CHICAGO BLOG » telecomunicazioni http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Wed, 09 Feb 2011 10:19:23 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.4 La grande stagnazione USA: figuriamoci la nostra! /2011/02/01/la-grande-stagnazione-usa-figuriamoci-la-nostra/ /2011/02/01/la-grande-stagnazione-usa-figuriamoci-la-nostra/#comments Tue, 01 Feb 2011 12:54:45 +0000 Oscar Giannino /?p=8202 Ogni tanto bisogna occuparsi di problemi di fondo e di lunghe prospettive. Non perché avesse torto Keynes che chiedeva risultati a breve, visto che tra ics decenni saremo comunque morti, ma perché è solo un’occhiata al lungo termine alle nostre spalle quella che ci fa capire meglio quali nuovi errori evitare. Da questo punto di vista, c’è un e-book che consiglio, vale a mio giudizio per intero i 4 dollari che vi costerà scaricarlo. Si intitola The Great Stagnation: How America Ate All The Low-Hanging Fruit of Modern History,Got Sick, and Will (Eventually) Feel Better. L’ha scritto Tyler Cowen, un economista libertario-cane-sciolto non meno critico verso i repubblicani che i democratici, che insegna alla George Mason, scrive per il New York Times, e insieme al collega Alex Tabarrok dal 2003 col loro blog Marginal Revolution è la seconda stella del firmamento internettiano economico con Paul Krugman (io tifo per Cowen, ovvviamente). E’ un libro che parla di America, ma utilissimo anche a noi. Il problema centrale: perché il reddito medio dei cittadini non cresce più come nei tumultuosi decenni del dopoguerra e fino alla fine anni Settanta?

Naturalmente su questo assunto già ci si può dividere a iosa, se per esempio si dà un occhio al reddito mediano e non medio, oppure se si calcola il Pil procapite e dunque la produttività. Ma lasciamo queste cose ai tecnici. Ciò che stimola è la risposta di Cowen. L’America – ma vale sia pur diversamente per tutti i Paesi avanzati – ha spettacolarmente migliorato il reddito medio finché c’erano frutti che pendevano dagli alberi e che potevano sfamarci senza fatica, cioè sussistevano in abbondanza ingenti fattori tali da accrescere produttività e reddito: vaste estensioni di terra, incrementi demografici esogeni ed endogeni, nonché infrastrutture e rivoluzioni tecnologiche il cui avvento realizzava un enorme passo avanti, dal vapore all’elettricità, dalle ferrovie alle autostrade. Con le ICT, pensa Cowen, avviene l’ultima rivoluzione ma si ingenera anche una grande illusione. Sarà anche vero che abbiamo dovuto correggere verso l’alto gli indici rivelatori di produttività inglobandovi l’ICT – vero in America e cavallo di battaglia di Greenspan per giustiticare bassi tassi d’interesse, da noi l’utilizzo delle nuove tecnologie informative e di comunicazione latita ancora nel più della piccola impresa – ma rimaniamo ciechi di fonte a un fatto evidente. Quando la manifattura si stringe a poco più del 10% del valore aggiunto del Pil – come negli USA – il più dei nuovi servizi internettiani genera e soddisfa un mucchio di domanda individuale e collettiva, ma realizza assai meno incassi e dunque reddito da spalmare di quanto avvenisse con le grandi rivoluzioni tecnologiche precedenti, ormai spremute.

Che conseguenze, per Cowen? Primo ridare lustro e risorse agli scienziati impegnati su tecnologie e innovazioni “pesanti”. Secondo, nel breve periodo il più del reddito aggiuntivo nei Paesi avanzati verrà assai più sperando e aiutando che i Paesi emergenti accrescano il loro mercato, e producendo beni di alta gamma per loro, che da riforme nel breve delle nostre società avanzate: dunque piantiamola di diffidare dei cinesi, e teniamo le dita intrecciate perché continuino a crescere senza crisi del loro sistema bancario. Terzo, diffidare di una conseguenza del drive tecnologico largamente sottovalutata, e cioè che la rete e i grandi server per accumulatre e trattare dati agevolano assai più il Big Government e le grandi corporations che le piccole aziende e il governo decentrato.

