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Archivio per 30 agosto 2009

Misery (Index) non deve morire

30 agosto 2009

In questo periodo di crisi dell’economia, anche il liberismo non si sente troppo bene. In base all’assunto (discutibile) che il “Washington Consensus”, quella specie di paradigma che sta dietro a buona parte delle riforme economiche degli anni Novanta, sia la prosecuzione del liberismo con altri mezzi, molti hanno sostenuto che a suon di liberismo il mondo si sia ammalato di un male quase insanabile. Da qui, il ritorno prepotente del keynesismo, le beffe agli economisti (che, come tanto tempo fa, viene usato quasi come sinonimo di liberisti), la retorica stimolista e l’assalto regolatorio ai mercati. Però, c’è una cosa che non torna: i dati. Lo dimostra Steve Hanke, economista della Johns Hopkins University e senior fellow del Cato Institute, in un breve ma incisivo articolo pubblicato da Globe Asia. Hanke si concentra sul “Misery Index“, un indice sintetico introdotto da Arthur Okun e modificato da Robert Barro, che sostanzialmente misura - una volta applicato a un dato periodo di tempo, per esempio la durata di un mandato presidenziale - la variazione della miseria, definita in funzione di quattro variabili: l’inflazione; la disoccupazione; il rendimento dei buoni del tesoro a 30 anni; e la distanza tra il trend di lungo termine della crescita del Pil reale e la performance effettiva dell’economia. Il risultato non è soprendente, per chi la pensa come noi dell’IBL, ma pone un grosso problema a tutti gli altri, che quanto meno dovrebbero cercare di argomentare perché, dove, come e quando i dati dicono cose sbagliate.

Infatti, il presidente americano che ha dato il maggior contributo alla riduzione della miseria negli Usa è Ronald Reagan (primo mandato), seguito da Bill Clinton nel secondo mandato e quindi ancora dal secondo mandato di Reagan. Le amministrazioni peggiori sono quelle di Jimmy Carter e di Nixon/Ford. Una curiosità: George W. Bush non fa né bene né male: nel primo mandato ha contribuito a ridurre leggerissimamente il Misey Index, nel secondo lo ha fatto aumentare leggermente. Hanke fa bene, nel commentare questo, a ricordare le parole spese da Clinton nel suo discorso sullo stato dell’unione del 1996:

The era of big government is over.

Lette 13 anni dopo, strappano un sorriso. Ma è un sorriso bonario, dovuto al senno di poi. Perché, se Clinton aveva fattualmente torto, aveva ideologicamente ragione.

Carlo Stagnaro liberismo , , , , ,

I consumi americani resteranno deboli. Ma per 25 anni forse no

30 agosto 2009

Il paper appena uscito di Menzie Chinn e Jeffrey Frieden sta suscitando un certo dibattito sui blog USA. È molto utile perché aggiorna e rafforza la tesi che qui più volte abbiamo espresso, in merito al periodo forzatamente lungo che occorrerà per vedere i consumi americani tornare ai livelli degli anni 2002-2007, stante la necessità di riequilibrare il deficit delle partite correnti Usa e di riallineare la propensione al consumo al reddito disponibile. Ma poiché Chinn è un noto liberal clintoniano e keynesiano, trovo abbia ragione Arnold Kling che su EconLog è insorto, vedendo puntare il dito contro il deficit negli anni di Reagan. Chinn ha reagito duramente, la cosa si è risolta con scuse reciproche,  ma è sano un paese dove gli osservatori economici ricordano esplicitamente a lettori ed opinione pubblica che la scuola di appartenenza “conta”, eccome se conta. Da noi non avviene, per il semplice fatto che al 99%  sono tutti nel mainstream keynesiano. Utile anche la lettura di Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph. Una sana polemica contro Krugman e gli iperdeficisti che spingono per altri pacchetti pubblici di sostegno all’economia, in cui viene citato anche il caso italiano: ma in senso opposto a Krugman, che ormai usa spesso l’esempio tricolore come argomento a sostegno dell’innocuità di altissimi debiti pubblici. Mi pare che l’ottimo Ambrose sbagli un po’ troppo per eccesso di pessimismo, affermando che occorreranno forse 25 anni per rimettere le cose a posto. Diciamo che dipende da quanto deficit e debito farà davvero Obama, e se davvero metterà in essere gli oltre 9 trilioni $ di debito aggiuntivo sin qui promessi.

Oscar Giannino mercato , ,

L’inflazione della base monetaria piace ai governi deficisti ma impoverisce tutti. Come e perché un dollaro del 1800 vale oggi solo 8 centesimi

30 agosto 2009

Ci cono grafici che da soli valgono mille parole. Date un occhio a questo, elaborato da Sean Malone del Mises Institute. In un solo colpo d’occhio, l’andamento del valore del dollaro dal 1800 a oggi. Dopo un apprezzamento superiore al 100% fino a fine Ottocento, una perdita del 196% al valori attuali. Solo gli stolti, a mio giudizio, possono credere che l’inflazione della base monetaria praticata dalla FED nell’ordine del 6000% negli ultimi 60 anni non sia “la” causa largamente prevalente nel determinare tale effetto. Ma si sa, la moneta è di solito trascurata come principale causa dei fenomeni economici…

Oscar Giannino Senza categoria, mercato ,