CHICAGO BLOG » Giovanni Boggero http://www.chicago-blog.it diretto da Oscar Giannino Thu, 23 Dec 2010 22:50:27 +0000 it hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.0.1 Quel pozzo senza fondo chiamato Hypo Real Estate /2010/11/12/quel-pozzo-senza-fondo-chiamato-hypo-real-estate/ /2010/11/12/quel-pozzo-senza-fondo-chiamato-hypo-real-estate/#comments Fri, 12 Nov 2010 20:28:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=7576 Nei giorni in cui i progetti di fusione tra le malconce Landesbanken sfumano per l’ennesima volta, il canale televisivo ARD ripercorre con una galleria fotografica i momenti salienti della crisi bancaria tedesca degli ultimi anni, il cui simbolo può a buon diritto essere considerata Hypo Real Estate.

Ma andiamo con ordine. HRE è una banca, specializzata in mutui immobiliari con sede a Monaco di Baviera, nata nel 2003 a seguito dello spin-off da Hypovereinsbank, a sua volta fusasi con Unicredit nel 2007. La voragine nei conti di HRE, causati dagli affari spericolati della controllata irlandese Depfa Bank, divenne di pubblico dominio solo verso la fine di settembre del 2008, quando il watchdog dei mercati finanziari tedesco (BaFin), la Bundesbank e l’associazione delle banche tedesche (BdB) decisero di concedere linee di credito al gruppo, al fine di tamponarne le difficoltà di rifinanziamento. Solo qualche giorno più tardi divenne chiaro che la situazione di Depfa Bank, acquisita nel 2005 dall’audace Ceo Georg Funke, era così drammatica, che il problema non era più semplicemente di far affluire liquidità, bensì di evitare la bancarotta della holding.

Appena una settimana più tardi, il 5 ottobre, l’esecutivo tedesco di grande coalizione  fu così costretto a varare la prima delle numerose iniezioni di denaro pubblico, pena – si disse- un effetto domino sul sistema bancario, simile a quello provocato dal tracollo di Lehman Brothers negli Stati Uniti. Dopo l’azzeramento dei vertici del gruppo, la loro sostituzione con “manager” di dubbie capacità (tra cui anche politici socialdemocratici con un passato nella Landesbank di Berlino o alla Bundesbank) e la creazione del famoso fondo per la stabilizzazione degli istituti di credito (SoFFin), Hypo è arrivata a farsi versare più di 100 miliardi tra garanzie e aiuti diretti dalla Federazione e solo in minima parte (15 miliardi) da altre banche.

Il 26 gennaio 2009, di fronte allo stato comatoso del paziente, il Governo federale entrò nel capitale di HRE, nel tentativo di accaparrarsi  la quota di maggioranza. L’opposizione, tanto quella liberale quanto quella comunista, lamentò un intervento tardivo, giacché – si disse – le eventuali responsabilità degli ex proprietari di Hypovereinsbank erano ormai per legge prescritte e solo lo Stato, cioè i contribuenti, avrebbero potuto paracadutare i debiti dell’istituto.

Con perdite per l’anno 2008 pari a 5,5 miliardi di euro, il 20 marzo 2009 il Bundestag approvò la Rettungsübernahmegesetz, legge che attribuiva al Governo federale il potere di espropriare gli azionisti ancora titolari di azioni di HRE. Se gli azionisti non avessero accettato la carota dell’offerta pubblica di acquisto da parte della Federazione, il Governo federale avrebbe usato il bastone dell’esproprio. Un chiaro abuso del diritto, derivante dal surreale conflitto di interesse dell’essere contemporaneamente regolatori e banchieri. Abuso che il fondo di private-equity C.J. Flowers, detentore di quasi il 22% delle quote societarie, decise di non accettare. La cocciuta opposizione del fondo americano costrinse così i tecnici del Ministero ad aggirare l’ostacolo. Dopo un gigantesco aumento di capitale per annacquarne le partecipazione, la Federazione acquisì il controllo del disastrato istituto. La nazionalizzazione si completò così nell’ottobre dello scorso anno con il cd. squeeze-out ad 1.30 € ad azione del restante 10% degli azionisti.

Formalmente l’esproprio non avvenne, anche se sulla natura dello squeeze-out si potrebbe discutere. Ma il clima di arbitrio e di allontanamento dai principi della cd. Ordnungspolitik portò alla mente quello altrettanto violento di sessant’anni prima, ai tempi del nazionalsocialismo. Ma quel che è peggio è che, in poco meno di due anni, Hypo Real Estate aveva inghiottito decine e decine di miliardi dei contribuenti, senza riuscire a cavarsi d’impaccio. Ancora oggi, unico tra gli istituti di credito tedeschi a non aver superato lo stress-test europeo, Hypo Real Estate, che oggi si chiama Deutsche Pfandbriefbank AG, è la pecora nera del sistema bancario teutonico. Nonostante le ingenti perdite, i vertici del gruppo dovrebbero persino ricevere bonus e liquidazioni nell’ordine di 20 milioni di euro. A chi sostiene che lo Stato è un azionista migliore e più avveduto, raccontate la storia di HRE.

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Una lettura tedesca del nuovo Patto di Stabilità /2010/11/06/una-lettura-tedesca-del-nuovo-patto-di-stabilita/ /2010/11/06/una-lettura-tedesca-del-nuovo-patto-di-stabilita/#comments Sat, 06 Nov 2010 14:13:35 +0000 Giovanni Boggero /?p=7472 Come abbiamo scritto per Aspenia nel nostro lungo articolo che uscirà nei prossimi giorni, il compromesso raggiunto a Deauville tra la signora Merkel e il Presidente francese Sarkozy non è né una vittoria della linea dura, seguita dalla Cancelliera prima di allargare i cordoni della borsa, né una vittoria della linea morbida, abbracciata dalla Cancelliera con l’approvazione degli aiuti alla Grecia e l’istituzione del cd. Fondo di stabilizzazione.

