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Archivio per 2 maggio 2009

Red Obama e il rischio bancario

2 maggio 2009

Sull’auto Obama può fare “il rosso”, perché da sempre la storia dei tre grandi produttori automobilistici Usa è fatta di grandi collusioni tra politica e sindacato. In Chrysler, paradossalmente, attribuire la maggioranza ai sindacati poteva essere una mossa favorita dal fatto che Cerberus, l’azionista di maggioranza sino a ieri, aveva fatto efficienza con grande energia negli ultimi tre anni. Al punto tale che il fondo si è trovato nella singolare condizione di aver pagato pegno, per la troppo puntuale osservanza degli impegni di rientro del debito: avremmo fatto meglio a non restituire miliardi di dollari ai creditori negli ultimi due anni, è stata l’amara battuta finale venuta da Cerberus prima di mandare le carte al Tribunale per il chapter 11. Il che la dice lunga su quali norme prendano automaticamente piede: quando Stato e sindacati la fanno da padrone, ai creditori privati non resta che prendere atto che si entra in una fase di vera e propria sospensione del codice civile. I tre fondi indicati all’esecrazione mondiale da Obama - sui quali è già intervenuto Alberto Mingardi stamane - hanno il torto insopportabile di pretendere che appunto valga il codice civile americano, il quale assegna ai creditori privati la garanzia degli asset societari, e dunque loro non vedono il perché debbano accontentarsi di 29 cents per dollaro prestato, quando il sindacato che dal codice civile non ha garanzie “reali” si vede locupletato del 55% della società… Un errore imperdonabile, credere che in tempi di revanscismo statal-socialista valgano le garanzie ordinarie di legge a proprietari e prestatori…
Già in General Motors, dalla prossima settimana, non si sa quanto un eventuale analogo schema possa funzionare. Perchè GM, a differenza di Chyrsler, il più dell’efficienza la deve fare ancora tutta. Lo stesso zar governativo dell’auto, Steve Rattner, ha dovuto ammettere che non bastano affatto, gli impegni di chiudere un terzo degli stabilimenti Usa, di liberarsi di una ventina di migliaia di dipendenti e di più di un terzo dei concessionari. Vedremo che cosa ne salterà fuori. Intanto la Germania si è subito accodata, e il governo Merkel ha reso noto di aver stilato la bellezza di “14 criteri” in base ai quali aggiudicare la proprietà della Opel. Come se in tutto e per tutto si trattasse, appunto, di un’azienda pubblica…
Ma prima di capire quanto “rossa” sarà la soluzione per GM, il rischio è di un incidente molto serio per Obama, gli Usa e i mondo intero. L’ovattata atmosfera dei mercati chiusi per il primo maggio e il lungo week end è stata attraversata da sinistri bagliori che provengono dal cuore malato stesso della crisi: le grandi banche Usa. A Washington si litiga forsennatamente, e il riserbo della Fed e del Tesoro non tiene più. I risultati dei tanto attesi stress test per i primi 19 gruppi bancari Usa, quelli che detengono ciascuno asset superiori a 100 bn di dollari, non verranno resi noti a metà settimana prossima ma - forse - dopo la chiusura settimanale di venerdì. Le banche hanno idee molto diverse dal Tesoro, in merito al rafforzamento “coatto” del proprio patrimonio stimato come necessario dagli ispettori pubblici. Germinano indiscrezioni su una Citigroup bisognosa di altri 10 miliardi di dollari, su Bofa chiamata a trasformare in azioni ordinarie i 45 miliardi di titoli ibridi acquisiti dal pubblico, su Wells Fargo finora esente da cattive dicerie, e su parecchi altri istituti. La settimana di Borsa rischia di essere molto ballerina, su queste voci di profondo dissenso in merito a come riparare proprio le falle che hanno fatto imbarcare tanta acqua all’economia mondiale. Perché se sull’auto Obama può fare il Rosso, sinora l’amministrazione con Summers e Geithner si era ingegnata di avere ottimi rapporti con i vertici bancari privati Usa. Di qui lo schema di riavvio delle cartolarizzazioni dei titoli tossici fortemente favorevole - troppo - agli auctioners privati (la promessa per loro è di mettere soli 6 cents a fronte di un dollaro di nominale, e tutto quel che viene sopra quella linea si spartisce a metà col Tesoro, che per parte sua garantisce il resto e si accolla da solo tutte le eventuali perdite). Ma prima di arrivare alle aste “tossiche” bisogna appunto passare per i bollettini medici ufficiali dello stato patrimoniale delle 19 banche. E se in alcune tra le maggiori di esse Obama pensa di socialisteggiare come nell’auto, è pressoché obbligatorio prevedere pessime reazioni dei mercati. Speriamo che a Washington ragionino, e il socialismo si fermi ai bricks and mortars che più gli appartiene storicamente.

Oscar Giannino Senza categoria , , , , , ,

Le auto americane e il clima europeo

2 maggio 2009

Questa volta l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha fatto bingo. Prima di parlare di rinnovabili, ha detto, meglio concentrarsi sulle cose serie. La questione è semplice:

I prezzi della benzina sono crollati, rispetto a un anno fa, l’imposizione fiscale [negli Usa] è molto bassa e gli americani sono contenti. Vorrà il signor Obama mettere un’imposizione fiscale sulla benzina simile a quella che conosciamo noi europei da decenni? Non lo so. Ma è un tema abbastanza discriminante sull’ambientalismo.