Che cosa dedurne per noi? Primo, è un bene avere una componente manifatturiera sul Pil largamente superiore a quella di altri Paesi avanzati, visto che ben il 23% del nostro Pil è fatto di export per lo più manifatturiero. Secondo, noi rischiamo di avere le tecnologie internet che potenziano lo statalismo e le grandi aziende senza l’ondata di accrescimento della produttività che per Cowen è già finita o quasi nell’universo dei “piccoli”. Terzo, siamo messi meglio per l’export nei Paesi in via di sviluppo, se cambiamo il nostro mercato del lavoro, ma peggio per tornare a finanziare ricerca e brevetti “hard”. Cowen passa per Cassandra, negli USA, perché comunque il suo è un invito a moderare le aspettative. Da noi sarebbe un inguaribile ottimista, visto che il potere d’acquisto reale dei dipendenti del settore privato, depurato dell’andamento dei prezzi a fine 2009, era tornato quello del 1999.

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Agenda digitale per l’Italia /2011/01/31/agenda-digitale-per-litalia/ /2011/01/31/agenda-digitale-per-litalia/#comments Mon, 31 Jan 2011 11:38:24 +0000 Oscar Giannino /?p=8198 Sono tra i cento sottoscrittori del manifesto per dare all’Italia un’agenda digitale, pubblicato a pagamento proquota a nostro carico sul Corriere della sera a pagina 8 stamane. E’ un’idea che alcuni di noi hanno maturato a fine anno scorso, di fronte allo stallo in cui reiteratamente si era bloccato ogni tentativo di adottare una direttrice nazionale condivisa per superare uil gap di infrastruttu8re e investimenti sulle reti di nuova generazione e sulle ITC. Al di là dell’agenda per la digitalizzazione della PA propugnata dal ministro Brunetta, in realtà  tresta del tutto irrisolto il contrasto d’interessi tra il più lungo possibile sfruttamento residuo della rete in rame Adsl dell’incumbenti Telecom Italia, rispetto alla maggior rete in fibra ptresente tra tutti i Paesi europei, quella di Fastweb, che giocoforza in questi ultimi anni ha proceduto a rallentare gli investimenti. Il memorandum of understanding sottoscritto da tutte le maggiori aziende telefoniche e di TLC operanti in Italia lo scorsop novembre lascia del tutto irrisolto il problema. E si continua a con fondere l’obiettivo minimale di colmare in qualche modo il digital divide che ancora grava su vasta parte del territorio italiano e che offre a cittadini e imprese che vi risiedono 70 o 150 kbps – cosa che per scaricare un video o megtterlo in rete comporta decine di minuti – rispetto a come impostare il problema di promuovere bandaultralarga al più presto. Non si tratta di chiedere allo Stato di sostituirsi al mercato e agli operatori – almeno dal mio punto di vista, ma tra i firmatari ci sono tuitti i CEO= delle maggiori aziende di settore italiane e non possono che pensarla così, al netto degli incentivi che naturalmente ai loro occhi non guasterebbero. Ma resta il fatto che ancora una volta la questione televisiva – specificamente la transizione al digitale terrestre – ha finito per bloccare e ritardare ogni altra priorità per questioni politiche, stnte la natura proprietaria dei due maggiori competitor, uno di Berlusconi e l’altro pubblico con Sky terzo incomodo in crescita.  Sul sito www.agendadigitale.org trovate oggi approfondimenti e particolari dell’iniziativa e dei sottoscrittori. Terremo un primo incontro il 9 febbraio a Roma, partiranno in qyuesti giorni circa 10 milioni di mail e contatti sulla rete, verranno lanciati vide virali con alcuni artisti sottoscrittori del manifesto. Berlusconi oggi nel suo articolo sul Corriere – il mio giudizio secco sulla proposta di un copinvolgimento offerto all’opposizione per una comune strategia di crescita fondata sulle liberalizzazioni è: non avrà seguito, vista l’atmosfera politica pressoché totalmente compromessa – avanza la proposta di un sottosegretario a Internet. ma qui si tratta di tutt’altro, non di un sottosegretario in più o in meno.