Fatta la tara alle equazioni un po’ semplicistiche, il nuovo Patto di Stabilità è una via di mezzo tra questi due opposti. Benché Ulrike Guerot giudichi l’accordo come un netto successo per la Germania, una certa ambiguità di fondo la si nota anche nel titolo del suo articolo: a more European Germany – on German terms, laddove il neo-europeismo tedesco convive con un pizzico di sale teutonico. Da buona “prodiana” Angela Merkel ha insomma usato bastone e carota. E non è certo la prima volta. In patria tutto si è detto fuorché la Cancelliera sia stata la restauratrice del rigore. L’FDP e diversi organi di stampa le hanno rimproverato grande debolezza per non aver preteso l’applicazione di sanzioni automatiche e per aver protratto l’esistenza del Fondo di stabilizzazione. Lei ha replicato che “il congelamento dei diritti di voto è già previsto dal Trattato odierno”. Un bluff. La rinuncia alla sospensione del diritto di voto in caso di deficit eccessivi è stata funzionale ad ottenere la clausola della partecipazione dei creditori alla ristrutturazione, che molti commentatori fuori dai confini tedeschi considerano suscettibile di segnare un cambio di passo nella gestione delle finanze pubbliche da parte degli Stati membri.

A mio avviso, nell’accordo si trovano sia rigore sia solidarietà, disciplina di bilancio e perequazione, “euroscetticismo” ed “euroentusiasmo”. Il rigore sta appunto nell’eventualità di una ristrutturazione del debito per gli Stati spendaccioni, la solidarietà sta nel Fondo di stabilizzazione, approvato a maggio in fretta e furia e di fatto senza il crisma della copertura giuridica dei Trattati e ora reso permanente tramite un “annacquamento” dell’art. 122 TFUE. Tutto dipende insomma da come verrà dosata questa miscela. Per ora il mercato, come correttamente mostra Mario Seminerio su Il Fatto quotidiano, ha apprezzato lo sforzo rigorista.

In ultimo, una questione più prettamente giuridica. La proposta di revisione che Hermann Van Rompuy presenterà nel Consiglio europeo di dicembre dovrebbe finalmente prevedere l’uso delle cd. clausole dinamiche di modifica. In particolare si dovrebbe passare per l’art. 48 § 6 TFUE.

Anche qui condivido solo parzialmente quanto scrive Ulrike Guerot. Per due ragioni:

a) Benché la riforma semplificata del Trattato eviti le forche caudine della ratifica, la cosiddetta legge di responsabilità per l’integrazione (IntVG), che ha recepito le indicazioni della Corte Costituzionale tedesca nella sua celebre sentenza del 30 giugno 2009, ha esplicitamente previsto che tale ipotesi vada trattata come un normale caso di trasferimento di poteri sovrani e che quindi necessiti di una legge di approvazione nelle forme di una legge ex. art. 23 I comma della Legge fondamentale; non è chiaro se tale legge dovrà essere approvata ex proposizione 2 o ex proposizione 3 del medesimo articolo. La proposizione 3 verrebbe in rilievo, qualora si ritenesse che la modifica dei Trattati rechi disposizioni modificative od integrative della Legge fondamentale.  In tal caso  Bundestag e Bundesrat dovranno esprimersi a favore con una maggioranza qualificata di due terzi. Il ruolo dell’opposizione diverrebbe cioè fondamentale.

b) E’ vero che la riscrittura dei Trattati frustrerà probabilmente il ricorso dei famosi giuristi ed economisti, essendo d’ora in poi il Fondo di stabilizzazione ancorato direttamente nei Trattati. La Merkel terrà quindi a bada la cd. Terza Camera, superando l’ostacolo dell’art. 125 TFUE, che pur permane sulla carta. Ma ciò non toglie che Karlsruhe possa valutare comunque incostituzionale il meccanismo a livello di diritto interno. Oggi forse questo rischio la Cancelliera lo corre meno. Presidente della Corte Costituzionale non è più Hans-Jürgen Papier, ma il giovane Andreas Voßkuhle, di tendenze socialdemocratiche e abbastanza europeista. Tale cambio di marcia, impresso con la recente sentenza Mangold, dovrebbe insomma far dormire notti tranquille alla Cancelliera. Il mastino Schachtschneider, artefice dei ricorsi da Maastricht fino ad oggi, è però sempre dietro l’angolo…

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O’ Sole tedesco, ma quanto ci costi! /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/ /2010/10/16/o-sole-tedesco-ma-quanto-ci-costi/#comments Fri, 15 Oct 2010 23:05:53 +0000 Giovanni Boggero /?p=7299 Brutte notizie per i consumatori tedeschi. L’anno prossimo avranno bollette più care. Tutto sta in una parolina magica che in tedesco si chiama EEG-Umlage e che rappresenta quel contributo aggiuntivo, che chiunque paghi la bolletta in Germania è tenuto a sobbarcarsi per garantire l’elargizione dei sussidi ai fruitori di energie rinnovabili. In altre parole, se è vero che “nessun pasto è gratis”, è altrettanto vero che neanche le sovvenzioni piovono dal cielo, ma i costi se li debbono ripartire tutti i consumatori. E’ il bello della redistribuzione. Ciò che si vede è il sussidio per chi approfitta delle energie rinnovabili. Ciò che non si vede è la tassa occulta addossata a tutti i membri della comunità, anche a quelli che per una libera scelta hanno deciso di non scaldarsi con il sole o con il vento. Che le norme non siano mai neutrali dovremmo averlo capito. Questa ne è l’ulteriore conferma.

