Non ce l’hanno fatta. E’ più forte di loro. I candidati alla Presidenza della Provincia di Torino Porchietto, Saitta e Vietti hanno giocato di sponda, tutti quanti. Nessuno è riuscito a spiegare per quale ragione un ente intermedio di questa natura debba essere mantenuto in vita. La risposta non è arrivata dal Presidente in carica, Antonio Saitta, che dall’alto dei suoi ben quindici assessorati, si è limitato a pronunciare parole vuote sul compito di “razionalizzazione” delle competenze; senza rendersi conto che la confusione del quadro normativo è vieppiù accresciuta laddove si siano dotate le Province di nuove e mirabolanti funzioni. L’esempio della pianificazione urbanistica- si veda il mio precedente post sul tema- è palmare. Non vi è però riuscita nemmeno l’aspirante Presidente Porchietto, che ha vagheggiato di competizione tra enti locali ed eliminazione degli sprechi, quando ad aver deviato da uno scenario simile è stato proprio il suo partito con l’approvazione di una riforma del federalismo fiscale che non ha affatto aiutato a districare il guazzabuglio legislativo sul tema. Michele Vietti, invece, aveva sin dall’inizio la strada spianata. Se è vero che l’UdC è l’unico partito ancora fermamente convinto della necessità di tagliare questo ramo secco del sistema istituzionale, è d’altra parte altrettanto vero che le sue posizioni rimangono ad oggi puro wishful thinking. Candidarsi alla Presidenza di un ente del quale si vorrebbe essere “liquidatori” è poco credibile. Il professor Ricolfi, per bilanciare l’arringa iniziale di Silvio Boccalatte, fellow IBL e autore del libro in discussione, ha dovuto smorzare i toni, traducendo il suo intervento in uno sterile richiamo ad occuparsi non soltanto di un ridimensionamento del numero delle province, ma anche e soprattutto degli sprechi della P.A. Ora, va tutto bene. E di norma quando leggiamo gli editoriali del professor Ricolfi ci troviamo in perfetta sintonia. Ma il tema della serata era quello dell’abolizione delle province. Limitarsi a dire, come ha fatto il sociologo torinese spalleggiato dal Presidente Saitta, che bisognerebbe individuare criteri per eliminare le province più piccole o quelle di nuovo conio (Ogliastra sì e Rovigo no? Per quale ragione? Dubito che gli amministratori locali assisterebbero in disparte a questa geometrica quanto arbitraria rimodulazione) e che il panorama delle Province è comunque estremamente sfaccettato al suo interno (ve ne sono alcune molto efficienti ed altre molto meno); ebbene ragionare così, ci fa perdere di vista il punto nodale della questione, ovvero: è utile un ente creato non per delle esigenze manifestatesi a livello locale, ma per un’imposizione centralista? E’ cioè utile un ente una volta creato il quale è necessario scervellarsi su quali competenze affidargli? Io credo di no. Ecco perché il paragone di Ricolfi con i distretti di Corti di appello è poco azzeccato. Qui non è in discussione la maggiore o minore efficienza di quella o di quell’altra Provincia, ma dell’ente in quanto tale. In ultimo, una provocazione: Vietti sostiene che invitare all’astensione alle provinciali non faccia un buon servizio alla causa dell’abolizione delle Province. Percepisco una contraddizione logica: qual è allora la soluzione? Fare campagna elettorale per andare a guidare un ente che si dice di voler abolire? Forse l’onorevole Vietti- e si sarebbe di certo attirato molti più battimano- avrebbe dovuto dimostrare quella coerenza la cui mancanza ha rimproverato ai suoi avversari, un tempo grandi sponsor dell’eliminazione delle Province ed oggi soltanto timidi riformatori; ossia, quella di non candidarsi affatto.
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All’assemblea dei partecipanti della Banca d’Italia, il governatore Mario Draghi anno dopo anno sta imprimendo una svolta di comunicazione a mio giudizio giusta. Le sue considerazioni finali diventano sempre più asciutte ed essenziali. La parte di analisi macro internazionale ed italiana si dà per scontata o quasi, idem dicasi per le analisi e le rilevazioni di contabilità nazionale e bancaria, rinviando alla corposa relazione in più tomi che da sempre correda i documenti dell’appuntamento annuale. Ne soffre forse l’aulica corposità della messa cantata di un’intera mattinata, lasso di tempo che a stento in passato conteneva le diverse parti dell’orazione. Ma se ne guadagna in essenzialità.
