Sindacato per meno tasse? Evviva!
Domattina dedico la “versione di oscar” su radio24 all’annuncio venuto oggi da Cisl e Uil: le due confederazioni riuniranno congiuntamente le segreterie il 15 settembre, per varare una piattaforma di riduzione delle tasse, e scenderanno in piazza per questo il 9 ottobre. Lo dico prima di entrare nel merito delle loro proposte, prima di conoscerle in dettaglio anche se le immagino: dico e grido evviva. Evviva anche se magari dirò nel merito che è troppo poco e troppo tardi. Ma un evviva netto e chiaro. Non solo perché qualunque alleato per la riduzione della schiavitù fiscale è ben accetto. Ma perché il sindacato notoriamente nella storia italiana è un alleato potente. E se finalmente il sindacato si smuove dal solo mantra della lotta all’evasione per destinare più risorse ancora alla spesa pubblica ma – immagino – alla lotta all’evasione che resterà affianca finalmente anche richieste di riduzioni delle imposte, allora vuol dire che finalmente anche il lavoro dipendente comincerà a sentirsi dire da chi – ci piaccia o meno è altro discorso – lo rappresenta, che pagare le tasse NON è bellissimo, e quando poi le tasse sono abnormi è osceno. Non solo perché in cambio lo Stato offre quel che sappiamo. Ma perché più alte sono le tasse, maggiore è l’ingiustizia e l’inefficienza. E poiché nel nostro Paese le tasse sono altissime sia sul lavoro sia sull’impresa, è su entrambe che devono scendere per diminuire ingiustizia e inefficienza. Se avete dubbi, vi invito a leggere questo paper. E’ assolutamente illuminante. Lo ha scritto Richard Rogerson, fellow dell’American Enterprise.
Lo studio nasce in realtà dalla domanda se sia giusto, il tentativo di Obama in atto negli USA di estendere lo Stato e il suo prelievo fiscale sempre più verso grandezze europee. Ma poiché per dimostrare la sua risposta – che è no – deve dimostrarne la ragione, e per farlo prende in considerazione gli effetti comparati che la tassazione sul lavoro esercita in concreto sulle ore lavorate in tutti i Paesi Ocse, ecco che i dati servono benissimo a riflettere anche a casa nostra, in Italia. Perché i dati mostrano inequivocabilmente che continua ad aver ragione il buon Ted Prescott, che ci ha preso il Nobel coi suoi studi sul rapporto che l’alta pressione fiscale esercita, disincentivando l’offerta di lavoro.
Per averne evidenza, prima ancora di leggere il paper andate direttamente alle due tabelle. Nella tabella 1 trovate il totale della pressione fiscale e contributiva sul lavoro nei maggiori Paesi OCSE, nel 1960, 1980. e nel 2000. La media OCSE passa dal 25,4% del ‘60, al 36% dell’80, al 41,9% nel 2000, cioè cresce in 40 anni di 16,5 punti. Gli Stati Uniti però sono il Paese che resta assolutamente sotto media, passando dal 22,1% del ‘60 al 28,6% nel 2000, con un aumento di soli 6,5 punti. Tutti i Paesi europei hanno incrementi a doppia cifra e quasi sempre partendo da una base iniziale più alta: la Germania passa da 33,5% al 47,7% con un più 14,2; la Francia passa da un 36,6% al 49,7% con un più 13,1; la Finlandia da un 26% al 52,4% con più 26,4. L’Italia è il Paese con la maggior crescita del prelievo sul lavoro nel quarantennio dopo appunto Finlandia e Svezia (quest’ultima passa dal 31,6% al 59,1% con un più 27,5). Sul lavoro italiano, la pressione ficale e contributiva passa dal 25,5% del 1960 – una media pari allora a quella del Regno Unito – al 49,1% con un aumento di 23,6 punti (mentre il Regno Unito sale solo di 10 punti, e si ferma nel 2000 a un prelievo del 36%).
Qual è l’effetto sulle ore lavorate esercitato dal diverso andamento del prelievo tributario e contribuitivo? Andate alla tabella 2. In media le ore lavorate settimanalmente per persona di età 15-64 nei Paesi Ocse passano da 28,1 nel 1960 a 23,3 nel 1980 a 22,5 nel 2000: in media cioè a un aumento nel quarantennio del 16,5% di tax rate reale corrisponde una diminuzione di ore lavorate pari a -18,7% in area Ocse.
Solo che questo dato è la media di due sottoinsieme assai diversi. Da una parte ci sono gli Stati Uniti (e il Canada), in cui la limitata crescita della pressione fiscale sul lavoro pari al solo 6,5% ha prodotto un aumento delle ore lavorate del 10% tra il 1960 e il 2000 (state attenti, la cifra delle ore lavorate nel 2000 USA è sbagliata per un refuso: ripetete quella sovrastante del Regno Unito ma ho controllato, in realtà non è 23,3 ma 25,3 rispetto alle 23,7 del 1960, dunque più 10% appunto). Nei Paesi europei, invece, in media maggiore è l’aumento della pressione fiscale maggiore è il decremento di ore lavorate: in Germania il calo è del 30% passando dalle 28,7 del 1960 a 19,8; in Francia è del 35,3% passando dalle 29,8 a 19,3. In Italia il decremento è del 32,3%, passando da 31,2 ore settimanali a 21,2. L’unico Paese a fare vera eccezione alla regola è la Svezia, dove malgrado l’incremento di 27,5 punti di presione fiscale fino allo spaventoso 59%, il decremento di ore lavorate sui limita nel quarantennio al 7% cioè da 25,3 a 23,5: ma la spiegazione è che nel 1960 la media settimanale svedese era già la più bassa dell’Europa continentale, di 7,5 ore inferiore alla media britannica, d 5,9 rispetto all’Italia, di 3,4 rispetto alla Germania.