Ebbene, l’anno venturo, complice l’aumento della produzione di energia ecologica sul totale, l’Umlage schizzerà verso l’alto (da 2,047 cent a 3,530 per kWh; qui il grafico) e con ogni probabilità l’aumento della bolletta si aggirerà intorno ai 70 euro all’anno per famiglia.

Tra i tanti motivi del repentino aumento della produzione di energie rinnovabili (ma ricordiamo sempre che il solare contribuisce per l’1% alla produzione nazionale di energia teutonica!), il quotidiano economico Handelsblatt cita anche la corsa all’acquisto di un pannello fotovoltaico da parte di moltissimi tedeschi, desiderosi di sfruttare le cd. feed-in-tariffs prima dei tagli destinati ad entrare in vigore nel mese di ottobre 2010 (-3%), a gennaio 2011 (fino a -13%) e a gennaio 2012 (fino a -21%).

Una piccola eterogenesi dei fini, insomma, destinata  forse a rientrare quando i tagli saranno stati implementati una volta per tutte. Solo allora vi sarà forse una discesa della curva totale delle sovvenzioni al solare, che nel 2011, nonostante le tariffe meno generose, toccherà verosimilmente livelli superiori al 2010, a fronte però di una potenza installata maggiore.

L’approvazione del taglio alle sovvenzioni per il fotovoltaico deciso dal Parlamento tedesco lo scorso agosto è infatti solo il primo passo verso la definitiva cancellazione dei sussidi, prevista entro il 2030. Al proposito, gli strepiti degli ambientalisti (e di alcuni curiosi banchieri delle Landesbanken, che paventano una possibile depressione del settore a causa della concorrenza cinese) sono del tutto ingiustificati, tanto più alla luce dei grafici e delle tabelle che gli stessi ecologisti amano esibire per dimostrare che ormai il solare è sempre più concorrenziale. Delle due l’una. O il solare è competitivo e allora i sussidi non servono più e vanno pian piano ridotti. Oppure il solare non è competitivo e perciò deve continuare a rimanere a carico di tutti i contribuenti. Tertium non datur.

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Il declino (annunciato) dei liberali tedeschi /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/ /2010/10/02/il-declino-annunciato-dei-liberali-tedeschi/#comments Fri, 01 Oct 2010 23:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=7188 Quando, esattamente due mesi fa, abbiamo pubblicato questo post sul futuro dei democristiani tedeschi, la bolla in casa FDP non era ancora esplosa. E sì perché, nel partito liberale, dopo il grandioso risultato di un anno fa, tira oggi una brutta aria. In meno di dodici mesi i Freidemokraten hanno letteralmente polverizzato il consenso, che aveva permesso loro di tornare sui banchi dell’esecutivo dopo 11 anni di opposizione: dal 14,6% giù in picchiata fino al 4-5%, ormai quasi fuori dal Bundestag. Non passa giorno senza che la leadership di Westerwelle venga criticata o messa in discussione, tanto che egli stesso pare abbia già pensato alle dimissioni da presidente dell’FDP. Ma anche la carica di Ministro degli Esteri e Vice-Cancelliere gli sta molto stretta. A differenza del suo predecessore, il socialdemocratico Steinmeier, Westerwelle non ha infatti tratto alcun giovamento dal ricoprire una posizione di alto profilo. Nella mente dei tedeschi c’è sempre il Guido delle campagne elettorali un po’ esuberanti e patetiche o il Guido che strilla contro i sindacati. Le elezioni del settembre 2009 non sono state altro che un’illusione ottica per chi- come noi- credeva che Westerwelle si sarebbe finalmente scrollato di dosso  gli strascichi di una carriera fino ad allora magra e deludente.

D’altra parte i tedeschi che si recarono a votare per l’FDP lo scorso anno volevano meno tasse subito. Steuersenkungen. Questo era il motto semplice e trasparente dei liberali. Fin dalla distribuzione dei Ministeri tra le varie forze politiche, è parso tuttavia chiaro che il motto non avrebbe avuto seguito alcuno. Quando si seppe che al Ministero delle Finanze si sarebbe accasata l’eminenza grigia Wolfgang Schäuble (CDU) e non il Principe Hermann Otto Solms (FDP), molti elettori si resero conto che il Governo era giallo-nero, ma solo sulla carta. Al timone c’era sempre e solo una persona: Angela Dorothea Merkel.

In un anno di legislatura è difficile fare un bilancio delle cose fatte. Non una manovra è stata condivisa dall’opposizione: il pacchetto fiscale per “l’accelerazione della crescita” (!) dello scorso anno fu anzi l’inizio della fine. Come può un partito come l’FDP, che programma la rivoluzione fiscale, che urla “fate l’amore e non la dichiarazione dei redditi”, pensare che il cambiamento possa passare dall’aliquota IVA agevolata per ristoranti ed alberghi? Per carità, ogni riduzione fiscale, tanto più se l’imposta grava sul consumo, è sempre da accogliere con favore. Ma l’elettorato liberalconservatore, quello che non aveva gradito il quadriennio interventista della signora Merkel, si aspettava ben altro. A Westerwelle è mancato il coraggio. Ha sistemato i suoi in Ministeri di dubbia rilevanza, ad esempio quello per gli “aiuti allo sviluppo del Terzo Mondo”, la cui abolizione l’FDP aveva propagandato fino al giorno prima delle elezioni. Per non parlare degli aiuti alla Grecia e del cd. fondo di stabilizzazione; una figuraccia per un partito che si era opposto alle enormi iniezioni di denaro pubblico per le banche soltanto un anno prima. Guido è stato capace di fare la voce grossa solo con i giornalisti inglesi che parlano inglese in Germania, non con Angie. L’attacco ai costumi da “decadenza tardoromana” che regnano nell’era dello Stato sociale non è stato che un lampo retorico in un buio programmatico. Dopodiché Guido si è inabissato definitivamente, perdendo quel poco appeal che ancora gli restava. Neanche il fatto di essere omosessuale, leader di una “destra moderna” (come piace dire oggigiorno), lo ha aiutato. In Germania, a differenza che in Italia, delle sue tendenze sessuali si parla il meno possibile e queste non rappresentano né un’arma contro né un’arma a favore.

