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Il cane a tre zampe

2 settembre 2009

L’aereo Pippo è tornato a volare sui cieli italiani e ha sganciato due bombe: una su Piazzale Mattei, l’altra su Via XX Settembre a Roma. Il quotidiano britannico Financial Times dedica oggi un colonnino della sua informatissima e velenosissima rubrica Lex al più spolverato dei campioni nazionali italiani, cioè l’Eni. La riflessione - che cita come fonte, ed è piuttosto anomalo, il fondo Kinight-Vinke Asset Management - è semplice: Eni è un monopolio verticalmente integrato in un’epoca in cui questa struttura non tiene più. Quindi, separarla in almeno due tronconi potrebbe far felici gli azionisti e risolvere varie magagne, politiche e regolatorie oltre che finanziarie.

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Carlo Stagnaro energia, mercato , , , ,

Picco?

31 agosto 2009

Splendido articolo di Mike Lynch sul New York Times, con attacchi, risposta, scommessa, e altre scommesse (nell’Appendice al post di Mike).

Carlo Stagnaro energia, liberismo , , ,

Misery (Index) non deve morire

30 agosto 2009

In questo periodo di crisi dell’economia, anche il liberismo non si sente troppo bene. In base all’assunto (discutibile) che il “Washington Consensus”, quella specie di paradigma che sta dietro a buona parte delle riforme economiche degli anni Novanta, sia la prosecuzione del liberismo con altri mezzi, molti hanno sostenuto che a suon di liberismo il mondo si sia ammalato di un male quase insanabile. Da qui, il ritorno prepotente del keynesismo, le beffe agli economisti (che, come tanto tempo fa, viene usato quasi come sinonimo di liberisti), la retorica stimolista e l’assalto regolatorio ai mercati. Però, c’è una cosa che non torna: i dati. Lo dimostra Steve Hanke, economista della Johns Hopkins University e senior fellow del Cato Institute, in un breve ma incisivo articolo pubblicato da Globe Asia. Hanke si concentra sul “Misery Index“, un indice sintetico introdotto da Arthur Okun e modificato da Robert Barro, che sostanzialmente misura - una volta applicato a un dato periodo di tempo, per esempio la durata di un mandato presidenziale - la variazione della miseria, definita in funzione di quattro variabili: l’inflazione; la disoccupazione; il rendimento dei buoni del tesoro a 30 anni; e la distanza tra il trend di lungo termine della crescita del Pil reale e la performance effettiva dell’economia. Il risultato non è soprendente, per chi la pensa come noi dell’IBL, ma pone un grosso problema a tutti gli altri, che quanto meno dovrebbero cercare di argomentare perché, dove, come e quando i dati dicono cose sbagliate.

Infatti, il presidente americano che ha dato il maggior contributo alla riduzione della miseria negli Usa è Ronald Reagan (primo mandato), seguito da Bill Clinton nel secondo mandato e quindi ancora dal secondo mandato di Reagan. Le amministrazioni peggiori sono quelle di Jimmy Carter e di Nixon/Ford. Una curiosità: George W. Bush non fa né bene né male: nel primo mandato ha contribuito a ridurre leggerissimamente il Misey Index, nel secondo lo ha fatto aumentare leggermente. Hanke fa bene, nel commentare questo, a ricordare le parole spese da Clinton nel suo discorso sullo stato dell’unione del 1996:

The era of big government is over.

Lette 13 anni dopo, strappano un sorriso. Ma è un sorriso bonario, dovuto al senno di poi. Perché, se Clinton aveva fattualmente torto, aveva ideologicamente ragione.

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Otto ragioni per cui la spesa pubblica fa male