Ricordo a tutti che:

  • A livello globale la “internet economy” supera i 10.000 miliardi di dollari. (stima NSTIC)
  • Il Commissario per la Società dell’Informazione della Commissione Europea, Neelie Kroes, considera l’agenda digitale elemento base della sostenibilità socieconomica
  • Nel Regno Unito vale già oggi il 7,2% del PIL, più del settore sanitario,  e il governo ha sviluppato il piano “Digital Britain” per garantire alla Gran Bretagna un futuro tra le maggiori economie del sapere digitale. Se avessinmo adottato l’intebnsità di investimenti britannici su ICT nel decennio precrisi, il valore aggiunto sul Pil italianoda ICT  sarebbe salito del 7% con un aumento del Pil reale del 3,6% (stima centro Studi Confindustria), rispetto al mero più 15,5% generato in Italia nel decennio. Se entro cinque anni riuscissimo oggi a recuperare il gap, e tra un lustro investissimo quanto investe UK oggi – quindi restando ancora indietro, ma meno – il Pil italiano crescerebbe per questo solo apporto aggiuntivo di quasi 4 punti.
  • Il Giappone e la Corea del Sud  sono stati tra i primi Paesi a darsi una strategia digitale
  • Il governo tedesco ha un redatto il progetto “Digital Deutschland 2015”, nel quale, tra le altre cose, si stima che la banda ultralarga genererà 1 milione di nuovi posti di lavoro in Europa.
  • In Francia il Presidente Sarkozy ha assegnato allo sviluppo delle infrastrutture ICT 4,5 miliardi di euro, 500 milioni in più di quanto raccomandato dal rapporto strategico “Investir pour l’avenir”.
  • La Spagna si è data come obiettivo di investire in innovazione il 4% del PIL entro il 2015 ed arrivare a 150 brevetti annui per milione di abitanti. L’Agenda digitale spagnola è diventata 2.0 la scorsa estate, dopo che la prima versione – attuata – era stata adottata nel 2004.
  • In USA il Presidente Obama ha nominato per la prima volta un direttore dell’informatica e delle telecomunicazioni, un “Chief Information Officer” federale.

Per gli addetti lavori e appassionati il problema rame-fibra NGN è un confronto tra GPON e P2P da cui emerge che la rete P2P ha un costo sostanzialmente allineato alla GPON.

Se Telecom Italia come afferma vuole arrivare a fare la propria rete senza fornire nella sostanza accesso a terzi, si avrebbe una situazione di costruzione di 2 reti parallele: 1 GPON di TI e una P2P condivisa tra operatori. Se le due reti costassero uguali (diciamo con un costo per singola rete di 100) si avrebbe un costo complessivo per linea (ipotizzando per semplicità 10 Mln di linee totali nel paesei) di 10. Quindi sia TI che gli altri operatori avrebbero un costo medio di 10 nell’ipotesi di quote di mercato equivalenti (50/50).

Se tuttavia e quote di mercato degli OLO (complessivamente) dovessero aumentare, diciamo dal 50 al 60%, il costo unitario per gli OLO scenderebbe a 17 e quello di TI salirebbe a 25 (infatti con 2 reti parallele, ogni operatore ha lo stesso costo di 100 che deve suddividere tra i propri clienti e quindi il costo unitario sale al diminuire della quota di mercato o viceversa.

Se invece gli operatori collaborassero su un’unica rete, ci sarebbe un costo complessivo di 100 che suddiviso tra 10 mln linee comporterebbe un costo unitario di 10, significativamente inferiore e uguale per tutti gli operatori (TI sarebbe quindi protetta anche in caso di riduzione quota di mercato.

E’ da considerare anche che nell’ipotesi di rete GPON voluta da TI, in quanto poco performante e con limitazioni di banda sin dall’inzio rispetto alla P2P, ci sarebbero nel breve/medio termine ulteriori costi in capo a TI per l’upgrade della rete e della banda da fornire al cliente (che nella P2P non vi sarebbero), quindi aumentando ulteriormente il costo unitario solo per TI.