In questo declino che sa molto di tragedia greca, si inserisce il Liberaler Aufbruch (Risveglio liberale), un’iniziativa di un gruppuscolo di parlamentari, insoddisfatti da una FDP fiacca e arrendevole, che non trova “il coraggio di essere liberale”. Il manifesto della corrente, guidata dall’ormai noto esponente libertario Frank Schäffler, lo si è potuto leggere nelle scorse settimane sulle principali testate tedesche. Tra i riferimenti principali F.A. Von Hayek. E scusate se è poco. “In questi anni abbiamo fatto troppe concessioni al collettivismo”, si legge nel testo dei deputati. La reazione di molti liberali all’interno del partito e dello stesso Westerwelle è stata a dir poco scomposta. “Un collettivo di frustrati”, dice un membro del consiglio di presidenza del partito. “E’ solo un ritrovo di euroscettici, negazionisti del global warming e liberisti radicali. Dubito che ciò sia liberalismo”, soggiunge un altro. L’unico che invece potrebbe accogliere con favore un movimento del genere è Nigel Farage, leader dell’UKIP, il quale proprio l’altro giorno tornava a spronare i tedeschi a fondare un partito critico verso l’attuale costruzione europea.

In conclusione due previsioni sul futuro. Se è vero che un movimento liberista spinto in Germania rischia di avere il fiato corto, esattamente come un partito liberale senza nè arte nè parte come quello attuale, si può dire che l’unica speranza liberalconservatrice che non emani polvere e muffa nel centrodestra, al di là del giovane segretario generale dell’FDP Christian Lindner (molto svelto con la parola ma ancora troppo legato all’attuale dirigenza), si chiama Karl-Theodor Zu Guttenberg, un cristiano-sociale bavarese di ampie vedute, che vuole chiudere con la coscrizione obbligatoria in un partito tendenzialmente contrario, sensibile alle ragioni del mercato e abile stratega in politica estera, riuscito a cavarsi d’impaccio con maestria dall’imbroglio del raid di Kunduz e attualmente politico tra i più amati dagli elettori. Wait and see.

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In Germania crolla il gioco di Stato /2010/09/12/in-germania-crolla-il-gioco-di-stato/ /2010/09/12/in-germania-crolla-il-gioco-di-stato/#comments Sun, 12 Sep 2010 11:28:23 +0000 Giovanni Boggero /?p=7015 Ogni tanto l’Unione Europea torna a fare il suo mestiere. Salvaguardare la libera concorrenza non andrà forse più tanto di moda, soprattutto se di mezzo c’è la Germania, ma talvolta Bruxelles riesce a stupirci. Questa volta, per la precisione, si tratta della Corte di Giustizia del Lussemburgo.

I giudici, riunendo una fitta serie di rinvii pregiudiziali, hanno infatti dato il colpo di grazia al sistema che teneva a galla il monopolio pubblico delle scommesse sportive teutoniche. La giustificazione addotta dal governo tedesco in ordine alla necessità di mantenere la posizione di vantaggio per tutelare i consumatori dalle frodi e combattere gli effetti nefasti del gioco d’azzardo è parsa alla Corte non conforme al dettato dei Trattati ed in particolare agli artt. 43 e 49 ex-TCE. La restrizione alla libera concorrenza è infatti ammessa per ragioni di interesse generale (sic), ma in questo caso i titolari dei monopoli pubblici – leggasi gli esecutivi regionali- hanno attuato campagne pubblicitarie a tappeto pur di massimizzare i profitti delle scommesse. Inoltre “le autorità tedesche attuano o tollerano politiche dirette ad incoraggiare la partecipazione a giochi da casinò e i giochi con apparecchi automatici”. Ancora una volta, insomma, dietro al paravento della tutela della salute o della protezione dei consumatori, si scorge la doppia morale di una mano pubblica che tenta brutalmente di far cassa.

Ora che il Glückspielstaatsvertrag è ridotto in cenere, il mugugno di Berlino, o meglio dei sedici Länder, non ha tardato a farsi sentire. Mentre il Land dello Schleswig-Holstein con il suo vicepresidente, l’avvocato liberale Wolfgang Kubicki, si propone di guidare la liberalizzazione del settore, la Renania-Palatinato, guidata da un governo di colore opposto, pare voler far di tutto per rafforzare il monopolio, in modo da incontrare i requisiti della disciplina europea. D’altra parte, proprio come disse un giorno un simpatico e fantasioso professore di diritto del lavoro a proposito delle pensioni delle donne in Italia: “L’Europa non ci chiede di alzare l’età pensionabile, ci chiede di equipararla”. Con ciò, alludendo al fatto che l’età pensionabile (maschile) sarebbe persino potuta scendere (!!).