A Draghi non interessa apparire un contro-centro di potere economico, con una ricetta complessiva per il Paese e una analitica per ogni problema. Gli preme confermare che Bankitalia c’è e resta, pronta a fare il suo dovere come sempre, in funzione e vigilante come centro di elaborazione dati e d’intervento d’emergenza, se e quando necessario. Ma, per il resto, il governatore è uomo di pochi messaggi. E a me sembra cosa giusta: è un limite del centrodestra attuale, non averlo ancora capito.
Di conseguenza, Draghi si è limitato solo a poco più che ricordare le parti dell’agenda di ri-regolazione internazionale che sono essenziali, ma non si decidono in Italia (e, tra chi sta in Italia Draghi ne deciderà, col FSB che presiede, comunque più di altri). Domani, i giornali titoleranno soprattutto sulla parte delle considerazioni che in apparenza suona allarmistica per Pil e occupati italiani: in realtà, si tratta dei dati già noti, e bene fa il governatore a star fermo su quelli, invece di puntare sul sentiment in ripresa.
A ma è piaciuta la chiara identificazione dei due maggiori rischi per l’Italia, la forte riduzione dei consumi interni e il pericolo-mortalità per migliaia di manifatturiere attive nell’export; e, di conseguenza, la conclusione che le riforme di welfare e pensioni non sono procrastinabili. Alle banche, Draghi non ha fatto sconti e non ha affatto sposato le cifre dell’Abi su impieghi e relativi tassi praticati. Non è poco. Su Tremonti bonds e necessità di prossime svalutazioni patrimoniali, grande prudenza invece. Ma per due volte Draghi è tornato sul tema, pur senza citare per esempio le tesi di Prometeia, e ricordando alle banche che devono insieme dare credito e rafforzarsi nel patrimonio chiudendolo al mercato. Felpato e rapido, ma più dalla parte di chi la pensa come noi che contro, e senza fianco prestato agli inni sulla nuova politica che metterebbe in riga autorità indipendenti, banchieri ed economisti.
Oscar Giannino Senza categoria Banca d'Italia, Draghi
Su Repubblica Tv, nonostante le domande di Antonio Cianciullo, Carlo Durante - imprenditore nelle energie cosiddette pulite e consigliere di Aper - racconta il suo viaggio in aliante sull’Italia delle rinnovabili. Al centro del ragionamento sta il fatto che le rinnovabili, in particolare sole, vento e idro, possono integrarsi nel paesaggio e che dunque, al netto di eventuali criticità locali, non è corretto affermare che, in generale, queste fonti deturpano il paesaggio. Le foto da lui raccolte lo testimoniano. Aggiungo che i campi eolici possono essere belli, possono essere una splendida testimonianza della capacità, direi la vocazione, dell’uomo a plasmare l’ambiente. La tutela del paesaggio non può e non deve essere una sorta di “imbalsamazione”, ma un processo di crescita e adeguamento dell’ambiente alle esigenze dell’uomo. Dopo di che, i gusti sono gusti (a me, per esempio, piacciono campi eolici e raffinerie, mentre trovo insopportabili i campi fotovoltaici), ma il punto che ci tengo a sottolineare è che la civiltà industriale ha una sua bellezza che non sempre, purtroppo, viene colta da chi si oppone, per principio, a tutto e tutti (Carlo ricorda la folle storia dei comitati anti-eolici in Puglia che temevano che, a causa delle turbine, non sarebbero più cresciute le patate). Essere contrari all’eolico (o a qualunque altra cosa), a priori, per ragioni estetiche o di altro genere, è piuttosto stupido. Il problema è semmai opporsi all’obbligo, che attualmente grava su voi e me in quanto consumatori di energia elettrica, di pagare (in tariffa) per fonti che, in generale, sono poco o per nulla competitive. Non voglio impedire a nessuno di erigere i suoi mulini a vento: voglio solo che non lo faccia coi miei soldi.
Carlo Stagnaro Senza categoria ambiente, eolico, paesaggio, rinnovabili, solare