La conclusione è evidente. Più aumentano tasse e contributi, più la gente sta a casa invece di lavorare. Trovate tutta la letteratura del caso per approfondire indicata a fine saggio, se pensate che le differenze culturali abbiano un peso – ce l’hanno – come i più o meno efficienti sistemi nazionali di welfare – ce l’hanno anch’essi, e il nostro è inefficiente, basato sulle ipertutele rigide concentrate in capo ai dipendenti a tempo indeterminato. Ma l’andamento dell’Olanda, disaggregato per periodi di tempo in cui tasse e contributi sono saliti rispetto a quando la politica ha deciso di abbassarli ( a differenza degli altri Paesi dove l’aumento non ha praticamente mai conosciuto se non soste, ma senza mai invertire segno), testimonia che a ogni discesa e risalita fiscale ha corrisposto inversamente un aumento o una diminuzione delle ore lavorate. Come volevasi dimostrare.
Per questo dico: evviva il sidnacato che si decide a scendere in piazze per meno tasse. Inevitabilmente anche di qui, passa la possibilità – per me: necessità – di una maggior produttività per l’Italia. Noi diremo sicuramente che i tagli a tasse e spesa servono più incisivi, ma il sindacato in questo caso dà una mano eccome. Perché rompe finalmente un tabù storico. Era tempo, santiddio.
13 settembre 2010 Mercato del lavoro, Senza categoria, Stati Uniti, fisco, ue, welfare


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tutto ok,vorrei solo dire che se la pressione fiscale passa dal 25 a quasi il 50%,é si aumentata di 25 punti…peró in percentuale é aumentata del 100%………..
conoscendo i sindacati , non e’ che forse chiedono di abbassare le tasse sul lavoro ma senza tagliare le spese pubbliche bensi’ aumentando simultaneamente le tasse sui patrimoni e sui risparmi ?
Durante la trasmissione a Radio24 uno degli intervenuti ha ritirato fuori la solita questione dell’aumento della “tassazione sulle rendite finanziarie”, che nel resto del mondo si chiama “tassazione del risparmio”.
Ora, quandanche l’aumentassero, con un rendimento BOT stabilmente al disotto dell’1% lordo (http://www.soldionline.it/notizie/obbligazioni-italia/bot-il-rendimento-del-trimestrale-scende-allo-0-683) quanto si crede di poter raccattare?
@Massimo : la proposta è quella di portare la tassa al 20%, con l’esclusione dei titoli di stato. Quindi il problema da tè posto non esiste. Il problema è un’altro: 1) la legge attuale prevede la tassazione al 27% per i possessori di quote azionarie in società quotate superiori il 2%, mentre è il 12,5% per chi stà sotto. Se si porta al 20% abbiamo che i ricchi pagheranno meno , e i piccoli risparmiatori di più. Comunque se ai ricchi rimarrà al 27% , a pagare di più saranno solo i piccoli risparmiatori. 2) la chiamano rendita finanziaria, ma le forme di investimento che colpisce non sono tutte uguali e non sono tutte rendite. Per esempio lasciano fuori la tassazione dei bot, che sono veramente una rendita, mentre invece colpiscono chi investe in borsa, dimenticando che quando uno compra azioni, diventa a tutti gli effetti identico all’imprenditore che possiede l’azienda, e quindi produttore e non rentier.
Và da sè che tutta la proposta dei sindacati è totalmente inconsistene. Si aumentano le tasse da una parte per darle ad un’altra. E i benefici sono solo nella mente di chi la propone.
Le tasse sono odiose e belle solo per coloro che le contemplano? Certamente, ma quelli che le pagano onestamente senza evadere le pagano perchè hanno guadagnato e la cosa ancora più odiosa è pagarle anche per gli evasori, subire il loro aumento, vedere gli evasori premiati senza che lo Stato faccia alcunchè per debellre questo cancro. Tra le 13 e le 16 mentre qualcuno era in pausa pranzo, qualche commerciante di una delle città più povere d’Italia ma con la proprietà di beni dui lusso, ha fatto una capatina a San Marino, non per turismo, ma per depositare parte dell’incasso della giornata sottratto legalmente al fisco, ponendo in essere un operazione impeccabile sotto il profilo fiscale, complimentoni!!!! In un paese dove si pagano i giocatori di calcio facendo fallire le aziende con gli operai che hanno famiglia, si pensa e si parla d’altro. Credo che l’illustre Sig. Giannino- che io rispetto sinceramente per la sua intelligenza e capacità professionale – facendo il suo dovere fino in fondo di cittadino contribuente fedele – non ne ho mai dubitato – guadagni davvero tanto da dover pagare davvero un bel gruzzolo al fisco italiano. In tanti altri paesi sarebbe un esempio, in Italia lo è solo per i fessi come lo sono io che credono nell’onestà , ma questo è un altro discorso.
@stefano tagliavini
Non è affatto vero che se paghi le tasse significa che hai guadagnato.Infatti la follia del sistema fiscale italiano fa sì che a causa di cose tipo l’irap,gli studi di settore,i costi indeducibili,gli ammortamenti,gli acconti fiscali,gli acconti degli acconti,l’iva pagata al momento dell’emissione della fattura e non dell’incasso e chi più ne ha più ne metta,alla fine non’è affatto infrequente il fatto che molti cittadini siano costretti a pagare delle somme di denaro che non hanno mai guadagnato e spesso per far ciò si indebitano pure con le banche.
Tutto questo poi per mantenere uno stato parassita,ladro e corrotto fatto di politici ciarlatani che sono sempre in prima linea a sparare a zero contro i cattivi evasori,salvo poi scoprire che i primi evasori sono proprio loro visto che come dimostrato ad esempio da un servizio delle iene di qualche tempo fa una larga parte dei parlamentari italiani si serve di collaboratori(i cosidetti portaborse) tutti pagati rigorosamente in nero.
Oscar, complimenti per la puntata di stamani! Interessante e molto chiara.