Ad oggi il gioco d’azzardo online è proibito, la pubblicità è limitata (ne sa qualcosa il Milan!), mentre la normativa è carente sul versante delle slot-machine, tanto che i casinò avevano denunciato gravi perdite per la concorrenza sleale dei piccoli gestori delle “macchinette”. In poche parole una legislazione che ha favorito il mercato nero e che non ha aiutato più di tanto i monopolisti pubblici. Come spiegano dalle parti dell’FDP, l’emersione non sarebbe solo un beneficio per i consumatori, ma anche per le finanze dei Länder.

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Germania, per qualche atomo in più… /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/ /2010/09/06/germania-per-qualche-atomo-in-piu/#comments Mon, 06 Sep 2010 10:19:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=6958 A quasi un anno dalla storica vittoria elettorale del 27 settembre, CDU/CSU ed FDP sono finalmente giunte ad un accordo per prolungare la vita dei diciassette reattori nucleari della Repubblica federale. Basterà il voto del Bundestag; il Bundesrat, in cui l’esecutivo non ha più la maggioranza, verrà comodamente aggirato.* In una lunga riunione, tenutasi ieri in una Cancelleria assediata dai manifestanti ecologisti, gli esponenti del governo hanno stilato le linee guida di questo “phase-out dal phase-out”, come è stato ribattezzato in questi mesi dalla stampa.

Complici i dubbi del Ministro dell’Ambiente Norbert Röttgen (CDU), tradizionalmente vicino alle istanze ecologiste, l’inversione di rotta sarà solamente parziale e non certo, come la stampa italiana probabilmente titolerà, epocale. E questo perché la decisione voluta dal gabinetto rosso-verde nel 2001 di chiudere con l’esperienza nucleare non è stata affatto ribaltata. L’atomo è una “tecnologia-ponte”, hanno ripetuto in questi mesi gli esponenti democristiani e liberali. Liberarcene intorno al 2020 sarebbe prematuro, rinviamo dunque la fuoriuscita. Questo il succo del ragionamento. E così, mentre gli impianti più vecchi, quelli costruiti prima del 1980 potranno rimanere attivi per ancora otto anni, quelli più nuovi godranno di un posticipo di circa quattordici anni. Ciò significa che l’ultimo reattore chiuderà i battenti intorno al 2040. Come giustamente metteva a fuoco Henning Klodt su Wirtschaftliche Freiheit, quello che vi è stato di errato in questa stucchevole guerra di cifre sugli anni (e poi perché quattordici e non quindici o ventitré?) è che lo Stato gioca la partita sia in  qualità di regolatore, sia in qualità di attore. Non volendo limitarsi a fissare le regole del gioco (in particolare in tema di sicurezza), pretende di potersi occupare dei reattori come se fossero ancora di sua proprietà. E così il rischio continuerà ad essere quello di reattori chiusi quando ancora potevano funzionare o impianti tenuti in vita oltre ogni tempo ragionevole. In questo senso ha forse ragione – anche se la predica viene dal pulpito sbagliato – il presidente dell’SPD Sigmar Gabriel, che nell’annunciare un autunno caldo di proteste, ha accusato l’esecutivo di aver barattato la sicurezza con un po’ di denaro. E sì, perché la signora Merkel, per cercare di trovare la quadra e mettere d’accordo tutti, ha pensato di chiedere alle compagnie energetiche di pagare per circa sei anni una tassa aggiuntiva su uranio e plutonio (Brennelementesteuer) per risanare il bilancio, nonché di utilizzare i profitti per migliorare la sicurezza dei reattori e versare fondi per lo sviluppo (dopo vent’anni ancora a “sviluppà” stiamo?) delle energie rinnovabili, quasi che fosse pentita del passo intrapreso. Insomma, come al solito, la Cancelliera si dibatte vorticosamente tra le due C: confusione e compromessi. In buona sostanza, infatti, si annulla la recente decisione di tagliare i sussidi al solare. Ciò che è uscito dalla porta, pare  rientrare dalla finestra.

Al di là di quanto detto, il cambio di fronte rispetto al decennio passato è comunque da giudicare positivamente. Il rischio di un phase-out immediato avrebbe potuto condannare la Repubblica federale a bollette sempre più care e a pericolosi black-out.

*La Corte Costituzionale di Karslruhe è già stata attivata dall’opposizione.

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Credito P2P, la situazione in Germania /2010/08/15/credito-p2p-la-situazione-in-germania/ /2010/08/15/credito-p2p-la-situazione-in-germania/#comments Sun, 15 Aug 2010 14:56:49 +0000 Giovanni Boggero /?p=6796 Sulla situazione di Zopa in Italia hanno già ampiamente parlato su questo blog Carlo Lottieri e Massimiliano Trovato. Non meno interessante è osservare come abbia reagito al fenomeno del credito peer-to-peer la Germania, gelosa custode della posizione dominante delle proprie banche, pubbliche o private che siano. Al proposito giova innanzitutto ricordare che nella Repubblica federale operano da ormai tre anni abbondanti due soggetti, Smava.de e Auxmoney.com, mentre Zopa, pioniere del settore nel Regno Unito, non è presente sul mercato teutonico. Qui le principali differenze in merito alle offerte dei due operatori, che finora pare abbiano soddisfatto, con successo e senza inghippi, quella fetta di mercato non altrimenti in grado di ottenere un prestito- con un tetto massimo di 25.000 euro alla volta- dalle istituzioni tradizionali.

