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Archivio per 11 maggio 2009

Gli effetti collaterali della mobilità sostenibile

11 maggio 2009

Il Corriere riprende oggi i risultati di un’inchiesta pubblicata su il «Centauro» di maggio, organo ufficiale dell’Asaps, l’associazione amici sostenitori della Polizia Stradale, che confermano quanto già si sapeva da tempo. Ossia che, moto a parte, il mezzo di trasporto più pericoloso è la bicicletta. Tale stato di cose sarebbe,  a detta di alcuni, da ricondursi al fatto che in Italia non vi sono abbastanza piste ciclabili e mancano politiche volte alla protezione di questi “utenti deboli” della strada. Le statistiche relative al Regno Unito, Paese leader in Europa per quanto concerne la sicurezza stradale, sembrano però smentire tale interpretazione. Anche oltre Manica, gli spostamenti su due ruote sono dodici volte più rischiosi di quelli in auto. Un trasferimento del 5% della mobilità dalle quattro alle due ruote causerebbe dunque, in quel Paese, un incremento del numero di morti in incidenti stradali superiore a cinquecento unità per anno. Un bell’esempio di mobilità sostenibile.

Francesco Ramella Senza categoria ,

Insider trading - Qualche recente evidenza che ci riguarda

11 maggio 2009

Insieme ad alcuni colleghi dell’Universita’ Bocconi (Maurizio Dallocchio, Stefano Bonini e Marco Garro) abbiamo appena concluso una ricerca sugli annunci di takeover. Piu’ in dettaglio, si e’ trattato di analizzare 156 takeover realizzati nel nostro Paese dal 2001 al 2007.

I risultati sono abbastanza sorprendenti, anche se non del tutto inattesi. L’evidenza mostra infatti che in media 7/8 giorni (lavorativi) prima dell’annuncio il prezzo del titolo della societa’ target del takeover ha cominciato a muoversi prepotentemente verso l’alto. Ora, che il prezzo di una societa’ oggetto di attenzioni ostili aumenti e’ cosa ampiamente nota e scontata nella letteratura e nella prassi. Che l’incremento avvenga prima dell’annuncio lo e’ molto meno.

Vogliamo leggerla in un altro modo? Probabilmente, l’operazione di imminente annuncio esce dalla stanza del CdA - per approdare in quella dei trader - prima del tempo dovuto. Abbiamo certezze al riguardo? No. Qualche sospetto? Tanti, vista la regolarita’ con cui abbiamo potuto osservare tale fenomeno.

Extra rendimenti cumulati societa target pre e post annuncio

Extra rendimenti cumulati societa' target pre e post annuncio

Il grafico allegato fornisce evidenza visiva di tutto cio’. Come infatti si puo’ agevolmente osservare, gli extra-rendimenti del titolo nei 4/5 mesi prima dell’annuncio viaggiano in un corridoio piuttosto deludente. Una settimana (circa) prima dell’annuncio invece le cose cambiano drasticamente e gli extrarendimenti cominciano misteriosamente a crescere verso il prezzo dell’annuncio.

Questa evidenza abbastanza sconcertante e’ pero’ controbilanciata da una buona notizia: al momento dell’annuncio il contenuto innovativo ”residuo” viene correttamente scontato dal mercato,  come testimonia l’andamento quasi piatto del grafico nei giorni successivi all’annuncio.

Personalmente, nel solco tracciato dal grande Pascal Salin in “Liberalismo”, non sono un grande fan delle leggi sull’insider trading. Pero’,  se le leggi esistono occorrerebbe farle rispettare, credo.