@Massimo74
Per chi si comportamente onestamente hai ragione tu non ci sono dubbi, spesso il sistema inrodotto dai nostri politici è veramente una perseguzione, ma il punto è proprio questo, ci sono cittadin tartassati per raccogliere da loro quello che altri hanno evaso. Gli strumenti per ridurre l’evasione non vengono applicati perchè fa comodo che ci sia evasione. Sono anni che si parla di scaricare l’IVA anche per i consumatori, perchè non è stato fatto? Perchè non vengono incrociati i dati tra i proprietari di ombarcazioni e altri beni di lusso con i redditi dichiarati utilizzando come strumento di verifica il redditometro? Perchè non viene introdotto un sistema che permetta la verifica automatica quando si acquista un autovettura superiore a un certo valore?
Ha ragione sullo stato parassita e sulla responsabilità dei politici, ma dimentichi una cosa, che i politici occupano i loro posto perchè qualcuno ce li ha messi e non per investitura divina
@Massimo74
spesso dimentichiamo che i cittadini italiani, non tutti sia chiaro, sono abbastanza ignoranti e hanno uno scarso senso della cosa pubblica, penso all’ultima relazione della Corte dei Conti che ha detto come il dipendente pubblico occupa un posto dimentiando che ricopre una posizione per servire i cittadini e non se stesso. Difficile pensare che se i cittadini sono questi la classe politica che promana a loro sia migliore.
Meglio l’imposizione indiretta.Non sono commosso da chi paga il 60% per l’acquisto di diamanti.Non
sono commosso neppure da chi paga in modo virtuale.Tutti coloro che operano in regime di mono-
polio o che forniscono servizi indispensabili,fanno pagare al cliente con l’allegro sistema del trasferi-
mento di imposta.Anche chi lavora per lo stato in attività passive paga sulla carta.I soldi in questo
caso non esistono,ma sono solo scritture contabili che arricchiscono il debito pubblico.
Rimangono i dipendenti delle aziende private non assistite.Quelli non sono soldi furbi e sono reali.
Detassiamo loro.In ogni caso i tagli devono essere simmetrici,altrimenti sono inaccettabili.
Se chi paga il 50% scende al 20% o allo 0%,chi paga il 30% deve scendere allo 0% o allo 0%.
Altrimenti non si è favorevoli alla diminuzione delle tasse,ma solo delle proprie.
@stefano tagliavini
E pensare che basterebbe pagare i servizi a consumo invece di finanziarli attraverso l’imposizione fiscale.In questo modo non solo avremmo servizi molto più efficenti(In quanto se lo stato non da un servizio efficente il cittadino smette di pagarlo),ma avremmo risolto all’istante il problema dell’evasione.
Ma perchè il Sig. Giannino e gli altri illustri autori di questo blog non si candidano alle prossime elezioni politiche? Io li voterei in massa!
Stefano
@adriano
Concordo pienamente. Spesso ho la sensazione che la diminuzione delle tasse sia solo una proposta per diminuire le proprie.
Una proposta su cui lavorare: il recupero dell’evasione (mi pare si parli di 9 miliardi nel corso del 2010) deve andare alla riduzione delle imposte (si badi IMPOSTE).
Se non c’è questo recupero (e se non c’è consenso su questo punto di partenza) allora casca l’asino: il recupero dell’evasione serve solo a mantenere uno stato dilagante, inefficiente, corrotto e ladro…
Poi possiamo discutere come fare i conti. Potremmo anche discutere di farlo anche su base territoriale (distribuisco la riduzione laddove ho recuperato l’evasione), dando così una spinta concreta al federalismo.
Caro Giannino, batta un colpo?! E’ d’accordo o no?
@Giorgio : lei ha perfettamente ragione. Il problema è che se prima non si blocca almeno i meccanismi di crescita della spesa pubblica, anche se c’è accordo sull’uso del recupero dell’evasione fiscale , dovrà volente o nolente usare l’extragettito per abbattere il deficit. Oramai , a causa del debito pubblico accumulato e la grandezza dei capitoli di spesa, e il persistente deficit , basta poco per mangiare completamente ogni risorsa. Pensi solo se i tassi di interesse dovessero rialzarsi. Si creerebbe immediatamente un buco di bilancio. E prima o poi succederà .
Ora, non serve l’accademia per ricordarvi che attraverso un sistema di tassazione progressiva e attraverso una spesa pubblica efficiente (salario indiretto) si può perseguire una politica redistributiva in favore delle fasce reddituali deboli (ad esempio garantendo un sussidio di disoccupazione e una continuità di reddito, tra l’altro in accordo con il libro bianco di Biagi).
Se poi si vuol sostenere che a causa della storica inefficienza del sistema di welfare pubblico italiano sia il caso di praticare una bella eutanasia, beh si butta il bambino con l’acqua sporca. Nel senso che si abbandona, in un momento tra l’altro di grave crisi, una buona fetta di gioventù (tasso di disoccupazione giovanile verso il 30%) o alla cura delle famiglie (fin che i risparmi reggono) o allo sfruttamento del lavoro nero (altro bel primato italiano con l’evasione) o all’emigrazione che si pensava sepolta col novecento. Ma a parte l’esempio, resta il fatto che vi è un concreto bisogno di welfare pubblico in Italia (istruzione, sanità , trasporti…). E non si pensi ad un richiamo morale, quelli son monopolio d’oltre Tevere. Io parlo anzitutto da economista. Con la globalizzazione, cioè con l’apertura dei mercati dei beni e dei capitali, con la deregolamentazione del mercato finanziario, e con la conseguente liberalizzazione del mercato del lavoro, abbiamo assistito da un lato ad un crescente gap nei salari tra lavoratori unskilled e lavoratori skilled; dall’altro alla caduta della quota di reddito destinato al lavoro (questo sopratutto in europa continentale). Ora si potrebbe discutere a lungo sugli effetti di breve e lungo periodo di un tal cambiamento nella distribuzione dei redditi. Io vi do questo spunto, tratto dal paper di Hein e Tarassow (Berlin School of Economics and Law), e a sua volta iscrivibile nel filone post-keynesiano o meglio post-kaleckiano:
“Empirical research based on the Bhaduri/Marglin-variant of the Kaleckian model has recently shown that aggregate demand in many medium-sized and large open economies tends to be wage-led in the medium to long run, even in a period of increasing globalisation. In this paper we extend this type of analysis and integrate the effects on productivity growth, theoretically and empirically.”
