Commenti a: TBTF: limiti alla crescita bancaria e politica monetaria /2009/07/24/tbtf-limiti-alla-crescita-bancaria-e-politica-monetaria/ diretto da Oscar Giannino Mon, 14 Dec 2009 17:29:31 +0100 http://wordpress.org/?v=2.8.4 hourly 1 Di: Mario Seminerio /2009/07/24/tbtf-limiti-alla-crescita-bancaria-e-politica-monetaria/comment-page-1/#comment-671 Mario Seminerio Sat, 25 Jul 2009 07:07:52 +0000 /?p=1751#comment-671 Beh, considera che il debt-to-equity swap è la norma in ogni procedura di Chapter 11, sia tradizionale che out-of-court, per raggiungere la ricapitalizzazione necessaria a far ripartire imprese che siano considerate ancora vitali, non c'è bisogno di sviluppare teorie sistemiche per asset class. Comprendo che le banche sono imprese particolari, e che la raccolta è un tasto molto sensibile, ma tra una raccolta iperprotetta (dalla FDIC) in depositi e una che non lo è, tramite bond, la via dovrebbe essere quella. Ovviamente questo non vale sempre e comunque: i broker-dealer (come era Bear Stearns) non possono essere salvati in questo modo, perché compravano Abs e Cdo e li finanziavano con repo, per cui quando la controparte del pronti-termine rifiutava il rinnovo, la società moriva nel giro di poche ore. Quanto al caso-Chrysler, c'è una differenza: il problema che ha dato origine al braccio di ferro è stato sollevato dai bondholders secured, cioè quelli che avevano acquistato obbligazioni con pegno su impianti ed attrezzature dell'azienda, che ritenevano che dalla liquidazione avrebbero recuperato pressoché tutto il credito, non dagli unsecured, che sono quelli più importanti per masse coinvolte, e a cui si riferisce Fischer e, si parva licet, il sottoscritto. Beh, considera che il debt-to-equity swap è la norma in ogni procedura di Chapter 11, sia tradizionale che out-of-court, per raggiungere la ricapitalizzazione necessaria a far ripartire imprese che siano considerate ancora vitali, non c’è bisogno di sviluppare teorie sistemiche per asset class. Comprendo che le banche sono imprese particolari, e che la raccolta è un tasto molto sensibile, ma tra una raccolta iperprotetta (dalla FDIC) in depositi e una che non lo è, tramite bond, la via dovrebbe essere quella.

Ovviamente questo non vale sempre e comunque: i broker-dealer (come era Bear Stearns) non possono essere salvati in questo modo, perché compravano Abs e Cdo e li finanziavano con repo, per cui quando la controparte del pronti-termine rifiutava il rinnovo, la società moriva nel giro di poche ore.

Quanto al caso-Chrysler, c’è una differenza: il problema che ha dato origine al braccio di ferro è stato sollevato dai bondholders secured, cioè quelli che avevano acquistato obbligazioni con pegno su impianti ed attrezzature dell’azienda, che ritenevano che dalla liquidazione avrebbero recuperato pressoché tutto il credito, non dagli unsecured, che sono quelli più importanti per masse coinvolte, e a cui si riferisce Fischer e, si parva licet, il sottoscritto.

