Ricevo da Pasquale Annicchino e volentieri pubblico:
Il fiorire di iniziative think-tankistiche, o presunte tali, ha aperto un importante dibattito che l’Italia affronta da una posizione di assoluta retroguardia.
Negli interventi precedenti Alberto Mingardi ha giustamente messo in evidenza l’importanza che i think tank americani hanno nel “calare nella realtà concreta idee a livello di policies“. Si domanda ancora Mingardi: “Da noi (…) quand’è che si parla nei vari centri studi?”. La risposta di Mingardi (con sua buona pace) è simile a quella che avrebbe dato il marxista eterodosso Bordieu. Nei think tank italici si parla “quando si fa salotto”.
Strategie di investimento sociale che gli agenti sviluppano per trarne profitti materiali e simbolici. Il capitale sociale diventa così la base del capitalismo di relazione.
La realtà americana, presa a modello, è stata invece caratterizzata dalla presenza di veri e propri intellectual enterpreneurs capaci di investire nel valore delle idee e di coordinare gruppi di intellettuali e di network enterpreneurs spesso lontani l’uno dall’altro. La traduzione di questa “ricerca di base” in opzioni di policy è stato successivamente il compito dei political enterpreneurs. La differenza con la realtà italiana è che alla “dimensione non elettorale dell’attività politica” (Teles, 2008) è stata sempre garantita ampia indipendenza. Questo ha permesso il formarsi di centri studi autorevoli ed in concorrenza fra loro nel dibattito pubblico.
Se si osserva il paesaggio italiano nulla di nuovo appare sotto il cielo. Strani ircocervi si affacciano all’orizzonte e sembrano convergere nel nuovo mantra: l’esperienza doxica di Stato e di partito. Se le “idee hanno delle consequenze”, i pochi che lavorano su quelle e non dal “Bolognese” hanno poco da temere.
Bibliografia “think-tankista” minima:
Weidenbaum M. L., The competition of ideas: the world of Washington think tanks, New Brunswik, NJ, Transaction Publishers, 2009
Teles S. M., The rise of the Conservative legal movement, Princeton, Princeton University Press, 2008
Stone D., Denham A., Think tank traditions: policy research and the politics of ideas, New York, New York Universityb Press, 2004
Ricci D., The transformation of American politics: the new Washington and the rise of think tanks, New Haven, Yale University Press, 1993
Smith J.A., The idea brokers: think tanks and the rise of the new policy elite, New York, Free Press, 1991
Carlo Lottieri Senza categoria America, cultura politica, policies, think tanks
Commentando su “L’Occidentale” la condanna inflitta a Madoff per la truffa colossale messi in piedi negli scorsi anni, Salvatore Rebecchini rileva giustamente che ora bisogna evitare
la facile ricetta che vuole regole più severe come soluzione del problema. Certamente una riflessione su eventuali fallacie del sistema si impone, ma la lezione più importante da trarre è che occorre massimizzare l’incentivo da parte degli investitori a verificare la reputazione dei soggetti a cui affidano i loro risparmi. Come d’altra parte occorre che i soggetti affidatari siano incentivati a promuovere e a investire in reputazione. Purtroppo il rischio di nuova e ulteriore regolamentazione è di obnubilare tali incentivi e indurre i soggetti all’acquiescenza, rifugiandosi nella più facile e meno onerosa strategia del tipo: “Adesso ci sono nuove regole e queste ci assicurano correttezza e onestà”.
Rebecchini riprende e opportunamente attualizza una lezione tenuta nei giorni scorsi da Jonathan Macey, persuaso che quanto più la regolazione invade lo spazio economico e sociale, quanto meno è avvertita la necessità di farsi una reputazione e – di conseguenza – di tenere comportamenti corretti: tali da dare effettive garanzie ai nostri interlocutori.
È un altro modo per dire che la moralità si sviluppa nelle società più libere e che la pretesa interventista di chi vuole prevenire ogni errore con una limitazione della libera iniziativa (e quindi con l’adozione di meccanismi regolatori) finisce per depotenziare quelle regole spontanee dell’interazione umana su cui maggiormente possiamo fare affidamento se vogliamo affrontare non del tutto disarmati la dimensione sempre strutturalmente aleatoria del futuro.
In talune circostanze si può affermare che “prevenire è meglio che curare”, ma questo non vale sempre. In particolare non vale dinanzi alla pretesa dei pianificatori della vita sociale di eliminare ogni rischio ed ogni errore attraverso una crescente compressione degli spazi di libertà.
Carlo Lottieri liberismo, mercato Antitrust, Concorrenza, finanza, libero mercato, regulation, reputazione
Giornata di pessime notizie. Prima e più di quelle italiane, quelle che vengono dal mondo. America: i dati rilasciati oggi della disoccupazione Usa sono una secchiata di ghiaccio, oltre 460 mila nuovi senza lavoro mentre ce ne si attendeva 100 mila in meno: si interrompe dunque seccamente la decrescita dell’espulsione di manodopera, che era scesa dalle 600 mila unità mese circa a poco più della metà. Russia: il rapporto Fitch sui 60 miliardi di dollari di ricapitalizzazione necessaria delle banche russe, se le cose continuano di questo passo - attualmente le proiezioni del GDP per il 2009 dicono meno 8,6% - è una mazzata a chi sperava che la ripresa della Borsa russa fosse un segnale anticipatore del rallentamento della crisi. Con questi prezzi del barile di petrolio - l’80% delle entrate pubbliche russe sono ”energetiche” - lo Stato potrebbe esitare molto, di fronte a ricapitalizzazioni tanto energiche, e Mosca potrebbe ricadere in un’instabilità che da due mesi sembrava prospettiva in via di raffreddamento. Cina: altro rapporto Fitch sulla crescita verticale rilevata negli ultimi due mesi di impieghi bancari ad altissimo rischio, cioè a fronte di asset collaterali o direttamente di garanzia su valori terribilmente “gonfiati”. In apprenza è un segno positivo, significa appunto che lo switch a sostegno della domanda interna deliberato dalle autorità cinesi per fronteggiare la caduta dell’export funziona. Ma, dopo qualche mese, se il tono Usa e Ue resta quello deflazionistico che ufficialmente si vede negli ultimi dati degli impieghi bancari, per via del cambio fisso dollaro-reminmbi la bolla degli asset cinesi interni sarà costretta ad esplodere, a meno di far saltare il cambio come i cinesi negano risolutamente di essere disposti a fare.