Che voglio dire?! Semplice, con questa distribuzione dei redditi noi (come europa, ma se pensiamo alla crisi dei subprime… subprime si può tranquillamente sostituire con lavoratori unskilled… anche gli usa, soprattutto gli usa!!) siamo destinati a rimanere in uno scenario sottoconsumista e il recente passato dimostra che il problema si può rimandare (con l’export -vedi germania ma anche cina- o con il suo opposto, con l’esplosione del credito al consumo -vedi usa). Ma come diceva Marx, il capitalismo non risolve mai le sue contraddizioni, le rimanda solo ad un livello più alto. Il fatto è che quando esplodono…
Ritorniamo al problema della tassazione. E’ indubbio che il sistema va riformato, seguendo due linee: semplificazione e severità . Ma la funzione redistributiva è cruciale e non va solo mantenuta ma potenziata, specie in una situazione di sottoconsumo.
Ultime due precisazioni: se lo stato è inefficiente ma va a sopperire ad un fallimento del mercato (esternalità negative -ad esempio il tema ambientale- o positive -sanità ed istruzione), beh la soluzione è rendere efficiente lo stato (e qui è un discorso si volontà politica); tutti i confronti sull’orario di lavoro rispetto all’Italia dovrebbero tenere fortemente conto a) del fatto che in Italia ci sono circa 3 milioni di lavoratori a nero; b) che nelle ditte sotto i quindici dipendeti gli straordinari sono normalmente pagati “in nero” (le imprese sotto i 15 dipendenti sono il 95% e occupano il 46% dei lavoratori); c) il 20% dei contratti in edilizia è part-time (non servono commenti, ma la copertura col part-time è presente in molte altre realtà ). Inoltre quand’è che la riduzione dell’orario di lavoro è diventata un regresso (intendo per la società , non certo per Confindustria)??
Un cordiale saluto da un lettore casuale e a voi assai avverso.
Caro Stefano : se la crisi è nata a causa dei mutui subprime che ha portato all’insolvenza le principali banche americane, cosa c’entra la domanda aggregata ? Prima è scoppiata la crisi bancaria, poi è diminuita la produzione a causa del prosciugarsi del credito bancario , e buon ultimo sono diminuiti, e neppure tanto i consumi. Capisco che lei parte dall’ottica marxista del consumo, quindi anche il fatto che il moltiplicatore keynesiano degli investimenti non funziona, non la preoccupa minimamente, ma la sua teoria , dimentica completamente tutta la parte che riguarda l’offerta, o meglio, la considera , caratteristica prettamente marxista , come data e immutata e immutabile. Ma così non è. E lo si vede dal problema dei salari. Se lei li aumenta senza che sia parimenti aumentata la produttività ( come per esempio avviene se diminuisce l’orario di lavoro a parità di salario ), lei metterà semplicemente sotto pressione nel breve periodo i profitti. Non avrà aumento della domanda, in quanto l’effetto reddito sarà ritardato e semmai ( soprattutto in periodi di crisi ) aumenteranno i risparmi ( senza considerare la domanda di prodotti esteri ). E le aziende risponderanno con l’aumento del prezzo dei beni venduti ( quindi più inflazione ) e con il licenziamento della forza lavoro, in quanto diventata più cara . Se posso darle un consiglio, lasci stare Marx, Kalecki e Sraffa. In italia, con questi tre abbiamo già dato a sufficienza, e ne stiamo ancora pagando le conseguenze.
@MassimoF.
Caro Massimo, La ringrazia della cortese risposta che mi permette di articolare meglio il mio ragionamento. Ma partiamo con una provocazione: se Lei pensa di poter afferrare una realtà così complessa come quella dei capitalismi contemporanei nonchè di quelli storici prescindendo dallo studio dei vari Marx, Kalecki, Sfraffa, ma ovviamente anche Smith (che voi neoclassici o monetaristi fareste proprio bene a leggere, partendo dalle sue opere di filosofia morale magari..), Marshall, Keynes, Fisher (1933, deflazione da debito) o economisti contemporanei come Galbraith o gli italiani Pasinetti, Garegnani, Graziani… Se posso permettermi tanto consiglierei di riprendere in mano un certo Hyman Minsky, do you Know?. Sviluppa in modo assai convincente alcune intuizioni di Keynes sul mercato finanziario… Questo tanto per sfuggire alla facile etichettatura marxista (semmai accetterei di essere un marxiano, ma non è il caso di soffermarci su queste cose ora).
Andiamo ora a trattare nel merito i punti del tuo intervento. La crisi a mio parere è una crisi sistemica, trova origine strutturale nei crescenti squilibri a livello mondiale (vedi bilance commerciali, paesi neomercantilisti in avanzo strutturale e paesi in deficit permanente -Stati Uniti, ma anche il “club-med” europeo) e nella caduta della quota di ricchezza distribuita al lavoro. A questa situazione siamo arrivati dopo 25 anni di politiche neoliberiste (vedi New Consensus, Lucas, Friedman, Stigler e voi..), cioè di nuova e cieca fiducia nel mercato cioè nella deregolamentazione, nella liberalizzazione, contro ogni intervento discrezionale della politica. La cosa buffa è che poi il mercato stesso è un’istituzione, cioè un insieme di regole, cioè non esisterebbe senza essere regolamentato, ma lasciamo perdere.