Antonio Salvi liberismo, mercato

Sane letture e Telecom come Fiat

11 maggio 2009

Spesso nelle grandi crisi si affermano nuove grandi idee e cambi radicali di paradigmi, prima imperanti, ma rivelatisi esplosivamente sbagliati. Altrettanto spesso, però, la tendenza è quella di rispondere alle grandi crisi cercando di rispolveerare vecchie idee che in precedenza erano state già messe da parte, proprio perché alla prova dei fatti non avevano retto. Esempio: quando all’apertura delle rotte oceaniche e alla ridislocazione verso Spagna e Nordeuropa dei flussi commerciali la Serenissima Repubblica di Venezia pensò bene di impedire ai suoi maestri d’ascia la realizzazione di caracche prima e galeoni poi, convinta che galee e galeazze di piccolo cabotaggio e non pelasgiche costituissero una specializzazione ancor più necessaria per difendere il monopolio del Mediterraneo, rimase abbarbicata a una nicchia perdendo di vista il mondo nuovo.
Lo stesso avviene oggi con il ritorno in grande stile dello statalismo. Per combatterlo, bisogna che tiriamo un più più energicamente fori gli artigli, cari tutti voi che mi leggete.
Consiglio intanto due letture al volo. il bel saggio di Ian Bremmer sull’ultimo numero di Foreign Affairs - “State Capitalism Comes of Age: The End of the Free Market?” - ricco di numeri e dati comparati sulla forza solo pochissimo tempo fa del tutto impensabile che lo Stato ha ripreso ed esercitare nell’economia mondiale (i dati su riserve di energia sono impressionanti, le compagnie private hanno meno del 3% delle riserve attualmente stimate). Poi continuate con l’editoriale dell’ex senatore repubblicano dell’Oregon Bob Packwood sul New York Times di oggi, a proposito dei limiti al prelievo fiscale negli Usa in relazione al modello sociale che Obama intende perseguire. Sono considerazioni che valgono anche per noi in Italia: tradotto in altri termini, sono per apire un conflitto vero e aperto con il centrodestra italiano, su questi temi, perché non può bastare che le tasse non le alzi, deve mantenere le pomesse di abbassarle oppure sia guerra.
Infine, son curioso di sapere come la pensate su un tema: Telecom Italia. La mia tesi è che chi la pensa come noi dovrebbe battersi e sperare che sai accinga a fare come la Fiat di Marchionne, “annegarsi” in un abbraccio con Telefonica per impedire l’abbraccio soffocante della politica sulla rete “universale” e connesso mucchettismo della ncessità di controllo pubblico per ovviare a investimenti inadeguati. Voi che ne dite?

Oscar Giannino Senza categoria , , , ,

Gas, la Caporetto delle liberalizzazioni è la distribuzione?

11 maggio 2009

Intervistato dalla Stampa di oggi, Massimo Orlandi, ad di Sorgenia, dice che

la difficoltà è legata a quello che potremmo chiamare, facendo un paragone con la telefonia, l’ultimo miglio del gas. Ovvero un operatore privato come Sorgenia non riesce ad attraversare l’ultimo metro di tubo che dà l’accesso al gas. Il mercato è in mano ai distributori del gas che in Italia sono oltre 400… Soprattutto le utility più piccole fanno ostruzionismo: non fornendo in tempo le misure sui consumi del gas o fornendole sbagliate.

Qui è disponibile una sintesi dell’intervista. Sebbene la distribuzione non sia l’unico ostacolo alla piena concorrenza, non c’è dubbio che, all’atto pratico, essa sia quello maggiore e più subdolo. Le reti di distribuzione locale del gas sono, infatti, frammentate (la maggior parte sono di piccole e piccolissime dimensioni, cosa che - da un punto di vista strettamente economico - non ha senso, perché questo è un business fortemente sensibile alle economie di scala e soprattutto di densità). Inoltre, nella maggior parte dei casi sono verticalmente integrati nelle utilities locali, perlopiù a controllo comunale e spesso beneficiarie di affidamenti diretti, che hanno ogni incentivo a mantenere l’opacità e non investire nello sviluppo delle reti, allo scopo di trattenere il maggior numero di clienti nel mercato vincolato. Tant’è che, come ricorda lo stesso Orlandi, a sei anni dalla completa apertura del mercato del gas (1 gennaio 2003) solo il 3 per cento delle famiglie e piccole imprese è passato al mercato libero, contro il 4,7 per cento delle famiglie che hanno “switchato” nel mercato elettrico, di più recente apertura (1 luglio 2007) (a me risultano dati ancor più positivi).