Il centro studi di Deutsche Bank, una delle principali banche di investimento al mondo, ha drizzato subito le antenne, pubblicando nel luglio 2007 e poi ancora nel settembre del 2009  due bollettini, in cui venivano spiegati dettagliatamente potenzialità e rischi dell’avventurarsi nel cd. social lending. Nel numero 05/07 del suo giornale il watchdog tedesco BaFin ha provvisoriamente lasciato la porta aperta agli operatori, ricordando che l’autorizzazione all’attività bancaria – per il rilascio della quale la cooperazione di BaFin con la BuBa è necessaria- diviene imprescindibile ex § 32 c. 1 della legge sull’intermediazione nel credito (KWG), qualora essa sia esercitata in maniera commerciale ovvero a scopo di lucro. In poche parole, senza licenza non si gioca. Ecco perché Smava.de e Auxmoney.de hanno dovuto appoggiarsi a due piccoli istituti di credito, BIW Bank e SWK Bank, per poter proseguire la loro attività imprenditoriale, senza per ora dover passare al vaglio diretto di BaFin.

Sulla configurazione giuridica del fenomeno sorgono comunque dubbi anche in Germania, cosa di per sé del tutto comprensibile, se si pensa che gli ordinamenti di civil law rischiano di andare in tilt ogniqualvolta una nuova fattispecie emersa spontaneamente dall’autonomia contrattuale va ad incrinare questo o quel dogma fissato per legge (si pensi, solo per fare un esempio, agli sconvolgimenti prodotti in dottrina e giurisprudenza dal superamento dell’idea di “numero chiuso dei diritti reali”).

Nel maggio scorso alcuni parlamentari del gruppo ecologista Bündnis 90/Die Grüne hanno interpellato l’esecutivo, ponendo venticinque interrogativi dal sapore vagamente consumeristico, nella speranza di ottenere una regolamentazione del settore. Ebbene, il Ministero delle Finanze ha fornito le proprie risposte alla fine di giugno. In sostanza il Governo dice che al momento ha cose più importanti a cui pensare, mostrandosi anche piuttosto disinformato, laddove manca di individuare le piattaforme attive nel paese e le esperienze verificatesi oltre confine. Inoltre i tecnici del Ministero sostengono erroneamente che non esista un meccanismo di garanzia o di sicurezza in caso di morosità e che il rischio sia sopportato interamente dal prestatore, cosa non del tutto corretta almeno per quanto attiene Smava.de. Meno sicurezza per i propri investimenti è invece presente su Auxmoney.com dove gli utenti non sono necessariamente identificati e non c’è alcun controllo sulla loro solvibilità da parte della Schufa, la società privata di Wiesbaden che svolge il servizio per Smava.de.

In particolare, però, ci paiono degni di nota e condivisibili alcuni commenti del Ministero sull’inopportunità di aggiungere carta e burocrazia alle transazioni.

n.7 La persecuzione dei reati spetta alle Procure della Repubblica e ai Tribunali. Il governo federale non ha avuto notizia di alcun caso di abuso o di raggiro in relazione all’esercizio o all’uso delle piattaforme di concessione privata del credito.

n.12 (…) Il prezzo pagato dal prestatore alla banca per il credito non è da considerarsi un deposito ai sensi della KWG.

n.17 Partendo dal presupposto di un consumatore adulto e responsabile e prendendo in considerazione l’attuale quadro di controllo e il fatto che a BaFin – così come alle autorità dei singoli Länder- non sono pervenute notizie di casi di abuso o raggiro, il governo federale non vede alcuna necessità per procedere all’introduzione di standard legali minimi per le piattaforme di concessione privata del credito.

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Se (anche) in Germania la CDU è pronta alla scissione /2010/08/01/se-anche-in-germania-la-cdu-e-pronta-alla-scissione/ /2010/08/01/se-anche-in-germania-la-cdu-e-pronta-alla-scissione/#comments Sun, 01 Aug 2010 08:56:57 +0000 Giovanni Boggero /?p=6684 In queste ore in cui il centrodestra italiano sprofonda nella crisi e, checché se ne dica, le possibilità di vedere una formazione politica liberale apparire all’orizzonte si affievoliscono di minuto in minuto, qui in Germania i quotidiani discutono di un nuovo partito che potrebbe presto nascere alla destra della CDU. Come è noto, la presenza di Angela Merkel alla Cancelleria ha ormai sbilanciato i cristianodemocratici verso sinistra, inibendo ogni prospettiva di un connubio genuinamente liberalconservatore. Basti ricordare come il trionfo del pragmatismo teutonico abbia portato la Repubblica federale, per ben due volte nello spazio di un mese e mezzo, a varare nuove norme in grado di trasformare l’Unione Europea in una vera e propria cabina di regia per pilotare i salvataggi degli Stati membri che hanno mostrato e mostreranno scarsa disciplina di bilancio. L’FDP, dimentica delle battaglie condotte durante i quattro anni passati all’opposizione, è stata brutalmente trascinata nell’operazione, perdendo ulteriore credibilità. Credibilità che è infatti sotto i tacchi per il vizio, in apparenza tutto italiano, di discettare con cadenza quotidiana di nuove mirabolanti proposte di riforma, destinate puntualmente a finire nella spazzatura. E così, in tema di energia, sanità, mercato del lavoro, sovvenzioni da tagliare molto è stato detto, ma nulla è stato fatto.

L’insoddisfazione montante verso il “metodo Merkel” all’interno della CDU e la delusione per un partito liberale, che, come ha magistralmente scritto Dirk Friedrich sulla rivista EF, si sta rivelando una “vergogna per il liberalismo” (non molto diverso il quadro tracciato dal professor Gerd Habermann) sembra aver ormai posto le basi perché molti riformisti emarginati dai due grandi partiti popolari uniscano le forze. In particolare si parla di Friedrich Merz -il grande silurato dalla Cancelliera nel 2004-, dell’ex giudice costituzionale Paul Kirchhof, dell’ex Ministro dell’Economia, il socialdemocratico Wolfgang Clement e dell’ex Ministro delle Finanze di Berlino Thilo Sarrazin, noto per le sue posizioni anti-Islam. Il tutto con la benedizione del filosofo Peter Sloterdijk.