Ora la famosa crisi dei subprime non ti sembra che segnali il fatto che l’economia Usa fino ad allora sia riuscita a mantenere la domanda aggregata ad un livello che consentisse di mantenere una crescita sostenuta solo attraverso l’indebitamento di gran parte dei consumatori ad un livello tale da raggiungere il punto di rottura… Non lo noti il sistema di “credito a salario”?
Poi potremmo pure discutere della tanto decantata efficienza del mercato mobiliare americano… Magari mi potresti spiegare come mai l’efficienza del mercato che dovrebbe esplicarsi nella sua capacità di prezzare ottimamente (nel senso paretiano del termine) le merci in esso trattate (siano titoli finanziari o case) possa passare di bolla in bolla…
Noto che mi sto dilungando troppo… Credo sia una conseguenza della nostra lontananza di vedute e mi scuso. Mi permetto solo un’ ultima provocazione intelletuale: Lei nel proseguo del suo intervento mi poneva la questione del rapporto tra salari e produttività con tutto il cascame sull’inflazione, la disoccupazione etc..
Nuovamente La invito ad ampliare il suo spettro d’analisi, sia culturalmente che temporalmente. Se i salari aumentano più della produttività come conseguenza mi aspetterei in effetti una pressione sui profitti, con una diminuzione della quota di reddito ad essi assegnati. Ora Lei giunge all’immediata conclusione che questo provocherà a) Aumento dei prezzi; b) Disoccupazione. Ora prenda le serie storiche relative alla dinamica dei salari e della produttività e noterà che la risposta strategica è paradossalmente l’innovazione tecnologica. Mi spiego meglio: la dinamica salariale italiana negli anni 69-79 ha in effetti superato più volte la dinamica della produttività e la risposta è stata la ristrutturazione con conseguente aumento della produttività … Come dire un processo dialettico… Mi sa che parlo arabo con voi che venerato l’individualismo metodologico… Ma tanto fa, la macroeconomia dal vostro punto di vista rimarrà sempre incomprensibile e perciò inutile…
Mi scuso ancora per il tempo che Le ho fatto perdere e La ringrazio della risposta. Buonasera.
@Stefano: Partendo dall’ ultimo suo punto : se rilegge bene il mio intervento precedente vedrà che avevo specificato che la caduta dei profitti sarebbe stata nel breve periodo, questo perchè è del tutto evidente che se il fattore lavoro aumenta di costo, nel breve periodo l’azienda ha come unica via l’aumento del prezzo del bene prodotto. Nel lungo , invece, l’azienda può cambiare la propria struttura produttiva e adattare il fattore lavoro in modo da rielevare i profitti grazie ai nuovi investimenti. Il problema è che se però lei rende permanente l’aumento del costo del lavoro più della produttività avrà un meccanismo di inseguimento, che porterà le aziende a prevenire l’inflazione futura,aumentando il prezzo dei beni oltre il livello necessario, causando una spirale inflattiva. Ora, l’esempio che lei cita degli anni ‘70, conferma semmai questo. Ovvero l’inseguimento tra salari e inflazione. Come ho detto questa via Sraffiana è stata un disastro. Si è conclusa agli inizi degli anni ‘80 , con i salari che comunque non avevano retto il passo dell’inflazione e un tasso di disoccupazione a due cifre. Se poi le aziende si sono ristrutturate , e dico grazie al cielo, lo si deve al fatto che la pressione fiscale era ancora accettabile e non tale da scoraggiare gli investimenti come invece è oggi.
Per i mutui sub-prime, le chiedo se tra tutti gli economisti che lei ha citato ( tra l’altro sappia che non solo ho studiato Marx, keynes, Marshall e Fisher- Friedman l’ho fatto per conto mio, visto che nelle università italiane è bandito -e conosco e ho letto meglio di quanto lei creda Minsky ) , ha mai avuto modo di leggere qualcosa di Mises e Hayek. Vedrà che per esempio Mises , in un suo libro del 1912, aveva descritto benissimo l’attuale crisi bancaria. La Fed tra il 2002 e il 2005 ha portato i tassi di interesse reali negativi per 1,5 punti percentuali? Direi proprio di sì. Questo per lei non comporta nulla? Se io chiedo un mutuo, pago un costo dato dal tasso di interesse. Se questo non solo è uguale a 0, ma anzi è negativo, non ho forse la convenienza a farlo ? Direi proprio di sì. Questi sono fatti. La fed ha manipolato per anni i tassi di interessi, e questo ha completamente distorto la struttura produttiva. La crisi nasce da quì. Per finire, sulla domanda: lei ha citato le aziende italiane degli anni ‘70 che hanno aumentato la produttività . Questo vuol dire che le aziende non producono beni fissi con sistemi produttivi fissi, ma anzi sono flessibili. Perciò, se la domanda muta, o addirittura scende, le aziende risponderanno cambiando sia la struttura produttiva , sia i beni prodotti. Tutto il resto non è altro che distorsione . La domanda non c’entra nulla; quello che importa è la flessibilità nella risposta alla crisi delle aziende.
Sulla crisi sistemica, staremo a vedere. Le previsioni , soprattutto in ambito economico hanno spesso sbagliato. Paradossalmente , proprio i teorici della scuola austriaca ( di cui io faccio parte, quindi non sono monetarista ), che hanno sempre teorizzato l’impossibilità delle previsioni , sono stati gli unici a prevedere da subito e nei termini precisi il crollo dei regimi marxiani.
Questa volta mi scuso io della lunghezza.
@MassimoF.
Ancora buonasera signor Massimo.