TI si ritroverebbe quindi con una rete meno performante, + costosa a livello unitario e quindi con minori margini anche lato retail mentre nel caso di rete unica condivisa tra tutti gli operatori si avrebbe una sostanziale riduzione del rischio, del costo unitario e degli investimenti complessivi. TI si ritroverebbe inoltre con la rete in rame sul groppone, quindi con un periodo di overlay e coesistenza di 2 reti mentre nel caso di rete unica condivisa, si potrebbe fare lo switchoff della rete in rame con minori costi per TI.

SCENARIO A: Linee totali mercato: 10 Mln
Rete NGN GPON TI    Rete NGN P2P OLO    Rete Unica P2P (FIBERCO)
costo totale                              100                                    100                            100
Quota mercato                        50%                                    50%                            100%
Linee attivate                         5 Mln                             5 Mln                          10 Mln
Costo unitario per linea    20                                      20                                      10

Se la quota di mercato di TI scendesse al 40%, si avrebbe un costo unitario per TI che sale a 13 ed un costo unitario per gli OLO che scende a 9.

SCENARIO B: Linee totali mercato: 10 Mln
Rete NGN GPON TI    Rete NGN P2P OLO    Rete Unica P2P (FIBERCO)
costo totale                              100                                    100                            100
Quota mercato                        40%                                      60%                            100%
Linee attivate                       4 Mln                             6 Mln                          10 Mln
Costo unitario per linea    25                                      17                                  10

Il ragionamento vale anche nell’ipotesi in cui la rete P2P sia inizialmente + costosa diciamo del 20% (anche se in realtà dovrebbe essere anche meno). Infatti, anche in questo caso, con il 40% di quota di mercato, TI avrebbe un costo unitario di 25 contro 20 degli OLO e 12 della rete unica.

SCENARIO C: Linee totali mercato: 10 Mln
Rete NGN GPON TI    Rete NGN P2P OLO    Rete Unica P2P (FIBERCO)
costo totale                              100                                    120                            120
Quota mercato                        40%                                      60%                            100%
Linee attivate                        4 Mln                             6 Mln                          10 Mln
Costo unitario per linea       25                                      20                                  12

Da questi scenari semplificati, risulta evidente come anche per TI non sia conveniente fare da sola la rete in rame e che sia come costo unitario che come riduzione del rischio le convenga coinvestire con altri operatori. Unica ipotesi alternativa sarebbe la garanzia per TI di un nuovo monopolio sulla rete di accesso, ipotesi evidentemente non realistica né percorribile.

E’ su questi nuimeri, schematicamente, che il confronto non c’è mai stato per u’ipotesi di condivisione delle infrastrutture tra operatiori, in cui ciascuno investe sul suo ma “aprendolo” e puntando però sull’aumento del margine da crescita clienti e traffico per ciascuno – e produttività aggiuntiva per tutto il Paese.

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Giochi online, fisco e concorrenza /2011/01/07/giochi-online-fisco-e-concorrenza/ /2011/01/07/giochi-online-fisco-e-concorrenza/#comments Fri, 07 Jan 2011 18:59:59 +0000 Massimiliano Trovato /?p=7976 Nei giorni scorsi l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sull’interpello promosso da un contribuente in merito al trattamento fiscale di alcune vincite conseguite per effetto della partecipazione a giochi online.

Con il suo parere l’Agenzia ha confermato la soluzione più prevedibile: tali introiti rientrano nel campo d’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera d) del TUIR, e vanno dunque indicati in dichiarazione come redditi diversi; senza – peraltro – poter dedurre le spese di produzione (cioè le puntate per la partecipazione ai concorsi), secondo il dettato dell’articolo 69, comma 1.

L’Agenzia limita, inoltre, l’ambito d’applicazione del responso ai “siti web registrati e/o con server ubicati all’estero e/o gestiti da operatori stranieri”, dal momento che gli operatori italiani sono obbligati ad esercitare la ritenuta d’imposta ex articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

A ben guardare, il motivo d’interesse del parere non risiede nella riaffermazione di una disciplina che (pur con qualche eccessiva rigidità: le previsioni sul monitoraggio dei conti di gioco) discende in maniera piuttosto lineare dai principi della materia, bensì nella certificazione di una netta distinzione tra gli operatori stabiliti in Italia e quelli che – pur licenziati dall’AAMS – operano dall’estero.