La “nuova CDU”, insomma, forte di un bacino di potenziali elettori pari al 20%, dovrebbe poggiare le sue fondamenta su questi tre pilastri: valori cristiani, libero mercato ed euroscetticismo. Non proprio una destra finiana, per fortuna. Fantapolitica? Può darsi. Tanto più che è la stessa storia della Germania del dopoguerra ad insegnare che i partiti che contano, difficilmente nascono o muoiono nello spazio di un mattino. D’altra parte, però, alcuni elementi sembrerebbero poter dare ragione alle speculazioni di Bild e Focus.

1)       I partiti popolari (Volksparteien) stanno per tirare le cuoia: l’emorragia di iscritti e il continuo calo di consensi alle elezioni politiche da una decina d’anni a questa parte sono il chiaro segnale che i tedeschi vedrebbero con favore una piattaforma politica ulteriormente variegata, in grado di rispecchiare in modo più fedele gli interessi in gioco. Un sesto partito aiuterebbe a bilanciare i rapporti di forza con il blocco di sinistra.

2)      Negli ultimi mesi la signora Merkel ha perso un gran numero di colonnelli. Alcuni di essi sono andati ad occupare altre posizioni (Wulff ed Oettinger), ma altri si sono dimessi per ragioni non del tutto chiare. Non è escluso che l’iniziativa possa venire dai governatori insoddisfatti, in testa ai quali c’è Roland Koch, falco conservatore law & order.

3)      Nello spazio di poche settimane la Germania ha conosciuto due esperienze di democrazia diretta estremamente significative per un paese che, per ragioni storiche, ha deciso di non dare copertura costituzionale a questo strumento. Il referendum bavarese a favore di un divieto totale di fumo nei locali pubblici e il referendum amburghese organizzato da decine di migliaia di famiglie contro la riforma della scuola “livellatrice” varata da CDU e Verdi e appoggiata da Spd e Linke hanno fatto parlare alcuni analisti di una svolta in stile Tea-Party anche per la Germania. Il paragone va preso con le molle, tanto più che la prima iniziativa popolare fa in realtà piombare il paese in un clima pericolosamente proibizionista. D’altra parte, però, è del tutto evidente il desiderio di molti conservatori (fiscali e non) di dire la loro in prima persona, senza l’intermediazione di una casta politica che sembra non rappresentarli più.

Staremo a vedere.

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Colpa del mercato, anche quando non c’è /2010/07/17/colpa-del-mercato-anche-quando-non-ce/ /2010/07/17/colpa-del-mercato-anche-quando-non-ce/#comments Sat, 17 Jul 2010 16:09:37 +0000 Giovanni Boggero /?p=6573 C’è qualcosa di grottesco nella serie di accuse che ha fatto seguito all’increscioso black-out dell’aria condizionata su molti treni ICE (gli equivalenti dei nostri Eurostar) facenti capo alla Deutsche Bahn. Stando alle informazioni della stampa tedesca, gli impianti di un quinto dei treni non sarebbero tarati per un calore esterno superiore ai 32 gradi. Superata quella soglia, il condizionamento andrebbe automaticamente in tilt, come abbiamo osservato nella settimana passata, quando decine di persone sono state ricoverate negli ospedali di diverse città della Germania, perché i locali di alcuni vagoni avevano raggiunto temperature che rasentavano i 50 gradi.

Dopo il caos di quest’inverno, per le strade si sente ormai dire con una certa nostalgia che la Deutsche Bahn di oggi non è più quella di una volta. Quella compagnia che partiva e arrivava puntuale con qualsiasi condizione meteorologica, garantendo sempre un servizio degno di questo nome, non c’è più. Può darsi che sia così. Certo è che le critiche piovute sul gruppo in queste ore lasciano a dir poco con la bocca spalancata. Mentre la dirigenza tentava di schermirsi prendendosela con il global warming (il che, ça va sans dire, pare essere un ottimo artificio retorico di qualunque natura sia il problema), le associazioni dei consumatori, appoggiate dalla sinistra tedesca, sono riuscite a tirare in ballo la quotazione in borsa, accusando DB di non investire a sufficienza nella sicurezza e nella prevenzione per rendersi più appetibile di fronte ai privati in vista del “lancio” sul mercato (?!). Al di là della manifesta illogicità dell’assunto (il privato che mai dovesse investire in DB vuole un’impresa sana e che causi pochi incidenti…), la cosiddetta “privatizzazione” non è all’ordine del giorno da ormai quasi due anni, né verrà portata a termine in questa legislatura.

Com’è noto, però, la colpa è sempre del temutissimo neoliberismo, soprattutto quando non è dato sapere dove sia… Ciò, se si considera che DB è l’ultimo grande monopolista di Stato dopo la cessione degli altri colossi (Deutsche Telekom e Lufthansa), che gestisce contestualmente infrastrutture, rete e trasporto; ha un controllo del mercato interno pari al 90%, e si fa forte di varie norme anticoncorrenziali per preservare il proprio fatturato, tra le più macroscopiche e bizzarre quella risalente al Terzo Reich, che vieta alle compagnie di bus di offrire viaggi sulle tratte già coperte dai treni, a meno che non abbiano come destinazione Berlino (!!). Tutto ciò messo assieme permette alla Deutsche Bahn AG di fare shopping in giro per l’Europa. Ai consumatori, che giustamente si lamentano, non è data alternativa.

Il liberismo selvaggio, ancora una volta, ha mietuto un’altra illustre vittima: il buon senso.

Update 24/07/2010: Ederer sulla Fuldaer Zeitung scrive circa le stesse cose.