Apro chiedendole chiarimenti circa la sua battuta conclusiva.. Onestamente di regimi marxiani non avevo ancor sentito parlare, ma conoscendo i contenuti che date a termini quali libertà , globalizzazione e crescita Le dico che infondo non sento di dover rispondere. Ovviamente senza offesa. Comunque mi consenta di dire che con marxiano intendo colui che non crede che Das Kapital sia la nuova bibbia ma nemmeno rifiuta l’insegnamento di Marx, la prospettiva critica, il sospetto, l’analisi reale della situazione reale (questo è Lenin, non si scandalizzi).
Detto questo proseguiamo il dialogo e vediamo che ne nasce. Allora vedo che concorda che nel lungo periodo la risposta ad uno schiacciamento nei redditi è storicamente (e questo si è verificato in tutta l’europa continentale anche se con tempistiche differenti; diversa è la situazione negli Usa dove non è riscontrabile una simile dinamica dei redditi – rimando al paper da me citato in un precedente post) una ristrutturazione, cioè un investimento in nuove tecnologie che, quanto meno inizialmente prevederanno risparmio di lavoro che verrà sostituito da capitale. Sto generalizzando ma gli spazi e i tempi mi ci costringono. Se vuole, pur posandosi su legami causali diversi, è la stessa logica dell’innovazione schumpeteriano e quindi del ciclo economico schumpeteriano. Che tra l’altro, passando attraverso Spiethoff nasce da un’intuizione di Marx (badi bene, solo un’intuizione). Anche Hayek, come ben sa, arriva alla sua teoria del ciclo partendo e ampliando Marx. Ma su Hayek torno dopo.
Ora questa dinamica schiacciamento profitti–>innovazione è cruciale nel mio ragionamento. Anzitutto è innovazione cost-push, o effetto Marx-Hicks. In secondo luogo riecco l’utilità del concetto di domanda effettiva Keynesiana. Cosa voglio dire? Beh voglio andare oltre alla sua troppo parziale uscita sul rapporto investimenti-tassazione. Ovviamente la tassazione gioca un ruolo dal lato dei costi ma non mi insegnate voi che un investimento verrà realizzato se avrà un VAN positivo, cioè se il suo rendimento oltrepassa il costo del capitale (r*). Lei continua a guardare solo da una parte, quando il fattore cruciale è invece la stima del rendimento atteso dall’investimento. Ora mi permetto di citarvi io Keynes. Keynes è prezioso quando descrive gli animal spirits che governano la spesa in investimenti. Data la sua formazione e i suoi studi matematici, conosceva bene la differenza tra rischio ed incertezza, e sapeva che il futuro è incertezza, cioè una lotteria di cui non conosciamo nemmeno tutti gli esiti possibili. In questa situazione concorderà che la prospettiva si accorcia, che per dirla con Keynes “nel lungo periodo siamo tutti morti”. E allora potrà comprendere l’insensatezza della relazione tra tasso d’interesse e investimento e invece la pertinenza della domanda effettiva come fattore chiave. Ora se aumentiamo la quota di reddito assegnato al lavoro e se concordiamo sul fatto che la propensione al consumo dei redditi inferiori è sicuramente più alta, stimoliamo la domanda, gli investimenti e la ripresa. Noti ancora che ho detto ripresa. Perchè poi è ovvio che se si spinge la crescita oltre il livello di crescita potenziale si avrà un surriscaldamento del sistema, cioè l’inflazione ma non solo (ancora Marx e l’esercito di riserva, o il ciclo politico kaleckiano). Ma in questo momento le pare che siamo in una situazione del genere; Le pare forse che stiamo sforando?? Io dovessi aver paura di qualcosa temerei la deflazione in questo momento. Ma son forse troppi anni che vi bevete le sirene antiinflazionistiche della BCE. Sempre sott’occhio i prezzi, cioè i salari. Sempre sull’offerta, che tanto poi si crea la domanda da sola. E parlo di mercato dei beni come di mercato dei capitali. E lo dovreste sapere che non sta in piedi la legge degli sbocchi. Salutami Say.
Proseguo. Io non ho mai detto di spingere costantemente la dinamica salariale oltre la dinamica produttiva. Però mi pare altresì chiaro che non si possa parlare di “salario di equilibrio” ma che ne venga appunto fuori il fatto che la quota profitti e di converso la quota salari possano muoversi se non liberamente quanto meno all’interno di un certo range. E questo sconfessa tutta la vostra visione del mercato del lavoro. E da là cade tutto il resto.
E arriviamo ad Hayek. Lo conosco (come hai notato prima) e conosco la sua teoria del ciclo economico. La favoletta delle perturbazioni monetarie, dei fattori esogeni che vi spostano dal vostro bell’equilibrio statico. Ah, ma chi sono io per parlare del grande Friedrich August von. Però ho ben presente come è finito il carteggio tra lui e Sraffa. Si ricorda che poi Hayek non si è più pronunciato su aspetti teorici??! Le dice niente. Vede per voi se la Macroeconomia non fosse mai esistita sarebbe assai meglio. Ne uscite male.
Eccoci alla Fed. Il maestro Greenspan non gode più dei vostri favori vedo. Beh Lei sarà a conoscenza che Greenspan quando si presentò alla Fed nel 1987 si fece precedere da una serie di dichiarazioni di chiaro segno monetarista: tassi su e guerra all’inflazione. Poi gli cadde in testa il lunedì nero tanto a chiarirgli che la musica stava cambiando. E giù i tassi. Da lì in poi, senza bisogno di focalizzarsi sul 2002-2005 e sulla vostra cazzata della Taylor rule che già sento nell’aria, ogni volta che Greenspan ha provato a rialzare i tassi c’era un tonfo in borsa. Che Le dice questo?? Io suggerisco che il sistema finanziario è fortemente cambianto e che la progressiva deregolamentazione a portato ad un sistema assai fragile, che non tollerava alcun rialzo dei tassi e che passava da una crisi all’altra a livello mondiale. Che inizialmente colpisce le periferie (1997- crisi asiatica). Poi attraverso il calo dei prezzi delle materie prime tira giù Russia e Brasile. E poi eccoci alla crisi al centro dell’impero.