Lungi da me invocare un aumento delle imposte americane sui carburanti per autotrazione. Però Scaroni ha perfettamente ragione nell’osservare che una delle principali cause della differenza nell’efficienza del parco veicoli americano rispetto a quello europeo sta proprio nel carico tributario, che determina una differenza di ordini di grandezza tra il costo degli spostamenti in Europa e negli Stati Uniti. L’alto prezzo del “pieno” ha spinto gli europei a progettare, e acquistare, veicoli più leggeri e meno voraci. Negli Usa, invece, si è optato per un intervento regolatorio sulle imprese automobilistiche, con pochi risultati di politica ambientale, e risultati orrendi sul fronte dei processi produttivi. I cosiddetti “CAFE standard” impongono il valore medio di consumo per la flotta prodotta da ciascuna impresa. Poiché gli americani, per il loro stile di vita e il basso costo dei carburanti, tendono a volere auto molto potenti, le industrie sono costrette a introdurre sul mercato veicoli che nessuno vuole, ma che rappresentano un costo industriale molto importante e che è, a sua volta, tra i fattori scatenanti della perenne crisi di Detroit. Dal punto di vista dell’inquinamento, come spiegano Jerry Taylor e Peter Van Doren, i CAFE

regolano le emissioni per miglio di strada, non per gallone di carburante consumato. I miglioramenti nell’efficienza dei motori riducono il costo della guida e quindi fanno crescere le miglia percorse. In più, le industrie automobilistiche hanno un incentivo a bilanciare i costi associati coi miglioramenti nell’efficienza dei motori spendendo meno sul fronte delle altre forme di inquinament0, poiché attualmente hanno performance superiori a quelle imposte dalla legge.

Insomma, i CAFE sono una forma di regolamentazione sbagliata e controproducente quasi da ogni punto di vista. La questione non è solo una faccenda interna agli Stati Uniti, perché il tema teorico sottostante è quello che riguarda tutte le politiche ambientali, comprese quelle che puntano alla riduzione delle emissioni di gas serra in Europa. Sebbene dal punto di vista teorico possano esserci poche differenze sostanziali tra le varie soluzioni di policy - siano esse l’imposizione fiscale sulle esternalità, l’introduzione di schemi di cap & trade, o la definizione di standard tecnologici o di performance - nel mondo reale le differenze ci sono, eccome. L’esperienza mostra che la leva fiscale, per quanto possa risultare odiosa a noi mercatisti, è quella più efficace e, probabilmente, meno distorsivi, perché la sua applicazione tende a essere più semplice e trasparente e meno distorsiva.

Precipitando questo tema nell’attualità europea, come abbiamo fatto qualche giorno a Bruxelles durante un seminario organizzato dall’IBL, una possibile conclusione è che, se proprio dobbiamo fare qualcosa per ridurre le emissioni, l’introduzione di una carbon tax è il male minore. Due sono i temi fondamentali. Il primo riguarda le modalità di fissazione del livello del prelievo: mi pare che l’idea più geniale e corretta sia quella di Ross McKitrick, che ha suggerito una formula che ancora il livello della tassa alle temperature effettivamente misurate. In fondo, se lo scopo di tutto questo è prevenire un aumento delle temperature oltre una soglia che qualcuno giudica insostenibile, tanto vale assumere proprio quella come benchmark. Il secondo tema è invece relativo a come strutturare le politiche ambientali senza fare troppo male alle prospettive di crescita economica, fermo restando che qualunque politica climatica un po’ di male lo farà. In questo senso, c’è una certa convergenza sull’idea di introdurre una carbon tax che sia revenue-neutral, cioè progettata in modo tale che l’intero gettito sia destinato alla riduzione di altre, e più distorsive, imposte, come quella sul reddito personale.

E’ vero che una proposta del genere cammina sulle uova, perché in qualunque momento il governo potrebbe decidere di aumentare l’imposta o di destinarne il gettito ad alimentare spese che nulla hanno a che vedere col clima. Ma se non vi fidate delle promesse fiscali del governo, come potete fidarvi del governo a tal punto da affidargli la salvezza del pianeta?

Carlo Stagnaro energia, liberismo , , , , ,

Fiat, Chrysler e l’avidita’ dei creditori

2 maggio 2009

Chi siano gli eroi della vicenda Chrysler-Casa Bianca-Fiat, e’ chiaro: Obama e Marchionne. Chi siano i villain, pure: i tre hedge fund Oppenheimer Funds, Perella Weinberg Capital Management LP e Stairway Capital Advisors (imitati poi da MatlinPatterson, Avenue Capital, York Capital ed Eton Park Capital Management) che non hanno accettato di “cancellare il debito” dell’industria automobilistica americana. La portavoce del Tesoro, Jenni Engebretsen ha ringhiato che “avevamo dato ai creditori riottosi la possibilita’ di fare la cosa giusta ma loro hanno posto il veto”. Obama ha a sua volta biasimato “chi non è pronto ad accettare sacrifici”. L’eterno ritorno del “greed” come tema politico. Per una prospettiva diversa,  date un’occhiata al giudice Napolitano su Fox.

Alberto Mingardi mercato , , , ,