All’assemblea dei partecipanti della Banca d’Italia, il governatore Mario Draghi anno dopo anno sta imprimendo una svolta di comunicazione a mio giudizio giusta. Le sue considerazioni finali diventano sempre più asciutte ed essenziali. La parte di analisi macro internazionale ed italiana si dà per scontata o quasi, idem dicasi per le analisi e le rilevazioni di contabilità nazionale e bancaria, rinviando alla corposa relazione in più tomi che da sempre correda i documenti dell’appuntamento annuale. Ne soffre forse l’aulica corposità della messa cantata di un’intera mattinata, lasso di tempo che a stento in passato conteneva le diverse parti dell’orazione. Ma se ne guadagna in essenzialità.
A Draghi non interessa apparire un contro-centro di potere economico, con una ricetta complessiva per il Paese e una analitica per ogni problema. Gli preme confermare che Bankitalia c’è e resta, pronta a fare il suo dovere come sempre, in funzione e vigilante come centro di elaborazione dati e d’intervento d’emergenza, se e quando necessario. Ma, per il resto, il governatore è uomo di pochi messaggi. E a me sembra cosa giusta: è un limite del centrodestra attuale, non averlo ancora capito.
Di conseguenza, Draghi si è limitato solo a poco più che ricordare le parti dell’agenda di ri-regolazione internazionale che sono essenziali, ma non si decidono in Italia (e, tra chi sta in Italia Draghi ne deciderà, col FSB che presiede, comunque più di altri). Domani, i giornali titoleranno soprattutto sulla parte delle considerazioni che in apparenza suona allarmistica per Pil e occupati italiani: in realtà, si tratta dei dati già noti, e bene fa il governatore a star fermo su quelli, invece di puntare sul sentiment in ripresa.
A ma è piaciuta la chiara identificazione dei due maggiori rischi per l’Italia, la forte riduzione dei consumi interni e il pericolo-mortalità per migliaia di manifatturiere attive nell’export; e, di conseguenza, la conclusione che le riforme di welfare e pensioni non sono procrastinabili. Alle banche, Draghi non ha fatto sconti e non ha affatto sposato le cifre dell’Abi su impieghi e relativi tassi praticati. Non è poco. Su Tremonti bonds e necessità di prossime svalutazioni patrimoniali, grande prudenza invece. Ma per due volte Draghi è tornato sul tema, pur senza citare per esempio le tesi di Prometeia, e ricordando alle banche che devono insieme dare credito e rafforzarsi nel patrimonio chiudendolo al mercato. Felpato e rapido, ma più dalla parte di chi la pensa come noi che contro, e senza fianco prestato agli inni sulla nuova politica che metterebbe in riga autorità indipendenti, banchieri ed economisti.
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condivido e non solo. Draghi ha parlato mi è sembrato senza mezzi termini quando ha concluso:
Le banche italiane non hanno eredità pesanti nei loro bilanci. Utilizzino questo vantaggio nei confronti dei concorrenti per affrontare un presente e un futuro non facili. Valutino il merito di credito dei loro clienti con lungimiranza. Prendano esempio dai banchieri che finanziarono la ricostruzione e la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta.
E condivido anche chi ha detto che ha messo a fuoco, anche impietosamente, 20 anni di non scelte. Volevo invitarti, ma lo allargo anche a Ibl (dato che ho trovato poco in giro) da siciliana, favorevolissima, sperando che non si trasformi nell’ennesima occasione mancata, a dire qualcosa a proposito di privatizzazione di Tirrenia e della decisione, già presa, mi pare dal governo di metterla sul mercato al 100%. E sperando che non si ascoltino le “sirene” che invitano a fare come per Alitalia o di chi parla di privatizzazione selvaggia cavalcando lo scontento dei sindaci e dei parlamentari (bipartisan) locali, con le consuete alzate di scudi da parte dei sindacati. A che punto siamo? e da queste parti si condivide il percorso scelto?
Caro Direttore,
si parla tanto di ‘signoraggio’ delle banche ed i pareri al riguardo sono discordi.
Lei che ne pensa?