% dei comuni con meno di 3000 abitanti non ha una farmacia.
  • Un anno dopo la liberalizzazione dei farmaci da banco, che costituiscono il solo 10% del mercato, erano già state aperte circa 1.664 parafarmacie – sintomo di una ampia domanda insoddisfatta.
  • Le farmacie in Italia sono circa 17.000.  I laureati in farmacia, iscritti all’Albo dei farmacisti sono 75.000.  Circa 35.000 lavorano alle dipendenze di altri farmacisti

Ci troviamo di fronte quindi all’incontro mancato fra un’importante domanda insoddisfatta ed il capitale umano necessario per soddisfarla, a causa di una normativa che impone un modello anticoncorrenziale. E che danneggia una tipologia di consumatori delicatissima: coloro cioè che hanno bisogno di farmaci.

Anche accettando il ragionamento della Corte sulla natura atipica del bene-farmaco, è un non sequitur affermare che la garanzia della qualità del servizio di erogazione di farmaci sia subordinata all’ottenimento di una licenza.

Rosamaria Bitetti mercato, welfare

Il fardello (tedesco) delle pensioni

16 maggio 2009

La notizia è totalmente passata sotto silenzio in Italia. Ma la Germania ha appena compiuto una involuzione socialisteggiante non da poco. L’editoriale di Pietro Garibaldi apparso questa mattina sulle colonne del quotidiano La Stampa mi offre il destro per discuterne. In questa legislatura di unità nazionale (2005-2009) le entrate fiscali tedesche sono copiosamente cresciute, trainate un po’ dalla crescita economica, un po’ dagli aumenti di tassazione introdotti a macchia di leopardo dall’epigono di Visco, Peer Steinbrück. Il “tesoretto” accumulatosi non è tuttavia servito per tagliare finalmente le tasse al ceto medio, ma è piuttosto andato a foraggiare un generoso aumento di spesa pubblica. Ora, complice la crisi finanziaria, il Ministro delle Finanze piange miseria e, in un comunicato reso pubblico ieri, ci dice che dovrà rinunciare a circa 316 miliardi fino al 2013. Ergo, la soluzione proposta dall’SPD è questa: prendiamo i soldi dai ricchi (ma non erano i socialdemocratici ad averli sgravati?) e sferriamo l’offensiva contro i paradisi fiscali. Con l’approssimarsi della campagna elettorale, l’ipotesi di stringere i cordoni della borsa è sicuramente la più impopolare. Ecco perché il Ministro del Lavoro Scholz ha pensato – e ottenuto – che con un bel tratto di penna, d’ora in poi, le pensioni di 20 milioni di tedeschi non possano mai più diminuire. E così, mentre Garibaldi va suggerendo modelli per controllare l’esplosione della spesa previdenziale, in Germania si va esattamente nella direzione opposta, svincolando l’erogazione delle pensioni dai redditi dei lavoratori e mettendo una bella ipoteca sul futuro del Sozialstaat. E questo dopo che i pensionati tedeschi hanno già beneficiato di generosi aumenti negli anni passati. Si dirà: in Germania la riforma delle riforme – la pensione a 67 anni – è già stata licenziata. Vero. Ciò non toglie che, però, almeno nel medio periodo, vi saranno sempre più pensionati e sempre meno persone che pagano i contributi assicurativi. Già ora lo Stato tedesco è costretto a prelevare denaro dalle tasse dei cittadini per sopperire alla carenza di risorse delle casse pensionistiche. Insomma ancora una volta tocca alle generazioni più giovani farsi carico di un’ipertrofia previdenziale che, presto o tardi, diverrà insostenibile.

Giovanni Boggero welfare , , , , ,

Cosa c’è e cosa manca nel Libro Bianco di Sacconi

6 maggio 2009

Il “Libro bianco sul futuro del modello sociale” presentato oggi dal Ministro Sacconi è potenzialmente qualcosa di molto rilevante, per l’Italia di oggi e di domani. Ha il pregio di mettere assieme, in forma sintetica (una cinquantina di pagine scarse), quanto di meglio elaborato dal mondo che gravita attorno al Ministro. E il difetto di riflettere più sui principi che sulle policies. E’ un difetto in parte voluto in parte subito. Voluto perché in tutta evidenza un documento di questo genere deve essere di scenario, se non vuole limitarsi a fare la carta d’identità al Ministero che lo pubblica e lo promuove. Subito perché la crisi ha fermato il cantiere di riforme che dai principi enunciati nel Libro bianco dovrebbero discendere.

Mi soffermo brevemente su quelli che mi paiono pregi e limiti più evidenti. Il Libro bianco propone una visione d’insieme del futuro del Paese, sotto il duplice profilo della demografia e della finanza pubblica, coerente. Cose note, ma che è bene ribadire. Gli obiettivi di lungo periodo sono in larga misura condivisibili. Chi lo ha scritto pare convinto che per “salvare” i fini dello Stato sociale sia necessario disarticolarlo, trasferendone le competenze ad istituzioni in larga misura spontanee e contando su una rete di protezione più “sociale” (nel senso di emanazione della società) che “statale”. Chi lo ha scritto bene conosce i difetti del nostro mercato del lavoro (Marco Biagi, unico nume tutelare richiamato nel Libro, lo considerava “il peggiore d’Europa”), e anche quelli del nostro Stato sociale. Una priorità evidente è quella di evitare per quanto possibilità la “dipendenza da welfare” che alcuni istituti vanno a creare, puntando al contrario su “politiche per la vita attiva” (di qui la grande enfasi che Sacconi mette sempre sulla “formazione”: il che va benissimo, se non fosse che la “formazione” in Italia è un concetto oltremodo plastico).

Laddove il Libro bianco soddisfa di meno è nell’indicazione di politiche precise. Se la spesa sociale è sbilanciata sulle pensioni, se le pensioni non sono uno strumento idoneo a svolgere “prioritariamente funzioni di carattere redistributivo/ assistenziale”, se “la stabilizzazione di lungo periodo dell’incidenza della spesa pensinistica pubblica”, che vogliamo fare? Il Libro bianco dà tutte le risposte giuste: l’obiettivo deve essere la “ridefinizione dell’equilibrio tra le fonti di finanziamento” e serve “l’allungamento delle carriere e il raggiugimento di proporzioni più equilibrate tra vita attiva e vita in quiescenza dopo il pensionamento definitivo”. Da questa analisi dovrebbe però venire una “road map” per il “nuovo bilanciamento” fra pubblico privato, e/o per l’innalzamento dell’età pensionabile. Non ci si può limitare ad affrontare il tema dell’equiparazione dei requisiti pensionistici fra uomini e donne.

Qualcosa di simile potrebbe essere detta sulla sanità: nel Libro bianco c’è grande enfasi sull’healthy ageing, piena consapevolezza della “condanna demografica” dei sistemi sanitari. Ma le considerazioni di sostenibilità restano sullo sfondo.

Il progetto è coraggioso, e il modello usato da Sacconi, per l’Italia, è stato innovativo. Vi è stata un’ampia consultazione pubblica, a partire dal Libro Verde, cui hanno concorso circa mille soggetti. Grande successo di pubblico, per così dire. Ora speriamo possa esservi un dibattito consapevole e adulto su questi temi. Per “costringere” chi con il Libro bianco dimostra di avere piena consapevolezza dei problemi, a trarne le conseguenze dovute.

Alberto Mingardi welfare , , , ,

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