Se è vero che ai primi s’impone l’onere della ritenuta, da cui i secondi sono esenti, si deve pur considerare l’effetto che il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate potrà ingenerare presso la platea dei giocatori. Va, inoltre, ricordato che le vincite presso siti esteri sono assoggettate all’aliquota marginale IRPEF, che può raggiungere il 43%, mentre la ritenuta d’imposta è limitata al 25%. In altre parole, il quadro di riferimento rende più laborioso e meno remunerativo giocare attraverso i servizi di operatori stranieri.

Un simile effetto distorsivo discende da un’altra norma di recente approvazione. Ai sensi dell’articolo 1, comma 71 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge di stabilità 2011), “i concessionari abilitati alla raccolta delle scommesse sportive a quota fissa che abbiano conseguito per tale gioco percentuali di restituzione in vincite inferiori all’80 per cento sono tenuti a versare all’erario il 20 per cento della differenza lorda così maturata”, con effetti di controversa quantificazione e, soprattutto, con l’incongura intromissione dello stato che – nell’imporsi come socio occulto senza accollarsi i rischi del banco – introduce a carico del settore un ingiustificato elemento di disparità.

Il mercato del gioco online è rilevante ed in continua espansione, con un fatturato triplicato in due anni, da 1,5 miliardi nel 2008 a quasi 5 miliardi nel 2010. Il solo poker (nella versione Texas Hold’em) “in quattro anni ha raggiunto la cifra di cinque milioni di giocatori su internet“. Ben venga, dunque, l’attenzione dell’erario per un fenomeno tutt’altro che trascurabile.

A patto, però, che siano rispettate due condizioni: da un lato, è necessario resistere a tentazioni punitive od opportunistiche che potrebbero danneggiare indebitamente il settore; dall’altro, si deve preservare la neutralità tributaria, onde non compromettere la concorrenzialità – interna ed esterna – del mercato dei giochi.

[HT: Jonkind; cross-posted @ MediaLaws]

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Telefonia mobile: Italia ancora al top /2010/12/08/telefonia-mobile-italia-ancora-al-top/ /2010/12/08/telefonia-mobile-italia-ancora-al-top/#comments Wed, 08 Dec 2010 07:33:27 +0000 Massimiliano Trovato /?p=7807 L’appuntamento con l’International Communications Market Report curato dal regolatore inglese Ofcom conferma anche quest’anno la vivacità della telefonia mobile in Italia.  Alcuni tra i risultati (cito dalla sintesi Agcom):

  • i prezzi dei servizi mobili dal luglio 2009 al luglio 2010 sono diminuiti del 24% (migliore performance europea) e risultano in assoluto i più bassi (al pari del Regno Unito) rispetto a quelli degli altri Paesi europei;
  • ben il 24% dei consumatori (la percentuale più alta in Europa) ha ridotto la spesa pro-capite nella telefonia mobile negli ultimi 12 mesi;
  • i prezzi per il mobile broadband sono i più bassi e il mercato della larga banda mobile risulta più maturo rispetto agli altri Paesi;
  • la quota di abitazioni servite solo dalla telefonia mobile è la più significativa tra i principali Paesi sviluppati (pari al 29%);
  • la penetrazione della banda larga mobile è la più elevata (nel 13% delle abitazione si accede alla larga banda solo attraverso dispositivi mobili);
  • la diffusione di smartphone è la più alta (26% della popolazione sopra i 13 anni e 66% degli utilizzatori abituali di internet);
  • la diffusione di apparecchi per la fruizione di musica in formato digitale è di gran lunga la più ampia: utilizzo pari al 64% di media players e pari al 31% di cellulari per l’ascolto della radio;
  • l’utilizzo dei social network è il più elevato al mondo (66% degli utilizzatori di internet), in particolare per quanto riguarda l’accesso a Facebook.

Assai meno lusinghiere sono le prestazioni registrate dal nostro paese nel settore del fisso – e particolarmente in quello della banda larga fissa, che ci vede all’ultimo posto tra i principali paesi europei.

