Sulla consunzione della teoria keynesiana del moltiplicatore vi ho già annoiato abbastanza, dunque sapete come la penso. Mi limito qui a segnalarvi un nuovo paper appena rilasciato da Troy Davig, della FED di Kansas City, ed Eric Leeper della Indiana University. È dedicato agli effetti di sostituzione intertemporali e intratemporali di un aumento della spesa pubblica in deficit, e all’effetto ricchezza che s’ingenera a seconda della coerenza tra loro della politica fiscale e di quella monetaria. Una politica monetaria attiva porta poi a inevitabili innalzamenti di contenimento dei tassi d’interesse. Una politica fiscale in passivo induce aspettative di maggiori tasse per il futuro, con contenimento del reddito disponibile rivolto ai consumi. I due studiosi applicano il loro modello alla realtà Usa, ma c’è da riflettere per tutti. Il moltiplicatore della spesa pubblica in deficit diventa maggiore dell’unità solo se “imposto dall’effettiva attuazione di un modello neokeynesiano”, cioè asservendo la politica monetaria a quella della spesa in deficit. E in ogni caso neanche in quello scenario, il moltiplicatore maggiore dell’unità vale per tutti i settori e a prescindere dall’efficacia degli strumenti pubblici attuatori. I politici deficisti hanno di che meditare…
Oscar Giannino Senza categoria deficit pubblico, moltiplicatore, ripresa
Diciamolo: per i mercati il mese di luglio è stata una manna. L’indice FTSE All World – che tiene conto di tutte le Borse mondiali, ciascuna per il proprio peso relativo - è cresciuto di quasi 9 punti in quattro settimane. Dall’inizio dell’anno, Il MIB italiano ha guadagnato il 30%, il 27% Francoforte, il 26% Parigi, il 24% Madrid, Londra il 23%. Svezia e Norvegia hanno guadagnato 35 punti, ma anche la scassata Irlanda ha totalizzato un apprezzabile più 14%. Negli States, il Dow Jones ha guadagnato 24 punti percentuali, il Nasdaq 28. Quel che conta di più, è che tra fine giugno e luglio ormai i due terzi delle aziende quotate americane hanno annunciato al mercato la loro seconda trimestrale, e nel 74% dei casi i risultati hanno battuto in meglio le attese di analisti e mercati. La fiducia è generalmente in salita. Il petrolio risale oltre i 70 dollari, “annusando” un utilizzo degli impianti meno basso del 65% a cui si era attestato negli Usa e nella maggior parte dei paesi Ocse. Siamo ancora in recessione, ma ammettiamolo: in molti sperano che l’economia reale piano piano abbia iniziato a risalire. È proprio questo, il momento più delicato per un paese come l’Italia.
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Oscar Giannino Senza categoria, mercato ABI, crescita, recessione, salario di produttività, Tremonti
I dati di bilancio di Alitalia resi pubblici il 29 luglio scorso non possono non preoccupare gli azionisti della società, mentre i passeggeri sono preoccupati dai ritardi e dai disguidi all’aeroporto di Roma Fiumicino. In questo periodo dell’anno nel trasporto aereo è naturale un incremento dei ritardi, poiché gli aeroporti sono maggiormente congestionati. La compagnia dunque non è direttamente responsabile di tutti le problematiche evidenziate in queste ultime settimane, ma certamente i ritardi potrebbero danneggiare la nuova Alitalia, poiché i passeggeri potrebbero associare l’immagine della vecchia compagnia di bandiera al nuovo vettore. Queste preoccupazioni certamente sono prese in considerazione dal management, che tuttavia sembrerebbe aver avuto altre preoccupazioni nell’ultimo periodo. Le voci di estromissione di Rocco Sabelli dal comando della compagnia aerea si sono rincorse la settimana scorsa, salvo poi non essere confermate dal Consiglio di Amministrazione di Alitalia. Le perdite operative (non nette) del vettore italiano sono state di 273 milioni di euro, in gran parte dovute al primo pessimo trimestre dell’anno, quando la compagnia era in fase di avviamento. Ma che cosa ci dicono dati appena rilasciati su andamenti dei costi e ricavi? Quanto ci si sta discostanto dal piano originario? Quanto si devono preoccupare, in altre parole, gli azionisti?
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Andrea Giuricin mercato Alitalia, Azionisti CAI, bilancio, Perdite
Mentre si discute della apparentemente prossima stabilizzazione della congiuntura americana, almeno per il terzo trimestre, grazie anche al travolgente successo del programma di rottamazione auto “cash for clunkers” (che in realtà “prende a prestito” domanda dal futuro, e crea condizioni di dipendenza strutturale del settore dai sussidi pubblici, come ben sappiamo noi europei), giunge la notizia che General Motors riceverà un prezioso dono dal suo nuovo azionista di controllo, il governo degli Stati Uniti. Alla nuova GM, quella che emergerà dalla procedura di Chapter 11, sarà infatti consentito di utilizzare i crediti d’imposta derivanti dal “tax-loss carry forward”, cioè dal riporto a nuovo delle perdite a compensazione degli utili futuri, fino a 20 esercizi successivi. L’entità di questo dono è pari a 16 miliardi di dollari.
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Mario Seminerio liberismo, mercato Chapter11, fisco, General Motors
La Cina di Hu Jintao difende i diritti umani di tutti, e specialmente di americani ed europei. Pechino ha infatti inviato due proteste formali all’Organizzazione mondiale del commercio contro le politiche protezionistiche di Usa e Ue. Si tratta di una mossa necessaria a proteggere il mercato di valle dei prodotti cinesi - stimato in oltre 600 miliardi di dollari nel 2008 - dall’aggressione regolatoria di cui è oggetto nei paesi industrializzati, che amplifica l’impatto della crisi. Già nella seconda metà dell’anno scorso si era registrato un crollo del commercio mondiale, e nel rapporto annuale della Wto erano presenti le prime esplicite preocupazioni sul rischio protezionista:
Un quarto fattore che potrebbe contribuire alla contrazione degli scambi è l’aumento delle misure protezioniste. Qualunque crescita di questo tipo di misure minaccerà le prospettive di ricupero e prolungherà la crisi. Il rischio di una crescita del protezionismo è fonte di preoccupazione.
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Carlo Stagnaro liberismo, mercato Cina, protezionismo, Stati Uniti, unione europea, Wto