Mario Draghi ha tenuto un intervento superlativo all’assemblea dell’ABI dell’altroieri. Dalla governance bancaria da modificare alla riforma delle popolari, dalla necessità di pubblicità per i risultati degli stress test ai calci nel sedere per le intollerabili commissioni sul massimo scoperto addirittura maggiori rispetto a prima dell’intervento governativo, ho contato più di una decina di giudizi assolutamente abrasivi, rispetto al quieto far finta di niente del sistema bancario italiano. Il pessimo segnale è che solo Repubblica, nell’intero panorama dei giornali italiani, ha ritenuto opportuno dedicare un pezzo veramente approfondito in cui dar conto di ciò che Draghi aveva veramente detto: e dire che sarebbe stato divertente, anche per le testate vicine al centrodestra, notare che il governatore scavalcava Tremonti criticando le banche nella misura di dieci a uno…
Su un punto essenziale, la tutela del cliente rispetto ai disservizi e all’informazione asimmetrica praticata dalla banca, temo però che sarà deludente la nuova riforma alla quale Draghi si è riferito e di cui siamo in procinto di attuazione, il cosiddetto Arbitro Bancario Finanziario, con tre collegi nel Nord, Centro e Sud Italia, e accesso delle istanze anche tramite le filiali Bankitalia, che assicurerà le strutture tecniche per il suo funzionamento. Un buon esempio da seguire potrebbe essere quello ieri annunciato dalla FSA britannica. Stanca della sostanziale indifferenza degli intermediari finanziari britannici - nel modello UK ricadono tutti sotto la sua supervisione - l’Autorità ha preso una decisione radicale. Tutti gli intermediari che ricevano più di 500 richieste e proteste entro ogni semestre dovranno non solo girarle per esteso alla FSA, ma questa organizzerà cinque diversi files pubblici in cui istituto per istituto si renderà noto quanti sono i complaints sul totale della clientela, quali sono i tempi di risoluzione, quanti quelli che sfociano in contenzioso giudiziario, e via proseguendo. Il tutto, naturalmente - ha aggiunto il capo della retail division della FSA Dan Waters, con un sorriso a 24 denti - a carico degli stessi soggetti regolati, visto che sarebbe improprio che l’Autorità spendesse più denaro del contribuente per l’inefficienza degli intermediari… Un bell’esempio da seguire, direi.
Oscar Giannino mercato banche, tutela del consumatore, vigilanza
I media Usa oggi sono tutti dedicati all’uscita di GM dalla procedura di bancarotta, durata a malapena 40 giorni, con le nuove decisioni di tagliare 450 manager, interi marchi, e un calendario che viene annunciato come ”serrato”, per iniziare e restituire le decine di miliardi di dollari pubblici gentilmente messi a disposizione dall’Amministrazione USA. Un’impresa da far tremare le vene ai polsi, possibile solo se a questo punto Fritz Henderson e i restanti manager davvero incidono il corpaccione dell’inefficienza GM a colpi di accetta. Improbo sì, però comunque un compito meno improbabile di quello che graverà sulla spalle della ormai ex branch europea di GM, la Opel avviata alla partnership con la cordata austriaca di nome - Magna - ma russa di sostanza - il gruppo automobilistico Gaz più Sberbank. Le follie recenti di Gaz le trovate descritte qui con abbondanza di particolari. Chiedere per favore ai francesi di Renault, che a inizio 2008 hanno speso un miliardo di dollari per rilevare il 25% di Avtovaz. Il gruppo russo ha perso 800 milioni di dollari su 6 miliardi di fatturato nel 2008, le sue vendite a fine giugno da inizio anno sono inferiori del 47% a quelle del 2008, e i revisori del bilancio lo scorso 2 luglio con grande scorno di Putin hanno scritto nero su bianco di avere a questo punto molti dubbi, sulla capacità aziendale di far fronte alle rat del debito pari a 1,7 miliardi di dollari…
Oscar Giannino Senza categoria aiuti di Stato, auto, Gm, Opel, russia
Il dato relativo alla produzione del mese di maggio fa subito brindare i più. E’ il primo mese in cui la decrescita si ferma, rispetto al mese precedente. Anno su anno, siamo a un meno 20%. Il più 2% nel comparto energetico e il segno più per i beni durevoli e non durevoli - tradotto: auto e alimentari, farmaci e tabacchi - fanno pensare che a giugno vi potrebbe anche essere un timido segnale di miglioramento su maggio. Di qui a una consistente ripresa, la differenza è fatta dall’andamento che resta gravemente negativo per metallurgia e meccanica, il cuore della manifattura italiana fuori dall’auto.
Il quadro mondiale si presta a una lettura a doppio binario. L’Asia sta andando più forte di quanto si pensasse solo poche settimane fa, come si vede dagli andamenti dell’export cinesi a giugno e degli altri Paesi a maggio, resi noti tra ieri e oggi: dalla Cina alla Sud Corea alle Filippine a Taiwan, la crescita dell’export su base mensile, che ha iniziato a manifestarsi tra marzo e aprile, continua a essere superiore alle attese e si colloca in una forbice tra il 5% generale e il 7% cinese. La Corea del Sud sta realizzando una crescita record: più 2,3% di Pil nel secondo trimestre, dopo che nel primo comunque aveva evitato la recessione crescendo dello 0,1%. Tradotto in termini più semplici: l’Asia sta ridislocando potentissimamente e rapidissimamente i propri flussi commerciali al proprio interno, in attesa che America e paesi Ocse riprendano a consumare. Non è un processo dal quale Europa e Italia abbiano molto di che aspettarsi, per il traino dei propri dati congiunturali. Solo con politiche filo-cinesi atte a farsi aprire le porte - che Pechino ha chiuso in molti comparti alzando dazi e procedure amministrative, in modo che lo shift verso la domanda interna abbia il più possibile alimentazione da prodotti domestici o comunque asiatici - si riuscirà a garantirsi accessi e proprie crescite di volumi nel medio periodo.
Venendo all’Occidente, per l’export italiano è decisivo il dato tedesco e quello americano. La ripresa inattesa della produzione industriale tedesca a maggio - un più 5% su base mensile - ha fatto stappare molte bottiglie. Ma analizzandola bene si nota che dipende solo dall’avvio a termine del processo di destoccaggio delle scorte, rispetto a domanda per lo più interna. Infatti i dati dell’export e import dello stesso mese, rilasciati ieri, non sono affatto coerenti con un’ipotesi di ripresa del traino della locomotiva tedesca. Quanto agli Usa, dell’interruzione del contenimento delle perdite di posti di lavoro avvenute nell’ultimo mese rispetto alla tendenza dei due precedenti abbiamo già detto, e nel frattempo i nuovi dati su andamento dei prezzi immobiliari - ancora in caduta - e delle foreclosures- i pignoramenti - testimoniano che la caduta della capacità di consumo è ancora potentemente in corso, per riallinearsi a un reddito disponibile in doppia contrazione a motivo della perdita rilevante di base occupazionale e del rapido innalzarsi della propensione al risparmio. In tali condizioni, fossi un’industriale italiano nel settore dell’export manifatturiero, starei molto attento a credere che il peggio è alle spalle.
Oscar Giannino mercato commercio mondiale, export, Pil