Queste conclusioni ambivalenti confermano l’attualità di uno studio condotto con Andrea Giuricin, in cui abbiamo cercato di dimostrare – dati alla mano – come il fondamento di questo vistoso gap di efficienza vada individuato nel robusto competition divide esistente tra i due settori.

È una lezione da tenere a mente alla vigilia della definizione delle regole per la rete di nuova generazione. Se il caso della telefonia mobile può insegnare qualcosa, è auspicabile che il regolatore resista alla tentazione di strafare e dia alla concorrenza una possibilità.

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Viva la Rai /2010/11/30/viva-la-rai/ /2010/11/30/viva-la-rai/#comments Tue, 30 Nov 2010 09:17:43 +0000 Guest /?p=7732 Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Antonio Sileo:

Con l’approssimarsi della fine dell’anno arrivano puntuali, tra le altre, le pubblicità che ricordano di pagare il canone per la gloriosa Radiotelevisione italiana. Con queste, regolarmente, divampano commenti pro e contro e non mancano le proposte per risolvere la non poca “evasione”.

Il neoministro Paolo Romani – di telecomunicazioni grande esperto – ha ripreso un’idea che a dire balzana non si scherza.  «A tutti i titolari di un contratto di fornitura di elettricità, siano essi famiglie, pubblici esercizi o professionisti, verrà chiesto di pagare il canone, perché, ragionevolmente, se uno ha l’elettricità, ha anche l’apparecchio tv. Chi non ha la televisione dovrà dimostrarlo e, solo in quel caso, non pagherà» ha dichiarato al Corriere della Sera il ministro.
Certo, si dirà che alcune ultime proposte di Romani non abbiano incontrato un così gran successo (ci riferiamo ai cinque nomi suggeriti per il collegio dell’Autorità per l’energia). Tuttavia, l’iniziativa è seria, tanto che rientrerebbe nella riforma del canone Rai che dovrebbe essere presentata col decreto milleproroghe o, comunque, entro l’anno. Il fine è meritorio: azzerare la grande evasione (circa il 30%) e, allo stesso tempo, pagare meno; pagare tutti, proprio tutti, ma meno.
Ora, è evidente che il ministro non è mai stato alle presentazioni della relazione annuale dell’Autorità per l’energia. Sono noti, infatti, gli appelli di Alessandro Ortis e Tullio Fanelli per spostare una parte degli oneri per l’incentivazione delle rinnovabili dalla bolletta alla fiscalità generale, ma trasformare chi fattura energia elettrica in esattore elettronico sostituto pare proprio un po’ troppo, anche perché, a stare attenti, sarebbe solo l’inizio. È in grande aumento, infatti, l’utilizzo di schermi che permettono di vedere la televisione in auto, sono il trastullo di tanti autisti in città e di molti ragazzi in periferia. Dobbiamo quindi aspettarci una nuova componete RaiTV tra le accise di diesel e benzina?

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Mediaset vs Youtube. Copyright e responsabilità degli intermediari /2010/09/26/mediaset-vs-youtube-copyright-e-responsabilita-degli-intermediari/ /2010/09/26/mediaset-vs-youtube-copyright-e-responsabilita-degli-intermediari/#comments Sun, 26 Sep 2010 08:30:58 +0000 Massimiliano Trovato /?p=7139 La decisione con cui il tribunale federale di Madrid ha escluso la responsabilità di Google per la diffusione di contenuti coperti da copyright – in una causa intentata dalla principale emittente privata spagnola Telecinco, controllata dal gruppo Mediaset – va accolta con favore.

Il giudice madrileno ha riconosciuto, da un lato, le difficoltà tecniche connesse al controllo preventivo di un’impressionante mole di dati (secondo quanto riportato da Google, ogni minuto 24 ore di video vengono caricati su Youtube); e ha ritenuto, dall’altro, che – come previsto dalla normativa comunitaria – Google esaurisca i propri doveri garantendo ex post la propria collaborazione nel rimuovere i contenuti illeciti. In particolare, grazie alla piattaforma Content ID, i titolari dei diritti possono monitorare in autonomia l’utilizzo dei propri materiali, chiedendone la rimozione – o, viceversa, sfruttandone le potenzialità commerciali attraverso gli strumenti di monetizzazione.

