In queste ore comincia a Jackson Hole - Wyoming, la trentunesima conferenza annuale organizzata dalla FED di Kansas City, appuntamento rituale estivo in cui tutti i maggiori banchieri centrali del mondo si ritrovano per fare il punto sulla situazione in corso. Francamente, non ho mai capito perché i media italiani diano pressoché nulla copertura a tale appuntamento, che insieme alle sessioni della BIS a Basilea (BRI se usate l’acronimo italiano) è una delle pochissime sedi nelle quali i banchieri centrali si confrontano in maniera aperta: oltretutto, mentre la riservatezza che grava sulle riunioni BIS è proverbiale e pressoché a prova di bomba, a Jackson Hole invece vengono - sia pure con qualche ritardo - rilasciati i papes che vengono formalmente presentati e discussi. Certo, non possiamo sapere quel che stasera i 45 banchieri centrali riuniti quest’anno si diranno tra loro, ma è proprio grazie ai papers di Jackson Hole che abbiamo potuto ricostruire, negli anni addietro nei quali Greenspan regnava sovrano, come egualmente per esempio proprio economisti della BIS osarono sfidarlo muovendo ai suoi tassi d’interesse l’accusa di essere destabilizzanti e moltiplicatori di rischio.
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Oscar Giannino Senza categoria banche centrali, politica monetaria
Come sta in media l’economia statunitense quando i mercati azionari mettono a segno un rally del 49 per cento dai minimi? Molto meglio di oggi.
Mario Seminerio mercato Congiuntura, Stati Uniti
Moises Naim è una persona intelligente anche se ha fatto il ministro. Per questo leggere i suoi editoriali sul Sole 24 Ore è sempre un esercizio utile, se non a imparare qualcosa, almeno a confrontarsi con un punto di vista autorevole e originale sulle cose del mondo. Solo che, a volte, Naim si limita a esporre un’equazione senza poi tentare di risolverla. E’ il caso del suo intervento di oggi, che tenta di avviare una riflessione su quello che in letteratura è noto come il “paradosso dell’abbondanza”, o anche come la “maledizione delle risorse“.
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Carlo Stagnaro liberismo, mercato maledizione delle risorse, naim, petrolio, pinera, Sole 24 Ore
Qualche giorno fa un amico fiammingo mi ha riferito con entusiasmo di una sua recente vacanza in Liguria, ricordando con piacere i giorni passati a Camogli e Rapallo. La cosa mi ha colpito perché, da qualche decennio, nei dizionari della lingua italiano con il verbo “rapallizzare” si indica un processo di cementificazione selvaggia: come quando si prende un paesino costiero e lo si riempie di casermoni e villaggi turistici. In questi giorni ferragostani può essere allora opportuno provare a sviluppare qualche minima riflessione sul rapporto tra natura e turismo, tra bellezze storico-ambientali e sviluppo urbanistico.
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Carlo Lottieri Senza categoria case, diritto, liberismo, Stefano Moroni, turismo, urbanistica
La tragedia causata dal deragliamento di un treno merci che trasportava Gpl, avvenuto nella stazione di Viareggio lo scorso 29 giugno ha, prevedibilmente, riacceso i riflettori sul tema del rapporto di causalità esistente fra liberalizzazione del trasporto ferroviario e riduzione del livello di sicurezza di tale settore. Il ragionamento, ridotto all’osso, è il seguente: a differenza di quanto accadeva con il monopolio pubblico, i soggetti privati, sotto la spinta della pressione competitiva e nell’ottica di massimizzare i profitti, riducono le spese per la manutenzione dei convogli e della infrastruttura, costringono i lavoratori a condizioni di lavoro più gravose e determinano così un incremento del rischio di incidenti. Non è la prima volta che accade. Gli archivi dei giornali di tutta Europa sono colmi di articoli nei quali si descrivono le nefaste conseguenze della privatizzazione delle ferrovie britanniche e l’argomento è un classico cavallo di battaglia di chi, nel mondo sindacale e politico, è favorevole al mantenimento dello status quo. Ma la realtà del trasporto su ferrovia in Gran Bretagna è davvero quella descritta dagli organi di informazione oppure no?
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Francesco Ramella liberismo ferrovie, Incidente Viareggio, liberalizzazione, sicurezza
Riceviamo e pubblichiamo da Galeazzo Scarampi, membro del Board of Trustees dell’Istituto Bruno Leoni.
Ma come si fa a ragionare partendo dall’ assunto che qualcuno possa o debba decidere se: “in generale lavorare così fa bene al sistema o contribuisce a metterlo a rischio?”.
Il dibattito sulla creazione di valore rispetto al rischio da parte del private equity e su quali siano i drivers di tale creazione (quanto conti la deducibilità degli interessi, o la leva finanziaria. o l’ aumento di performance relativa al settore, o la differenza fra i prezzi di acquisto e di vendita, o gli incentivi al management) e’ ampio ma evidentemente Massimo Mucchetti, autore sul tema di un recente articolo sul Corriere della sera, non ha avuto tempo di esaminarlo.
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Guest liberismo, mercato finanza, leva finanziaria, massimo mucchetti, michael jensen, private equity