Quanto all’Italia, il 9,3% di Pil di fabbisogno pubblico accumulato nel primo trimestre è un dato purtroppo atteso, con una caduta tendenziale del Pil superiore al 5%. Di solito, il primo trimestre è il peggiore, perché poi arrivano gli anticipi dell’autoliquidazione fiscale e più avanti i conguagli. Ma è evidente anche che si tratta di un dato che spinge il deficit tendenziale pubblico a fine 2009 più verso il 6% del Pil che verso il 5, con l’elasticità attuale del calo delle entrate rispetto a quella del prodotto. È vero: è in arrivo lo scudo fiscale. Ma Tremonti si ripromette di usarlo per finanziare interventi aggiuntivi o sin qui negati: e ne riparleremo, nei prossimi giorni, perché ho avuto un’idea che sto testando riservatamente, prima di parlarne in pubblico.
È inutile continuare a negarlo: servono riforme strutturali che recuperino andamenti futuri della spesa pubblica nell’ordine di 4-6 punti di Pil almeno, tra previdenza, sanità eccetera eccetera. Non in un anno: ma l’essenziale è metterli a punto e vararli al più presto.
Oscar Giannino Senza categoria deficit pubblico, deflazione, qelfare
Ancora una volta, allarme rosso sulle forniture di gas dalla Russia via Ucraina. In conclusione della riunione del Gruppo coordinamento gas, la Commissione europea ha invitato gli Stati membri a “riempire gli stoccaggi” e prepararsi a eventuali interruzioni “nelle settimane o mesi a venire”. A monte di tutto, la consueta querelle tra Mosca e Kiev sul pagamento degli arretrati. Sul tappeto c’è il prestito da 4 miliardi di dollari che l’Ucraina ha chiesto all’Occidente, per far fronte ai suoi obblighi (anche se, come anticipato qualche giorno fa da Quotidiano Energia, probabilmente un paio di miliardi basterebbero a tranquillizzare i russi).
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Carlo Stagnaro energia, liberismo, mercato barroso, Crisi, energia, gas, liberalizzazione, russia, ucraina, unione europea
In attesa che D’Alema spieghi perche’ lui c’ha il think-tank col trattino e Veltroni inauguri un think tank senza il trattino, la moltiplicazione dei pensatoi continua ad attirare commenti giornalistici dopo il Campi e il Colombo che segnalavamo ieri. Sul Sole 24 Ore, in particolare, oltre a un pezzo siglato da Rossella Bocciarelli, c’e’ un editorialino nella pagina dei commenti, giustamente salace.
“Nella foga di copiare gli Usa”, scrive il quotidiano confindustriale, “ci si scorda che nella nostra II repubblica le idee contano zero. Disprezzate a destra come a sinistra, tra propaganda, leaderismo e volgare contumelia”.
L’osservazione e’ azzeccatissima, in realta’ non solo rispetto alle “degenerazioni” del dibattito politico: ma proprio rispetto a quella che e’ una caratteristica vantata invece con decisione dagli uomini politici. Ovvero, il pragmatismo. Pragmatismo che significa il rifiuto di qualsiasi dimensione ideale, di qualsiasi visione consapevole e compiuta di quale dev’essere il rapporto fra individuo e Stato, perche’ ogni formula sarebbe “ideologica” e invece nel mondo di oggi, dopo il crollo del muro di Berlino, l’11 settembre e il fallimento della Lehman, bisogna navigare a vista.
I think tank americani sono sempre ancorati a un sistema di idee. Piaccia o non piaccia, il loro mestiere e’ calare nella realta’ concreta e difficile delle policies, una serie di principi che appartengono alle diverse grandi famiglie della storia politica del Novecento. Da noi al contrario quand’e’ che si parla dei vari centri studi? Quando fanno salotto. Quando “attovagliano” tizio caio e sempronio. Pensate al recente seminario milanese di Italianieuropei (di cui nella capitale morale si occupa un’eccellente persona come Carlo Cerami). Qualcuno ha letto sui giornali che si e’ detto, quali tesi sono state espresse? Io ho trovato solo elenchi, ora piu’ ora meno puntuali, delle presenze in sala.
La seconda repubblica e’ caratterizzata da una sorta di pragmatismo bipartisan: destra e sinistra unite dal non avere una visione del mondo, gli uni hanno un capo gli altri un nemico. Questo crea la necessita’ di qualche “zona franca” nella quale le appartenenze si stemperino, e pragmatismo di destra e pragmatismo di sinistra possano pragmaticamente confrontarsi. I “pensatoi” di maggior successo, coerentemente, sembrano essere quelli in cui migliore e’ la composizione dei “tavoli” e piu’ intensa e’ la chiacchiera informale fra interessi e decisori. Servono i think tank, o bastava un buon ristorante?
Alberto Mingardi Senza categoria Italianieuropei, seconda repubblica, Sole 24 Ore, think tank