Il tema posto da Orlandi è quello che, specie dal punto di vista dei piccoli consumatori (e dell’interesse per le aziende ad andarseli a prendere), fa effettivamente l’interesse. Altrimenti non si spiegherebbe che le offerte sul mercato elettrico siano state assai più aggressive che quelle per il gas, a dispetto del fatto che i due mercati subiscono vincoli simili nelle altre fasi della filiera. E’, dunque, importante affrontare i due corni della questione: la frammentazione industriale e la scarsa trasparenza delle letture. Per quel che riguarda quest’ultima, nel settore elettrico è stata risolta e garantita tramite l’installazione di contatori elettronici, che forniscono misure in tempo reale e oggettive. A sua volta, questo investimento è stato reso possibile dalla spinta dell’Autorità e dalla disponibilità dei maggiori operatori della distribuzione e cioè, a fortiori, dal più forte grado di concentrazione. Quindi, anche per il contatore elettronico la causa ultima sta nella frammentazione della distribuzione locale del gas.

Quindi, la scommessa è quella di trovare una formula per indurre un processo di aggregazione. L’Autorità ci ha provato con un documento di consultazione e una serie di prese di posizione successive, ma anche qui mi pare che la via seguita rischi di essere sterile, anche se per ragioni opposte. L’Autorità, in sostanza, ha condotto un’indagine sui bilanci della distribuzione, e ha creduto di individuare una “dimensione minima” al di sotto della quale la scala è insufficiente. Ma questa logica è debole, non solo perché inevitabilmente trascura le specificità locali (la distribuzione in un territorio montano è diversa dalla stessa attività esercitata in una grande città nel mezzo della pianura. La “dimensione ottima” di un’impresa, insomma, non dovrebbe essere stabilita autoritativamente, anche perché essa è necessariamente funzione di una quantità di variabili, tra cui la tecnologia in uso (che oggi è ovviamente diversa da ieri e da domani) e le scelte regolatorie (in particolare sulle tariffe, cioè le entrate, e la qualità del servizio).

A questo si aggiunge una normativa demenziale. Le reti oggi sono per la maggior parte in mano a soggetti formalmente privati, ma, allo scadere delle concessioni (la maggior parte delle quali terminerà entro la fine del 2010), dovranno tornare in mano agli enti locali, i quali dovranno riassegnarle tramite gara.  Un elemeno fondamentale delle gare - di fatto l’unico - è il canone di concessione, cioè quanta parte delle loro entrate le imprese sono disposte a pagare ai comuni. Il risultato è che i margini, stretti tra una certa rigidità dei costi industriali (determinata dal rispetto degli standard di qualità imposti dall’Aeeg), il cap sulle entrate (imposto tramite la regolazione tariffaria), e quella tassa impropria che versano agli enti affidatari (il canone), finiscono per essere così risicati da non determinare alcuna dinamica virtuosa. La vera scelta, che però è una scelta anzitutto politica e quindi regolatoria, dovrebbe essere quella di un modello regolatorio univoco, anziché mischiarne due: o si regolano le tariffe di imprese private che posseggono le reti (eventualmente estendo gli obblighi di unbundling anche ai piccoli o spingendo l’acceleratore sulla separazione proprietaria), oppure si decide che le reti sono pubbliche e vengono affidate tramite gara, facendo sì che il controllo sui prezzi (cioè sulla remunerazione del capitale) avvenga attraverso i termini dell’affidamento. I due modelli sono ugualmente interessanti, anche se io tendo a preferire il primo (proprietà privata + regolazione tariffaria + separazione proprietaria). Ma finché non si compie una scelta netta, qualunque tentativo di soluzione rischia di essere peggiorativo, aumentando la confusione normativa e riducendo la trasparenza.

E’ come in cucina: quando un piatto risulta insoddisfacente, entro un certo limite si può tentare di “salvarlo” aggiungendo nuovi ingredienti, o aumentando le dosi di quelli vecchi. Ma se la ricetta era sbagliata, conviene ricominciare da zero.

Carlo Stagnaro energia, mercato , , , , , ,