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Proprietà e libertà. Sì, ma quali? /2010/06/25/proprieta-e-liberta-si-ma-quali/ /2010/06/25/proprieta-e-liberta-si-ma-quali/#comments Fri, 25 Jun 2010 20:02:17 +0000 Giovanni Boggero /?p=6371

It lies in the essence of owning that all rights belong to the owner except insofar as they belong to another person as a result of some acts performed by the owner M.N. Rothbard

Il diritto di ciascuno non vive nel vuoto, ma interagisce con le pretese degli altri alla ricerca obbligata di un equilibrio F.M. Nicosia

Il grande pregio della corposa monografia sulla proprietà data alle stampe ormai dieci anni or sono da Ugo Mattei è senza dubbio quello di aver contribuito a spezzare il recinto della diffidenza verso l’analisi economica del diritto nel nostro paese. Troppo a lungo, infatti, dottrina e giurisprudenza italiane hanno fondato la loro attività di ricerca sulla “regola migliore”, entro gli stretti confini della forma codicistica. Il contributo della Economic Analysis of Law -di casa Oltreoceano, ben poco qui da noi- ha di certo portato una ventata d’aria fresca, cambiando in parte il paradigma con il quale il giurista italico guarda alle norme e alla loro evoluzione.

Una è la tesi centrale del volume. L’Occidente è spaccato a metà tra sistemi di common law e di civil law. Inutile dire che lo sia quindi anche il modo di intendere la proprietà. Alla concezione tipica del diritto romano, corroborata poi dalle codificazioni napoleoniche e dalla pandettistica tedesca, di una proprietà come dominium, semplice controllo materiale e fisico di un soggetto su un oggetto usque ad inferos usque ad sidera, si contrappone una visione più sfumata e complessa, per certi versi immateriale dell’essere proprietari, riassumibile nell’espressione bundle of sticks. La proprietà è insomma un mazzo di prerogative, che possono essere fatte circolare disgiuntamente le une dalle altre (la proprietà del terreno non necessariamente deve ricomprendervi anche il sottosuolo; la proprietà del bosco a fini di legnatico non deve necessariamente ricomprendere quelli di caccia e così via). Tale tradizione, a ben vedere, non è del tutto estranea al panorama continentale, se si pensa a tutto quel florilegio di istituti, tipici dell’era medievale e poi spazzati via con un tratto di penna dalla Rivoluzione francese.

Tale bipartizione, di grande aiuto nel mettere a fuoco la staticità dell’assetto proprietario del nostro codice (si pensi ai rapporti di vicinato), scade invece nell’aporia, quando manca di segnare lo spartiacque “hayekiano” tra liberalismo di stampo anglosassone e liberalismo continentale. Il binomio proprietà-libertà viene infatti attaccato quale stolido assioma, creato da quel “matrimonio infausto tra naturalismo e positivismo statalista” che fu la Rivoluzione francese. In realtà, benché il paradigma proprietario della common law sia diverso da quello continentale, ciò non significa che in quel fascio di facoltà, poteri, soggezioni e obblighi il binomio proprietà-libertà non possa comunque trovare una sua conferma. Lo ricorda anche Carlo Lottieri nella sua cristallina introduzione al volume Il diritto dei proprietari: una concezione liberale della giustizia, edito da Facco/Rubbettino: la proprietà definisce l’ordine dei titoli legittimi. Null’altro. Il problema nell’assunto di Mattei è insomma a monte, nell’idea di una libertà liberale intesa come assoluta (la licenza di Hobbes) e di una proprietà liberale intesa come monade. In realtà, la riflessione libertaria- Rothbard su tutti- è la prima a ribaltare tale visione macchiettistica, riconoscendo la proprietà come limite. Un limite alla libertà altrui e un limite alla propria. In questo consiste il tanto vituperato “binomio”, che recupera così quella tara di dimensione relazionale, più volte lamentata da Mattei.

In conclusione, è vero che i diritti di proprietà non sono mai definiti una volta per tutte e che quindi pretendere di delimitare a priori le reciproche interferenze tra sfere proprietarie è spesso un atto ingegneristico sterile, d’altro canto è altrettanto vero che tale caleidoscopio di fasci e prerogative non può che trovare molti limiti in sé stesso (si pensi alla figura del residual claimant), senza quindi sfociare in un novero imprecisato, quasi “relativista” di pretese; come, ad esempio, quella del ladro che pretende di entrare in casa mia o quella del lavoratore che pretende di avere una qualche proprietà sul suo posto di lavoro. In parole povere, dire che la proprietà non è una monade non equivale  a dire che “tutto va bene”. A differenza delle cavillose norme sulle distanze, il divieto di immissio in alienum non può essere in sé e per sé derubricato a segno distintivo di quella concezione giusnaturalistica, “volta a concepire un sistema di proprietari titolari di diverse monadi non comunicanti”. Il divieto di immissio in alienum è corollario del concetto di proprietà privata. Se buttiamo a mare quello, buttiamo a mare la proprietà, sia quella “fisicista” continentale, sia quella “immateriale” anglosassone. A condividere in parte questo nichilismo di fondo v’è però anche l’approccio efficientista (e falsamente wertfrei) della Scuola di Chicago e del teorema di Coase, uno dei cui presupposti è l’irrilevanza della distribuzione dei titoli di proprietà. Allo stesso modo, il movimento delle enclosures nell’Inghilterra del XVIII secolo fu dettato da pure motivazioni di efficienza, che spesso si riverberarono in ingiustificate e brutali espropriazioni. Altro che liberalismo. In nessun conto fu tenuto l’homestead- il “preuso” si direbbe oggi qui da noi- dei piccoli coltivatori e allevatori delle campagne inglesi.

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