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Di: oscar giannino /2009/07/24/tbtf-limiti-alla-crescita-bancaria-e-politica-monetaria/comment-page-1/#comment-670 oscar giannino Sat, 25 Jul 2009 00:05:59 +0000 /?p=1751#comment-670 Sono molto d'accordo con la tua conclusione, per quanto il principle-based dia inevitabilmente adito a discrezionalità. Credo invece molto difficile far rientrare nella categoria di coloro entitled to take a hit i bondholders, perché inevitabilmente si porrebbe il problema di TUTTI coloro che hanno sottoscritto, acquistato o magari solo opzionato financial securities di vario tipo. La tutela dei bodholders come classe di soggetti comunque più tutelati nelle procedure concorsuali si è rivelata una mera fiction, nelle decisioni fallimentari assunte dal regolatore e confermate dal giudice USA - vedi il secco diniego giudiziale alle toericament più che legittime pretese dei fondi che si opponevano all'esiguierrimo recupero nella procedura Chrysler - a fronte del fatto che era il rischio di controparte nelle securities, il "vero" elemento discriminante per decidere come pilotare fallimenti e sopratutto salvataggi..... da quel che vedo, una teoria micro e macro sistemica per clòasse di securities e relativo rischio di controparte è ben lungi dall'essere sviluppata e matura, anche solo per costituire orientamento d'indirizzo di tipo principle e non ruled.... Sono molto d’accordo con la tua conclusione, per quanto il principle-based dia inevitabilmente adito a discrezionalità. Credo invece molto difficile far rientrare nella categoria di coloro entitled to take a hit i bondholders, perché inevitabilmente si porrebbe il problema di TUTTI coloro che hanno sottoscritto, acquistato o magari solo opzionato financial securities di vario tipo. La tutela dei bodholders come classe di soggetti comunque più tutelati nelle procedure concorsuali si è rivelata una mera fiction, nelle decisioni fallimentari assunte dal regolatore e confermate dal giudice USA – vedi il secco diniego giudiziale alle toericament più che legittime pretese dei fondi che si opponevano all’esiguierrimo recupero nella procedura Chrysler – a fronte del fatto che era il rischio di controparte nelle securities, il “vero” elemento discriminante per decidere come pilotare fallimenti e sopratutto salvataggi….. da quel che vedo, una teoria micro e macro sistemica per clòasse di securities e relativo rischio di controparte è ben lungi dall’essere sviluppata e matura, anche solo per costituire orientamento d’indirizzo di tipo principle e non ruled….

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Di: Mario Seminerio /2009/07/24/tbtf-limiti-alla-crescita-bancaria-e-politica-monetaria/comment-page-1/#comment-669 Mario Seminerio Fri, 24 Jul 2009 19:13:15 +0000 /?p=1751#comment-669 Riguardo l'aspetto dimensionale delle istituzioni sistemicamente sensibili, concordo che la correlazione con la dimensione degli asset può venire meno; penso al caso di una istituzione relativamente piccola che venda protezione di credito via CDS sul pianeta intero, come AIG Financial Products, che è l'epicentro londinese della crisi americana, ed era una branch di dimensioni contenute. Riguardo il pensiero specifico di Fischer, io credo che lui focalizzi il problema sul livello di leverage che può essere consentito alle banche. Noi oggi sappiamo che le banche più grandi (quelle che hanno creato divisioni di investment bank da giustapporre alla banca commerciale tradizionale) mostravano anche un formidabile aumento di leverage, causato proprio dalla non segregazione delle attività di investment bank da quelle tradizionali. Quindi, qui abbiamo crescita dimensionale (preesistente, ma innocua) e crescita di leverage (dopo la caduta del Glass Steagal Act). Questa evidenza contraddice (o meglio, si affianca) a quella di istituzioni piccole ma sistemicamente rilevanti. A me pare si possa affermare che i problemi si moltiplicano quando abbiamo istituti di grandi dimensioni (cioè con market power nazionale, in termini di costo della raccolta e price-setting sui servizi) E sistemicamente rilevanti, ad esempio con leverage altissimo e utilizzo di espedienti di regulatory relief. Che fare? Osserva che Fischer non parla di antitrust (non avrebbe neppure titolo per farlo), ma suggerisce di applicare alle banche di maggiori dimensioni le procedure di resolution che si utilizzano per tutte le altre, e più in generale per i casi di dissesto. Io sposo in pieno questa tesi, e la preferisco ad azioni antitrust per timore (più che giustificato, credo) di cattura regolatoria. In soldoni, che significa tutto ciò? Che se una banca si dissesta, i suoi obbligazionisti "must take a hit", cioè accettare una conversione (parziale o totale) in equity dei propri crediti. Questa tesi, come noto, è stata ferocemente avversata da molti, in buona e meno buona fede. Alla prima categoria appartengono quanti pensano che, se gli obbligazionisti bancari perdono soldi coi propri crediti, si verificherà nell'immediato una corsa agli sportelli e, nel lungo termine un inaridimento della capacità di raccolta delle banche. Ciò non è vero, vista la garanzia della FDIC sui depositi. Alla seconda categoria (quella della assai meno buona fede) appartengono le varie PIMCO e BlackRock, cioè i bond asset manager, e di quelle non vorrei occuparmi, anche se so che dalle parti del Tesoro sono molto ascoltate, per usare un eufemismo. Mi pare però sufficientemente oggettivo che il violento deleveraging delle banche-centauro (investment bank più banca commerciale) abbia bloccato e stia bloccando il meccanismo di trasmissione della politica monetaria allo stesso modo in cui in fase di economia in crescita, queste stesse banche abbiano fatto esplodere l'offerta di moneta. Per concludere, credo che un opportuno mix di limiti al leverage e di controllo del regulatory relief usato ed abusato dalle banche (ad esempio con i CDS), possa essere utile per ridurre i rischi futuri, e per fare ciò servirà una vigilanza sufficientemente capace e "potente" da poter agire in modo principle-based e non rule-based, data la natura "liquida" dell'innovazione finanziaria. Riguardo l’aspetto dimensionale delle istituzioni sistemicamente sensibili, concordo che la correlazione con la dimensione degli asset può venire meno; penso al caso di una istituzione relativamente piccola che venda protezione di credito via CDS sul pianeta intero, come AIG Financial Products, che è l’epicentro londinese della crisi americana, ed era una branch di dimensioni contenute.