Si tratta di una sentenza estremamente rilevante perché casi simili sono in discussione in tutta Europa e nel mondo. Lo scorso dicembre, un’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma – poi confermata – aveva ingiunto a Youtube di rimuovere dai propri server tutti gli spezzoni relativi alla decima edizione del “Grande Fratello”, in un procedimento introdotto da RTI (cioè, nuovamente, da Mediaset) con una richiesta di risarcimento danni per 500 milioni di euro. In giugno Google ha vinto il primo round di una causa miliardaria che la vede opposta negli Stati Uniti a Viacom. Poche settimane fa, un’analoga vertenza ha trovato esito opposto presso un tribunale di Amburgo.

L’imperscrutabilità del contesto, testimoniata dalle decisioni contraddittorie degli organi giudiziari – ed invero già dalla frequenza delle liti in materia -, è una minaccia concreta allo sviluppo dei servizi su internet. Norme certe ed una distribuzione equa e non punitiva delle responsabilità sono le chiavi per lo sviluppo di un settore che sta dimostrando un’enorme capacità d’innovare. È una lezione da tenere a mente ora che la revisione delle regole in tema di copyright e ruolo degli intermediari guadagna spazio nell’agenda degli operatori e dei legislatori.

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Contrattacco sulla net neutrality /2010/05/06/contrattacco-sulla-net-neutrality/ /2010/05/06/contrattacco-sulla-net-neutrality/#comments Thu, 06 May 2010 15:23:23 +0000 Massimiliano Trovato /?p=5930 Genachowski ci riprova, dopo la bocciatura della Corte d’Appello nel caso Comcast. Secondo il Wall Street Journal, il chairman dell’FCC sarebbe intenzionato ad insistere sulla strada verso la net neutrality, contrariamente a quanto anticipato lunedì dal Washington Post.

In a move that will stoke a battle over the future of the Internet, the federal government plans to propose regulating broadband lines under decades-old rules designed for traditional phone networks. The decision, by Federal Communications Commission Chairman Julius Genachowski, is likely to trigger a vigorous lobbying battle, arraying big phone and cable companies and their allies on Capitol Hill against Silicon Valley giants and consumer advocates. Breaking a deadlock within his agency, Mr. Genachowski is expected Thursday to outline his plan for regulating broadband lines. He wants to adopt “net neutrality” rules that require Internet providers like Comcast Corp. and AT&T Inc. to treat all traffic equally, and not to slow or block access to websites.

Secondo Broadcasting & Cable, Genachowski escluderebbe l’opzione drastica quanto onerosa di riclassificare come “telecommunications service” l’accesso ad internet, attualmente disciplinato come “information service“, ma mirerebbe piuttosto ad una terza via. In ogni caso, l’amministrazione Obama pare decisa allo scontro frontale con gli operatori, nostante gli argomenti economici e giuridici contro la net neutrality siano tutt’altro che irrilevanti.

Se si può certo sperare che ci sia un giudice a Berlino, non bisogna dimenticare che i processi richiedono tempo. Tempo prezioso che la prova di forza dell’FCC potrebbe sottrarre allo sviluppo di internet.

[Crossposted @ 1right]

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Tassare Internet per pachidermi cartacei? MAI! /2010/04/22/tassare-internet-per-pachidermi-cartacei-mai/ /2010/04/22/tassare-internet-per-pachidermi-cartacei-mai/#comments Thu, 22 Apr 2010 15:54:34 +0000 Oscar Giannino /?p=5743 Si resta senza parole, di fronte alla proposta del presidente FIEG, Malinconico di nome ed, evidentemente, di fatto: tassare gli accessi a internet, per finanziare i giornali di carta che perdono copie, lettori e denari. Viene proposta come misura compensativa perché lo Stato, finalmente, ha iniziato a tagliare - purtroppo solo in parte - le provvidenze alla stampa. Ho sempre pensato – e scritto anche quando lavoravo in testate che prendevano denari pubblicici, dal Foglio al Riformista a Liberomercato – che l’informazione non deve mai vivere grazie ai denari del contribuente, ma perché deve avere lettori, ascoltatori e consumatori, inserzionisti, e conti adeguati alle entrate. In Italia non è così solo perché i media servono per esercitare potere, invece che per informare. E i giornalisti si sono adeguati ottenendo denari e privilegi ingiustificati, da editori che battono cassa al contribuente per non rinunciare a costi eccedenti le entrate. Tassare il presente e il futuro per difendere un passato indifendibile non è solo sbagliato intellettualmente ed economicamente. Anche moralmente, è indegno. Propone come costo della libertà d’informazione ciò che è invece solo una taglia a favore di editori incapaci, di dipendenti privilegiati, e di improprie commistioni d’interessi.

