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Archivio per 16 maggio 2009

Il fardello (tedesco) delle pensioni

16 maggio 2009

La notizia è totalmente passata sotto silenzio in Italia. Ma la Germania ha appena compiuto una involuzione socialisteggiante non da poco. L’editoriale di Pietro Garibaldi apparso questa mattina sulle colonne del quotidiano La Stampa mi offre il destro per discuterne. In questa legislatura di unità nazionale (2005-2009) le entrate fiscali tedesche sono copiosamente cresciute, trainate un po’ dalla crescita economica, un po’ dagli aumenti di tassazione introdotti a macchia di leopardo dall’epigono di Visco, Peer Steinbrück. Il “tesoretto” accumulatosi non è tuttavia servito per tagliare finalmente le tasse al ceto medio, ma è piuttosto andato a foraggiare un generoso aumento di spesa pubblica. Ora, complice la crisi finanziaria, il Ministro delle Finanze piange miseria e, in un comunicato reso pubblico ieri, ci dice che dovrà rinunciare a circa 316 miliardi fino al 2013. Ergo, la soluzione proposta dall’SPD è questa: prendiamo i soldi dai ricchi (ma non erano i socialdemocratici ad averli sgravati?) e sferriamo l’offensiva contro i paradisi fiscali. Con l’approssimarsi della campagna elettorale, l’ipotesi di stringere i cordoni della borsa è sicuramente la più impopolare. Ecco perché il Ministro del Lavoro Scholz ha pensato – e ottenuto – che con un bel tratto di penna, d’ora in poi, le pensioni di 20 milioni di tedeschi non possano mai più diminuire. E così, mentre Garibaldi va suggerendo modelli per controllare l’esplosione della spesa previdenziale, in Germania si va esattamente nella direzione opposta, svincolando l’erogazione delle pensioni dai redditi dei lavoratori e mettendo una bella ipoteca sul futuro del Sozialstaat. E questo dopo che i pensionati tedeschi hanno già beneficiato di generosi aumenti negli anni passati. Si dirà: in Germania la riforma delle riforme – la pensione a 67 anni – è già stata licenziata. Vero. Ciò non toglie che, però, almeno nel medio periodo, vi saranno sempre più pensionati e sempre meno persone che pagano i contributi assicurativi. Già ora lo Stato tedesco è costretto a prelevare denaro dalle tasse dei cittadini per sopperire alla carenza di risorse delle casse pensionistiche. Insomma ancora una volta tocca alle generazioni più giovani farsi carico di un’ipertrofia previdenziale che, presto o tardi, diverrà insostenibile.

Giovanni Boggero welfare , , , , ,

Poche banche sono meglio di molte?

16 maggio 2009

Chi scrive fa parte del non ristretto club che pensa che, alla fin della fiera, l’Economist sia l’unico giornale al mondo che vale veramente la pena di leggere. La qualità del settimanale britannico è impressionante - sempre costante nel tempo, così come pure il “marchio di fabbrica” è inevitabilmente impresso negli articoli i più diversi. Lettura domenicale dell’uomo d’affari, l’Economist non delude mai. Neppure questa settimana: vi si trovano, fra le altre cose, una lettura del viaggio del Papa in Israele un po’ eccentrica rispetto al quadro fattone dai giornali italiani; un pezzo molto intelligente (sia pure non del tutto condivisibile) sul futuro del partito repubblicano e la sua scarsa capacità di fare autocritica; un pezzo su Intel molto bilanciato; un articolo veramente interessante, su come la corporate social responsibility stia “sopravvivendo” alla crisi. Un palinsesto di tutto rispetto, visto quello che va in onda, tutti gli altri giorni della settimana.

Il cuore del giornale è però l’inserto sul futuro del settore bancario. Ricco, interessantissimo. Ma nel quale stupisce un articolo sul Canada, Paese che è rimasto immune al contagio della crisi finanziaria americana. Stupisce perché la tesi è del tipo che non dispiacerebbe ai nostri banchieri (come ricordava Oscar Giannino scrivendo di alcune recenti “riflessioni” sulla crisi), e che sarebbe piaciuta, tantissimo, all’ex sommo sacerdote governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Cito:

Having a few banks that are clearly too big to fail has led to more stringent supervision, including imposing a maximum leverage ratio and a single regulatory regime for commercial and investment bankers. Laxer and more fragmented capital regimes allowed the balance-sheets of banks elsewhere to balloon

La questione del relativo successo del Canada vs gli Stati Uniti è più complessa, come lo stesso Economist riconosce (esaminando ad esempio il diverso trattamento fiscale dei mutui). Tuttavia, quella per cui un settore bancario “ingessato”, con poche banche “too big to fail” dichiaratamente tali, funzionerebbe meglio perché esse “chiamano” evidentemente vigilanza e regolazione, è una tesi molto forte. Mi sembra non sbagliata l’osservazione di Sceptik, nei commenti all’articolo sul blog del giornale:

Has anyone considered that an oligopoly concentrates more risk? Assuming they have an equal share of the loan market, a failure of one of them knocks out 20% of the home loan market.

Alberto Mingardi mercato , , , , ,