Badi bene che la questione richiederebbe alcuni tomi e qui si semplifica. Ma per favore non mi risponda che il problema è che ci si è discostati dalla Taylor rule. Mi parli di Minsky piuttosto, dato che lo ha letto.
Ok, stavolta mi scuso non solo con Lei ma anche con gli altri dato che mi sono allontanato parecchio dal tema originario.
E’ stato comunque un grande piacere. Buonanotte.
@Stefano : innanzitutto su tasse e investimenti: come ha detto lei un investimento è rischioso , ed è per questo che gli investitori vogliono un premio per il rischio assieme al tasso privo di rischio. Questo al netto delle tasse. Perchè forse a lei potrà sembrare strano, ma gli investitori sanno benissimo che un rendimento al lordo del 10% , con tasse al 50% scende al 5% . Lei parla di domanda, ma ammesso e non concesso che abbia ragione, non esisterà mai una domanda tale che possa spingere il rendimento al 25% per tutti gli investimenti. Perchè con la pressione fiscale che abbiamo oggi, tale è il rendimento da ottenere perchè sia non tanto conveniente, ma semplicemente neutrale con le altre forme di investimento. Per quanto riguarda Minsky , ha fatto a mio parere personale un discreto lavoro sull’analisi del debito in fase boom-burst, ma ciò non toglie che questo nasca da un’espansione monetaria artificiale. Su quest’ultimo punto , se permette , si vede tutta l’incoerenza del suo discorso. Lei , non io , dice che quando Greenspan è arrivato alla fed, era monetarista, ma col lunedì nero, ha cambiato ed è diventato altro; lei non specifica , ma immagino sia keynesiano. Poi , sempre lei, dice che dopo questo ogni volta che ha tentato di rialzare i tassi, si sono verificate crisi finanziarie. Bene , questo è tutto vero e lo sottoscrivo. Ma non le viene il dubbio che tutto ciò nasca proprio dal fatto che Greenspan abbandonò subito il monetarismo e abbracciò la gestione monetaria allegra tipica della sinistra keynesiana? A mè pare proprio di sì. I fatti sono lì a dimostrarlo. Quanto al fatto che per lei un’aspansione monetaria artificiale distorca gli investimenti , sia solo una favoletta o una cazzata, può pure pensarlo, ma deve dimostrarlo, e questo non lo può fare , o meglio non riesce a farlo, perchè : oggi siamo in piena crisi, e ieri , si era in piena espansione monetaria artificiale; perchè oggi le banche sono in difficoltà , e ieri erano in prima fila a prestare denaro grazie al suo basso costo; questi sono fatti, descritti molto prima della crisi dalla scuola austriaca e puntualmente successi. Quanto ad Hayek e Sraffa, è del tutto evidente che a lei non passi nemmeno per la mente che Hayek abbia abbandonato la discussione semplicemente perchè si era stancato di far capire a qualcuno , qualcosa che questo proprio non vuole capire. Fortunatamente , i fatti hanno dato ragione ad Hayek, e continueranno a farlo. Sull’equilibrio statico , le consiglio di leggere bene Hayek, vedrà che ne parla in termini molto diversi da quelli che lei dice, e per nulla statici , anzi. Sulla domanda aggregata, ripeto quello che ho già detto precedentemente e che lei ha semplicemente aggirato; sulla legge di Say , che sia sbagliata và dimostrato: le ricordo che Keynes,non Hayek, diceva che nel lungo periodo saremmo tutti morti, ma l’inizio della frase era che nel lungo periodo aveva ragione il liberismo , e nel liberismo l’offerta trova la sua domanda. Come ha detto lei, continuare richiederebbe troppo spazio , però mi lasci concludere dicendo due cose: lei parla di crisi e deregolamentazione, però la crisi si è sviluppata ed è nata anche in paesi che deregolamentati non lo erano e non lo sono mai stati, un’esempio su tutti , il giappone fine anni ‘80. L’unico tratto comune è sempre stata la politica monetaria iper-espansiva. Rifletta. Infine , noi liberisti siamo individualisti e per noi viene prima l’individuo. Penso che questo sia una benedizione, in quanto società che si basano sul rispetto dell’individuo ( e del suo pensiero anche se sbagliato-io non ho mai definito le sue idee , cazzate ), non svilupperanno mai legislazioni lesive dei diritti delle persone, al contrario di società basate sul bene comune, che proprio per fare questo, si sentiranno legittimate a calpestare i diritti dei singoli , se giovano alla società .
@MassimoF.
Caro Massimo, attualmente non ho la possibilità di risponderle in modo adeguato… Quindi le propongo solo un breve accenno:
1) Gli investimenti sono dominati dall’incertezza e non dal rischio!!
2) Greenspan non può proprio essere definito Keynesiano.
3) La legge degli sbocchi di J.B. Say trova una elegante negazione in Keynes: non è vero che ogni offerta generà la sua domanda perchè esiste la possibilità di tesoreggiare. Se la distribuzione dei redditi privilegia i profitti questo viene vieppiù evidenziato. Certo bisogna concordare sul fatto che i percettori di redditi bassi abbiano una maggiore propensione al consumo. Il che è opinione comune a tutti gli osservatori.
4) La critica sraffiana alla teoria del capitale è inattaccabile. Tutto il vostro sistema va a scatafascio. Questo lo sapeva benissimo sia Sraffa che Hayek. Se poi preferisce la sua spiegazione da soap-opera..
Inoltre mi scuso per aver definito una cazzata la Taylor Rule. Concorderà comunque che è una legge fortemente arbitraria il cui scopo principale è negare ogni discrezionalità alla politica monetaria (in conseguenza della critica di Lucas).
Se Lei mi facesse il favore invece di evitare di accusare di totalitarismo ogni visione del mondo che contrasti con la sua, sarebbe un buon passo avanti. Ma questa sera conto di risponderle meglio anche su questo punto.