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Per Comcast una vittoria di Pirro? /2010/04/07/per-comcast-una-vittoria-di-pirro/ /2010/04/07/per-comcast-una-vittoria-di-pirro/#comments Wed, 07 Apr 2010 06:39:53 +0000 Massimiliano Trovato /?p=5606 Un’importante sentenza potrebbe rivoluzionare i termini del dibattito sulla neutralità della rete negli Stati Uniti. Secondo la Corte d’Appello del District of Columbia, la Federal Communications Commission abusò dei propri poteri nel sanzionare Comcast, allorché emerse – nel 2008 – che il provider aveva limitato la velocità di connessione di alcuni abbonati. Secondo i giudici, la normativa vigente non legittima un intervento da parte del regolatore sulle pratiche di gestione del network.

Il provvedimento dev’essere senz’altro accolto con soddisfazione dai sostenitori della libertà della rete, ma rischia d’innescare reazioni perverse. Il sostegno politico per un controllo pubblico sulle pratiche di gestione delle compagnie è lievitato ben oltre gli uffici della FCC. Lo stesso Obama ha promosso apertamente l’idea e potrebbe ora optare, con il coinvolgimento del Congresso, per una più radicale regolamentazione della materia.

Se è vero che Comcast si è aggiudicata una battaglia assai significativa – anche per il valore simbolico del caso – l’esito della guerra è tutt’altro che scontato e lo schieramento di vincitori e vinti potrebbe mutare repentinamente qualora l’Amministrazione decidesse di schierare l’artiglieria pesante.

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Tim, Vodafone, Wind e 3: squilli a pagamento da luglio /2010/04/01/tim-vodafone-wind-e-3-squilli-a-pagamento-da-luglio/ /2010/04/01/tim-vodafone-wind-e-3-squilli-a-pagamento-da-luglio/#comments Thu, 01 Apr 2010 13:24:22 +0000 Massimiliano Trovato /?p=5571 UPDATE Come ha svelato nei commenti il bravissimo Diego Perin, si trattava di un pesce d’aprile. Mi scuso con i commentatori che l’avevano capito prontamente e che ho dovuto zittire per non rovinare il gioco. I loro commenti sono ora stati autorizzati. Agli altri segnalo, con un sorriso, che il tag “boccaloni” avrebbe dovuto metterli in guardia. La morale è la solita: guardatevi dai regolatori fantasiosi, perché legittimano le risposte più grottesche del mercato.

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Ogni commento è superfluo.

Tim, Vodafone, Wind e 3: squilli a pagamento da luglio. Le compagnie telefoniche replicano all’Eurotariffa

31 marzo, 17:13

(ANSA) – MILANO, 31 MAR -Le quattro compagnie di telefonia mobile operanti nel territorio italiano, Tim, Vodafone, Wind e H3G hanno diramato un comunicato congiunto in cui annunciano le nuove modalità di tariffazione in vigore dal 1 luglio 2010. Il traffico voce verrà conteggiato a partire dal primo squillo e non più dal momento in cui il ricevente risponde. Il comunicato recita: “il collegamento, anche senza conversazione, ha un costo per le compagnie non più trascurabile oggi che lo ‘squillo’ è divenuto un metodo di comunicazione diffuso. Nel momento in cui l’Unione Europea emana una direttiva che pone tetti massimi di prezzi per i servizi di sms, adducendo a motivazione una sproporzione tra costi effettivi e tariffe, le compagnie si vedono loro malgrado costrette ad addebitare al cliente il costo reale effettivo dello squillo che finora era offerto gratuitamente”.

[HT: Atroce]

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