28 agosto 2009

Petrolio, mistero senza fine bello

27 agosto 2009

Oggi, centocinquant’anni fa, cominciava l’era del petrolio. Non nel senso che il greggio fu scoperto allora: era noto da molto, molto prima. E neppure nel senso che venne allora intuito qualche nuovo possibile utilizzo del petrolio. Se ne conoscevano. Il 27 agosto 1859, però, la banda di matti guidata dal Colonnello Drake trovata, alla profondità di ventuno metri nel sottosuolo di Titusville, Pennsylvania, l’ “olio di roccia” grazie a un metodo mai usato prima, a quello scopo: perforando con una trivella e poi risucchiandolo con una pompa a mano. Di quella lontana giornata, ci sono rimaste due eredità durature: il barile (di whisky), come unità di misura. E un nuovo modo di estrarre il petrolio, che ri rivelò più efficiente e poi, attraverso innumerevoli e importanti innovazioni, diventerà sofisticato come lo è oggi. Quei primi giorni dell’epopea petrolifera, li racconta Renato Calvanese in questo Rapporto per l’IBL; e qualcosa l’ho scritto anch’io sul Foglio. La letteratura su questi temi, in italiano almeno, non è sconfinata, ma comunque offre ottime e interessanti letture: da Il prezzo del petrolio di Massimo Nicolazzi a L’era del petrolio di Leonardo Maugeri, fino allo splendido Il petrolio. Una storia antica di Luciano Novelli e Mattia Sella e, per i più fortunati che ancora riescono a trovarne (o già ne possiedono) una copia, Il Premio di Daniel Yergin. Per mettere la scoperta di un secolo e mezzo fa in una prospettiva storica, la Storia dell’energia di Vaclav Smil. Per comprenderne le implicazioni economiche, l’Economia e politica del petrolio di Alberto Clò e The Genie out of the Bottle di Morris Adelman (ok, questo è in inglese, ma davvero merita). Poi c’è molto altro, ma questo è quello che davvero serve leggere e meditare per capire una cosa importante: aver scoperto il petrolio, e attorno a esso aver costruito la nostra civiltà, non è stato una sfiga o una condanna.

Il petrolio è stato, per l’umanità, non solo una importante fonte energetica: è stato lo strumento grazie a cui l’uomo si è saputo conquistare il diritto alla mobilità e, più profondamente, ha saputo dare un impulso decisivo alla rivoluzione industriale. E’ vero che l’industria è sopratutto carbone, ma il progresso è nel petrolio. Quindi, in un giorno come questo, c’è poco da dire e molto da pensare. Quel poco che si può dire, con Samuele Furfari, è: “grazie per tutto il benessere che hai offerto agli uomini in questi ultimi 150 anni”. E, aggiungo io, centocinquanta di questi giorni. Non è un augurio al petrolio. E’ una speranza per noi.

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Lex autostradale

26 agosto 2009

La rubrica Lex del Financial Times è sempre una delle letture più interessanti della giornata. Oggi Lex affronta la questione della privatizzazione delle autostrade in Gran Bretagna. Il problema più difficile da superare, dice, è convincere il pubblico: in effetti, non è facile spiegare alla gente che, da domani, dovranno pagare quello che fino a oggi hanno avuto gratis. A volte, però, è necessario. In questo caso, tuttavia, c’è una soluzione a portata di mano, che il Ft identifica correttamente: il patto che il governo britannico (e qualunque altro) potrebbe proporre ai contribuenti è uno scambio tra tariffe autostradali e pressione fiscale. Cioè, ridurre le imposte sui carburanti come compensazione per l’accresciuto aggravio alla mobilità. Si tratta dell’uovo di colombo: le due giustificazioni teoriche della tassazione dei carburanti sono che in questo modo vengono internalizzate le esternalità ambientali, e che il gettito serve per la manutenzione stradale et similia. Ma se le strade sono a pagamento, si ottiene lo stesso risultato in modo meno distorsivo e più equo. Speriamo che, almeno a Londra, qualcuno sappia cogliere un suggerimento tanto prezioso.

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Così, si parla

24 agosto 2009

La tragedia delle risorse (pubbliche)

24 agosto 2009

Il crollo delle quotazioni del petrolio ha conseguenze a tutti i livelli. Un aspetto interessante è che, mentre nei paesi privi di rule of law l’eccessiva dipendenza dal greggio può causare la “maledizione delle risorse“, nei paesi istituzionalmente più attrezzati non si verifica nulla di tutto ciò. Non mancano, però, le possibili conseguenze avverse: per esempio, la tragedia dei bilanci pubblici, che tipicamente sostituiscono con le revenue petrolifere le entrate che altrimenti arrivano per via fiscale. E’ il caso degli stati americani alle prese con la drastica riduzione di un flusso finanziario robusto, come racconta Ben Casselman sul Wsj.

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Sì, quindi no

21 agosto 2009

Spettacolare sputtanamento dell’Obamacare e di Barack Obama, sul Wall Street Journal di oggi. Parola di Presidente.

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La maledizione delle risorse e la scoperta dell’acqua calda

20 agosto 2009

Moises Naim è una persona intelligente anche se ha fatto il ministro. Per questo leggere i suoi editoriali sul Sole 24 Ore è sempre un esercizio utile, se non a imparare qualcosa, almeno a confrontarsi con un punto di vista autorevole e originale sulle cose del mondo. Solo che, a volte, Naim si limita a esporre un’equazione senza poi tentare di risolverla. E’ il caso del suo intervento di oggi, che tenta di avviare una riflessione su quello che in letteratura è noto come il “paradosso dell’abbondanza”, o anche come la “maledizione delle risorse“.

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