Riguardo il pensiero specifico di Fischer, io credo che lui focalizzi il problema sul livello di leverage che può essere consentito alle banche. Noi oggi sappiamo che le banche più grandi (quelle che hanno creato divisioni di investment bank da giustapporre alla banca commerciale tradizionale) mostravano anche un formidabile aumento di leverage, causato proprio dalla non segregazione delle attività di investment bank da quelle tradizionali. Quindi, qui abbiamo crescita dimensionale (preesistente, ma innocua) e crescita di leverage (dopo la caduta del Glass Steagal Act). Questa evidenza contraddice (o meglio, si affianca) a quella di istituzioni piccole ma sistemicamente rilevanti. A me pare si possa affermare che i problemi si moltiplicano quando abbiamo istituti di grandi dimensioni (cioè con market power nazionale, in termini di costo della raccolta e price-setting sui servizi) E sistemicamente rilevanti, ad esempio con leverage altissimo e utilizzo di espedienti di regulatory relief.

Che fare? Osserva che Fischer non parla di antitrust (non avrebbe neppure titolo per farlo), ma suggerisce di applicare alle banche di maggiori dimensioni le procedure di resolution che si utilizzano per tutte le altre, e più in generale per i casi di dissesto. Io sposo in pieno questa tesi, e la preferisco ad azioni antitrust per timore (più che giustificato, credo) di cattura regolatoria. In soldoni, che significa tutto ciò? Che se una banca si dissesta, i suoi obbligazionisti “must take a hit”, cioè accettare una conversione (parziale o totale) in equity dei propri crediti. Questa tesi, come noto, è stata ferocemente avversata da molti, in buona e meno buona fede. Alla prima categoria appartengono quanti pensano che, se gli obbligazionisti bancari perdono soldi coi propri crediti, si verificherà nell’immediato una corsa agli sportelli e, nel lungo termine un inaridimento della capacità di raccolta delle banche. Ciò non è vero, vista la garanzia della FDIC sui depositi.
Alla seconda categoria (quella della assai meno buona fede) appartengono le varie PIMCO e BlackRock, cioè i bond asset manager, e di quelle non vorrei occuparmi, anche se so che dalle parti del Tesoro sono molto ascoltate, per usare un eufemismo.

Mi pare però sufficientemente oggettivo che il violento deleveraging delle banche-centauro (investment bank più banca commerciale) abbia bloccato e stia bloccando il meccanismo di trasmissione della politica monetaria allo stesso modo in cui in fase di economia in crescita, queste stesse banche abbiano fatto esplodere l’offerta di moneta.

Per concludere, credo che un opportuno mix di limiti al leverage e di controllo del regulatory relief usato ed abusato dalle banche (ad esempio con i CDS), possa essere utile per ridurre i rischi futuri, e per fare ciò servirà una vigilanza sufficientemente capace e “potente” da poter agire in modo principle-based e non rule-based, data la natura “liquida” dell’innovazione finanziaria.

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