Buonagiornata
@Stefano:
1) se un investimento è incerto, è quindi rischioso. E questo rischio o incertezza, deve essere remunerata. La cosa è lapalissiana.
2)Greenspan non sarà Keynesiano, ma la sua politica monetaria non è stata monetarista, e questo lo ha detto lei, non io.
3)Il tesoreggiamento avviene perchè i prezzi non si adeguano al mutare della struttura produttiva. Un imprenditore che non investe perchè non gli conviene deve essere benedetto, perchè altrimenti farebbe una allocazione inefficiente dei capitali.
4) Questa è una sua opinione. Per essere presa in considerazione deve essere provata. Finora l’unica cosa che è stata dimostrata è l’erroneità del pensiero Sraffiano, e la stagflazione degli anni ‘70 lo dimostra. Le soap-opera , esistono, ma non stanno nel pensiero Hayekiano.
Sulla legge di Taylor, trovo sia un’utile punto di partenza, soprattutto per togliere influenza alle perturbazioni politiche, sempre distruttive. Meglio sarebbe eliminare completamente le autorità monetarie e quindi anche solo la possibilità teorica di manipolare a fini politici gli aggregati monetari.
Sull’individualismo, ho semplicemente spiegato perchè ritengo sia non solo giusto, ma da estendere il più possibile.
Buona giornata anche a lei.
@MassimoF.
Caro massimo, rimando nuovamente ad un momento futuro una risposta più completa… Intanto Le rispondo per punti:
1) Si legga il Trattato sulla probabilità di Keynes; oppure si applichi alla microeconomia avanzata, alla teoria della scelta. La differenza tra rischio e incertezza è che mentre il rischio è calcolabile ed è quindi possibile massimizzare la funzione di utilità , l’incertezza non prevede la conoscenza di tutti gli esiti possibli e quindi non è possibile massimizzare staticamente alcun che; è lo stesso motivo per cui il valore di un’opzione si compone del suo valore strutturale e del suo valore temporale; essendoci un time value non è possibile compiere scelte che massimizzino l’utilità ; siamo nel mondo delle scommesse insomma; o degli animal spirits.
2) Su Greenspan non mi dilungo oltre; perchè non è Greenspan il problema; il problema è la crescente fragilità accompagnata al crescente peso del sistema finanziario internazionale. Cioè il numero delle crisi finanziarie che si sono susseguite dalla fine degli anni ‘70 in poi e il fatto che ogni nuova crisi era più grave delle precedente. Questo è il punto su cui mi dovrebbe rispondere. Io ho una mia teoria ma gliela proporrà un’altra volta. Comunque ancora le consiglio Minsky.
3) Se vi è tesoreggiamento o se i profitti se ne vanno in finanza invece che essere reinvestiti nell’ economia reale, beh allora non è vero che tutto il reddito viene interamente speso e la legge di Say non vale. Non c’è soluzione. E la cosa non è nuova (Teoria generale, 1936, Keynes). Che poi i capitalisti (non li chiamerei proprio imprenditori nel senso schumpeteriano se non investono) non investano se non sono convinti di trarne un rendimento pari o superiore al costo-opportunità è ovvio. E magari questa reticenza è, più strutturalmente, frutto di una crescente incertezza. (E anche di un sistema di tassazione che favorisce la finanza rispetto all’economia produttiva, certo). E questa incertezza magari nasce proprio dall’indiscriminata apertura dei mercati e dalla liberalizzazione spinta del mercato del lavoro. Cioè da una competizione feroce per accaparrarsi i mercati internazionali, da un lato. E dalla contrazione subita dalla domanda aggregata, dall’altro. Che poi è frutto della nuova dinamica distributiva. Che si spiega sia con i mutamenti nella domanda di lavoro (skilled versus unskilled) sia con i mutamenti intervenuti nell’offerta (immigrazione e crescente partecipazione femminile). Ok ora prosegua da solo.
4) Guardi la stagnazione degli anni settanta non si può attribuire proprio nè a Keynes nè a Sraffa. Dalla metà degli anni ‘60 in poi si parla apertamente (tranne che nella vostra torre d’avorio) di “keynesismo bastardo”, se la cosa Le dice nulla. Certo che i trent’anni gloriosi erano frutto di un capitalismo monopolista in cui i guadagni di produttività erano completamente assorbiti dalla crescita salariale. E la disoccupazione europea stava al 2%, quella americana al 4%. Poi so come voi vi siate attaccati alla stagflazione degli anni ‘70 per pompare su una nuova fiducia nel mercato (selvaggio). Ma questo è tipico della storia economica.
Solo mi chiedo come non Le sovvenga di riflettere sulla situazione attuale. Magari identificando le politiche economiche che hanno portato alla più grande crisi dal 1929. Ma non mi illudo certo che voi siate mossi dalla ricerca della verità . No, voi vigilate sulla salute del capitale e tanto vi basta. E non riempitevi la bocca di dittatura. Parlatemi piuttosto del vostro (della scuola di chicago, intendo) democratico intervento Cileno. O del capitalismo cinese. Siate realista.
Quanto all’individualismo metodologico lo rifiutava Smith, Ricardo, Mills, Keynes… oh, anche Marx, certo. Se questo basta per marchiare tutti questi grandi economisti di pericolosi teorizzatori del gulag lo lascio valutare a Lei.
Buonanotte… e prosegua la sua caccia alle streghe. Ma attento che non Le cade in testa la sua bella costruzione teorica e la sua bella realtà economico-sociale.
Ah, un’aggiunta alla fine del punto tre: anche i mutamenti istituzionali sono importanti per spiegare il mutamento distributivo. Per mutamenti istituzionali devono intendersi i mutamenti nella struttura della contrattazione (decentramento), nel peso del sindacato (densità sindacale) etc..